Ciò che possiamo licenziare

giovedì 31 marzo 2016

Il caso Regeni: il grande trucco, la grande ignavia.

Che la morte di Giulio Regeni sia opera di apparati statali egiziani è più che una suggestione. Che gli egiziani stiano prendendo per i fondelli il governo italiano è una certezza. Dai big della politica solo retorica e nessun vero fatto. La paura è perdere 5.180mln di interscambio con l’Egitto. Se Giulio Regeni fosse stato inglese,americano, francese o tedesco?

Perché il grande trucco? Perché trucco significa, definizione da vocabolario, “espediente per nascondere o falsare la realtà, inganno." Perché ignavia? Perché ignavia significa, definizione da vocabolario, “pigrizia morale che rende inertidi fronte a qualsiasi impegno.” Trucco e ignavia sono le due parole che meglio rappresentano il caso di Giulio Regeni. Tutti  gli attori in tragedia (ad eccezione della famiglia Regeni, di Amnesty International e della associazione Antigone) si stanno dando da fare per nascondere la realtà come se non fosse di per sé abbastanza chiara. Disse Pierpaolo Pasolini:«io lo so ma non ho le prove» E la frase ben si attaglia, oggi come allora, anche a questo caso.  Giulio Regeni fu rapito-sequestrato-arrestato lo scorso 25 gennaio. Da chi?  In uno stato di polizia come quello egiziano vien difficile non pensare che il rapimento-sequestro-arresto non sia stato fatto da organi istituzionali. Magari, solo per carità di patria, definiti deviati, come si usa dire (e si è usato dire anche per i nostrani) quando si vuol mettere una foglia di fico sopra il grande marciume. Poi, come spesso accade ai deviati hanno innannellato una serie di minchionate. 

Sbagliato pensare che i deviati siano astuti come faine e machiavellici come Niccolò, di norma oltre che delinquenti son anche dei fessi. E la cosa è trasversale: Watergate e piano Solo, giusto per risvegliare la memoria, sono lì a dimostrarlo. La prima delle minchionate è stata far trovare il 3 febbraio il corpo di Giulio Regeni debitamente torturato lungo una strada. Chi se non i deviati avrebbero potuto farlo? Soprattutto in un Paese che ha fatto della tortura, da sempre, il principale metodo di governo. Ecco, il governo egiziano appunto, frutto di un golpe si sarebbe detto in tempi passati ma si era troppo ideologici, dal 3 si mette a prendere lo Stato italiano per i fondelli come neanche l’India è riuscita a fare in quattro anni di continui esercizi . In meno di due mesi il governo egiziano ha detto che si è trattato di un incidente automobilistico, di una squallida storia di sesso e magari droga (al rock n’roll non sono arrivati, non adeguatamente preparati in materia) e di un rapimento. Manca la rissa tra ubriachi, l’incidente domestico e il suicidio. Quando arriveranno anche a questo avranno completato il cerchio. Il tutto naturalmente condito con parole di comprensione per la famiglia, il generale Abdel Fattah el-Sisi ha voluto informare gli italiani che anche lui è padre, come peraltro moltissimi maschi del regno animale, e ovviamente di amicizia per l’Italia. Che se non ci fossero amici chissà che avrebbero escogitato.  

E da parte dell’Italia invece? Ovviamente il meglio che i politici e i governanti del Belpaese sanno fare: dichiarazioni. Di tutti i tipi e di tutte le fatte. Piccoli esempi dei maggiorenti del Pd e del governo:
Matteo Renzi «Abbiamo detto all’Egitto: l’amicizia è un bene prezioso ed è possibile solo nella verità» 12 febbraio alla trasmissione Radio anch’io Prima dichiarazione a nove giorni dal ritrovamento del corpo
Debora Serracchiani «Il Governo egiziano si decida a collaborare. Verità chiara e completa sull'assassinio di Giulio #Regeni, non ricostruzioni inverosimili» 26 marzo twitter
Lorenzo Guerini «Accanto ai genitori di Giulio #Regeni, al loro dolore e alla loro dignità, lavoriamo senza fermarci per la verità piena sulla sua uccisione» 29 marzo twitter
Paolo Gentiloni: «Piste improbabili ed offensive. Pronti a trarre le conseguenze se non ci sarà collaborazione» Corriere della Sera 29 marzo  
Roberta Pinotti «Al fianco della famiglia #Regeni,non ci accontenteremo senza arrivare alla verità.» 25 marzo twitter
Angelino Alfano «Avremo il nome degli assassini. Il nostro governo lavora in modo determinato per ottenere la verità Risultato importante è che, davanti alla nostra fermezza nel perseguimento della verità, dopo qualche ora gli egiziani si sono comunque riposizionati e ci hanno fatto sapere che le loro indagini sono ancora in corso». 26 marzo Corriere della Sera
Maria Elena Boschi «Vogliamo tutta la verità» 31 marzo question time Camera dei Deputati
Dopo questa sfilza di affermazioni ci si può immaginare lo stato d'animo dei governanti egiziani.

