Ciò che possiamo licenziare

domenica 31 maggio 2015

Matrimonio gay: mons. Parolin fa la faccia cattiva della Chiesa. È gioco vecchio.

Per essere cattolici, cioè universali, bisogna saper coprire tutti gli spazi. La Chiesa di Roma in questo è maestra ha cominciato a farlo da subito: con i quattro evangelisti. E poi con Pietro e Paolo e con Francesco e Ignazio. Oggi ci sono la giustizia di padre Dolan e la sconfitta per l’umanità del cardinal Parolin.

Con la vittoria in Irlanda dei sì al matrimonio gay rispuntano nella Chiesa le doppie o triple o fors’anche le quadruple posizioni.  Da una parte don Martin Dolan e dall’altra il cardinal Parolin, Il buono e il cattivo. Il progressista e il conservatore Il primo a dire che si sia sanata «una situazione di grave ingiustizia» mentre il secondo in modo apocalittico parla di una «sconfitta dell’umanità» Come se la burocrazia degli uomini fosse di interesse per il cielo. Ma con la Chiesa questo e ben altro ancora, ci sta. Né potrebbe essere diversamente.

Il parroco, Martin Dolan, che finalmente, dopo lungo travaglio, si dichiara omosessuale e sono fatti suoi su come si relazioni con il voto di castità e il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, che si presume sia etero e anche lui si gestirà a modo suo il suo voto, viaggiamo sotto le stese bandiere e nella stessa istituzione. E non è una contraddizione. Per lo meno in Vaticano.

Cosi come si conviene ad ogni azienda (mica solo il Pd è una ditta) per stare nel mercato con successo è necessario avere tanti prodotti quanti sono i target di consumatori che si vogliono raggiungere. La Chiesa cattolica (καθολικός significa universale) si è posta come obbiettivo primigenio di attirare a sé tutti gli uomini e le donne di qualsiasi classe e censo sociale e di ogni parte del mondo. Obbiettivo ambizioso, ma date le ascendenze vantate ci può pure stare.

Ora il punto è che gli abitanti dell’universo mondo non sono tutti uguali. Non solo per usi, costumi, eventualmente latitudine e longitudine, ma anche per senso del buon senso. Il colore della pelle qui non si cita solo perché farlo è solo stupido. Anzi le maggiori differenze si trovano proprio tra quelli che più stanno vicini e condividono praticamente tutto. Si prenda ad esempio il gruppo dei giornalisti italici, dentro c’è di tutto. Dal sulfureo Travaglio al cerchiobottista Battista, al ruvido Feltri, al fazioso Belpietro, all’ecumenico Cazzullo, al disincantato Mieli. Va da sé che per tutti questi una sola idea di Chiesa non può andare: bisogna segmentare target e offerta di prodotto. Non che per la Chiesa questa sia una novità: lo fa da sempre. All’incirca da duemila anni e spiccioli.

Ha cominciato addirittura con i quattro che hanno scritto i vangeli, segmentandoli per target: da quello esoterico di Giovanni a quello aneddotico di Marco, a quello sociale di Luca, a quello continuista, con il senso biblico,, di Matteo. E poi avanti con Pietro e Paolo: uno a far la parte del buonista mentre l’altro quella del tecnocrate. Poi a salire nel tempo ci ha riprovato con Francesco e Ignazio di Loyola fino ad arrivare ai giorni correnti con il cardinal Romero e  il cardinal Bertone. Belle differenze.

Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, sì come si conviene ha tirato dalla papalina, con poca originalità, la posizione mediana: «non arroccarsi ma neppure accettazione acritica» che ricopia il né aderire né sabotare di socialista memoria. Di tutt’altra fatta la posizione riportata dal Corsera  di padre Brian O’Fearraigh: «Il referendum è una questione civile non religiosa e lo Stato ha il dovere di avere cura dei cittadini a prescindere dai loro orientamenti sessuali.» E che ci vuole a buttare sul tavolo un po’ di buon senso?

Senza contare che si parte sempre da quel «chi sono io per giudicare» pronunciato da papa Francesco mentre era in volo a qualche migliaio di piedi dalla terra e perciò fisicamente oltre che idealmente più vicino al suo sentimento.Insomma come dal giorno alla notte. Che se visto in sequenza alla fine non fa contraddizione. Ed è  soddisfatta l’esigenza di ogni segmento di mercato basta non guardare la cosa unitariamente ma solo a spicchi. E su questo la Chiesa ci gioca. Che lo sanno anche al di là del Tevere che la vita è un gioco.

venerdì 29 maggio 2015

Il partito repubblicano è ritornato di moda.

Il Partito repubblicano sembra in grande spolvero. È evocato al di qua e al là delle Alpi. Ma sempre da quelli sbagliati. Che ne è dei repubblicani superstiti?

A dir la verità più che ritornati di moda i repubblicani di moda lo stanno diventando adesso. Dato che hanno sempre avuto una certa debolezza ad essere minoranza della minoranza. Il fatto che adesso siano richiamati è come dire che quando di un concetto si è perso il senso finalmente tutti lo possono indossare. Magari un domani ritorneranno di moda anche i democristi e i comunisti. Bisogna solo attendere che quelli originali siano, per numero, ridotti al lumicino o spariti del tutto. L’importante nell’azione di repechage  è che siano pochi o nulli quelli che vedendo i nuovi possano dire alzando il ditino: «quelli veri, gli originali, non erano propriamente così» oppure «il senso di quel che dicevano era diverso ancorché le parole uguali.»

