Ciò che possiamo licenziare

domenica 26 marzo 2017

Mario Almerighi una vita per la giustizia.

Pretore d’assalto con lo scandalo dei petroli, membro del Consiglio Superiore della Magistratura, Presidente di Sezione del Tribunale penale di Roma e infine Presidente del Tribunale di Civitavecchia. Amico di Bachelet e di Giovanni Falcone. Fu il primo a scoprire che Guido Calvi non si era suicidato ma fu assassinato. Tutto era cominciato con l’idea di fare più vacanza.



Nella notte del 24 marzo Mario Almerighi ha chiuso la sua ultima udienza. Purtroppo questa volta non gli è andata bene. Capita quando nella parte dell’imputato c’è il Cancro, qualche volta gli succede di farla franca. E l’altra sera è stata una di quelle.

Mario Almerighi è entrato in magistratura nel 1970 e fu per caso. O meglio per amore della pesca subacquea. Aveva vinto un paio di concorsi all’Inps e già stava lavorando in quel di Como quando durante una vacanza scoprì che le ferie di un amico, già magistrato, sarebbero durate molto più delle sue. Bei tempi quelli. Guardò il mare della Sardegna, pensò alle cernie e ai fondali rocciosi e in un lampo vide le nebbie del lago di Como: non c’era partita. Al primo concorso utile si presentò e vinse. Come capita ai pivelli fu mandato pretore in una sede disagiata, si trattava della Sardegna, solo che lui a Cagliari ci era nato ed era il nipote di Mario Mameli pilota decorato a cui è intitolato  l’aeroporto della città. Quello,dunque fu un buon inizio.

Non solo, cominciò ad innamorarsi di quel lavoro  che costringe a mettere le mani e la mente nelle peggiori vergogne dell’umanità. E non metaforicamente. Così vergogna dopo vergogna l’amore per quel mestieracccio crebbe e crebbe e crebbe. Fu trasferito a Genova dove con Carlo Brusco e Adriano Sansa forma il primo pool anticorruzione.  Anche se allora non lo si chiamava pool e furono più italianamente soprannominati i pretori d’assalto.  Si trattava dello scandalo dei petroli ed era il 1974, quando si inventarono le domenica senza auto e alle dieci di sera il black out di tutti gli esercizi pubblici. Ma di petrolio ce n’era  a bizzeffe, anzi i petrolieri dicevano di essere “a tappo” e tenevano le navi al largo in attesa della giusta legge. E indaga e indaga si arriva alla conclusione, come ti sbagli, che dove c’è petrolio c’è anche corruzione e, guarda il caso i corrotti appartenevano al ceto politico. In quell’anno gli italiani scoprirono ufficialmente la parola tangente. E già che c’erano Almerighi e i suoi colleghi per la prima volta nella storia della repubblica collegarono la parola tangente a partito di governo. Poi ci si è fatta l’abitudine.

Quella dei petroli fu anche la prima volta in cui fu emanata  una legge per impedire ai pretori di fare le intercettazioni telefoniche e, già che ci si era, una grande coperta mise tutto a tacere e ancora non si era a mani pulite, alla seconda repubblica e agli scandali a seguire. Beata gioventù.
Il mestieraccio quando ti entra nel sangue non lo scacci più e ti porta a stare con gli altri come te che magari si chiamano Vittorio Bachelet o Giovanni Falcone, tanto per dirne due, e allora con quest’ultimo ci fondi la corrente dei “verdi” e ti batti per sventare le pressioni che chissà chi vuole esercitare sui magistrati. 

La carriera prosegue: membro del Consiglio Superiore della Magistratura e poi Presidente di Sezione del Tribunale penale di Roma fino ad arrivare a Presidente del Tribunale di Civitavecchia. Ma il titolo a cui teneva di più era quello di Presidente della Fondazione Sandro Pertini, di cui era stato amico. E poi ancora indagini, tante indagini e, per citarne una, quella sul caso Guido Calvi che per primo identificò come omicidio e non suicidio.

Giulio Andreotti, dopo il processo di Palermo che lo riguardava, lo accusò di essere stato un "falso testimone che ha detto infamie e per il quale credo che dovremo inviare le carte al Csm. Se non lo facessimo sarebbe come lasciare una miccia in mano a un bambino".  Almerighi lo querelò per diffamazione e il divo Giulio dovette pagare spese e risarcimento. Qualche volta anche i super potenti perdono.