In quanto a fatti? Sono stati mandati in Egitto un po’ di agenti definiti esperti che hanno potuto aumentare la loro esperienza su una branca particolare dell’intelligence: come farsi menare per il naso in presa diretta. Che volendo fare esperienza nel settore non era necessario andare in Egitto bastava fare un salto in Parlamento o leggere taluni disegni di legge o addirittura il programma del governo Renzi. Questo come quelli dei precedenti, Letta, Monti, Berlusconi et similia.

Solo il 29 di marzo finalmente una proposta concreta, il senatore Luigi Manconi, che ritwitta Antonella Napoli, chiede durante la conferenza stampa al Senato di richiamare l’ambasciatore italiano da il Cairo.  Ma subito il ministro Orlando tentenna: «bisogna capire se è utile sguarnire in questo momento una postazione come quella». Chissà quanto ci vuole a capirlo.

Magari invece sarebbe piaciuto sentire qualcosa di fermo e deciso come l’invito all’ambasciatore egiziano di presentarsi alla Farnesina o magari anche di ritornarsene a casa e pure di fermare i voli da e per l’Egitto e cominciare, forse timidamente, a praticare qualche sanzioncina. Invece no. Il pacchetto Egitto vale per l’economia italiana 5.180 mln (dato 2014) e non si vorranno mica perdere tutti quei soldi solo per la morte di un ricercatore universitario? Già s’è visto cosa s’è fatto per la visita di Rouhani con i paraventi alle statue. Il deputato Ernesto Carbone teorizzò addirittura: «per 20 miliardi avrei fatto pure di più» Già e quanti miliardi ci vogliono per una vita?

E allora ancora retorica come se piovesse, «non ci accontenteremo di verità di comodo» tuona il presidente Renzi dagli Usa. Come suo solito: ogni volta che c’è un guaio lui è da un’altra parte, e viceversa. E poi le maglie della serie B con la scritta «verità per Giulio Regeni» Cioè il nulla ben impachettato e ben confezionato solo come gli italici sanno fare.

Domanda: se Giulio Regeni fosse stato inglese, americano, francese o tedesco? Beh, anche qui «io lo so, ma non ne ho le prove»: la musica sarebbe stata tutt'altra. Probabilmente dall’Egitto non ci sarebbero giunte tutte quelle dichiarazioni fesse, probabilmente qualche testa vicina al presidente el-Sisi sarebbe caduta, o magari anche la sua e non solo metaforicamente, probabilmente ci sarebbero state scuse ufficiali e probabilmente anche un indennizzo. E senz’altro inglesi, americani, francesi e tedeschi non solo non avrebbero perso un soldo ma ne avrebbero guadagnato in dignità e rispetto internazionali. All’Italia invece no.





mercoledì 30 marzo 2016

Pedofilia a Roma: Claudio Nucci, colpevole? I ragazzini, vittime? Le famiglie, innocenti?

I ruoli in tragedia sono definiti e ben chiari, ma nella realtà i confini sono labili. Non c’è lupo mannaro senza vittima disponibile. Ci può essere vittima senza connivenza della famiglia? Se papa Francesco facesse una riflessione seria sulla famiglia uscendo dagli schemi della pubblicità.

Solito scandalo in quel di Roma, ci mancava. La capitale della cristianità pare si sia messa di buzzo buono per vincere le olimpiadi del lurido-sessule. Tralasciando, ovviamente, gli scandali di natura, per così dire politico-sociale, come mafia capitale et similia. In un lasso di tempo tutto sommato breve sono arrivati alla prima pagina i casi delle baby prostitute, quello di Luca Varani, Manuel Foffo e Marc Prato e ora quello di Claudio Nucci, 56 anni, pr, animatore di feste e serate.