Questo è il tempo della riscoperta dei repubblicani. Poveri repubblicani, mala tempora currunt. È di questi giorni che  Berlusconi Silvio ha deciso di rifondare per l’ennesima volta il suo partitello personale. Eccolo  quindi dopo Forza Italia, il Polo del Buon Governo, la Casa delle Liberta, il Partito delle Libertà e un penultimo abortito Forza Silvio, tirare fuori dalle pieghe del lifting un improbabile Partito Repubblicano. Ovviamente fatto, come si conviene ad ogni apprendista stregone, senza nulla conoscere dell’originale. Perché se solo il Berlusconi avesse incontrato in vita sua un repubblicano autentico e non le sue minime controfigure starebbe ben alla larga da un simile concetto e dall’idea di appellare con tale patronimico la sua nuova creatura.

Chi se lo immaginerebbe l’arcorese in politica (spirituale) conversazione con Mazzini, Cattaneo, Pisacane e Aurelio Saffi? Rivoluzionari veri a tal punto decisi a mettere in gioco la pelle e qualche volta pure lasciarcela. Mica tribuni da predellino. Gente di studi profondi e spessi che per primi diedero il via alle cooperative e alle società di mutuo soccorso.  Mica bulimici venditori di patacche. Gente che a essere in minoranza se non proprio il gusto ci aveva la dignità dello starci. Altra stoffa detto con rispetto, per la stoffa.

Così come d’altro taglio erano i repubblicani del secondo dopoguerra che non si spaventarono di essere superminoranza (elezioni del 1953) e di stare fuori dal potere così come furono elementi propulsori per l’ingresso dei socialisti nel governo del Paese e quindi per la nascita della prima versione del centrosinistra. Francamente vien difficile immaginare Bruno Visentini o Ugo La Malfa a consigli dei ministri incentrati sull’andamento del campionato di calcio. Per le cene poi neanche a parlarne. Saper stare a tavola era il primo insegnamento. Sarà a vedere se gli italiani avranno la voglia e lo stomaco di bersi anche questa.

Comunque nel villaggio globale anche le mode sono globali e travalicano i confini. Pure in quel di Francia è il momento dei Républicain. E anche in Francia sono evocati da quello sbagliato: Nicolas Sarkozy. Anche per lui la compagnia con Émile Combes o Édoard Dalidier o Mendès-France dev’essere un po’ indigesta. e insieme vien difficile vederli. Ma d’altra parte non basta un nome nobile per dare prestigio ad un vecchio arnese. Sarà a vedere se anche i francesi se la berranno.


L’unico rammarico è che del partito repubblicano, al di qua e al di là delle Alpi, si interessino tutti meno che i repubblicani. I superstiti. Quelli veri.

domenica 24 maggio 2015

Youth: perché sì e perché no

Paolo Sorrentino è bravo.Inventa spesso storie creative e tecnicamente è un regista quasi perfetto. Espone tesi e lascia il pubblico libero di interpretare. Quel che gli manca è la creatività nel trattamento: fare belle copie non basta. Il copiato sarà sempre meglio.



Perché sì
Paolo Sorrentino è bravo. Anzi molto bravo. È bravissimo. Con Youth ha dimostrato si saper immaginare e poi creare e poi sviluppare delle belle storie su temi che più contemporanei non si può. L’idea di parlare della vecchiaia, anagrafica e anche mentale, chiamandola con il nome del suo opposto è semplicemente geniale. Un’applicazione della teoria del contrappasso che senz’altro non sarebbe dispiaciuta al suo originale inventore. Avrebbe potuto scivolare sullo sdrucciolevole piano dei giovani-vecchi e dei vecchi-giovani, ma non l’ha gatto. Chi è più vecchio tra il regista (Harvey Keitel)  e il figlio? Tra chi vuole costruire e chi semplicemente cambia di giocattolo? Chi è più giovane tra il direttore d’orchestra (Michael Caine) e la figlia?  Tra chi vive d’emozione ogni attimo  dicendo no e dicendo sì e chi ha bisogno di frustrazioni o di imbragature per emozionarsi?  Sorrentino ha preferito, come giusto che sia per ogni vero artista, dare spunti di racconto della sua visione senza coartare la volontà di chi quell’opera guarda. E senza neppure disseminare appigli di nascosata influenza.  L’artista non deve comunicare ma semplicemente dire. È differenza non da poco.  È abilità non da tutti. L’interpretazione tocca ad altri: a chi legge a chi guarda a chi assiste che prende il detto, il disegnato (o lo scolpito) e il proiettato e ci si raffronta. L’interpretazione è fatto unico, privato e personale. Verrebbe da dire da consumarsi nella propria coscienza se non addirittura nel chiuso della propria cameretta. E tutto questo Paolo Sorrentino lo sa e con Youth lo fa.

