Ciò che possiamo licenziare

domenica 29 marzo 2015

Lunedì 30 marzo: Direzione Nazionale Pd e Renzi si (ri)pappa la minoranza

La minoranza tende la mano alla maggioranza, come se uno indebitato fino agli occhi offrisse un prestito al suo strozzino. Sarà la solita solfa delle ultime direzioni nazionali. Poi Renzi dirà: «non voglio ubbidienza ma lealtà» e così li fregherà.

Lunedì 30 marzo avrà luogo l’ennesima (quindicesima o sedicesima s’è perso il conto) direzione del Pd dell’era Renzi. Sono incontri che al segretario piacciano assai e appena può ne convoca una. C’è chi li chiama Renzi Show anche se mancheranno gli stacchetti musicali della Silvano Belfiore Band ma il segretario lo sa in anticipo e se ne è già fatta una ragione. D’altra parte mica si può avere tutto dalla vita. Glielo ha spiegato anche il suo amico Berlusconi.  

A guardare la cosa dall’esterno può parere una bella prova di democrazia: il capo che mette in continua discussione la propria linea politica non è cosa che si sia vista troppo di sovente nella storia dei partiti e dei movimenti politici. Specialmente quando questi sono gestiti con un certo piglio.  E infatti neanche questo è il caso: la linea non è in discussione è solo uno giochino.

La direzione del Pd è stata convocata con un ordine del giorno chiaro e preciso: definire (una volta per tutte) l’iter delle riforme e dare il definitivo imprimatur all’Italicum. In linea teorica sarebbe un bel momento di discussione se non fosse che su questi temi si sta pistolando da un bel po’, come direbbe un vecchio militante emiliano. E infatti si tratterà nuovamente di un bel giro d’avanspettacolo a cui gli esponenti della minoranza daranno un contributo assolutamente fondamentale per la parte comica.  Anzi a dire il vero hanno già cominciato. Il primo è stato il deputato Alfredo D’Attorre,  bersaniano duro e puro. Per quanto un bersaniano possa essere duro. Che sul puro se non c’è il duro non v’è storia.

Lo sketch di D’Attorre inizia con una lettera inviata al segretario del partito e ai capogruppo di Camera e Senato nella quale la minoranza si dice pronta a tendere la mano alla maggioranza. Nello specifico la lettera propone: «Un’intesa nel merito. Perché ciò che anima la proposta è uno spirito costruttivo, per questo chiediamo di sfruttare questo periodo che c'è fino alla ripresa dell'esame delle riforme per definire una intesa quadro nel Pd» La qual cosa, grammatica e sintassi a parte, è come se uno indebitato fino agli occhi decidesse di fare un prestito al suo strozzino.  Risate a crepapelle in platea tra quelli della maggioranza che ben sanno che molti della minoranza tengono famiglia (e un lavoro non ce l’hanno) e in più qualcuno ha anche il mutuo da pagare.

In più la minoranza non è coesa e questo significherà avere più esibizioni sul palco e un paio magari anche fuori. Come succede per il salone del Mobile a Milano. Tra le manifestazioni fuori direzione c’è stata la partecipazione di Fassina, Civati e Bindi all’evento organizzato da Landini. Partecipazione comunque defilata. Civati starà fuori anche lunedì e se non l’avesse annunciato nessuno se ne sarebbe accorto, mentre invece Fassina parteciperà al Renzi Show perché lui «Combatte dall’interno» Per adesso non s’è visto granché a parte piccole ripicche per non aver avuto il posto di viceministro, ma il ragazzo è giovane e si farà anche se ha le spalle strette.

In platea ci sarà pure Bersani con una piccola schiera di supporter. Lui dirà che bisogna lavorare «per il bene della ditta» che così posta non si capisce perché non stia col capo. Poi ci sarà Gotor che ribadirà quanto sia lunga la strada (ogni tanto si crede Mao Tse Tung) e che la battaglia da combattere sarà la prossima che così facendo non coglierà quale sarà l’ultima e se la perderà. In tutti i sensi.. Un siparietto anche per Roberto Speranza che di penultimatum in penultimatum neanche si renderà conto quando sarà il momento dell'ultimo. Sarà divertente sentire Orfini che, leader della corrente d’opposizione dei Giovani Turchi, fa anche il presidente del Pd oltre che il commissario ripulente di Roma. Probabilmente tromboneggerà alla D’Alema, ne è stato pupillo, che al massimo gli varrà qualche salvacondotto fino a che non si risolverà a diventare anche lui un renziano organico. In quella maggioranza troverà tanti vecchi maestri, come Fassino e Chiamparino giusto per dirne due. Non si sa se ci sarà D'Alema si dice che andrà a far visita ai Carmelitani Scalzi più vicini a lui per umiltà e contrizione. Per loro una flagellazione in più.

