Ciò che possiamo licenziare

sabato 27 settembre 2025

Povero Giovanni Floris, che figuraccia.

 A di Martedì, Floris:”Non si può riproporre Mussolini propagandando il bene che avrebbe fatto”. Augias: “No, che ha fatto. Intendiamoci, calma, Floris”. Forse questo è lo spunto per cominciare a fare i conti, mai veramente fatti, con il fascismo?


Nella puntata del 23 settembre scorso il buon Floris Giovanni ha involontariamente messo in scena, conversando con Corrado Augias, un istruttivo siparietto. Nel di mezzo della conversazione  il Floris Giovanni n’è uscito con: «La sinistra ha avuto Che Guevara, la destra non poteva certo riproporre, questa destra, la destra populista, la destra di legge e ordine, non poteva riproporre gli esempi italiani, non poteva certo riproporre  Mussolini, per quanto, in qualche misura, sia stato propagandato il bene che avrebbe fatto e per questo…» E qui cade l’interruzione di Augias: «No, che ha fatto, intendiamoci, calma, Floris, Mussolini ha fatto cose buone, non è che avrebbe fatto, le ha fatte…».  L’impreparato Floris prima è interdetto poi riprende slancio:«Quali?»

Risponde Augias:«Ha fatto tante cose… » Di nuovo Floris, questa volta con sorrisetto ironico e l’aria da ”mò t’erudisco er pupo”: «I treni... la pianura pontina … neanche l’inps … rimane poco…». La claque applaude, come al solito. Adesso è la volta di Augias, intellettuale di tutto rispetto, certo non può essere accusato di filo fascismo:«Ha tatto tante cose buone, ha fatto l’IRI, ha fatto la miglior edilizia che abbiamo avuto nel novecento, ha risanato con l’IRI le imprese che andavano in malora …» Ancora applausi, anche se un po’ fiacchi, si sa, la claque batte le mani a comando a prescindere da quanto viene detto. E qui l’Augias avrebbe potuto allungare l’elenco, ma si ferma, per carità di patria. Finalmente il Floris rinsavisce: «Il punto è il prezzo che si pagava». Ancora Augias: «Esattamente, quella è la cosa, tutto quello si pagava con la rinuncia alla libertà. Allora, quelle cose buone avevano un costo altissimo». Floris quindi chiude, salvando goffamente un po’ di faccia con un «Giustissimo».

Il punto, sotteso allo scambio di battute,  quindi diventa come impostare i conti con il fascismo. Gli italiani questi non li hanno mai fatti. Si sono limitati al manicheo tutto male-tutto bene. Cose da stadio. Non s’è avuto una Norimberga, appena si pescava un gerarca subito lo si fucilava e neppure più di tanto ci sono state epurazioni, anzi il Togliatti Palmiro  promulgò l’amnistia e così liberi tutti. Non fu neppure perseguito il neonato MSI, Movimento Sociale Italiano, che del fascismo era l’erede nonostante nella costituzione venisse vietata la ricostruzione del PNF. Non è così che funziona. I vecchi ragionieri nel preparare un bilancio procedevano tracciando su un foglio bianco una riga verticale e in testa alle due sezioni scrivevano dare e avere. E’ ovvio , l’ha detto la storia: il bilancio del ventennio è negativo, così pesantemente negativo da suggerire di non ripetere l’esperienza. L’annientamento fisico degli avversari politici, le uccisioni di Matteotti, di don Minzoni, dei fratelli Rosselli, solo per dire di tre, le leggi razziali e l’indifferenza degli italiani e la vigliaccheria di chi denunciava per denaro i compatrioti di religione ebraica, le guerre coloniali e poi quella disastrosa con gli alleati nazisti non possono essere giustificati, con le le tante cose buone (Augias). Tirannide e operatività sociale viaggiano su due binari diversi e per nulla interconnessi. Questa non va negata, è storia, anzi facendolo si cade nel ridicolo, quella, ugualmente non negata, va combattuta sul piano delle idee. Magari dimostrando come sia stata di nocumento al progresso del Paese. Sarebbe interessante se Corrado Augias volesse dedicare una o più puntate della sua trasmissione, la Torre di Babele, al tema delle cose buone dimostrando quanto di più avrebbero potute essere se non imbrigliate dalla dittatura.

Buona settimana e Buona fortuna

venerdì 5 settembre 2025

Fede Emilio, Prodi Romano, Giuseppe De Rita e Armani Giorgio.

All’inizio della settimana muore il Fede Emilio alla fine Armani Giorgio nel mezzo le riflessioni del Prodi Romano sul mondo e quelle sensate di Giuseppe De Rita.