Amava il teatro fin dai tempi del liceo e fu entusiasta quando Fabrizio Coniglio e Bebo Storti gli proposero di mettere in scena Tre suicidi eccellenti. Vederlo seguire la scena standogli seduto accanto, in platea e non in prima fila, dava la misura del suo rispetto verso gli spettatori e gli attori e di quanto tenesse al contenuto più che alla forma. 

Oltre a Tre suicidi eccellenti ha scritto su altre inchieste scottanti del Paese: Diritto e Ambiente, I banchieri di Dio, Petrolio e politica, Mistero di Stato, e infine, La politica delle mani pulite. Quest’ultimo, una raccolta di dichiarazioni e scritti del Presidente Partigiano Sandro Pertini che Almerighi mette a disposizione del pubblico con l’auspicio che qualcosa si impari e non ci si faccia turlupinare dal pifferaio di turno. Sogno ardito a cui troppo spesso gli italici hanno disatteso.

Alla fine le sue vacanze sono state sempre più brevi e le immersioni più rare, ma disse che ne era valsa la pena. Buona pesca Mario.

domenica 19 marzo 2017

18 Marzo 2017: muore Chuck Berry, Alfano fonda Alleanza Popolare, la nazionale di rugby perde.

Con Chuck si sono shakerati nel ballo milioni di ragazze e ragazzi (e adesso anche di vecchietti). Era una leggenda da vivo lo sarà di più da morto? Alfano chiude il Nuovo Centro Destra ed apre Alleanza Popolare neanche fosse una pizzeria però non sarà “nuova gestione”. La nazionale italiana di rugby conquista con sudore e fatica il suo dodicesimo cucchiaio di legno e la settima Whitewash
 (imbiancata).


Il 18 marzo di quest’anno è caduto di sabato che a dire di Giacomo Leopardi è la più bella giornata della settimana pregna com’è delle tante aspettative per il dì di festa. Dal cilindro delle tante notizie quotidiane ne spuntano tre che di bello hanno poco e in comune ancora meno: Angelino Alfano fonda un nuovo partito, la nazionale di rugby chiude la sua partecipazione al Sei Nazioni all’ultimo posto e al di là dell’oceano muore Chuck Berry. Non necessariamente si deve vedere una correlazione tra i tre fatti anche se, per le note considerazioni sulla complessità, il battito d’ali di una farfalla sul mar della Cina può scatenare un tornado nel middle west americano. Con questo non si vuol considerare la fondazione del nuovo partito di Angelino Alfano alla stregua di  battito d’ali di farfalla. Si farebbe torto alla farfalla e sarebbe irrispettoso ancor prima che imperdonabile.

La notizia più seria  e importante è la morte di Chuck Berry. Di nome in verità faceva Charles Edward Anderson per l’abitudine che hanno quelli del sud di rimpinzare i nuovi nati di tanti nomi che poi condensano in un brevissimo funny name.  Accadde così anche a Jean-Louise Finch detta Scout protagonista di Il buio oltre la siepe. Chuck aveva novanta anni, che non sono pochi, e ha suonato e composto fino all’ultimo. Non ne aveva bisogno poiché già da vivo era una leggenda, ma lo faceva lo stesso. Con Jerry Lee Lewis ed altri è stato tra i padri fondatori del roch ‘n’ roll vera rivoluzione da cui derivano tutte le correnti della musica pop. Senza di lui non ci sarebbero stati gli Animals, gli Stones, i Beatles e tutti gli altri a seguire. Emozionanti i suoi duetti con Tina Turner, Keith Richards, John Lennon, Eric Clapton. Come talvolta succede ai mortali ha avuto diverse disavventure giudiziarie e, come si fa negli Usa, le pagò tutte con il carcere e multe salate. Roba da non credersi per gli italici parlamentari. Comunque con la sua musica milioni di ragazze e ragazzi si sono shakerati nei più disperati balli e si sono divertiti come pazzi. Adesso lo fanno ancora, ma da vecchietti. Many thanks Chuck.

