Ciò che possiamo licenziare

lunedì 29 maggio 2017

Voucher: che allegra accozzaglia.

Quelli che hanno votato per la reintroduzione dei voucher sono gli stessi che votarono contro la riforma costituzionale renziana. Una differenza: in quella accozzaglia il Pd ha preso il posto del M5S. Questa volta a Salvini non è spiaciuto allearsi con Alfano-Berlusconi e lo stesso Renzi.


Berlusconi e Renzi prove di inciucio si riparte dai voucher
Chissà se il Renzi Matteo, venuto a conoscenza della decisione emersa dalla commissione Bilancio della Camera sulle nuove norme del lavoro accessorio, volgarmente definito voucher, si è domandato quali partiti l’abbiano partorita. Poi saputolo, magari abbia riflettuto sulla eterogenea compagine di supporter e infine l’abbia definita «accozzaglia». E quanto sia stato felice che il suo partito ora ne faccia parte. Di quell’accozzaglia. È sì, perché quella bella e inedita maggioranza della commissione Bilancio è per buonissima parte la stessa che ha votato contro la sua riforma costituzionale e che lui ha spregiatissimamente definito accozzaglia.
Le differenze rispetto al 4 dicenbre dello scorso anni stanno nel fatto che il M5S da quella accozzaglia è uscito mentre vi sono entrati il Pd e per sovramercato, peraltro del tutto ininfluente, anche Alleanza Popolare e Scelta Civica. Come dire saltare, in ritardo, sul carro del vincitore della passata competizione. Se fossero coscienti di quello che hanno fatto potrebbero parlare di politica dadaista, ma questo richiederebbe anche una buona dose di cultura, E su questo meglio non indagare.
Giusto per amor di cronaca va aggiunto che una parte dei piddini, quelli sedicenti di sinistra, hanno deciso di uscire dall’aula  per non votare. La solita politica suicida del né aderire né sabotare. La prima volta il leader era Costantino Lazzari mentre adesso si tratta di Andrea Orlando: la differenza di peso politico e di storia parlano da sole. Poi, fra qualche tempo, Orlando e i suoi diranno che sarebbe stato meglio essere più decisi nei mesi addietro. È un bel discorso che ha già fatto D’Alema dimenticando però di aggiungere che del senno di poi son piene le fosse.
Nell’accozzaglia ci stanno ben a braccetto, ovviamente per interposti peones, Berlusconi, Matteo Salvini e l’Angelino Alfano, quello definito #uomoinutile, quotidianamente sbertucciato, dal leghista e senza quid dal,’arcorino. A questo trio che mancasse il Renzi  era ipotesi da far venire i brividi per cui, con il supporto vincolante dei franceschiniani di Area Dem, altra accozzaglia che va da Ettore Rosato a Piero Fassino, s’è messo riparo ad un tragico errore della storia. Sic transeat gloria mundi.
Così quello che è stato cacciato dalla porta sta rientrando dalla finestra e non si tratta di solo voucher ma anche di quanto ci sta sotto: inclusi inciuci, inciucini e caminetti vari. Tutto quello che l’ex nuovo che avanza ha sempre dichiarato di detestare, ma che  dal 2013 ad oggi non ha fatto altro che ricercare e mettere in pratica.

Senza contare che la nuova versione dei voucher presenta le stesse problematiche di quella vecchia e, se passerà, fra qualche tempo ci si ritroverà a contarli in decine di milioni. Altro che lotta al lavoro nero.

giovedì 11 maggio 2017

Macron non assomiglia a Renzi. Per ora.

Tre o quattro punti in comune non fanno una somiglianza. Le differenze ci sono e sono profonde, a cominciare dalla scelta degli amici e degli alleati. A Macron non piace riciclare Renzi invece per il riciclo ed il pallottoliere ci va matto. Se Macron non si guasta difficilmente assomiglierà a Renzi.