Perché no

Alla grande creatività dell’idea non corrisponde altrettanta grande creatività di trattamento. Non che manchi del tutto ma è assolutamente minoritaria rispetto al complesso dell’opera. I tocchi spettacolari come ci si immagina nelle intenzioni dovessero essere l’allagamento di una Venezia notturna o i giochi di gigantesche bolle di sapone o l’onirica visione di personaggi del passato fino alla cantante che azzanna cosce di pollo, sono pezzi già metabolizzati. E quindi poco emozionanti. Poco emozionanti perché già visti e ben radicati, per senso ancor più che per forma, nella memoria. Altri, Federico Fellini, li ha già girati e presentati. Per primo. Facendoli essere il suo lui e dunque la sua firma.  Quindi scorci ancorché girati con maestria e dovizia di mezzi, che emozionano solo nella misura in cui ricordano il cinema visionario che fu cinquanta e sessanta anni addietro. Una copiatura per quanto bella resta pur sempre una copiatura ed il confronto con il passato è perdente non foss’altro perché l’oggi si scontra con la nostalgia di un’epoca che non c’è più. Questo è quello che manca a Youth: un trattamento originale. Quel modo di dire (non comunicare) originale che sappia esprimere il senso del contenuto.  Ne Il Divo riuscì a farlo: il trattamento fu brillantemente originale. E poi è facile immaginare che lo stesso Sorrentivo piuttosto che il Fellinni degli anni 2000 vorrà essere (ed essere ricordato) il regista Paolo Sorrentino quello che inventò …. Senza altri termini di raffronto., che portano via spazio sulla scena della storia.

venerdì 22 maggio 2015

PierCarlo Padoan: ignorante e pericoloso .

Con l’intervista rilasciata a La Repubblica dimostra di non aver ben chiaro qual è il ruolo della Corte Costituzionale. Il rivendicare la preminenza delle scelte del governo sul diritto e il richiedere uniformità di pensiero tra Consulta ed esecutivo è storia già vista e apre le porte a pericolose involuzioni

Fino ad ora PierCarlo Padoan pareva simpatico con quella sua aria da gnomo del bosco catapultato in politica e nel governo praticamente a sua insaputa. Faceva simpatia quel suo arrabattarsi (figurativamente parlando)  per trovare i fondi necessari a soddisfare tutti i desideri del suo giovin signore.  Ce lo si immaginava come il piccolo scrivano fiorentino, tutte le notti, chino sui libri dei conti con il lapis appuntito completamente avvolto da quei rotolini bianchi che la vecchia calcolatrice Olivetti a manovella sa produrre a iosa. E si aveva comprensione per quel suo “trovare” un miliarduccio qua e un ,miliarduccio là riuscendo ogni volta a sovvertire l’antica regola della matematica che recita: cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia. Con lui il PierCarlo Padoan da Roma il risultato cambiava a piacimento. Era tenero.

Oggi fa molta meno tenerezza anzi incute un bel po’ di paura e se va avanti così che questa si trasformi in terrore sarà un attimo. Con l’intervista rilasciata oggi a la Repubblica nella quale critica aspramente, i telegiornali dicono bacchetta, la Consulta per la decisione presa sulle pensioni dimostra di essere ignorante (nel senso etimologico del termine) e pericoloso. E non serve stabilire se più ignorante o più pericoloso i due aggettivi assai spesso vanno di pari passo. E il risultato non è bello come spesso dimostrato dalla storia e Achille Starace, tanto per dirne uno, ne fu un efficace esempio.

Per la cronaca il Piercarlo Padoan ha dichiarato «La Consulta doveva valutare i costi della sentenza sulle pensioni» Bello, ma la Consulta non è lì per quello.
È ignorante il Padoan poiché dimostra di non conoscere, di ignorare, il senso ed il perché sia stata istituita la Corte Costituzionale. Gli basterebbe fare un giro su Wikipedia per capire l’enormità di quanto ha dichiarato a la Repubblica. E Renzi potrebbe spiegargli come arrivarci. Alla  Corte Costituzionale è demandato il compito di giudicare la legittimità degli atti dello Stato e delle Regioni e, come soprammercato, ad esprimersi su eventuali atti di accusa nei confronti del presidente della Repubblica. Mica male vero? Quindi sta lì, in autonomia dall’esecutivo, per stabilire se una legge è legittima o non legittima a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Cioè a dire che il suo ruolo è difendere lo Stato di diritto e non la ragion di Stato. Che tra i due c'è una bella differenza.
Quando la Consulta comincerà a tener conto dei desiderata dell’esecutivo significherà essersi incamminati per una brutta china e allora la democratura non sarà così fuori dall’orizzonte. E in questo sta la pericolosità dell’ex simpatico gnomo del bosco.
Tutti gli esecutivi dicono di lavorare per il bene del Paese ma non sempre così è successo anzi sono stati proprio quelli che con più forza e magari anche con l’aiuto della galera si impegnavano a  dimostrare il teorema che, alla fin della fiera, hanno causato i danni peggiori. Di solito si comincia con piccole e medie ingiustizie (come le pensioni) per salvaguardare i grandi temi (il bilancio dello Stato) e poi si finisce con il discriminare quelli biondi con gli occhi azzurri. S’è già visto.

giovedì 21 maggio 2015

Roberto Formigoni: il Celeste poco Celeste

Perde l’aereo e si infuria. Dice che gli italiani sono come lui. Dice di agire come un vero maschio italico. Il soprannome di Celeste mal si coniuga con ire ed escandescenze.