Al dunque Angelino ha chiuso Ncd (nuovo centro destra) ed ha aperto Ap che sta per Alternativa Popolare. Un semplice cambio di insegna, come qualche volta si fa con le pizzerie, dove però si aggiunge anche un adesivo con la scritta “nuova gestione”. Nel caso di Alternativa Popolare invece neanche quella è nuova. Oltre ad Alfano ci saranno i soliti dioscuri, gli ex Forza Italia che non hanno voluto mollare il posto di ministro o sottosegretario quando i berluscones sono usciti dal governo, non uno di più ma, considerando quelli tornati all’ovile di Arcore, qualcuno di meno. Eminenza grigia dell’operazione Maurizio Lupi, che la sa lunga avendo studiato dai preti e frequentato l’oratorio. Ex demo(ne)cristiano. È lui che, orologio alla mano, detta i tempi della fondazione. Il nuovo partito non sarà di destra e neanche di sinistra ma solo di centro. Non andrà a sinistra, ma neanche a destra: resterà fermo dov’è. Nel vuoto pneumatico. È così sgombro di contenuti il nuovo partitino che i grafici, per connotarlo in un modo purchessia, nel logo ci hanno infilato un cuore. Il che è come dire che Alleanza Popolare ama sè stessa.   Almeno lei.


La nazionale italiana di rugby, su diciassette partecipazioni al 6 nazioni ha conquistato il suo dodicesimo cucchiaio di legno, trofeo appannaggio della squadra ultima classificata e settima Whitewash (imbiancata) che si merita chi arriva ultimo senza aver vinto neanche una partita. Alleluya. Un cronista del Corsera ha scritto che andare a vedere la nazionale italiana di rugby è come andare all’opera: si sa già come finisce ma si vuol solo vedere come cantano. Il risultato è quasi scontato e quindi, talvolta, la consolazione è sapere che contro i big di questa disciplina si possa solo contare sul “miglior peggior risultato”. Espressione che può nascere solo nella nazione dei Moro e dei Rumor, ahinoi. Il rugby evidentemente non è sport italico: si deve vincere tutti insieme e non uno solo, la palla va sempre lanciata indietro e alla conquista della meta partecipa tutta la squadra. Di filosofia italica non c’è quasi niente. Però ci si ostina a partecipare e questa è la sola buona notizia.

martedì 14 marzo 2017

A Flavio Briatore non piacciono i poveri. Ma neanche loro si piacciono tanto.

Non è vero che i poveri non creano lavoro. Gli esempi di Edoardo, Angelo e Leonardo. Sembra un balon d’essai ma le similitudini tra poveri e ricchi sono più d’una. Entrambi vivono di aspirazioni ed elemosine: i primi fuori dalle chiese i secondi dentro le banche. Entrambi non restituiscono quello che hanno avuto. E con un’elemosina l’Agenzia delle Entrate spera di attrarre ricchi-ricchi in Italia



In verità i poveri non si piacciono neanche loro. Su questo punto e su molti altri i poveri sono in perfetto accordo con Flavio Briatore. Sarò questione di pelle, di traspirazione e di aspirazione. Comunque è un dato di fatto che i poveri ai poveri non piacciano.  In compenso ai poveri piacciono i ricchi, come a Briatore, e questa senz’altro è questione di aspirazione. Infatti i poveri comprano i prodotti che pensano possano piacere ai ricchi. Si chiamano prodotti aspirazionali, per l’appunto e mediamente costano poco. Altrimenti i poveri non potrebbero permetterseli. Sapere che dopo cena si scarterà il cioccolatino che si trova anche nelle feste  dell’ambasciatore o nella Rolls-Royce della signora in giallo è un vero sballo. Basta sapersi accontentare e i poveri, di solito, si accontentano di poco e con poco.

Però il Briatore che ha azzeccato la scelta di Schumacher (ammesso e non concesso che l’idea sia stata sua) sbaglia quando dice che i poveri non creano lavoro. Errore colossale. Ci sono stati e ci sono ancora molti poveri che hanno creato e creano lavoro. Ma tanto di quel lavoro che il Renzi Matteo con il suo job act se lo sogna. Tra questi vengono alla mente Edoardo, Angelo e Leonardo, giusto per citarne tre, che di cognome fanno rispettivamente Bianchi, Rizzoli e Del Vecchio. Tutti e tre hanno cominciato senza il becco di un quattrino e già che c’erano si sono presentati ai nastri di partenza pure senza i genitori. Tutti e tre sono stati allevati ed educati in un orfanotrofio in quel di Milano che si chiama i Martinitt. E, all’ombra della madunina, “martinitt” è sinonimo di orfano povero che è ben diverso da povero orfano. Sottolineato questo a beneficio di Flavio Briatore da Cuneo, dove Totò ha fatto il militare per tre anni.