A seguire il senso del titolo non si può che aggiungere:«per fortuna» e poi concludere con «sperando che non si guasti, nel tempo. Cioè che non prenda la piega renziana.»
Apparentemente tra i due qualche somiglianza sembra esserci: la stessa voglia di cambiamento, lo stesso ottimismo, la stessa generazione, l’essere,i più giovani nel ruolo, la (quasi) stessa inesperienza. Ma il tutto finisce qui. Le differenze invece sono molte ma molte di più e senz’altro sostanziali e non formali.

La prima differenza sta sul versante del gusto. Renzi ha commentato la vittoria di quello che definisce “il mio amico Emmanuel” – chissà se Macron lo sa e soprattutto se condivide – dicendo: «Rosico perché lui ha vinto con il 20% mentre io ho perso con il 40%.» Caduta di stile che a Emmanuel Macron mai sarebbe venuta in mente. Anche perché essendo un nipote di Cartesio, dunque razionalista, mai metterebbe in parallelo due competizioni elettorali completamente diverse. Una cosa è un referendum e altro il primo turno per le presidenziali di Francia. Dopo di che, e questa è la seconda, anche i risultati non sono esattamente quelli che racconta il Renzi Matteo, ma a queste sviste oramai lo stivale ci ha fatta l’abitudine. Infatti: vero è che il Renzi ha raggiunto il 40% dei voti nel referendum ma ha dimenticato di ricordarsi che ha avuto contro il 60% dei votanti. Così come è vero che Macron ha avuto il 23,8% dei consensi ma si trattava solo della prima tornata mentre al ballottaggio ha raccolto il 66%. Quando anche il Renzi otterrà gli stessi risultati potrà, forse, tracciare paralleli. Anche se è sconsigliato.

La terza differenza, non solo di stile ma di politica pura, il Presidente di Francia l’ha marcata a soli tre giorni dall’elezione: a Manuel Carlos Valls i Galfetti che si offriva come candidato per la lista La France En Marche ha fatto rispondere: «no, grazie. Non corrisponde ai criteri. – con l’aggiunta di – Non abbiamo la vocazione a riciclare.» Ben altra la storia di Renzi: per lui la corrispondenza ai criteri non è la discriminante essendo più interessato ai voti. Come dire la logica del pallottoliere. Oddio, c’è da dire che i rottamatori, come si era qualificato, alla fin della fiera, sono dei riclatori: da loro escono i pezzi di seconda mano per chi vuol riparare in economia. E infatti il Renzi fu ben felice quando il 2 settembre del 2013 Francescini Dario a Otto e Mezzo comunicò coram populo che avrebbe sostenuto la sua candidatura a segretario del Pd. Franceschini Dario, già sottosegretario alla presidenza con Massimo D’Alema e già tre legislatura sulle spalle, nonché una bella carriera all’interno della vecchia Democrazia Cristiana certo non rientrava tra l’avanzante nuovo. Così come del nuovo non facevano (e non fanno) parte Piero Fassino, Luigi Lusi (l’ex tesoriere della Margherita), Sergio Chiamparino, Marina Sereni,Vincenzo De Luca, Marco Minnniti e via transfugando da ogni tipo di corrente e spiffero di partito. La corrente di Renzi dovrebbe chiamarsi:l’asilo politico.

Quarta differenza: Emmanuel Macron può vantare una carriera lavorativa, nel pubblico (ispettore delle finanze) e nel privato di tutto rispetto. Come dirigente della banca d’affari Rothschild & Cie Banque condusse nel 2010 una transazione da 11,9 miliardi di euro con le commissioni della quale è diventato milionario. Renzi ha lavorato, ammesso e non concesso, solo presso l’azienda di famiglia che coordinava gli strilloni della Nazione in Toscana. Non esattamente due esperienze paragonabili. Infine, ed è la quinta differenza: Emmanuel Macron arriva alla Presidenza della Repubblica Francese, dopo essere stato vice-segretario generale della presidenza della repubblica e poi, per due anni, Ministro dell’economia, dell’industria e del digitale. Noblesse oblige.

Come dire: se Emmanuel Macron non si guasta difficilmente potrà assomigliare a Renzi Matteo.

lunedì 8 maggio 2017

9 maggio: Ella fu. Siccome immobile.