E così, ancora una volta il senatore Formigoni Roberto, ex deputato europeo, ex deputato italico nonché ex presidente della regione Lombardia, ha preso cappello. Questa è espressione educata, magari un po’ demodé, per dire che si è alterato o adombrato o ha perso le staffe o, come dice lui si è inc….ato. però quest’ultima pare poco fine.

Il fattaccio è successo all’aeroporto di Roma: al senatore non è stato consentito di salire sull’ultimo aereo per Milano perché, versione Alitalia-Ethiad, si è presentato fuori tempo massimo al check-in, o versione Formigoni, è arrivato tardi per colpa della disorganizzazione della compagnia aerea. Di certo c’è che è stato l’unico a rimanere a terra e che s’è messo a berciare (altra espressione educata per dire urlare in modo volgare) contro il capo scalo di Alitalia-Ethiad. Nel far questo ha coinvolto mezzo mondo tra cui gli sciocchi (teste di c…), gli sprovveduti (banda di cogl…) e quelli che han la mamma impegnata, in vario modo e titolo, nella più antica professione del mondo o che dalla stessa sono stati abbandonati. (figli di p…). Che siano tutti concetrati in Alitalia-Ethiab secondo le leggi della statistica è altamente improbabile ma così la pensa il Formigoni che per soprammercato ha pure malmenato un telefono fisso.

E dire che al Formigoni è stato dato l’appellativo, un po’ sussiegoso va detto, di il Celeste per quell’aria eterea, altezzosa e anche sofisticata che si è data durante la sua presidenza della regione Lombardia. Oddio oltre che il Celeste lo han chiamato anche il Formiga, appellativo sciatto di  evidenti  origini plebee, ma questo non vuol dire.

Dopo la performance romana il Celeste-Formiga è stato intervistato dal Corsera e anziché far atto di contrizione per essere incorso nel quarto dei sette vizi capitali, l’ira, ha rincarato la dose sostenendo, questo sì atto di modestia, di essersi comportato come avrebbe fatto qualsiasi altro italiano. Con ciò implicitamente ammettendo di non essere così Celeste come voleva far credere e dall’altro canto correndo il rischio di esser querelato da tutti quegli italici che arrivano per tempo al check-in e che anche di fronte agli inconvenienti non danno in escandescenze mantenendo la padronanza di sé stessi. Una class action è ormai alla portata di tutti.

Comunque questa non è stata la prima volta in cui il Celeste si è pubblicamente disunito, gli è capitato a Parigi il 28 novembre 2012, sempre in aeroporto, evidentemente deve averci un fatto personale con le compagnie aeree. Ma anche qualche giorno prima il 16 novembre quando disse alla sua addetta stampa Gaia Carretta «Adesso vai dalla Parodi (Cristina) e le spacchi la faccia o ti licenzio» O ancora prima il 24 aprile stesso anno quando sulla questione dei viaggi con Daccò tolse il microfono dalle mani di una giornalista.


È vero che questo è stato e forse ancora un po’ è il Paese del «Lei non sa chi sono io» ma talvolta è meglio non andare  a sbandierarlo troppo il chi si è. Con i tempi che corrono finire nelle stalle scivolando dalle stelle non è più così improbabile. Per fortuna.

mercoledì 20 maggio 2015

Carlo Cottarelli una calcolatrice in testa ed un’altra al posto del cuore.

Faceva simpatia prima di andare da Floris. Giusto, sostiene, non dare i soldi ai pensionati. Chissà che direbbe se fosse un pensionato. Magari mettere in pratica l’articolo 53 della Costituzione aiuterebbe. Anche Tito Boeri s’è accorto che nel Belpaese non c’è equità.

Il titolo può sembrare melenso e un po’ da libro Cuore, per l’appunto, ma leggendo il pezzo se ne comprenderà la ragione. 
Carlo Cattarelli fino all’intervista con Giovanni Floris, faceva simpatia. Un po’, probabilmente, per quella faccia scavata dalle rughe che ricorda i contadini della bassa a cui Guareschi voleva tanto bene, un po’ anche in antipatia a Renzi che prima l’ha chiuso in un bugigattolo e poi l'ha rispedito al mittente. Cioè al Fondo Monetario Internazionale in quel di Nuova York. Posto di grande responsabilità ma tutto sommato anche abbastanza tranquillo e sicuro, tanto da poter decidere di dimettersi e poi ritornare come se niente fosse. Cosa che invece viene difficile per un qualsiasi impiegato per non dire di un operaio. Guardare le disgrazie del mondo da uno degli ultimi piani di un grattacielo aiuta a prendere decisioni secche ed asettiche. Il coinvolgimento emotivo è basso, per non dire nullo, data la distanza dagli eventi, tuttavia ogni fatto dovrebbe essere capito con la ragione e non semplicemente facendo ballare le dita sui tasti di una calcolatrice. Che se poi la calcolatrice oltre che stare al posto del cuore occupi una gran parte della testa le cose proprio bene non vanno. E si vede.


Ha stupito vedere l’ex simpatico Cottarelli mettersi a difendere a spada tratta, nel metodo e nel merito, quell’obbrobrio che è stata la legge Fornero oltre che sentirlo attaccare la Corte Costituzionale. Ciò che sfugge a Cottarelli come a tutti quelli che discettano di economia, senza mai azzeccarne una, come sostiene l’economista Nassim Taleb e come rimarcò la regina Elisabetta II d’Inghilterra, è che conti in regola ed equità devono essere le due facce della stessa medaglia. Altrimenti quando i conti tornano ma l’equità viene meno se non addirittura sparisce più che i codici di ragioneria vanno consultati quelli penali.

