Ciò che possiamo licenziare

venerdì 1 luglio 2016

Matteo Renzi: la paura fa Italicum.

Adesso che il M5S è dato vincente alle elezioni l’Italicum non piace più ai renziani. Ogni volta che i professori entrano in politica, D’Alimonte, Salvati, Monti, Fornero, combinano guai. Le leggi si fanno e si disfano nell’interesse comune non per questo o quello. Prendere esempio da quanto succede negli altri Paesi gioverebbe.
 
La paura in realtà dovrebbe fare 90, come da smorfia napoletana classica suggerisce, ma dopo la sedicente rottamazione renziana può tranquillamente fare Italicum. Il riassunto delle puntate precedenti vuole un Renzi che nei panni del sincero democratico strilla ai quattro venti che le riforme si fanno con tutti e non a colpi di maggioranza. Poi ci ripensa e arriva alla conclusione che, come si usa dire nei più raffinati consigli di amministrazione, «la maggioranza vince» E poiché, anche grazie all’inanità della sua minoranza interna, quelli che voleva rottamare e che invece sono ancora lì, e con l’aiuto di centristi e di destri si è trovato ad avere i numeri ha legiferato a suo piacimento. Ovviamente ha avuto bisogno dell’aiutino di qualcuno che, seppur vagamente, desse l'idea di saperne qualcosa. L’esperto si è incarnato nella persona del professor Roberto D’Alimonte, laureato con Giovanni Sartori e specializzato ad Harvard e Berckley. Accipicchia. E che ha anche all’attivo ben nove, diconsi nove volumi, tutti scritti in compagnia di qualcun altro. E tutti «a cura di». Comunque, un professore esperto di sistemi elettorali. Così si dichiara.
Il fatto che Roberto D’Alimonte sia un professore certo non depone a suo favore, viste altre esperienze di professori in politica. Senz’altro ci si ricorderà delle belle ponzate fatte dal professor Michele Salvati a proposito della costituzione del Pd, che ha prima esaltato poi rinnegato e quindi ancora (tiepidamente, perché non si sa mai) esaltato, e di quelle altrettanto significative del professor Mario Monti, per non dire della professoressa Elsa Fornero che si dichiarava «non ferratissima per fare la ministra.» Evvabbene, si viene a confermare il detto che chi non sa fare insegna. Comunque il  prof mette a punto un sistema che è una complicata sarchiaponata che prevede per la lista vincente, a prescindere dalla percentuale, l’acquisizione bella bella della maggioranza assoluta degli scranni in parlamento. Ovviamente mantenendo il bel vezzo calderoniano dei nominati. Avere uno zoccolo di fedelissimi (almeno all’apparenza) fa sempre bene allo spirito. Il tutto concepito nel nome della governabilità. 
Naturalmente la voglia di inventare ogni volta l’ombrello impedisce ai riformatori di guardarsi intorno e magari di considerare sistemi elettorali collaudati come quello del senato americano, solo 104 senatori per trecentomilioni di abitanti, o quello antichissimo inglese, maggioritario con obbligo di residenza, o quello più recente francese o addirittura quello tedesco. Si vuole a tutti i costi una originale, direbbe Camilleri, minchionata italica. Comunque quel bell’impianto oggi non piace più. Il motivo è semplice: le prossime elezioni potrebbe vincerle  il M5S e allora ecco che Emanuele Fiano, renziano ma di orientamento franceschiniano, suggerisce di apportare delle modifiche con l’unico obiettivo non di fare una legge buona, di cui l’ottimo è nemico, ma solo di bloccare gli avversari. Pataccata. Triste la posizione dei cinque stelle che adesso annusando aria di vittoria si mettono a difendere una legge sostanzialmente indecente che accoppiata con la riforma costituzione dimostra tutta la pochezza di questo sedicente gruppo dirigente. 

A nessuno punge vaghezza, ma d’altra parte c’è stato Berlusconi, che le leggi si fanno a vantaggio della comunità e non di questo o quel partito. Ragionamento troppo raffinato e semplice per essere colto da un professore, figurarsi da uno scaldascranni.