Il 2 settembre corrente anno il Fede Emilio è morto a 94 anni (non sono pochi) in una residenza per anziani in quel di Segrate, guarda il caso. Il 3 settembre il solito florilegio di coccodrilli, probabilmente pronti da anni. I soprannomi affibbiatigli hanno scandito la sua carriera: ammogliato speciale, genero di prima necessità, sciupone l’africano,  Emilio Fido… Tanto per ricordare i più facili. Qui casca a pennello  il tormentone di Peppino De Filippo «e ho detto tutto». Poco gli esegeti si sono soffermati sulle vergogne vere. Al primo posto la diretta di Vermicino del 12 e 13 giugno1981 dove il dolore e la morte vennero, per la prima volta in Italia, resi spettacolo e gettati in pasto alle fauci  della ggggente. Per quei giorni se ne è saziata, ma l’appetito vien mangiando, si sa. Probabilmente, mutatis mutandis,  il Fede Emilio si sentiva nei panni di Kirk Douglas, il giornalista di L’asso nella manica, 1951, regista Billy Wilder. Però quanto scorreva sui teleschermi non era finzione ma tragedia vera. Peraltro il protagonista del film non è finito bene e neanche il Fede Emilio. Poi la sommatoria delle condanne: per favoreggiamento della prostituzione (4 anni e 7 mesi) e associazione per delinquere finalizzata alla diffamazione (2 anni) per un totale  di 6 anni e 7 mesi. Di processi ne ebbe altri e ne uscì assolto. Comunque non fu scontato un solo giorno di carcere e nemmeno in affidamento ai servizi sociale. Infine la colpa più grave, quella spiattellante la bassezza morale dell’uomo: aver cambiato la squadra di calcio passando da tifoso della Juventus a supporter sfegatato del Milan. Questo nel mondo del calcio è parificato al ripudio della mamma. Una vergogna. Il Fede Emilio si giustificò parlando di amore per Berlusconi. De gustibus. Il 4 corrente mese il giornalismo tutto, e non solo, di questa scomparsa se ne era già fatta una ragione.

Dopo l’intervento sul nulla del Draghi Mario al meeting di Comunione e Liberazione il Prodi Romano, per non essere da meno, ha voluto pareggiare i conti e dunque ha scritto un pezzo per Il Messaggero, il 4 settembre. Nell’articolo,vacuo oltre il giusto, il Prodi Romano raccomanda all’Europa tutta di non fossilizzarsi a voler vendere prodotti solamente agli USA, esiste anche il resto del mondo. Bella pensata. E dunque racconta di guardare a est, all’Asia, alla Cina. Dimentica l’Africa dove peraltro ci sono tanti  ricchissimi e il ceto medio si sta formando e allargando. E poi c’è anche il sud America. Ma il Prodi Romano  conosce solo la Cina  infatti nel 2011, anticipando il Renzi Matteo e il D’Alema Massimo, dilettanti allo sbaraglio, fu consulente del governo cinese e di China Development Bank cui verosimilmente, da buon samaritano,  spiegò come approcciare l’Europa. Illuminante l’articolo del Sole 24 pubblicato il 14 settembre 2011. Magari raccontando le sue esperienze di due volte Presidente del Consiglio italiano e per cinque anni (1999-2004) Presidente della Commissione europea, nonché come sia riuscito a distruggere l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale). I dirigenti cinesi avranno preso buona nota di indirizzi e numeri di telefono. Certo se il buon samaritano avesse riportato alla vecchia Europa notizie dall’Est, se ne avesse avute, forse non ci si troverebbe nell’attuale penosa situazione. Ma ai samaritani non si può chiedere tutto.

Mentre il duo del vuoto assoluto stava preparando le loro perfomance, più quietamente il fondatore del Censis, Giuaseppe De Rita, rilasciava il 31 agosto una illuminante intervista. In questa sottolineava: “Il Paese va avanti alla cieca, infatti la premier cavalca questa aurea mediocritas”. Gli intellettuali dovrebbero indicare la via poiché i profeti non ci sono più, non li ha neanche la Chiesa. Sull’egemonia i paletti sono pochi e solidissimi:  il puntare della destra all’egemonia è una pretesa ridicola, come esercitarla nominando sovrintendenti graditi al governo. «L’egemonia non si afferma con il potere, ma attraverso un lungo lavoro di cultura, e di dialogo vero con la gente». Sui tre anni di governo Meloni;«Ha espresso una grande furbizia: cavalca l’onda. Non si può chiederle di avere una visione, non ce l’ha neppure la sua classe dirigente». E dunque? «Non basta indignarsi, ci vogliono azioni concrete». In altre parole o noi ci diamo da fare o faremo la fine del Titanic: balliamo mentre affondiamo. E gli imprenditori, letto in controluce, non l’hanno capito.

Alla fine della settimana, 4 settembre, è mancato l’Armani Giorgio. Un grande artista dell’abbigliamento, circa tredici miliardi di fatturato e un patrimonio personale di sette. Non male. Anche in questo caso coccodrilli a iosa, necrologi da tutto il mondo comprese le grandi banche d’affari statunitensi. Non c’è che dire un personaggio di rilevanza mondiale. Qualcuno l’ha definito il fondatore del Made in Italy. Dai commentatori è mancato solo il più classico del santo subito. I conti però si fanno sistemando l’avere e il dare e nel dare qualcosa non funziona. Come quando, maggio 2024, la Giorgio Armani Operation è stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria: da sette anni agevolava il caporalato: «Lavoro nero da fame». Oppure, ed è recentissima 1 agosto 2025, la multa di 3,5 milioni comminata dall’Antitrust per pratica commerciale scorretta. E poiché l’Armani Giorgio seguiva tutto queste due bagatelle di ieri e dell’altro ieri doveva conoscerle. Sempre, quando i bilanci sono esageratamente positivi, è necessario chiedersi il perché.

Buona settimana e Buona fortuna.