Ciò che possiamo licenziare

lunedì 28 novembre 2016

E’ morto Fidel Castro e non l’ha ucciso la CIA

Per Fidel morire non deve essere stata una decisione particolarmente difficile. La CIA ha cercato di ucciderlo oltre 600 volte ispirandosi ai film di James Bond e anche di James Tont. Nei 57 anni castristi Cuba ha esportato zucchero, militari in Angola e medici in Venezuela: contraddizioni dadaiste. Adesso a Cuba si dicono addolorati ma il dolore quando è vero ha percorsi carsici.

La CIA voleva ucciderlo con un sigaro esplosivo

All’età di novant’anni, il 25 novembre 2016, Fidel Castro ha deciso, sua sponte, di morire. Come tutti quelli che sanno di essere immortali. Non deve essere stata la sua una decisione particolarmente sofferta, aveva già visto tutto e quello che andrà accadendo da adesso in avanti probabilmente non lo interessava molto. O tutto sommato lo riteneva un già visto.

Per cinquantasette anni ha tenuto testa alla più grande potenza economica e militare del mondo stando su un’isola grande poco più della metà della Florida e con una popolazione equivalente per numero alla sommatoria degli abitanti di New York e Los Angeles. Praticamente un mosquito    davanti ad un grande elefante dalla pelle durissima. Ha visto sfilare dieci presidenti americani che hanno mostrato a lui e al mondo, tutto e il contrario di tutto, quindi quelli nuovi che verranno da Trump Donald a seguire difficilmente potranno aggiungere granché alla creatività di corbellerie e cose serie che questi sono riusciti a mettere in scena.

Per quanto se ne sa non si è arricchito, altrimenti la CIA lo avrebbe raccontato al mondo con una tale quantità di dettagli che al confronto Edward Snowden avrebbe fatto la parte dell’omertoso. I suoi figli, che sono undici, di cui due vivono (o sono scappati) negli Usa, non hanno dato scandalo. Del primogenito Fidelito si sa che è un fisico nucleare, di Alex, il secondo che fa il fotografo  e di altri due, Ciro e Antonio che sono medici sportivi. Della moglie, Dalia Soto, sposata in seconde nozze nel 1961,ci saranno in giro quattro o cinque fotografie. A dir tanto. 

La CIA non potendo colpirlo con l’arma degli scandali ha cercato di fargli la pelle seicento e passa volte dimostrando una creatività che in più delle volte è scivolata nella farsa. Le teste d’uovo dell’intelligence hanno pensato di ucciderlo con un sigaro imbottito di dinamite, con bombe nascoste nelle conchiglie, Fidel amava le immersioni, con pillole propinategli da sue amanti, con caramelle e soft drink avvelenati. E anche con una bomba nascosta dentro una palla da baseball. Fidel amava anche il baseball. Tutte idee che avrebbero fatto la loro bella figura in un film di Totò. Ci hanno provato anche con dei killer e con la dinamite (sempre lei) nascosta sotto un palco in occasione di un comizio. Evidentemente quelli della CIA si sono spesso ispirati a James Bond qualche volta a James Tont (interpretato da Lando Buzzanca) senza tener conto che si trattava di film che a vederli non si può che ridere.

Fidel vendeva a Mosca zucchero, sottocosto, ed acquistava petrolio, tanto da accumulare solo con l’Urss un debito enorme, 35 miliardi di dollari, la gran parte dei quali è stata investita in istruzione e sanità. Non capita spesso. Anche se qualche soldarello, c’è da pensare, sia finito, ça va sans dire, in armamenti. Oltre allo zucchero Fidel ha esportato militari in Angola e medici in Venezuela. Che le due cose apparentemente non stiano insieme dice solo della vena dadaista che anima i rivoluzionari ed il capo dei Barbudos non sfuggiva alla regola. Già il fatto di darsi questo nome qualcosa voleva pur dire. E Barbudos fu anche una squadra di pallacanestro nella quale giocava anche Fidel. Così come non ha mai dato fastidio al Buena Vista Social Club. Perché la rivoluzione non sarà un pranzo di gala, ma può avere dei lati divertenti. Volendo.