Le parti in tragedia son sempre quelle: il lupo mannaro, che spesso sono tanti, le vittime, in genere minori e infine gli afflitti, le famiglie. E poiché sulle prime pagine dei giornali, così come per il salotto di Bruno Vespa, c’è spazio per un solo mostro alla volta si va giù d’accetta, si semplifica e velocemente si passa oltre. Ma non è questo il modo se ci si vuol tirar fuori. E soprattutto se si vuol dare prospettiva ad una possibile-auspicabile, anche se lontana e faticosa soluzione. Che il lupo mannaro faccia il lupo mannaro ci sta. Ovvio che ricatti, ovvio che intimorisca, ovvio che vessi. Altrimenti che lupo mannaro sarebbe? Attenzione con questo dicendo non si vuole assolvere nessuno dei miserabili che quella parte hanno giocato, sia per un verso che per l’altro.. Questo ha da essere ben chiaro. Quel che invece gira male nelle ricostruzioni delle tragedie sono gli altri due ruoli: le vittime e gli afflitti.

Le vittime innanzi tutto. Che siano vittime è fuor di dubbio, ma vittime di chi? Questo è il vero punto. Come nasce e cosa spinge la vittima al suo ruolo? Almeno la prima volta, dato che dalla seconda in avanti il processo è sufficientemente chiaro.. Che se la prima volta ci si vende (e si sa bene quel che si intende) per una ricarica o una felpa o il biglietto di un concerto di chi la colpa? Del lupo mannaro (le sue responsabilità sono palesi dal di poi in avanti che sul prima qualche dubbio ci può stare) o di un contesto che consente alla vittima di superare o, peggio ancora, di  non avere legge morale? Va domandato, almeno per pura accademia, perché questa manchi o sia così facilmente superabile. Da dove sono arrivati e come si sono nutriti gli anticorpi della legge morale? Comodo generalizzare, ma tutto il contesto vien ben filtrato da una sola entità: la famiglia. O almeno così dovrebbe essere salvo il fatto che questa non sia connivente, cioè condivida i principi, con il contesto. 

E dunque gli afflitti: la famiglia. Afflitti perché le vittime sono dei loro, afflitti perché i lupi mannari sono dei loro. In tutti i casi nulla colsero, nulla videro e, ovviamente, nulla capirono. E, non capendo, domandarono. Ma erano attenti, ieri, gli afflitti di oggi? Non videro borsette e felpe griffate, non colsero comportamenti anomali non  ebbero neppure per un momento sentore del disagio di chi imboccata una strada ne vede, finalmente l’orrore? No certo, se una sudicia storia va avanti da oltre un anno. E allora, domanda di riserva: dov’è la legge morale degli afflitti? Chi si occupa di quella? Se l’amico di Nucci ride al telefono con lui è un amico o un complice? Così come dove inizia la colpa del padre di famiglia che frequenta le squillo minorenni: nell’essersi recato all’appuntamento o nell’aver cercato sulla bacheca di internet? E questi che legge morale potrà trasferire a figlio e figlia? E come potrà la moglie non essersi accorta di nulla? Tutti ciechi, tutti muti. Anche quelli che organizzano l’esibizione del mostro in tv o che ne scrivono sui giornali dato che si fermano un attimo prima di scoprire che gli afflitti sono anche lupi mannari (conniventi) e  anche vittime (ricattabili).
Sarebbe utile, ancor prima che bello ed edificante, che anche papa Francesco spendesse una qualche parola di serietà e di rigore sulla famiglia e non favoleggiasse su quell’entità metafisica che si vede nel presepio e nelle pubblicità di merendine, automobili ed affini.


venerdì 25 marzo 2016

Twitter monopolizzato da politici e giornalisti

Politici e giornalisti sono i maggiori utilizzatori di Twitter. Spesso sbroccano con affermazioni maschiliste Zucconi e Feltri , altre volte sono esegeti di banalità Maroni e Alfano, altre ancora non sono che i ritweet di messaggi di altri che hanno il solo pregio di essere per loro elogiativi Veltroni.