La Fornero, che, sua ammissione, si disse  «non ferratissima» nel mestiere di ministro, e s’è visto, è andata a prendere il soldi laddove era più facile arraffarli. Anche i piccoli marioli preferiscono svuotare le cassette delle elemosine piuttosto che cimentarsi in attività più impegnative e rischiose. Così come i politici paludati preferiscono accordarsi con gli evasori delle slot machine piuttosto che perseguirli fino alla fine. Questi possono far durare una causa anni ed anni mentre il piccolo pensionato se paga l’avvocato o anche solo i “Ciceroni” rischia di saltare tre pasti su tre.

Che la questione delle pensioni sia un problema per il Belpaese è un dato di fatto ma ci sarebbe stato e c’è ben altro modo di risolverlo: il Presidente Mattarella ne ha dato giust’appunto un esempio nei giorni  passati. E se si seguisse quell’indicazione senz’altro sì ci sarebbe il vero cambio di verso. Che poi sarebbe come mettere in pratica l’articolo 53 della italica Costituzione. Ma per farlo ci vuole capacità e soprattutto la volontà di correre dei rischi. Così come sarebbe carino se il Presidente Boeri raccontasse quante sono le pensioni oltre i 5000€ mese e aggiungesse per soprammercato quanti ne percepiscono più d’una e quanti ex parlamentari la sommano al vitalizio e quanti come il Capanna Mario i vitalizzi li cumulano: quello regionale più quello nazionale più quello europeo. E si spera di doversi fermare qui 

Che il direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale Cottarelli, quello con la faccia da contadino della bassa, dica la sua sorpresa per la sentenza della Consulta ed aggiunga che magari «la causa poteva essere presentata un po’ meglio» e in più che  speri che non vi siano altre sentenze avverse alla gestione economica del governo racconta come lui tifi non per lo Stato di diritto ma solo per la ragion di Stato che di solito del diritto se ne frega, ma soprattutto mostra come abbia perso il senso delle origini. Ed è questo il peggio. Il fatto che anche Renzi abbia aggiunto a stretto giro che i pensionati che ricorreranno per riavere il maltolto daranno soldi solo agli avvocati, butta male. Forse sa già come andranno a finire le cause. Preveggenza.  A parlare di sacrifici con la pancia piena succede come ai coccodrilli: vien da piangere.

A l’Huffington Post Tito Boeri ha dichiarato: «In 6 anni 4 milioni di poveri in più. Il sistema non protegge i deboli.» E con questo ha detto tutto. Chissà se Cottarelli legge Huffington Post.

martedì 19 maggio 2015

Per fortuna c’è Gasparri a difendere i pensionati.

Nel 2011 disse che votava per il provvedimento Fornero perché «persone serie, leali e coerenti» Poiché solo gli imbecilli non cambiano idea ha cambiato idea. Oggi dice: «Perseguiteremo questo cialtrone di Renzi» Che non vuol dare i soldi ai pensionati.

I pensionati d’Italia, soprattutto quelli con delle piccole, per non dire misere pensioni, stanno intonando tutti in coro in ogni angolo del paese: «per fortuna che Maurizio c’è.» Maurizio nel senso di Gasparri. Chi altri.

Novello Robin Hood l’onorevole Gasparri ha deciso di raccogliere tutte le sue capacità, senza tralasciarne neanche una, e metterle al servizio della nobile causa dei poveri e bistrattati pensionati. Altro che la Carla Cantone che di questi si occupa solo part time e con delle comparsate dalla Gruber.

Tra tutti quelli dell’opposizione il Gasparri si sta dimostrando l’osso più duro: una sorta di Shwarzenegger o uno Stallone, degli umili e degli oppressi. Da solo vuole mettere in ginocchio tutto il governo, Renzi incluso, infido principe Giovannni sostenuto da quel truce Padoan che assomiglia sempre più al perfido sceriffo di Nottingham. E magari, già che c’è, intende iniziare finalmente anche quella rivoluzione che vagheggiava quarant’anni quando i suoi camerati romani lo insignirono del titolo di “pinocchio logorroico”. Oddio la nasella gli è rimasta e anche una certa logorrea.

L’ultima sua dichiarazione, sempre che sia l’ultima, ma se ne dubita, suona così:«Se il governo limita i rimborsi fa un attentato alla Corte costituzionale perché verrebbe aggirata la sentenza: non vogliamo trucchi» Accompagnata da un: «Perseguiteremo questo cialtrone di Renzi tutti i giorni, non riusciranno a farla franca e se ci sarà un decreto daremo assistenza a tutti». Che nelle sue intenzioni significa essere disposti a «offrire assistenza legale ai cittadini danneggiati dalla riforma del governo Monti e che ora rischiano di veder negati i loro diritti». Va bene che avrà messo qualche soldo da parte, è stato deputato per cinque legislature e da altre due occupa uno scranno da senatore, ed è stato pure ministro, ma tutti i suoi poveri risparmi non saranno sufficienti a sostenere una gigantesca azione legale. La sua generosità sta andando al di là di ogni ragionevolezza. Neanche il vecchio samaritano e neppure i monaci cistercensi o i francescani o le carmelitane dai piedi scalzi arriverebbero a pensare quello che lui sta dichiarando.