Con la fine dell’Urss e dei finanziamenti che di là arrivavano qualcosa è cambiato: reggere all’embargo sempre più duro e poi alla riduzione delle rimesse dai cubani espatriati è stato più difficile. Per un po’ ha supplito l’amicizia di Chavez ma con il calo del prezzo del petrolio la dittatura (così si dà soddisfazione anche agli anticastristi) ha dovuto aprirsi almeno un po’. Quindi un po’ di produzione privata, un po’ di commercio privato, un po’ di doppia moneta (peso e dollaro), un po’ di possibilità per chi lo voleva di andarsene, un po’ di turismo, anche dagli Usa, un (bel) po’ di corruzione e un (bel) po’ di prostituzione. Talvolta succede di passare dal modello “ una dignitosa povertà”  quello “l’arte di arrangiarsi. Ttalvolta poi si scopre che il risultato ottenuto è peggiore dello status quo ante. Non tutte le ciambelle riescono con il buco. E quando questo accade tornare indietro non è facile.

Certo è che Fidel e il suo compagno Che hanno fatto sognare per un bel po’ di tempo i baby boomer di mezzo mondo e quando il sogno è bello vien duro fare i conti, che pure vanno fatti, con la realtà. Adesso sembra che i cubani siano molto dispiaciuti ma il dolore quando è vero ha percorsi carsici quindi si tratterà di aspettare un pochetto per vedere se Cuba tornerà ad essere il paese dei balocchi degli yankee o troverà la forza per riprendersi. Magari apportando qualche correzione non tanto al disegno quanto alla forma della sua realizzazione.

In ogni caso Fidel aveva già visto le due varianti e dal suo punto di vista è stato sufficiente.

lunedì 21 novembre 2016

Renzi cambia verso con De Luca

A Caserta Renzi perdona De Luca per il ritardo ma gli intima di non parlare. Renzi ha imparato ad accendere il fuoco con i bastoncini. De Luca accende il fuoco elettorale con fritture miste e giri in barca. Disprezzo per gli elettori e ironia per il premier. Elogio del clientelismo. Serracchiani, Romano, Fiano, Morani e gli altri pasdaran renziani tacciono.

De Luca Vincenzo mostra a Renzi Matteo la strada

Quando in quel di Caserta De Luca Vincenzo è arrivato tutto trafelato all’ennesima manifestazione pro riforma tenuta dal Renzi Matteo è stato accolto da un: «Vada per il ritardo, basta che non fai dichiarazioni» E questa è stata l’unica novità dell’intera manifestazione. Un bel cambio di verso. Non c’è dubbio. Finalmente si dà un pochino di concretezza a quell’impegnativo slogan perché cambiare di verso non è come dirlo.

D’altra parte in un discorso ripetitivo il giusto in cui Renzi ha raccontato per l’ennesima volta che c’è il nuovo ed il vecchio, che c’è chi vuol cambiare (lui) e chi invece no (gli altri), che lui «non  è quello che …», al posto dei puntini metteteci quello che volete che tanto va bene qualsiasi cosa e infine che tutti  ce l’hanno con lui, un guizzo di originalità ci voleva. E sentirgli parlare a De Luca in quel modo è stato un vero cambio di verso. Forse si è accorto che non sempre il De Luca fa ridere. Anche se ci si mette d’impegno.

In verità per un boyscout di provincia il cambio di verso è stato trovarsi a braccetto con un vecchio comunista, oggi ex come tanti, con la spiccata tendenza al clientelismo: «Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Ah, che cosa bella!» Certo Robert Baden-Powell questo incontro di amorosi sensi non se lo sarebbe aspettato, ma d’altra parte lui insegnava ad accendere il fuochi con i bastoncini mentre De Luca accende il sacro fuoco del renziano nuovo invitando il suo amico Franco Alfieri a raggranellare qualche voto offrendo delle fritture miste. Il che dimostra quanto siano tenuti in conto dal De Luca gli elettori campani. Gente pronta a farsi convincere a votare  questo o quello in cambio di miserie. Al confronto il comandante Lauro era un ingenuo spendaccione, regalava chili di spaghetti e scarpe, ma quella era l’epoca del boom economico. Oggi si è un po’ più tirati.