Vittorio Zucconi: Virginia Raggi espone in tv argomenti ai quali 
Giachetti difficilmente potrà rispondere. Non c'è partita.
A voler fare una stima si direbbe che la stragrande maggioranza degli utenti italiani di Twitter siano politici e giornalisti. Almeno in termini ponderati ovvero di quantità di tweet per singolo cranio. Ci potrebbe anche stare se i tweet dicessero qualcosa di interessante e non si limitassero a ricicciare sempre le solite banalità, ovviamente ben condite di retorica. Sarebbe bello se scrivessero cose di peso e soprattutto di pensiero. Taluni, per non dire quasi tutti, ritengono che disporre solo di centoquaranta caratteri implichi il fatto che cervello e mani sulla tastiera non debbano necessariamente essere collegati. Evvabbé. La mancanza di fantasia impera sovrana
A prendere un giorno a caso , come dire gli ultimi due o tre giorni, c’è da mettersi le mani nei capelli. In questa breve carrellata si può partire con un Vittorio Zucconi d’annata. Lui ce l’ha con i grillini, a prescindere. A leggere il nome di un esponente del M5S perde il senso della ragione e talvolta anche del ridicolo e carica a testa bassa, neanche fosse un toro davanti al capote. Eccolo allore commentare la foto (a fianco) di Virginia Raggi  con un classico del pensiero trucido maschilista: «Virginia Raggi espone in tv argomenti ai quali @bobogiac Giachetti difficilmente potrà rispondere. Non c'è partita» Al confronto Guido Bertolaso sembra un estremista del femminismo. Poi sempre per rimanere sul suo argomento preferito twitta «Accelera la normalizzazione del M5S guidato da Casaleggio, sempre più una DC con lo sconto. Al centro, grillini!» Viene normale pensare che quando al centro volevano andarci D’Alema e Veltroni e Napolitano e adesso Renzi i suoi alti lay non si levarono. Ma la coerenza non è di questi giorni. Ammesso che sia mai stata.
Anche i giornalisti non scherzano, ad esmpio Myrta Merlino: «Uno dei kamikaze di #Bruxelles era stato arrestato, ma poi liberato. Aggiungere un commento sulla magistratura belga. Io allibisco.» Evidentemente  non ha memoria di quando i gendarmi nostrani dopo l’arresto di Riina dimenticarono di perquisirne il covo. Per fortuna non abbiamo il monopolio dei poliziotti tarlucchi, qualcuno lo lasciamo anche agli altri. Quindi che dire di Roberto Maroni: «Ho incontrato oggi il nuovo questore di Milano Antonio De Jesu. Gli ho garantitola massima collaborazione per la sicurezza dei cittadini» E che gli voleva dire? Che l’avrebbe boicottato? Per rimanere in ambito partiti ecco un fulgido esempio del Partito Democratico: «#Roma @orfini 'Difendiamo i poteri forti? E' vero, per noi poteri forti sono i cittadini romani' #RaggiAmari» I cittadini romani, dice? Quelli che sono invitati a disertare il prossimo referendum?
Naturalmente non può mancare un frizzante Angelino Alfano:  «A #Bruxelles la reazione, la decisione, la commozione»  L’anacoluto è il suo pane e burro quotidiano. Ben accompagnato dalla sua ex compagna di partito Deborah Bergamini che digita l’originaleRegeni, governo deve pretendere la verità» Un twiter alla viva la mamma, che se ne sente la mancanza. Ci sono anche i ritwittatori seriali come Walter Veltroni e Erasmo D’Angeli che sembrano sappiano leggere ma non scrivere il che, data la situazione, probabilmente è un vantaggio. Mentre Vittorio Feltri scrive in proprio e con la consueta leggerezza twitta: «Urge equo canone su uteri in affitto» Questo si commenta da solo. Naturalmente non può mancare Mario Adinolfi: con un tonante «Estirpare le colonie del male» cioè: viva la mamma.
Oltre alle categorie banalità-volgarità-niente-da-dire c’è anche quella dei presenzialisti: twittano solo per raccontare all’universo mondo che saranno da qualche parte in televisione a dire qualche cosa.
Qui mancano i fondamentali twit di Maurizio Gasparri, Fabrizio Rondolino, Alessandra Mussolini, Renata Polverini, MassimoLeaderPD (D’Alema) e altri del loro tipo, solo  perché sono molto selettivi e spesso bloccano la lettura dei loro twitter ai  follower quando si dimostrano irriverenti. E questo la dice lunga sulla loro agilità mentale.



giovedì 10 marzo 2016

D’Alema e il calcio dell’asino.

Gli ultimi fatti di Milano, Roma e Napoli dicono che la salute (politica) di Renzi non è buona. Ora come nella favola di Fedro spuntano il cinghiale, il toro e l’asino. I riferimenti sono liberi. Bersani rilascia interviste quotidiane, Speranza va ai talk e D’Alema smette di occuparsi dell’universo mondo per concentrarsi sulle beghe dell’italietta. Grazie Fedro.