E i tre di cui sopra, da poveri, soldarello dopo soldarello, che vuol dire lavoro generato per sé e per altri hanno costruito grandi imprese. Edoardo Bianchi si è specializzato in biciclette, anche quella di Fausto Coppi era uascita dalla sua fabbrica, e poi pure in moto e auto. Angelo Rizzoli ho costruito un impero editoriale e Leonardo Del Vecchio è, in pratica, il produttore di quasi tutti gli occhiali che stanno sui nasi di mezzo mondo. E magari anche un po’ di più. Quindi il Briatore Flavio ha preso una grossa topica. Succede a tanti e, per dirla con Lucio Dalla «ai troppo furbi e ai cretini di ogni età.» 

Tuttavia a ben pensarci c’è una cosa che i poveri-poveri hanno in comune con i ricchi-ricchi: il bisogno, si potrebbe dire compulsivo che tanto oggi va di moda, di farsi dare il denaro dagli altri. Entrambi, i poveri-poveri e i ricchi-ricchi, vivono in un perenne stato di mendicità. Entrambi chiedono denaro per sopravvivere. I primi, i poveri-poveri, lo fanno, con il cappello in mano e un po’ piagnucolando, fuori dalle chiese o dai supermercati che a modo loro sono chiese anch’essi, mentre i secondi piagnucolano solo qualche volta, più spesso sono arroganti e lo fanno dentro le segrete stanze delle banche. I primi ricevono denaro da degli sconosciuti i secondi invece da degli amici. Un’altra caratteristica che hanno in comune i poveri-poveri e i ricchi-ricchi che mendicano è che non restituiscono i soldi avuti. Per i primi ci sta, l’elemosina non va restituita, mentre per i secondi ce lo si aspetterebbe perché quello che loro considerano elemosina in realtà si chiama prestito e, almeno in teoria, deve essere restituito e pure con gli interessi.  

Al Briatore questa fregola di dar addosso, più del solito,  ai poveri è venuta quando ha saputo come Governo ed Agenzia delle Entrate intendono invogliare i ricchi-ricchi a trasferire la loro residenza nello Stivale: far pagare loro un importo fisso sui redditi generati all’estero di centomila euro e di venticinque mila per ogni membro della famiglia a prescindere dall’ammontare dei ricavi. In altre parole se si trattasse della famiglia Obama, quattro persone, spenderebbero solo, si fa per dire, centosettantacinquemila euro. Il sistema è attivo in Gran Bretagna, Malta, Spagna e Portogallo e sembra funzionare.

Quando la notizia si è propalata pare che qualcuno, a sinistra, abbia storto il naso e allora san Briatore si è scatenato in difesa degli indifesi ricchi-ricchi. Una tempesta in una tazza da tè direbbero gli ex europei britannici. Anche perché il target che si è posto il governo è di un migliaio di famiglie che, a orecchio, potrebbero portare nelle casse statali un paio di centinaio di milioni, Non da buttar via ma neanche così tanti da risistemare il disastrato debito pubblico. Senza contare che per il ricco-ricco straniero pagare poche tasse è certamente condizione necessaria, ma senz’altro non sufficiente per mettere mano ad un trasloco. In genere, pare voglia anche infrastrutture, magari efficienti, facilità di comunicazioni, poca burocrazia, scarsa corruzione, veloce soluzione dei contenziosi, etc, etc. Chimere nel Belpaese, che se ci fossero e funzionassero sai quanti poveri si metterebbero a generare lavoro.

domenica 12 marzo 2017

La politica italiana ha bisogno di dadaismo.

L’attuale quadro politico è monotono al punto da essere quasi catatonico. Si è alle repliche. Tutte le parti in commedia sono scritte e gli attori le interpretano con la pedanteria dei dilettanti.Renzi 2 ripete il Renzi 1, Pisapia copia Prodi, D’Alema-Rossi-Speranza (Bersani) fanno l’imitazione di Bertinotti. Berlusconi è il piazzista di sempre, la sociale Meloni fa la sinistra e Salvini ricalca l'antico Bossi.  Il M5S è troppo impegnato in spifferi e correnti. E la politica?


La prima repubblica aveva tanti difetti, ma un pregio: aveva brio. Dopo ogni elezione la suspance era assicurata: si passavano settimane per mettere d’accordo i partiti che avrebbero formato il governo, le formule erano quasi infinite: monocolore, tri-quadri-penta partito, goversno di centro-sinistra ma anche di centro-destra, governo balneare, governo di minoranza con l’appoggio esterno, arco sostituzionale e chi più ne aveva più ne poteva mettere. Chi aveva capacità d’invenzione poteva metterla in pratica. Anzi ne era sollecitato. I ministeri si contavano come le monarchie e, tutto sommato, il debito pubblico non era neanche granché. E poi c’era anche una buona dose di pubblico manicheismo: i buoni da una parte i cattivi dall’altra, anche se poi su appalti, dividendi e robette varie si trovava un’unità che quelli del Regno Unito se la sognavano.