Tirati sì ma poi neanche tanto se è vero che con il suo amico De Luca il giovane Renzi, questa volta nei panni di presidente del consiglio, è stato estremamente generoso: ha dato 270 milioni di euro per Bagnoli, altri 500 per la terra dei fuochi e poi ancora 50, sempre milioni, non si sa a che titolo, ma il De Luca Vincenzo ha garantito che ci sono. E se lui dice che ci sono ci sono per davvero. E ancora 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania. E poi promesse di finanziamenti per Caserta, Pompei, Ercolano e via dicendo. Pare proprio che tra il Renzi ed il De Luca scorra un fiume di denaro pubblico. Ovviamente per il bene del popolo.

Però se questo è amore non è esattamente a doppio senso infatti De Luca è un pragmatico che bada al sodo: «Vi piace Renzi non vi piace Renzi a me non me ne fotte un c… » E dimostra neanche tanto tra le righe di considerare il giovin fiorentino un po’ giuggiolo e si gongola facendo l’elenco dei vari finanziamenti. Ogni voce è stata chiosata con un: «E ce li ha dati» per chiudere con un «Che vogliamo di più?» Proprio come se stesse parlando dell’amico un po’tarlucco a cui si possono spillare soldi e favori a iosa.


Anche se vedere il Renzi Matteo nella parte del fesso viene difficile considerandolo un bel furbetto. Se quei quattrini ha rilasciato con tanta facilità ci sarà, forse, magari, può essere, un vago ma senz’altro non personale o politico tornaconto. Chi mai potrebbe sospettarlo? E anche questo è un bel cambio di verso: passare dalla rottamazione delle vecchie cariatidi all’elogio del clientelismo. Che di nuovo ha proprio poco.  Naturalmente di tutto ciò Andrea Romano, Emanuele Fiano, Alessia Morani, Alessandra Moretti e quel campione di renzismo che è Ernesto Carbone non parlano. Zitta  anche la Serracchiani. Come ti sbagli.

martedì 15 novembre 2016

Berlusconi si mangia Parisi

Svergognamento pubblico di Parisi da parte di Berlusconi. Nello scontro Parisi-Salvini solo questioni personali. Alla domanda:«Compreresti un’auto usata da quest’uomo?» Parisi ha risposto sì. Da chi ha passsato trentadue anni passati ad occupare poltrone ci si aspetta più comprensione del contesto. Ha iniziato nel centro studi della Cgil. In quota socialista.


E così il vecchio caimano si è pappato anche l’ultimo ovetto della sua nidiata: Stefano Parisi. Oddio i caimani dovrebbero cibarsi di anfibi, uccelli marini e pesci, specialmente di boccaloni, ma al caimano andare a caccia fuori dal suo ben protetto territorio non è mai piaciuto e poi per dirla tutta non ne è neanche capace. Quando l’ha fatto per poco non ci ha lasciato le penne. Pardon le squame.

Ad occhio e croce il caimano si è già sbaffato altri tre aspiranti caimanini, nell’ordine: Casini, Fini e Alfano, i primi due volevano fargli le scarpe mentre al terzo mancava il quid e con Parisi arriva al quarto. Come dire che non c’è due senza tre e il quattro vien da sé. Senza contare tutti quegli altri minori che con mirabili giochi di sponda ha, di volta in volta, innalzato e affossato nelle stanzette delle cene eleganti. Ma non si può tenere la contabilità di tutto.