Che la salute (politica) di Renzi Matteo non sia al suo massimo lo vanno bisbigliando e scribacchiando in parecchi. 
Chi con più enfasi e chi, si sa mai che non si rimetta presto, con più diplomazia. Di certo alcuni fatterelli occorsi nelle ultime settimane non buttano al meglio. S’è cominciato con le primarie di Milano, andare a pescare uno che vien da destra e che non sa scegliersi i collaboratori (tutti o quasi quelli della sua squadra Expo sono finiti al fresco) non è stato un bel segno. Inoltre che il preferito dal segretario nonostante l’appoggio di tutte le truppe cammellate abbia portato a casa poco più del 40%  più che di vittoria ha detto di debolezza. Se la matematica non è un’opinione  poco meno del 60% non l’ha votato, quindi è frutto di una minoranza. Consistente ma sempre minoranza. Comunque in quel di Milano, ribattezzata da Cantone come capitale morale, un po’ di dignità c’è stata. Con Roma e con Napoli invece si è tornati ai vecchi fasti delle pere cotte. Nella capitale il balletto sull’affluenza e sulle schede bianche è stato penoso a Napoli poi la rappresentazione del samaritano che dava euro a chi aveva dimenticato il borsellino a casa è stata una farsa. E ancor più la motivazione sulla non accettazione del ricorso di Bassolino basata sul conteggio dei minuti piuttosto che sui fatti. Magari da accertare. Da scompisciarsi avrebbe detto Totò. 

Quindi il leone, che ancora non si può definire senex, se deve ricorrere a questi mezzucci tanto in salute non è. Ecco allora che aper, taurus et asinus (cinghiale, toro ed asino) che in passato hanno patito le sue offese vengono per vendicarsi. Bersani Pierluigi, l’unico al mondo che può vantare il risultato di non vittoria alle elezioni, da diversi giorni rilascia interviste a tutto spiano. Non parla più della ditta, tema diventato di appannaggio dei Rosato e dei Guerini, ma di elettori che non capiscono e che potrebbero (ohibò) ribellarsi. Speranza che fino ad ora ha fatto tappezzeria sta girando i talk come neanche la Moretti dei tempi d’oro. Non può dire che va dall’estetista tutte le settimane ma senz’altro ha iniziato una certa pratica con il barbiere. E infine D’Alema. 

Come i pochi che lo seguono ricorderanno il D’Alema leader Massimo era disposto a perdonare alcuni scherzucci di dozzina del Renzi in cambio del posto agli esteri della Ue, , ma il Matteo, che conosce i suoi D’Alema, gli ha preferito la Mogherini. Allora il leader Massimo, s’è ritirato, come come ogni zitella offesa,  nelle sue stanze. Che poi sarebbero quelle della fondazione ItalianiEuropei che riesce a raccoglie pubblicità per la sua rivista dalle più bizzarre aziende statali. Ma vabbé. Anche lui rilasciava interviste per dire, come riportavano i suoi amici giornalisti, in modo civettuolo (da vecchia zitella appunto) che il teatro italiano era per lui troppo angusto e che la sua mente era tutta presa dai grandi temi internazionali. Infatti di norma le sue interviste cadevano sempre tra il ritorno da un seminario e la partenza per un altro. Di tutti questi seminari la stampa non ha mai riportato un rigo. Probabilmente erano per intimi e segretissimi. E Renzi era sulla cresta dell'onda.

Adesso invece che il giovane leone è in affanno ecco il D'Alema attivissimo sul palcoscenico italico: parla con Civati Pippo, che ha sempre detestato, telefona a Bassolino che non sentiva da anni per dirgli di tutto il suo appoggio nel caso volesse lanciarsi nell’agone con una sua lista civica e poi, miracoli dei miracoli espone un suo pupillo, tale Bay ad anti Giachetti in quel di Roma. Quindi si dice che etichetti Renzi, pare ad una cena, come uomo del Mossad. Se vera gli deve essere scappata dopo l’ammazza caffè. Ma chi ci crederebbe mai? Gli parrà di vivere una seconda giovinezza, come quando guerreggiava col cinematografaro Veltroni.  Lotta tra titani. 

Ma dimentica il D’Alema che la memoria lunga non l’ha mai avuta, date le sue tante contraddizioni diverse cosette. In primis  le ovazioni che Renzi riceveva nelle Case del Popolo quando si proponeva di rottamarlo. I militanti di lui, D’Alema ne avevano e ne hanno le tasche piene. In secundis che Renzi sta facendo quello che a lui non è mai riuscito nonostante i  tanti inciuci con il Berlusconi (che regolarmente lo fregava) ovvero sfondare al centro e poi anche a destra. Infine lasua colpa più grave: proprio il suo modo di fare politica, giocato sugli accordicchi, sulla doppia linea (che magari Togliatti sapeva gestire ma lui senz’altro no), sulla distanza dalla base del partito e poi quella sua spocchia ingiustificata ha partorito Renzi. 