Ma non sempre l’ha pensata così. Poiché solo gli imbecilli non cambiano mai idea lui, l’idea, l’ha cambiata in soli quattro anni. Era il 22 dicembre del 2011, quando come capogruppo del Pdl al Senato rivendicò con forza che il suo partito si era battuto per «una maggiore indicizzazione delle pensioni» E per essere chiaro, al momento della votazione aggiunse: «Ci sono quindi in questa manovra luci e ombre, ma il Popolo della Libertà ha assunto una posizione seria e coerente e, come ha già detto alla Camera il segretario del nostro partito Alfano, voteremo favorevolmente perché siamo persone serie, leali e coerenti e non sono cambiate le condizioni che hanno portato a sostenere la nascita di questo governo».Che era quello di Monti e della Fornero. E mentre i suoi si spellavano le mani concluse dicendo che: «Del resto, abbiamo sempre messo al primo posto il bene dell’Italia e oggi il caos non sarebbe il bene dell’Italia».


Silvio Berlusconi non se l’avrà a male se i pensionati intoneranno «per fortuna che Maurizio c’é» in fondo molti sono suoi coetanei e lui, il Berlusconi, ha dichiarato di essere fuori dalla politica. Magari non ci fosse mai entrato, ma oramai la frittata è stata fatta.

giovedì 7 maggio 2015

Expo, Rolex, vitalizi, pensioni abbandoni e Italicum,

Non è ancora finita la prima settimana di questo maggio 2015 che i fatti “epocali” si sono susseguiti uno dopo l’altro. Addirittura accavallandosi. Quasi avessero fretta di nascere per non perdere l’appuntamento con la storia.


Expo 2015
La primogenitura, era il 1 maggio, tocca ovviamente all’Expo. Ci ha fatto un giro anche Matteo Renzi che ha detto essere tutto a posto. Renzi è un re Mida 2.0, a lui basta guardarle le cose perché siano automaticamente perfette, alla faccia dei gufi. Mica come il re della Frigia che per trasformarle in oro doveva far la fatica di almeno toccarle. Non solo a Rho tutto era a posto ma anche i biglietti venduti sono automaticamente aumentati: la sera prima erano 10milioni, e la mattina dopo erano già diventati undici. Miracolo. Che se così fosse si sarebbe già superato del 10% l’obiettivo indicato a marzo dal presidente del consiglio. Dettaglio n.1 il commissario Sala parlava di 20/24 milioni per avere un minimo ritorno economico. Dettaglio n.2  a Shangai i biglietti venduti sono stati 74 milioni. Sapersi accontentare è un grande pregio.

Balck bloc e Rolex
Nello stesso giorno i black bloc si sono dati da fare nel centro di Milano dimostrando la solita organizzazione, la solita attrezzatura (costosa) il solito vandalismo. Chi siano nessuno lo sa, neanche i servizi segreti che a infiltrarsi fra gli anarchici, la storia dice, è un gioco da ragazzi. Ma forse questi non son più ragazzi e magari neanche tanto anarchici. In una foto si intravede un orologio che subito viene etichettato come Rolex e così gli antagonisti diventano «figli di papà con Rolex.» Lo dice Matteo Renzi e lo ripete Angelino Alfano. Cavalca l’onda Gianpaolo Marini a.d di Rolex Italia, che mette alla frusta i suoi comunicatori per stendere una lettera di protesta pubblicata sul Corsera. Chiede una rettifica dal primo ministro e da quello dell’Interno: sa bene che una rettifica è una notizia data due volte.  L’a.d. è indignato perché il brand è accostato ai casseur  quando invece è apparso in altre vicende di mafia o corruzione la cosa non lo ha disturbato affatto. Comunque, un consiglio, che vale per tutti, meglio non chiedere il certificato dei carichi pendenti ai propri consumatori si potrebbe veder la quota di mercato ridursi drasticamente.

Revoca vitalizi per i deputati e senatori condannati
Che lo stato non versi vitalizi a chi lo ha truffato dovrebbe essere una questione di puro buon senso, ma il buon senso nelle aule parlamentari fa una certa fatica a farsi strada. Anche sgomitando. E così per far sì che a malfattori condannati in via definitiva sia revocato l’appannaggio ci sono voluti anni e a guardare la cosa sotto il giusto verso ancora non ce la si è fatta. Grasso e Boldrini hanno deciso di agire d’imperio ma poi si sono trovati impantani: i colleghi volevano togliere il vitalizio solo a chi avesse condanne superiore ai sei anni.  Cioè a dire che un reato come truffare lo Stato, procurare lesioni colpose o indurre alla prostituzione minorile o fare falso in bilancio, giusto per avere un’idea, se commesso da un parlamentare non avrebbe implicato la perdita del vitalizio. Una certa quantità di quelli che stanno nelle patrie galere potrebbero aversene a male. Alla fine il tetto è stato posto a due anni e c'è la strana clausola della riabilitazione. Insomma un piccolo passo in avanti con l'alea del trucco.