Alla kermesse di lunedì ci sarà anche Cuperlo che del dilemma morettiano prenderà la scelta numero due: esserci senza farsi notare. Parleranno poi tutti gli altri: Serracchiani che sapendo di non essere toscana deve ogni volta fare atto di sottomissione, Scalfarotto che aspira a salir qualche altro gradino e strumentalizza il suo esser strumentalizzato, Guerini a far la parte del leninista e poi il resto del circo magico che sono tanti. Non cerchio, che sarebbero pochi.
Il finale è scontato come quello delle altre di direzioni nazionali che Renzi ha gestito: si metteranno al voto le mozioni, la sua per caso si troverà ad avere la maggioranza e lui reciterà uno dei suoi mantra: «rispetto il dissenso ma chiedo lealtà» poi diventato «non chiedo obbedienza ma lealtà» fino al «non chiedo lealtà ma responsabilità» E così li fregherà. Rima involontaria.  E quindi anche questa volta se li sarà mangiati con scarpe, cappello e tutto il resto.

Senza contare, lo san bene quelli della minoranza, che se il governo dovesse cadere e si andasse alle elezioni anticipate conquistare un posto in lista sarà ben difficile e ancor più difficile sarebbe presentarsi agli elettori e soprattutto avere i voti per tornare a scaldare quegli scranni. Per cui la «ditta», chissà quale,forse quella individuale, tornerà a vincere. E Renzi si (ri)papperà la minoranza

mercoledì 25 marzo 2015

Alessandra Mussolini: una buona parola per tutte.

La Mussolini si fa vendicatrice del tradimento della De Girolamo. Alcune signore del centro destra difendono la reproba ma mal gliene incoglie.

Forse a molti sarà sfuggito il sanguinolento scambio di battute tra le donne del centro destra e in altri tempi nessuno se ne sarebbe curato a parte forse Signorini Alfonso che per queste vicende spesso ci perde la testa. Il fatto nasce (21marzo) durante un convegno di Forza Italia organizzato da Altero Matteoli e Maurizio Gasparri dall’emblematico titolo “Riprendiamoci il futuro”, come se non ne avessero a sufficienza del passato. Comunque sia tra i vari oratori ed oratrici (questo detto in omaggio alla Boldrini che vuole i ruoli e le funzioni al femminile) c’è anche l’Alessandra Mussolini. Il di lei intervento si dipana per gli aerei e sofisticati sentieri della filosofia politica quando le viene incontro, quale visione celeste, l’immagine di Nunzia De Girolamo che da qualche giorno sta impazzano nell’etere televisivo. Detto per inciso la De Girolamo ha abbandonato il partito della Mussolini per aderire a quello del “traditore” Alfano. Quindi per la proprietà  transitiva traditrice anch’essa

Una simile visione nella compita dama Mussolini non poteva evocare che altrettanto compite parole ed eccola quindi esclamare: «Non so come sia potuta diventare deputata. Anzi: lo so ma non lo dico.» Che è giusto sapere ma non dire specialmente quando sono in gioco misteri gloriosi e gaudiosi. D’altra parte così vuole la tradizione e la platea ha educatamente assentito con lievi battiti di mani e fini sorrisi. Come si può facilmente immaginare.

Purtroppo per la Mussolini alcune altre signore hanno avuto pensieri non altrettanto garbati, anzi vi hanno visto qualcosa di stonato. Tra le prime a voler dare solidarietà alla Nunzia è stata l’ex compagna di partito adesso Sorella d’Italia Giorgia Meloni. Lo ha fatto con un tweet: «Chissà perché la Mussolini, quando si tratta delle colleghe donna, diventa sempre squallida. Solidarietà alla vittima di oggi N De Girolamo. A parte il fatto che se sono colleghe sono anche donne il commento nella sua soavità ci sta tutto. E a stretto giro di tweet è arrivata la risposta mussoliniana: «Pure la Meloni parla? E' la prova che ho fatto bene #menefrego»  che ha in sé qualcosa di esoterico a parte il menefrego che fa parte della tradizione di famiglia.

Seconda, ma solo in ordine di tempo, ché qui si va per cronologia twitteriana, interviene Renata Polverini alla quale viene riservato un trattamento da clarissa:« Eccone un'altra: tenetevi Forza Nunzia. Forza Italia va dall'altra parte» La parola “forza” per la Mussolini è irresistibile, la metterebbe ovunque, pure sui bucatini. Poi è la volta della Lorenzin, che viene etichettata con «un altro avvocato delle cause perse.» Che suona stonato essendo la  Lorenzin ministra della Sanità e già definita in sede di convegno «dentice» Boh. Colei che senefrega segue logiche mistiche. E questo stesso sapore ha il tweet riservato alla Carfagna, che già in passato l'aveva definita vajassa. Termine ugonotto per dire di donna pia e votata al sacrificio. Questa volta invece suona così: «Brava Carfagna. Dopo in privato ti dico cosa dice di te!» Che come azzardo sembra nebuloso pur lasciando qualche spazio a una casta interpretazione. Da simil consesso non poteva mancare la Mariastella Gelmini, ha un parere su tutto, lei, essendo stata ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca, oltre che, ovviamente, ferratissima sul neutrino. La Mussolini assume un atteggiamento oltre modo misurato e come badessa che si rivolge alla novizia twitta: «Brava! A quando l’ingresso in Ncd? Soprattutto complimenti per il successo del partito in Lombardia.» Chissà che avrà voluto dire?

In tutto questo ci va di mezzo un twittatore, sardo si immagina, che di nome fa Ampsicora. