Ciò che possiamo licenziare

martedì 14 novembre 2017

La sconfitta della nazionale di calcio con la Svezia.

L’Italia perde con la Svezia e non potrà andare ai mondiali di Russia. Con la sconfitta pallonara arriveranno sciagure sociali ed economiche: calerà il PIL e si innalzerà il limite per andare in pensione. Il barista del filosofo Cacciari perderà quarantamila euro.

La sconfitta con la Svezia:perdere una partita come fosse una guerra

Narra la vulghata che Winston Churchill abbia detto:«gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre.» Ora, per età, non avendo mai avuto la ventura di vivere una guerra e tanto meno di vederla persa, mi manca e pure molto, il triste sentimento che si prova quando si perde una partita di calcio.

Ho assistito invece, ancora per età, a vittorie e sconfitte di partite di calcio per cui so benissimo cosa si può provare quando si vince o si perde una guerra.  La recente sconfitta patita dalla nazionale italica ad opera della squadra di Svezia, che impedirà di partecipare ai mondiali di Russia dell’anno prossimo, da questo punto di vista è paradigmatica. Tutti i quotidiani, non solo quelli sportivi, hanno esibito titoli da tregenda. Al confronto l’incipit che Snoopy recita con la dovuta computa serietà risulta essere quasi una barzelletta berlusconiana. Le scarne parole “era una notte buia e tempestosa” paiono l’attacco di un musical degli Abba, anche loro svedesi, guarda il caso e il titolo, per ironia recita:. Mama mia.

Parole lievi quelle di Snoopy se le si raffrontano con quelle usate a commento del triste evento: catastrofe, apocalisse (che secondo un giornalista di la Repubblica si tinge di azzurro), disastro che La Stampa fa diventare  superlativo con l’aggiunta di “mondiale”,. E poi: sfacelo, sciagura, tutti fuori, notte da incubo (così ha titolato il paludato IlSole24ore) , dramma. E ancora: disperazione, azzurro tenebra (l’istituzionale Corriere della Sera), azzurro vergogna (il  misericordioso Avvenire) per non dire della rosea Gazzetta dello Sport che lapidariamente scrive: “fine” e, per giust’appunto, finire con Tuttosport: “tutti a casa”. Che vorrebbe essere una sorta di mal comune mezzo gaudio, ma non è così: tutti gli altri a Mosca ci andranno. Perché di norma se uno perde la guerra qualcun altro la vince.
Non è poi mancata la ricerca delle responsabilità e quindi: dai addosso al povero commissario tecnico della nazionale che ha anche la sventura di chiamarsi Ventura. E allora sberleffi e storpiature sul suo povero cognome che a Cadorna furono risparmiati, anzi a quest’ultimo gli sono state dedicate piazze e corsi e vie. Ma d’altra parte quella del Cadorna aveva il sapore di una sconfitta di calcio. E chi dei giovani l’ha mai assaporata una sconfitta di guerra negli ultimi settanta anni?

E come ogni sconfitta guerresca anche quella della nazionale di calcio avrà enormi strascichi economici e sociali. Il filosofo Cacciari tenta anche di spiegarlo e per essere piano e chiaro porta ad esempio il titolare del bar dove lui da sempre vede tutte le partite della nazionale. Il povero barista perderà quarantamila-euro-quarantamila per questa improvvida sconfitta con la Svezia. Magari il fisco dovrebbe fare un giro sulla dichiarazione dei redditi di quel bar. E questo è un danno vero all’economia italica. Senza contare i cento-milioni-cento che pare (pare) si perderanno per mancate sponsorizzazioni e spot tv eccetra, eccetra. Un vero dramma: mica come vedere bombardata una città.
Senza dire degli alti lai per le (future) perdite per il turismo, L’idea che la nazionale di calcio fosse un motore turistico tutti gli economisti l’hanno sempre avuta in testa e la insegnano nelle facoltà universitarie. Poi ci si chiede perché gli economisti non ne azzecchino una: la palla è rotonda. E naturalmente ci sarà il crollo del commercio di magliette e bandierine e cappellini, oggi si chiama  merchandising, che provocherà perdite di punti di PIL che i nipoti dei nipoti si troveranno a dover pagare. Causa questa sconfitta aumenterà il debito pubblico e i costi della previdenza sociale andranno alle stelle. L’età pensionabile verrà portata alle estreme conseguenze: vi si potrà accedere solo cinque anni dopo aver attraversato lo Stige. E naturalmente fame, disperazione e disoccupazione e miseria. E dell’onore nazionale sarà fatto strame.
Certo sarebbe meglio vivere una bella sconfitta di guerra, di quelle con sangue, morti e feriti che poi si torna a casa un po’ tristi, pensando agli errori commessi dalle due ali dello schieramento e dal mancato sfondamento al centro, ma poi una battuta di spirito, magari un buon piatto di spaghetti, una carezza e tutto passa. Come il vecchio Winston diceva dove succedere dopo una partita persa a calcio. Che è un gioco come il cricket e il tennis

sabato 11 novembre 2017

Il fisco vuole aiutare il contribuente. Grazie, no.