Renzi non è figlio di Berlusconi, anche se hanno in comune lo stesso modo di fare pataccone, ma degli errori di suoi e dei suoi sottopanza. Renzi è il frutto (avvelenato) di D’Alema. Bisogna ben capirlo. E ancora adesso quel che gli manca al D’Alema nel suo bilioso attacco a Renzi è una seria e concreta proposta politica: sta solo conducendo una battaglia vanesia. Da par suo. E la guerra per bande va avanti.

La poesia di Fedro recita così

Il calcio dell’asino                                                                                                                                  Leo senex, aper, taurus et asinus
Chi perde il suo potere anche il più vile                                                                                                  si prende gioco della sua rovina

Tradito dalle forse e dall’età                                                                                                                   il leone covava la sua fine.                                                                                                                     A vendicarsi d’una antica offesa                                                                                                          venne il cinghiale dal fulmineo dente;                                                                                                 poi venne il toro e le sue corna ostili                                                                                                     scavarono in quel corpo di nemico;                                                                                                      l’asino vide i colpi non puniti                                                                                                                   e gli sferrò il suo calcio nella fronte.                                                                                                       Il leone spirò. Ma prima disse:                                                                                                               «Amaro fu l’assalto di quei forti.                                           
Ma dopo il tuo, viltà della natura,                                                                                                         mi sembra di morire anche due volte»

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Su D'Alema
- D'Alema: niente di penalmente rilevante 
http://ilvicarioimperiale.blogspot.it/2015/04/dalema-niente-di-penalmente-rilevante.html
-Renzi minaccia la Merkel o la Mogherini o D'Alema
http://ilvicarioimperiale.blogspot.it/2014/07/renzi-minaccia-la-merkel-e-leuropa-o-la.html
- Renzi è il frutto avvelenato di D'Alema
http://ilvicarioimperiale.blogspot.it/2014/01/renzi-e-il-frutto-avvelenato-di-dalema.html
- Piccoli peracottari crescono
http://ilvicarioimperiale.blogspot.it/2014/01/piccoli-peraccottari-crescono.html

mercoledì 9 marzo 2016

Primarie Pd: il grande tarocco.

Domenica 6 marzo come il super Tuesday americano. Orfini, Guerini e Serracchiani riecheggiano il ruolo di Starace: per loro solo dichiarazioni entusiaste sui temi di secondo livello. A Roma ci vanno in pochi e pagano per votare scheda bianca. A Napoli invece pare siano pagati per votare. Per la direzione del Pd va tutto bene e soprattutto i risultati non si toccano.

Valeria Valente candidata a Napoli - Roberto Giachetti a Roma
Domenica 6 marzo a stare al Nazareno, sede della direzione nazionale del Pd, si respirava la stessa atmosfera e lo stesso batticuore che, di là dall’oceano, avevano vissuto pochi giorni prima Hillary e Bernie. 
Nel senso di Clinton e Sanders. Insomma domenica 6 marzo assomigliava, per il Pd, al super Tuesday ammerigano. O quasi: là hanno votato degli stati e qui delle città, che in numero non sono state neanche poche: Roma, Napoli, Trieste, Bolzano, Benevento e Grosseto. A sera, al Nazareno, quando sono stati resi noti i risultati c’è stata festa grande perché i candidati renziani, ma erano quasi solo loro, l’hanno fatta da padroni, soprattutto a Roma e a Napoli. Grande la festa e grandi le dichiarazioni da parte soprattutto del presidente del partito e dei vicesegretari che sembrano essere stati messi in quel ruolo solo per  rilasciare dichiarazioni entusiaste sui temi di secondo livello. Su quelli veramente importanti parla solo Renzi. In questo riecheggiano il ruolo che Starace aveva con Mussolini: poteva farsi fotografare montando bellissimi cavalli ma quello bianco del duce poteva solo saltarlo. Evvabbé, ci sta che i sottopanza facciano i sottopanza.
Le dichiarazioni, per definizione roboanti, han tutte parlato di vittoria e della differenza con l’universo mondo. E quindi: Lorenzo Guerini: «Andiamo a vincere», Matteo Orfini «con loro ( Giacchetti e Valente) torniamo a vincere»  Deborah Serracchiani:«il Pd sceglie con 50.000 persone e non con pochi click.»  Ancora Serracchiani, che non appartenendo al giglio magico deve dichiarare di più per farsi notare «il Pd uscirà più forte.» Poi però il risveglio del lunedì si fa amarognolo e quello dei giorni seguenti ancor più penoso. Intanto i dati sull’affluenza di Roma: alle scorse consultazioni andarono alle urne in circa 100.000, folla da Olimpico, inteso come stadio. Ed erano numeri secchi, quasi (lo si dice solo per scaramanzia) inoppugnabili.  Questa volta i votanti sono stati meno: 50mila. Il reietto Ignazio Marino vinse con il 55% come dire 55.000 preferenze.  La giustificazione per il calo dell’affluenza è stata affidata al solito Orfini:«non hanno votato i capobastone.» Che è come dire che questa volta c’erano solo gli onesti e quei 50mila e più che son mancati erano (e sono) poco di buono  di cui si potrà fare a meno alle prossime elezioni. Però man mano che passavano le ore i numeri romani cominciavano a ballare: prima si è detto 50mila poi 47mila e infine 43mila La differenza è stata imputata a schede bianche o nulle. Giustificazione bizzarra: per votare alle primarie si versa un obolo e immaginare qualcuno che paghi per votare e poi non voti viene difficile. Sempre che non ci si chiami Kafka.