Oggi si celebra l’Europa, ennesima giornata dedicata ad una festa che festa non è. Nei prossimi giorni il popolo tutto potrà visitare le stanze dove si è discettato della curvatura dei cetrioli, del calibro dei piselli e dei millimetri quadrati delle vongole. Napoleone, 1813, sull’Europa aveva ben altre idee.



A seguire il titolo verrà spontaneo ad alcune lettrici e ad alcui lettori di proseguire recitando, sottovoce o magari solo mentalmente: 
dato il mortal sospiro, 
stette la spoglia immemore 
orba di tanti spiro, 
così percossa attonita 
la terra al nunzio sta. 
E già, perché c’è proprio da rimanere attoniti a guardare questa povera Europa così ben disegnata sulle carte e così inefficiente ed inefficace nel concreto.

Oggi 9 maggio si celebra la festa dell’Europa. Bell’Europa, che se avesse una faccia sarebbe ricoperta dal rossore. Però da qualche tempo a questa parte ci son più giorni dedicati a memorie e feste poco feste che tasselli nel calendario. Non che le intenzioni siano men che nobili, tutt’altro, ma è la retorica ed i discorsi di dozzina che in genere fan triste l’evento. E anche quello dell’Europa sotto questo penoso profilo non si farà mancare nulla. Inclusa la feroce e del tutto  involontaria autoironia.
Il primo colpo, autolesionistico, se lo danno le stesse istituzioni europee aprendo le porte delle loro sedi, Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo, al grande pubblico. Così il popolo tutto, composto da scolaresche in gita, pensionati e sfaccendati (i disoccupati saranno troppo impegnati per andarci) potrà aggirarsi per le stanze nelle quali politici trombati, o avidi di ogni Paese stanno a disquisire su tempi fondamentali per la vita degli europei tutti.

E’ in quelle stanze che si è discettato sulla curvatura del cetriolo, fosse dritto sarebbe meno gustoso o sul calibro dei piselli, troppo piccoli o troppo grandi sarebbero indigesti o ancora sui millimetri quadrati delle vongole. Tutti temi epocali , giustamente appuntiti, come il gambo delle trottole, e sui quali inequivocabilmente gira la vita della vergognosa Europa.

Di temi da trattare i settecentocinquantuno membri del Parlamento europeo ne avrebbero a iosa ma probabilmente difficilotti o peggio ancora ritenuti ormai demodè.  Con la brexit pare che torni in auge il francese l’ha fatto capire Monsieur Juncker. Temi vecchi sì, poiché quelli di cui varrebbe la pena di parlare in quegli enormi e smisurati emicicli, già diceva il Bonaparte Napoleone che la mamma, Maria Letizia, chiamava affettuosamente Napolione.

L’idea di unificare l’Europa e farne un unico popolo era proprio una fissazione per il Napoleone che in qualche modo portava le stigmate di questo suo desiderio di unificazione. Lui che, dagli austriaci era chiamato “francese” dai francesi “italiano”, dagli italiani "corso" e dai corsi "francese". Quel che è certo è che Lui, il franco-italo-corso, non vagheggiava di verdure e mitili: gli giravano per la testa temi decisamente più concreti.

Come ebbe a dire in una conversazione con il pessimo Fouché: « Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Corte di Cassazione europea,di un sistema monetario unico, di pesi e misure uguali, abbiamo bisogno delle stesse leggi per tutta l’Europa. Voglio fare di tutti i popoli un unico popolo…» E non parlava di migranti e disoccupazione solo perché all'epoca non erano questioni all'ordine del giorno.  Correva, salvo errori od omissioni, l’anno 1813. Un niente ad arrivare ad oggi. Solo 137 anni per raggiungere la dichiarazione di Schuman, 175 per definire la curvatura del cetriolo e 189 per avere una moneta unica. Per il resto ci sarà tempo a venire.
Dall’Alpi alle Piramidi 
dal Manzanarre al Reno 
di quel seguro il fulmine 
tenea dietro al baleno.

sabato 6 maggio 2017

La legittima difesa del Senato.