L’Agezia delle Entrate, tramite il suo direttore generale dottor Ruffini Ernesto Maria, annuncia la sparizione del modello 730. Si invertiranno i ruoli: il fisco farà la dichiarazione e il contribuente la controllerà. Una nuova edizione del Gattopardo.



Con una intervista, brillante come non mai, il direttore della Agenzia delle Entrate, dottor Ruffini Ernesto Maria, ha comunicato all’universo mondo che entro cinque anni cinque i contribuenti non dovranno più compilare il modello 730. E l’Agenzia smetterà il suo ruolo di controllore per metterlo nelle mani, niemtepopodimenoche, del contribuente stesso. Notizia iperfantastica, E anche super dadaista. Quindi gioia gaudioque. Ma poi, come nelle migliori commedie all’italiana arriva il contrappasso: sarà l’Agenzia a compilare il futuro 730 e il contribuente quando riceverà il modellino dovrà decidere se ritenerlo buono oppure no. A questo punto i più avranno pensato che il carnevale sia stato anticipato. E a leggere l’intervista del direttore generale Ernesto Maria Ruffini il sospetto diviene quasi una solida certezza. 

L’Agenzia delle Entrate da sempre si è distinta per cercare i denari non dove sono realmente, ma dove è più facile prenderli: quindi non tra i grandi evasori ma tra i lavoratori a reddito fisso e i pensionati. Come dire che è più facile vuotare la cassetta delle elemosine che quelle di sicurezza che stanno nei caveau. Quindi per dirla con una vivida metafora, la sola ipotesi che il fisco smetta i panni del lupo per indossare quelli dell’agnellino oltre che irrealistica è ridicola e mette a dura prova la sanità mentale degli italici. Come crederci?

Negli ultimi anni si è assistito a esilaranti perfomance di suddetto ente. E a voler andare con ordine gli esempi non mancano. Come quando per recuperare le tasse non pagate da una impresa, il fisco ha pensato bene di pignorarne gli strumenti di lavoro: idea geniale. Quindi che si possa generare reddito per pagare il debito senza avere gli strumenti di lavoro, che venduti all’asta rendono un decimo del loro valore, è stata una ipotesi del tutto originale. In più recenti tempi la precedente direttrice dell’Agenzia stessa si è esaltata e autocomplimentata per essere riuscita ad ottenere tra il 30/40% (il rapporto tra incasso e dovuto non è mai stato cristallino) dello spettante al netto, naturalmente, di more e sanzioni. Se si considerassero anche queste ultime l’importo raccolto sarebbe stato percentualmente di molto inferiore. Magari intorno al 10%? 

Ora si immagini, grande sforzo di fantasia, che un contribuente qualsiasi debba al fisco 2.000€ al netto di more e sanzioni. Che farà l’Agenzia delle Entrate? Risposta A: si accontenta di 600,00€. Risposta B: L’Agenzia fissa un termine di pagamento tassativo per 2.000€ più more e sanzioni. E in caso di mancato pagamento minaccia di sequestrare lo stipendio, la casa, l’auto, il televisore e già che c’è anche il canarino. In mancanza di cane, gatto, criceto o furetto. 

Nell’intervista il dottor Ernesto Maria Ruffini ha dichiarato di aver reso nell’anno all’incirca 10 miliardi di IVA e 2 miliardi di imposte sui redditi. Notevole. Però dai 2 miliardi mancano i ventisette-euro-ventisette che il fisco mi deve da cinque anni. Pardon per la digressione personale. 

Sempre il dottor Ruffini Ernesto Maria batte sul tasto della responsabilità del fisco e del controllo che sarà esercitato dal contribuente. In realtà il controllo del contribuente c’è già. A supporto un fatto realmente accaduto in sette step. Step uno,  accade che il fisco non legga, non si sa perché, dei versamenti effettati e allora, step due, manda una gentile letterina di sollecito. Il contribuente, step tre, si rivolge al commercialista, Questi, step quattro, contatta l’Agenzia e dimostra che il versamento è stato effettivamente effettuato, Step cinque: l’Agenzia invia lettera di annullamento  della comunicazione precedente. Step sei: il commercialista invia al contribuente la fattura. Step sette: il contribuente paga il commercialista. Per l’errore dell’Agenzia delle Entrate. C’è possibilità per il consumatore di ottenere il rimborso di quanto è stato pagato al commercialista? La risposta è semplice: no. Quindi quello che il dottor Ruffini Ernesto Maria prospetta con la bizzarra teoria dell’inversione dei ruoli tra Agenzia delle Entrate e contribuente è semplicemente l’ennesima riedizione del Gattopardo. E questa non è una novità. Già visto. Purtroppo.