Adesso invece tutti monocordi che si ripetono sempre uguali. Una noia mortale. Tra venerdì, sabato e domenica ogni schieramento s’è messo in moto, ma nonostante il gran girare non è uscito nulla di rilevante quanto al nuovo poi, lo zero assoluto. Renzi nella versione di ex presidente del consiglio e di ex segretario di partito ha ricicciato la solita solfa sul futuro e sul cambiamento. Non ha parlato della sua avversione a inciuci e caminetti solo perché dietro le quinte il buon Luca Lotti si dava da fare per armonizzare le tante anime della maggioranza. Cioè inciuci e caminetti. Qualcuno lo si conquista al proprio campo con una posizione da  presidente di qualcosa, partito o commissione o dipartimento, qualcun altro come vice, altri ancora promettendo il cambio della posizione in parlamento: prima c’era il marito poi toccherà alla moglie o viceversa. E poi ci sono le posizioni nelle aziende di Stato. Roba che nella prima repubblica erano maestri di creatività e non aspiranti stregoni.
Pisapia avendo un passato modesto il giusto  deve rifari ad altri. Ed ecco che rimette in scena il Prodi delle passate stagioni. Ne sta assumendo anche il tono di voce e la stessa strategia. Poi non avendo a portata di mano un Bertinotti, lui sì pirotecnico, ripiega sul trio d’Alema-Rossi-Speranza (Bersani). Contando nel miracolo dell’irish coffee, che con tre mezzi, whiskey-caffè-panna, si possa fare un intero.  

I tre e un pezzo di cui sopra hanno potuto diventare di sinistra solo grazie al Renzi Matteo – unico suo risultato pratico -  che fino a prima del fiorentino erano sempre stati a destra di qualcosa, addirittura del ma-anche Veltroni. Il che è tutto dire. Adesso hanno riscoperto bandiere rosse e pugni chiusi che gli vengono pure male sia per la poca abitudine sia per l’artite galoppante.
A destra lo scenario è quello di sempre: Berlusconi fa come sempre il piazzista promettendo la famosa e fumosa rivoluzione liberale che, ammesso e non concesso vinca le elezioni prossime non riuscirà a portare a termine per manifesta incapacità. Però sa già a chi dare la colpa. La Meloni Giorgia continua nel sogno della destra sociale e ci mette della buona volontà per occupare spazi a sinistra e qualche volta la si potrebbe pure confondere con una di Sinistra Italiana. E il Salvini Matteo ripete su scala nazionale quello che regionalmente andava blaterando il Bossi Umberto.  Insomma noia estrema.

Il M5S non avendo antiche radici si adatta al panorama. Tromboneggia sui dettagli anziché studiare per evitare gli errori altrui e soprattutto propri per costruirsi il futuro. Sembra siano incanalati verso la formazione di correnti e spifferi vari e tutto sommato non paiono in grado di aggregare persone di pensiero e di esperienza.

Di Andrea Orlando e Michele Emiliano non si dice. Si sono svegliati adesso più per contrattare che per opporsi, come avrebbero dovuto fare al momento giusto, ma erano assopiti.

Ci fosse all’orizzonte un Tristan Tzara, ideatore del dadaismo, ci sarebbe la speranza di un disegno. Ma così non è, semplice lotta per poltrone come ha scritto Frabrizio Barca. E la politica?

giovedì 2 marzo 2017

Quanto è bello parlare della morte

Oltre a dj Fabo, anche Gianni, il giorno dopo, e altri cinquanta gli italiani che l’anno passato hanno varcato il confine. Adesso i politici ne parlano tutti. Andrea Romano: «il Parlamento sta lavorando da otto anni su questa legge» Intanto la discussione in aula viene nuovamente spostata. Ci hanno messo meno a scrivere la costituzione. Chissà se c’è qualcuno tra quelli che parlano sa cos’è il dolore.

Con il suicidio di dj Fabo e quello del giorno dopo di Gianni s’è scatenato il solito tourbillon di dichiarazioni, prese di posizioni, appelli, mozioni, interrogazioni, considerazioni e, detto con il massimo rispetto per entrambi i casi, via retoricamente blaterando. A parlare poi, con oltre novecento tra deputati e senatori, sono sempre gli stessi. Facce da teleschermo. Una volta si evocava il bronzo. E raccontano tutti, con l’aria di averle accuratamente ponderate, le solite masticate banalità di sempre, senza mai uno sprazzo di originalità. In più, ed è il fatto che maggiormente colpisce, nessuno dei blateranti sembra affetto dal benché minimo dolore, anzi paiono tutti essere ben felici (beati loro) e di scoppiare di salute (a tutti l’augurio di lunga vita). Vien quindi da pensare quanto sia facile far ridere con la faccia degli altri. La citazione, per vero, propone al posto di faccia un altro termine, assai caro a Roberto Giachetti, che qui per signorilità non andiamo a riproporre.

Retorica a fiumi quindi dove, detto per inciso, né i favorevoli né i contrari si mettono nei panni di dj Fabo e di tutti gli altri, pare siano stati almeno una cinquantina gli italiani che nell’anno appena trascorso sono andati a suicidarsi in quel di Zurigo. Che ne sanno i blateranti del dolore? Come possono immaginare una disperazione così grande da far decidere di abbandonare la vita? Come possono quindi parlarne se non come guitti che mandata a memoria una parte la ripetono a beneficio della platea?

Questa volta lor signori sono stati meno trucidi di quanto furono il “saggio” Gaetano Quaglieriello (per Eluana Englaro parlò di assassinio) e Carlo Giovanardi (definì Eluana Englaro «vittima dell’eutanasia»). Giusto per dirne due che altre vergognose affermazioni è meglio tralasciare. Lo schema della comunicazione odierna è cambiato, d’altra parte sono cambiati i tempi. Adesso, in modo meno truculento, ogni intervento si sviluppa su due paragrafi. Il primo è un breve preambolo, stereotipato, che fa perno sul concetto di rispetto per chi arriva a scelte così tragiche e mentre il secondo si biforca su due temi: la libertà di scelta (centrosinistra e sinistra) o in alternativa l’esaltazione della vita e negazione del suicidio come via d’uscita (centrodestra e destra). Sparuto il gruppetto di quelli che chiedono di legiferare velocemente, che tanto quando la proposta sarà in aula la divisione riprenderà  gli schieramenti di sempre. Uno solo o comunque pochi si vergognano del Parlamento italiano e del tempo perso. Ecumenica, come ti sbagli, la Chiesa che volteggia alto lasciando alla manovalanza il lavoro duro. E sporco.


Anche in questa occasione non poteva mancare la voce di Andrea Romano che speakereggia praticamente su tutto quanto accade nell’orbe terraqueo mentre altri centurioni e centurione renziane hanno ambiti d’intervento specifici e quindi almeno su questo tema ce li si è risparmiati. Il fulcro dell’intervento del Romano Andrea (l’Aria che tira, 28 febbraio) si è così esplicitato: «il Parlamento sta lavorando da otto anni su questa legge» Da notare il verbo e il tempo trascorso. Ci hanno messo meno a scrivere la Costituzione e in quel caso il verbo lavorare probabilmente aveva un suo senso. Otto anni per scrivere una legge mentre in silenzio e a pagamento chi il dolore lo conosce per davvero e lo patisce varca il confine in direzione Zurigo. Poi improvvisamente, con la potenza di un fulmine caduto dal cielo, ecco spuntare la data per la discussione in aula del disegno di legge: il 3 marzo. Come dire: la legge la si teneva nel cassetto a maturare, magari in attesa di tempi migliori, ma dato che il caso di dj Fabo grazie all’intervento di Marco Cappato ha portato il fatto in prima pagina un, due e tre ti spunta fuori tutto e subito. Oddio tutto e subito, prima era il 3 marzo poi a stretto giro la data è stata spostata al 13 marzo. Anzi no, scusate, il 16 marzo.  Che a procrastinare le date della discussione in Parlamento sono dei fulmini di guerra. E il tempo guadagnato (cioè sprecato) servirà solo per consentire ai telegenici speaker dei partiti di fare un’altra comparsata in tv. Magari a pagamento, chi lo sa. La voglia di citare ancora una volta Roberto Giachetti sgomita, ma ancora una volta, per signorilità  si soprassiede. Pure se il pensiero chiaro e tondo è quello. Più nella sostanza che nella forma.