Pensioni
La Corte Costituzionale si è espressa contro il provvedimento del governo Monti sul congelamento delle pensioni. Che quell’operazione stesse nelle corde dello sceriffo di Nottingham non c’era alcun dubbio soprattutto considerando che i più colpiti erano i più poveri. La Fornero ha cercato di discolparsi sostenendo che non era sola in quella decisione come se essere in tanti fosse una attenuante e non vi dovesse vedere l’aggravante della associazione. Poi ha detto, in sostanza, che quello era il modo più semplice per ottenere lo scopo che è come giustificare chi ruba le caramelle ai bambini o svuota le cassette dell’elemosina in chiesa. Ma quando arriva Robin Hood?

Abbandoni: Pippo se ne va
Alla fine Pippo Civati ha deciso di andarsene dal Pd ed ha spiegato che l’ha fatto perché  «la mia credibilità si stava offuscando, l’accusa di non avere coraggio stava diventando insostenibile. Il mio caso è tutto politico ma anche molto personale». Magari una motivazione per l’appunto politica, per non dire più seria sarebbe stata apprezzata. Ma trasformare l’acqua in vino non è da tutti. Comunque ora anche Rosy Bindi che fino a ieri Pippo neanche se lo fumava ha dichiarato: «Un fatto politico che non può essere minimizzato» Ma quando cominceranno a crescere questi ragazzi e queste ragazze?

Italicum

Il Presidente Sergio Mattarella ha firmato. Inutile insistere con le recriminazioni. Meglio raccogliere fondi per dar modo all’avvocato Felice Besostri di ritornare subito davanti alla Corte Costituzionale. Se sono coerenti si vince di nuovo e Renzi e magari non solo lui, torna a casa

martedì 5 maggio 2015

Italicum: promessa mantenuta? No.

Tutti a twittare di promessa mantenuta. Anche la Boschi. Renzi un po’ lo dice ma poi aggiunge «senza inciuci» Però a leggere s’intravvede un poco di porcellum e una bella tagliola per chi non sarà fedele.

«Promessa mantenuta» è stata la frase topica che ha contraddistinto tutti o quasi i twitter che le peones ed i peones del pensiero unico renziano si sono precipitati a scrivere con la tradizionale diligenza sui tablet di cui graziosamente la Camera dei Deputati li dota. 

A scorrere quei centoquaranta caratteri viene tenerezza tanto sono diligentemente compitati. Alcuni sono addirittura delle fotocopie, come fossero ispirati, per merito e metodo, dalle antiche prassi del minculpop. Evidentemente  nel passare il testo da twittare i ghostwriter  della presidenza del consiglio si sono dimenticati di aggiungere: «scrivetelo con parole vostre.»  che in molti casi dev’essere proprio stata una fatica da Sisifo e per la tema di sbagliare meglio copiare di sana pianta.

Lo ha fatto, ça va sans dire, anche Maria Elena Boschi, infagottata in quello che più che un vestito sembrava la tenda del salotto della nonna, in quel di otto e mezzo il 4 maggio,  avendo come sparring partner Massimo Franco oltre all’ovvia Lilli Gruber. Naturalmente lei, la prima della classe con l’aria di quella diligente che ripete la lezione mandata a memoria anche se non completamente digerita è stata tetragona: le frasi tutte uguali e il tono monocorde.

In verità la promessa di Renzi sul tema era di buttare alle ortiche la «porcata» di Calderoli e ridare finalmente agli elettori la possibilità di eleggere i loro rappresentanti fuori dalla triste logica dei nominati in modo da avere un Parlamento nel pieno delle sue prerogative. E probabilmente quelli che si sono recati a votarlo alle primarie avevano in mente (anche) quella promessa. Ma alla fine i fatti sono andati diversamente. A leggere quel che recita l’Italicum: bell’impasto (inciucio forse) tra porcellum, mattarellum, semipresidenzialismo strisciante, un po’ di proporzionale,un po’ di maggioritario e, tanto per dire, anche uno schizzo di ketchup che ci sta sempre bene.
In Parlamento dunque siederanno ancora dei nominati. Forse sarà perché anche Renzi pensa che la storiella del «non chiedo fedeltà ma lealtà» non possa durare a lungo e che magari qualcuno, prima o poi, gli faccia notare come i due termini siano sostanzialmente sovrapponibili se posti in quel modo. Che poi sarebbe la versione 2.0 del centralismo democratico che tanto andava in voga nel Pci. E allora meglio avere peones, maschi e femmine in quasi egual misura, consci del loro essere peones. Che poi se questa logica gira su tutti i partiti meglio ancora: mettersi d’accordo diventa pure più facile. E poiché la realtà supera assai spesso la fantasia ecco anche il ricchissimo premio di maggioranza a chi vincerà il ballottaggio. In nome della governabilità come se si potesse governare coi numeri piuttosto che con le idee. Evvabbè.

Che ci siano dubbi sulla costituzionalità della norma lo giura più d’uno e anche di chiara fama. Forse anche il Presidente Mattarella dovrebbe trovarvi qualche argomento di riflessione visto che era tra quelli che bruciarono il Porcellum. Però il mondo gira e non si sa mai cosa ci sia dietro l’angolo.

