Quello che viveva in una botte e che, standosene lì dentro sdraiato, ad Alessandro Magno che lo voleva beneficare chiese semplicemente che si spostasse: gli faceva ombra. Diogene è passato alla storia anche perché se ne andava in giro portandosi appresso, pure di giorno, una lampada. A chi gli chiedeva di questa bizzarria rispondeva, con semplicità: “Αναζητώντας τον άνθρωπο” ovvero “cerco l'Uomo”.
E immagino che tutti sappiate chi è Eugenio Scalfari: giornalista di “Roma Fascista”, ma era un ragazzo, poi simpatizzante liberale, dipendente di BNL, collaboratore al Mondo e all'Europeo, tra i fondatori del Partito Radicale, giornalista a tempo pieno all'Espresso (e già che c'era anche direttore amministrativo), con il Partito Socialista Italiano consigliere comunale a Milano e poi deputato, durante la V legislatura (speriamo non gli tocchi una pensione ma, forse ce l'ha), fondatore di La Repubblica, da qualche tempo distributore di perle di saggezza. Per queste ultime non siamo ancora vacinati:
Negli anni '70 e '80 appoggiò rispettivamente: i radicali, i socialisti e i democristiani di De Mita.
Tre elezioni tre disastri. I comunisti, quando venne il loro turno, non vollero, temevano la tradizione.
I due a ben vedere in comune hanno poco: non la concezione filosofica, non lo stile di vita e neppure la capacità di scegliere una posizione e mantenerla.
Ma una cosa, da qualche settimana, Scalfari ha deciso di avere in comune con Diogene: anche lui cerca un uomo.
Ma quale uomo? Forse quello di Diogene: l'uomo vero, tutto d'un pezzo, non artificiale, non ipocrita, non fatuo insomma l'uomo che fa il bene della sua città, del suo stato. No.
L'uomo che l'Eugenio sta cercando non è questo. Qualcosa di un cicinin meno.
Sta cercando un Dino Grandi.
Lo scorso 8 settembre, guarda la casualità delle date, su La7 è stato trasmesso il film – un po' noioso e che a singoli pezzetti ci siamo già visti centinaia di volte - Silvio forever. Giusto per fare un po' di cassetta e di ascolti.
Nulla di nuovo sotto il sole: sproloqui megalomanici ed enfatiche esplicitazione di piccole furbizie di dozzina. Come dire che la voglia di turlupinare il prossimo (e sé stesso) c'è sempre stata. Ma già lo sapevamo.
Alla fine solito dibattito stile cineforum parrocchiale anni '60.
Protagonisti in video: il ridanciano Mentana (che avrà poi da ridere), il sussiegoso Paolo Mieli (che si crede Richelieu e un giorno o l'altro lo vedremo apparire di porpora vestito), l'arcigno apostata Giuliano Ferrara (che nella sua foga di difendere l'amatissimo S.B. lo fa spesso passare per un fesso irresponsabile. D'altra parte l'amore, spesso, offusca la ragione. E questo è il caso) e in fine lui, l'aristocratico e ieratico Eugenio.
Quest'ultimo più e più volte ha detto che “spero che nel PDL ci sia un Dino Grandi”.
Già. Ma chi era, ma che ha fatto mai l'evocato Dino Grandi?
Giusto per i più giovani, non per il trota che dopo tre maturità di quel periodo storico deve averne le corna piene, un brevissimo riepilogo.
Dino Grandi da Mordano (Bologna) parte come chierichetto – ma chi non lo è stato – e approda al Partito popolare di Murri, da questo al socialismo rivoluzionario, dal non interventismo all'interventismo, dal socialismo al fascismo più duro, dal fascismo dei ras a quello moderato, e poi pacifista, disarmista, societarista, anglofilo. Sottosegretario, ministro ambasciatore ecc...ecc...
Lui che scriveva spesso a Mussolini lettere del tipo: “Duce cosa sarei stato se non ti avessi incontrato” il 25 luglio 1943 all'amato bene recapitò un ordine del giorno che lo dimetteva.
Cosa vuol dire la riconoscenza.
Dopo di che, come da copione, scappò in Portogallo dove lo accoglieva Antonio de Oliveira Salazar, come dire il Mussolini di Lisbona. Dino Grandi aveva un debole per i duci.
By the way, nei 20 anni di frequentazione mussoliniana il signor Dino è stato nominato conte e ha messo da parte qualche risparmio per la vecchiaia. Trascorsa a Mordano. L'amor di patria li fa semppre tornare.
In sintesi quindi chi era il “conte” Grandi: nella migliore delle ipotesi un voltagabbana, nella peggiore un traditore.
Forse più alto e meno rozzo, forse più elegante e cosmopolita ma nella sostanza uno Scilipoti ante litteram. Almeno Scilipoti non ha mai scritto a Di Pietro “questo vogliono la mia vita, la mia fede, il mio spirito, cha da 25 anni sono tuoi, del mio Duce.”
Dunque Scalfari è alla ricerca di Scilipoti.
Ma vien da dire; “caro Eu-genio, Scilipoti l'hai lì a portata di mano. Prendilo, istruiscilo...E se non ti piace l'originale perchè fa poco fino e stona con la tapezzeria qualche copia, meglio fisicamente organizzata senz'altro la trovi. Ma poi...”
Il dramma è che al “ma poi …?” non c'è risposta, e, come sopra mercato, si ammette così la propria inconsistenza culturale e politica.
L'avversario si batte con argomenti ed egemonia non perché qualchuno gli ha messo la Dolce Euchessina nel caffè.
Naturalmente nessuno, nel cineforrum di cui prima, ha battuto ciglio o ha contestato (il vecchio '68 non è più di moda) all'amico Eu-genio che se questo è il metodo allora che differenza c'è con S,B,?
Good night good luck.