Renzi rientrato segretario del Pd torna nella parte che più gli riesce meglio: il capocomico.  Daltronde questo è l’anno della cinquantesimo anniversario della morte di Totò. Nella Commedia dell’Arte Italiana era immancabile il colpo di scena e anche in questa pièce non manca: Renzi difende il Senato che voleva abolire. Ping-pong-ping-pong.

Bastava che restasse a casa non era necessario ripartire

Nell’anno in cui, come tutti sanno, cade il cinquantesimo anniversario della morte di Totò, in arte principe De Curtis di Bisanzio,  il segretario del Pd non ha voluto mancare di rendere omaggio alla commedia dell’arte. Venendo a mancare sempre più i teatri l’ex giovane Renzi Matteo ha deciso di utilizzare come palcoscenico il Parlamento italiano. Spazio teatrale della migliore tradizione. Su quelli scranni si è visto di tutto, ma non ancora a sufficienza dato che il genio teatral-politico italico ha risorse pressoché illimitate. Ci fosse tant’acqua nel mondo quante sono le corbellerie che si pensano e soprattutto si fanno in quell’emiciclo il Sahara sarebbe il giardino dell’Eden.

Naturalmente visto l’anniversario e in considerazione della location il buon Renzi ha scelto un tema particolarmente sensibile: la legittima difesa. E come nella migliore tradizione ha scatenato le sue truppe,quasi esclusivamente formate da ex-qualcos- d’altro, all’attacco, con il candido supporto del vassallo Alfano, notoriamente sprovvisto di quid, e del frequentatore d’oratori Maurizio Lupi. Quest’ultimo il quid sembra averlo ma quello che gli manca è un buon orologio che gli dia i giusti tempi.

I prodi renziani che stanno scaldano con il dovuto sussiego gli scranni del Parlamento si sono lanciati a proporre prima e difendere poi, la legge “legittima difesa” esattamente come la cavalleria polacca nella battaglia di Krojanty: sciabole e lance, di legno, contro i panzer tedeschi. Nell’occasione renziana le sciabole e le lance sono state rappresentate dall’incapacità di definire quando scatti la notte, e quindi licenza di sparare ai malintenzionati che si introducono in casa-negozio-ufficio, dimenticando peraltro quelli randagi che attaccano per strada. Così come, per sopramercato, di definire quanto sia il grado il turbamento dell’aggredito. I panzer in questa situazione sono stati egregiamente illustrati dalla mancanza del senso del ridicolo. I renziani ne sono quasi del tutto sprovvisti. Sarcasmo, risatine e sfottò si sono sprecati.

Ecco allora che come nella migliore tradizione della commedia dell’arte si ha il colpo di scena: il segretario del partito di maggioranza che ha presentato la legge la sconfessa e scarica e suoi pasdaran. Non è la prima volta. Naturalmente ci vuole un colpevole che si individua subito in Anna Finocchiaro, anch’essa ex-qualsiasi-cosa, di recente nominata ministra in virtù dei servigi offerti nel corso della costituzionale. renziana riforma. Quella bocciata. E dato che il fiorentino non vuol essere da meno proclama che la legge potrà essere corretta in Senato. Altri sganascia menti. Perché il Renzi intende correggere la legge in quel Senato che la riforma voleva abolire. Troppi avanti e indietro diceva e nelle interviste si dilettava nell’imitazione, perfettamente riuscita, del  ping-pong-pong-ping.  Con questo il Renzi Matteo ha fornito al Senato la sua legittima difesa

I pasdaran inghiottono, oramai inghiottono tutto se vogliono sperare di mantenere un posto nelle prossime liste elettorali, anche se essere in lista non vuol dire finire eletti e continueranno a fare da stuoini. Contenti loro.

L’Italia, l’Europa, il mondo tutto assiste estasiato alla pre-penultima (ce ne saranno molte altre a venire) rappresentazione della Commedia dell’Arte Italiana e si tranquillizza. Dallo stivale potrà solo arrivare del buon umore.