Se «Promessa mantenuta» è la frase d’ordinanza delle e dei peones Renzi per sé se ne è ritagliata una tutta sua «senza alcun inciucio.» Frase pericolosa, meglio lasciarla maneggiare da chi se ne intende. Un po’ come forbici, i coltelli e temperini che van tenuti lontano dalle mani dei bambini.  E Renzi di inciuci qualche cosina ne sa, dicono i maligni che aggiungono ne abbia messi in pratica già un bel po’. Come quelli per le nomine negli enti, quelli con qualche vecchio arnese del partito, prima decisamente contro poi sdraiato sulla linea, per garantirsi la maggioranza, poi anche con l’assegnazione dei ministeri, dove degli improbabili stanno provando l’ebrezza dell’auto blu, fino agli abbrasson nous con i sanpaoli, folgorati sulla via della bouvette, di Scelta Civica, di Sel e dei M5S. Insomma meglio sarebbe tacere sulle promesse, anche se a molti conviene credere a quella fola non foss’altro che per il piacere di riportare il trolley a Roma.

lunedì 4 maggio 2015

I black bloc, Milano, Giuliano Ferrara e gli altri

Dopo lo scassamento del 1 maggio Milano si rimette in ordine. Ferrarailgrasso non apprezza. Luca Sofri fa lo spiritoso, Rondolino diventa di regime e Scalfarotto si scopre poeta. Questi i veri danni dei casseur.


Giuliano Ferrara, che su twitter si firma ferrarailgrasso con il classico disegno dell’elefante colorato di rosso, ha commentato quanto successo a Milano dopo i fatti del 1 maggio. Come noto la città ha deciso di ripulire immediatamente i segni della devastante azione dei black bloc. Molti volontari già il 2 maggio erano nelle strade armati di pennelli per cancellare dai muri le stupide scritte mentre altri armati di scope, ramazze e palette si davano da fare per raccogliere le macerie.  Poi per essere certa che il messaggio fosse ben chiaro una cospicua parte della cittadinanza, si parla di circa ventimila persone, ha deciso di scendere in strada. La manifestazione oltre che di massa è stata civile, anzi civilissima e silenziosa. L’esatto opposto di quella di due giorni prima. Il che era ovvio.

Il commento di ferrarailgrasso alla manifestazione e al lavoro dei volontari ha suonato così: «Ultima trovata sinistra milanese. Prima allevano i maiali. Poi puliscono il truogolo delle loro deiezioni #buffonateipocrite» Il commento è decisamente ferrariano, chi potrebbe dubitarne e lo si evince dalla classe e dalla indubbia profondità del pensiero. D’altra parte da chi ha organizzato una manifestazione a base di mutande dal sottile titolo «in mutande ma vivi» (nel 2011) e poi un’altra dal velato, ma sincero e forse anche un tantinello autobiografico slogan «siamo tutti puttane» (2013) difficilmente ci si poteva aspettare qualcosa di diverso. Se avesse taciuto sarebbe stato un atto sommamente trasgressivo quasi come aspettarsi che un esibizionista tenga chiuso l’impermeabile. E per ferrarailgrasso ballare sulle punte della finezza è la sua seconda natura. Nessuno riesce a trattenerlo. Neanche il ricordo di essere stato un figlio di papà del comunismo italiano. Almeno un po’ di riconoscenza verso la sinistra ci starebbe. Ma questa non è moneta corrente, almeno da quelle parti.

A commento del tweet di ferrarailgrasso appare dopo neanche un minuto (puntuale verrebbe da dire) la chiosa di Luca Sofri che con il probabile intento di essere spiritoso scrive:«@ferrarailgrasso beh, anche a vederla così, non vedo contraddizioni. È quello che si fa di norma.» Immediatamente ritwittato dal maestro. Che ad essere sinceri vien da collocare la frasetta più nell’ambito del non sense che in quello dello humor. Salvo il fatto che non intendesse avallare il teorema ferrariano. E senz’altro non tenendo conto che i succitati maiali non hanno certo favorito, politicamente parlando, gli organizzatori della manifestazione. Come d’altra parte insegna la storia. Ma, anche qui, i figli di papà non sono necessariamente tenuti a conoscere la storia.

Poi c’è stato chi ha apprezzato la reazione della città. Tra questi gli abituali strumentalizzatori.  Tra gli altri c’è Fabrizio Rondolino, neorenziano sdraiato sulla linea: «Ma che bella questa cosa di Milano, commovente, bellissima. A me sembra l'atto di nascita dell'Italia che sceglie Renzi #NessunoTocchiMilano» Come se un milanese civile debba a forza essere renziano e viceversa. Che renziani doc con qualche magagna se ne trovano in lizza per le regionali e nei ministeri. Poi c’è lo Scalfarotto Ivan che si scopre animo poetico e twitta:« Mi piacciono i tuoi quadri grigi /Le luci gialle i tuoi cortei/Milano sono contento che ci sei.» Chissà se Milano può dire altrettanto dell’Ivan. Poi a stretto giro aggiunge: «Milano, sono contento che ci sei: L'articolo Milano, sono contento che ci sei sembra essere il primo su Ivan S...http://bit.ly/1zpvmos » Non sappia la mano destra cosa fa la sinistra.

Il fatto certo è che i black bloc sono una iattura infinita,politicamente e non. Non solo perché ben addestrati, quasi una milizia, e ben equipaggiati, figli di papà. Veri nuovi vandali che dove passano rompono, incendiano, devastano e poi oltre ai cocci si lasciano dietro una scia di retorica che alla fine è il danno peggiore che a ramazzare quella non ci si riesce mai.