Il Parisi Stefano è stato liquidato in diretta durante la trasmissione Radio anch’io, con una frasetta tanto maligna quanto vigliacca che d’altra parte questo è lo stile. In sostanza il Berlusconi Silvio s’è limitato a registrare con fare notarile: «Non ci sono rotture definitive ma scontri personali Parisi sta cercando di avere un ruolo nel centro destra ma avendo questa posizione di contrasto con Salvini credo che questo ruolo non possa averlo.» Dove nell’ordine ha detto che, primo: non si tratta di politica e tanto meno di visioni strategiche sul futuro dell’umanità o più modestamente del mondo, quanto poi a weltanschauung neanche a parlarne. Che poi per spiegarne e soprattutto farne capire il senso ci vorrebbe la pazienza di Giobbe. Quindi come dire baruffe da comari per obiettivi, ad essere leggeri, miserabili. Secondo: il Berlusconi la mette come se il Parisi si fosse autocandidato ad avere un ruolo nel centrodestra. Che tanto valeva dire che il Berlusconi ha dovuto patire le insistenze del Parisi cui ha accondisceso solo per pura bontà d’animo. Raccontano in verità le cronache che invece sia accaduto il contrario: che il Berlusconi abbia condotto una serrata corte al manager, ex sinistra socialista, finché questi non ha ceduto correndo per la poltrona di sindaco a Milano . E, terzo ed ultimo: da oggi il dottor Parisi può con certezza sentirsi scaricato. Il tutto raccontato con l’aria del vecchio nonno che guarda l’evolversi di un mondo che non ha mai frequentato né conosciuto.  In altre parole lui, il Berlusconi si presenta come innocente anima candida. Come ha sempre fatto ogni volta che ha dovuto giustificare fallimenti: la colpa è sempre degli altri. Come ti sbagli.

E fin qui da stupirsi, per dirla con onestà, c’è poco, il Berluconi ha abituato gli italici a vederlo giocare su tavoli diversi e sempre con l’aria di quello che è capitato lì per caso e che per bontà d’animo si assume la responsabilità di salvare l’umanità tutta. Quindi su questo versante sorpresa zero. Poco perplette anche il fatto che scafati politici, Casini, Fini ed Alfano ci siano cascati: l’ambizione chiude gli occhi anche ai più smaliziati. Mentre invece fa restare allibiti che abbia abboccato come un pesce uno dell’esperienza di Parisi che da quando aveva 28 anni, era il 1984, non ha fatto altro che occupare ruoli apicali passando da una segreteria all’altra di Ministeri (Lavoro, Esteri, Poste) e di Dipartimenti (prima Affari Economici  e poi Informazione ed Editoria della Presidenza del Consiglio e via dicendo) e del collegio sindacale della RAI. E come non bastasse è stato City Manager a Milano e poi Direttore Generale in Confindustria dove si battè (ex sinistra socialista, nota bene) per l’abrogazione dell’articolo 18 e quindi AD in Fastweb, advisor in Royal Bank of Scotland e Ceo in Chili Tv. Il tutto in solo una trentina d’anni. Ha del miracoloso.

E allora tutto sommato al Parisi lo svergognamento pubblico (altro termine più appropriato ma meno educato sarebbe da usare) gli sta anche bene perché pare proprio che quei trenta e briscola anni passati a ballare  da una poltrona all’altra sempre con il grado di “capo” non gli abbiano insegnato granché. E quando gli han fatto la domanda: compreresti un’auto usata da quest’uomo, ha dato la risposta sbagliata. Verrebbe da dire "lo sventurato rispose". A capire che la proposta di fare il federatore era una fregatura ci voleva poco. Così come ci vuol poco a capire che Forza Italia non è una monarchia assoluta ma la sommatoria di baronie che si bilanciano tra loro. E il monarca è tale non per forza propria ma per la sommatoria di debolezze altrui.


Quasi ci si dimenticava di un dettaglio: Stefano Parisi ha iniziato nel centro studi della Cgil, in quota socialista. Ovviamente. Cigliegina sulla torta.

domenica 6 novembre 2016

Adesso Renzi ha un cupérlo per le sue pentole.