Da Napoli le notizie non sono meglio, chi vince non è propriamente renziana appartiene alla corrente dei “giovani turchi” quella che ha come capo Orfini (sempre lui) e come secondo il ministro Orlando. Correntucola destinata al ruolo dei pescetti che nuotano accanto alla balena: irrilevanti.  Comunque, i risultati sono risicati Valente Valeria, ex bassoliniana, batte Bassolino per poche centinaia di voti. Per vincere ne basta anche solo uno. Se però si scopre che fuori dai seggi c’è chi elargisce denaro la cosa puzzacchia. Almeno un pochino. I donatori di denaro sembra che si siano giustificati dicendo che erano lì in funzione samaritana. Cioè: sapendo che per votare ci voleva 1 euro e conoscendo la cronica mancanza di spiccioli eccoli dei napoletani eccoli lì a provvedere. A nessuno verrebbe in mente che a fronte dell’euro donato ci sia stato come corrispettivo un voto pilotato. Qui non si è detto di capibastone che notoriamente in Campania non esistono. Il governatore De Luca a questo proposito ha parlato disciocchezze e non di imbecilli. La cosa è strana. Che gatta ci covi? In ogni caso per la direzione del Pd sembra non sia successo niente. Sempre la Serracchiani:«faremo chiarezza, ma il risultato non si azzera.» Poi senza alcuna logica cartesiana ha aggiunto: «non saranno trenta persone ad inficiare la partecipazione di trentamila » E se quei trenta ne avessero influenzato 3mila?

venerdì 4 marzo 2016

Renzi Matteo va alla guerra

La questione Libia è risolta dal governo con tre mosse, poi ci sono due corollari. Solo per pignoleria si aggiungono tre considerazioni. Gli 007 mandati in Libia sono gli stessi del caso Regeni in Egitto?  Gli agenti, che avranno licenza di uccidere, a quale James Bond si ispireranno? Si spera non a James Tont.


Del buon senso, come delle stupidaggini, nessuno ha il monopolio e così tutti o quasi apprezzarono Renzi Matteo, in arte segretario del Pd e Presidente del Consiglio,, quando, con buon senso, disse che era quantomeno azzardato mandare truppe in Libia se non si aveva ben chiaro quello che sarebbe successo dopo. 
E come esempio portava sia la scriteriata azione militare americana in Irak del 2002 sia quella altrettanto fessa patrocinata da Sarkozy in Libia nel 2011 La partecipazione italiana in questo secondo caso fu, per così dire, non spontanea. E per una che ne avesse azzeccata il giovane Presidente del Consiglio non ci si poteva che rallegrare. Evviva, evviva. 

Poi però, poiché ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria ecco la minchionata: oggi l’Italia partecipa alla guerra di Libia. In realtà il Belpaese non potrebbe, dato che c’è un articolo della costituzione , il numero 11, in cui è scritto che «l’Italia  ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» Ma anche qui c’è il trucco: basta non chiamarla guerra e il gioco è fatto. Infatti da qualche tempo le azioni militari con cannoni, bombe e fucili, in altre parole, con gli scarponi sul terreno come dicono gli yankee,  si chiamano azioni di pace (peacekeeping). E poiché come noto è la somma che fa il totale se l’azione è di pace vuol dire che non c’è guerra. Che per gli italici è questione facile da capire ma andare a spiegarlo ai libici è un tantinello più difficile. 

