Ciò che possiamo licenziare

mercoledì 22 giugno 2022

Di Maio Luigi come Nencioni Gastone?

La storia non si ripete, ma talvolta si diverte a presentare, a distanza di decenni, situazioni simili. Il caso di ‘Insieme per il futuro’ assomiglia più o meno a quello di ‘Democrazia Nazionale’. Se ne vanno i dirigenti e gli elettori con chi staranno?

I più giovani quasi sicuramente non sapranno chi è stato Gastone Nencioni e molti tra i più anziani se ne saranno dimenticati eppure quel senatore, ben cinque legislature dalla III alla VII, fu un Di Maio ante litteram. Le situazioni nella storia mai si ripetono uguali, ma molte volte sono assai simili e un qualche parallelo lo si può tracciare tra quello che fu il terzo governo dell’Andreotti Giulio e quello attuale del Draghi Mario. Anche nel 1976 si decise, su altre basi e altre motivazioni rispetto alla situazione del 2021, di avere un governo di solidarietà nazionale o altrimenti detto della non sfiducia. Fulminante la battuta del Pajetta Giancarlo, a chi gli chiedeva lumi su cosa fosse la non sfiduci rispondeva: «È qualcosa che non gli diamo, ma che gli basta (per governare ndr)». Anche a quei tempi all’opposizione c’era un solo partito: il MSI dell’Almirante Giorgio, un’edizione un bel po’ più pepata dei Fratelli d’Italia della Meloni Giorgia. Corsi e ricori storici dei nomi. Comunque a quell’ennesimo governo dell’Andreotti Giulio la dipendenza dalla benevolenza del PCI di Enrico Berlinguer andava stretta. Situazione scomoda sotto diversi aspetti.  E allora, com’è come non è, accadde che la corrente moderata del MSI cominciò a spingere per appoggiare il divo Giulio in modo concreto. Naturalmente i duri e puri del repubblichino Almirante non ne vollero sapere e nel  febbraio del 1977 fu scissione. Scissione col botto  per dirla bene. Il Nencioni Gastone, così senza parere, dalla mattina alla sera, si portò via 9 senatori su 15 (60%)  oltre a 21 deputati su 35 (altro 60%) nonché 13 consiglieri regionali su 40 (33%), 51 consiglieri provinciali su 160 (32%), 350 consiglieri comunali su 1500 (23%). E così nacque Democrazia Nazionale. Partito tutto di vertice con nessuna o pochissima base che visse finché durò la legislatura che si chiuse nel 1979. Naturalmente tutti quei senatori e deputati si ripresentarono alle successive elezioni e raggranellarono un fantastico 0,6% e sui sacri scranni solo uno o due, alcuni anni dopo, posero le terga. Si malignò di denari passati ai transfughi dagli americani, dalla Cia e dalla Democrazia Cristiana,  ma chi potrebbe mai credere ad una simile versione dei fatti. Ora anche il Di Maio Luigi vuole mallevare il governo Draghi dalla potenziale, quanto mai potenziale, posizione di egemonia esercitata dal M5S e, anche lui, dalla sera alla mattina decide di svuotare il suo ex partito. Rispetto a Nencioni il risultato è più importante in numeri assoluti: 60 parlamentari su 227, ma modesto percentualmente solo il 25%. A questo punto il busillis è: quanto durerà il nuovo partito Insieme per il futuro? E ancora, ci sarà posto per questi 60 nel prossimo Parlamento? E quanti otterranno le sospirate presidenze, che danno stipendi, ma spesso poco visibilità, di enti italici o internazionali? Solo i maligni possono pensare a miserrimi interessi venali piazzati dietro questo scossone. Due corollari i 60 o più avventurosi hanno da ben tenere a mente: è dato assodato il motto recitante chi tradisce una volta tradisce sempre e quindi un traditore sul momento osannato alla lunga è degno di poca fiducia. Mentre il secondo racconta, dati storici alla mano, quanto le scissioni, ad esclusione di quella del Partito Comunista d’Italia di Bordiga e Gramsci, non abbiano portato bene ai loro promotori, relegandoli all’impotenza quando non nel dimenticatoio. In ogni caso è solo questione di mesi e l’italico popolo potrà togliersi, ammesso e non concesso ce l’abbia, anche questa curiosità.

Buona settimana e buona fortuna.

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