Gianni Cuperlo entra nel reality renziano. Dal gran rifiuto della presidenza del Pd al selfie  con la Boschi. L’aveva in qualche modo fatto intendere partecipando a «Un giorno da pecora» La parte che gli affidano: fare il coperchio. Forse era giusto giusto rottamarli.



Ancora una volta Renzi ce l’ha fatta: un altro della minoranza salta sul suo carro è Gianni Cuperlo. Mica facile. Anche se potrebbe sembrare, visto che in poco più  di due anni il Renzi si è acquistato la simpatia di tutti quelli che solo poco prima lo dipingevano come il peggio del peggio. Mentre adesso ex bersaniani, ex d’alemiani, ex veltroniani, ex rutelliani, ex vendoliani, ma anche ancora democristiani e ancora voltagabbana, questi buoni per tutte le stagioni e altrettanti vecchi arnesi dell’altrettanto vecchio Pci, ma abili saltatori della quaglia, ne sono diventati strenui supporter. attirano le luci della ribalta e la polvere del palcoscenico e nel reality renziano di luci e polvere ce n'è quanto se ne vuole, 

In parte del salto di Cuperlo ce lo si poteva aspettare dopo la sua partecipazione alla trasmissione radiofonica “Un giorno da pecora.” In quella confessò  che a lui il fiorentino Renzi è, umanamente, molto simpatico. Come dire che la guasconaggine attira la modestia e la cacciapallisia la timidezza. E così il Gianni, che come  Celestino V operò il gran rifiuto, alla fine ha ceduto. Una volta si può rinunciare alla presidenza del Pd, posto sul quale senza tema subito si è accoccolato tale Orfini, anche lui Matteo anche lui giocatore di playstation anche lui ex dalemiano, ma poi il fascino del pifferaio fa il suo effetto, Come la dolce Euchessina. Quanti gran rifiuti si possono pronunciare in una vita? E poi è difficile  rinunciare a stare comodi e tranquilli dietro le quinte Vuoi mettere la libidine di starsene soli soletti nella piccola stanzetta davanti a un foglio bianco con le matite ben appuntite a spremersi il cervello per far fare bella figura a chi ha commissionato il discorso. E avere la soddisfazione di sapere che gli applausi non sono per il recitante ma per il discorso? Applausi presi per procura. Bhé con Renzi questo ruolo non c’è. Troppo troppo raffinato e sofisticato il Cuperlo, cultura mittleuropea, per coprire con Renzi il ruolo dello scrivano.  Troppo rozzi e ripetitivi i discorsi del fiorentino per avere alla spalle un serio  ghostwriter. Odorano di autocitazioni: troppi gufi, troppo futuro, troppo nuovo, troppe ripartenze, troppa buona scuola, troppi cambio di verso, troppo leopolde, troppi numeri (che non tornano), troppo di troppo. 

E allora il Cuperlo che ci fa lì? Semplice: il coperchio. Il coperchio delle pentole che il Renzi sa costruire con una certa arte neanche fosse il diavolo. E dentro ci fa bollire autoreferenzialità, demagogia, sogni irrealizzabili, e anche un po’ di antipolitica d’accatto.  Così adesso Cuperlo si mette a disposizione per coprire a sinistra e magari anche giustificare e nobilitare De Luca, Carbone, Moretti, Morani, Pezzopane, Pinotti, Martina, Orlando, un tot d’altri e da poco anche Carla Cantone. Quest’ultima adesione un po’ a colpito non foss’altro perché si pensa che i pensionati, avendone viste tante, siano saggi. Ma un conto è la tradizione e un altro la realtà. E se al Renzi hanno creduto (o no?) i vecchi apparatiniki come può resistere un supposto ingenuo della mittleuropa? Comunque adesso anche Cuperlo è entrato nel reality e come prima scena viene girato l’abbraccio con Maria Elena Boschi. con immancabile selfie. Era giusto rottamarli.