Comunque, la questione è risolta in tre mosse e due corollari a cui per pignoleria si aggiungono tre considerazioni, La prima mossa è stata fatta il 10 di febbraio con un bel decreto che stabilisce che il comandante in capo dell’operazione in Libia sia il Presidente del Consiglio. Probabilmente la scelta è caduta su di lui perché è noto a tutti che Renzi ha vestito la divisa dei boyscout. Anche quella era una divisa di pace e quindi, deve essere stato il ragionamento, chi se non lui? La seconda mossa è stata di affidare la missione all’Aise (Agenzia Informazioni Sicurezza Esterna  ). Chissà se sono gli stessi che si stanno occupando in Egitto del caso Regeni,  perché se è così si potranno dormire sonni tranquilli. Primo corollario: le teste d’uovo dell’Aise hanno pensato che per missioni speciali ci vogliono militari speciali cioè uomini dotati di licenza 007. Il che significa licenza di uccidere e impunità per i reati eventualmente commessi, Ovviamente all’interno del mandato dell’ONU. Sembra quasi un film. A questo punto si dovrà decidere, ammesso che un consiglio dei ministri non l’abbia già fatto, a quale modello di 007 i nostri dovranno riferirsi. All’astuto, freddo e seducente Sean Connery o all’elegante ed ironico Roger Moore o al pià sensibile e psicologicamente completo Pierce Brosman o all’algido David Craig? E poi, ci saranno anche le Bond girl? Dubbi amletici, ma l’importante sarà non assomigliare al Lando Buzzanca di James Tont in operazione U.N.O. Comunque quel che è certo è che sarà il boyscout Renzi Matteo  ha decidere, pianificare e controllare le missioni. Siamo i una botte di ferro. Operativamente, dunque, l’Aise risponderà a Renzi e informerà, attenzione all’aggettivo, tempestivamente il ministro della difesa Roberta Pinotti, il ministro degli esteri  Paolo Gentiloni e quello dell’interno Angelino Alfano per, attenzione anche alla seguente frasetta, le materie di competenza. Che è come dire che non si sa quando questi tre saranno informati e poi, ma detto sottovoce, che senso abbia informarli dato che Renzi sa già tutto e li terrà senz’altro al corrente con un SMS. I tweet in questo caso non vanno bene li potrebbero leggere anche le altre tribù libiche nemiche e  quelli di Daesh. 

Terza mossa: in Libia ci sono anche truppe di altri Paesi europei e quindi c’è il rischio di sovrapporsi nelle iniziative, quindi ci vuole una guida. Niente paura il comando di tutte le operazioni è affidato all’Italia. L’orgoglio nazionale è salvo: inglesi e francesi dovranno ubbidire ai nostri ordini. Finalmente al Belpaese viene riconosciuto il giusto peso. La cosa è confermata anche da Ali Ramadan, ministro degli esteri del governo di Tripoli, che però è solo uno dei due governi libici, l’altro sta a Tobrouk e tra i due non corre buon sangue. Secondo corollario: il ministro di Tripoli in una intervista rilasciata al Corsera  proprio il 3 di marzo, aggiunge candidamente che comunque ogni operazione dovrà essere concordata con il suo governo. Cioè prima di ogni azione Roma chiamerà Tobrouk e farà la proposta, discuteranno e poi quando arriveranno ad un accordo verrà ordinato all’Aise di agire. L’Aise a quel punto vaglierà le aree di competenza dei tre ministeri e tempestivamente, dopo un minuto, un’ora, un giorno o una settimana, inviarà una relazione. 

Prima considerazione: in tutto questo non c’è traccia di quel che succederà dopo l’intervento europeo. Cioè proprio come dopo la prima volta in Libia. Seconda considerazione: in prima battuta verranno inviati in quella che una volta era la quarta sponda cinquanta incursori del Col Moschin cui pare ne seguiranno altrettanti del San Marco. Che degli incursori possano portare la pace da qualche parte è pensiero arduo. Però se qualcuno sa dove la possono portare si faccia avanti. Terza considerazione: che succederà quando qualcuno dei nostri ci lascerà la pelle? Perché noi portiamo la pace (ancorché con licenza di uccidere) ma quelli di Daesh non lo sanno.

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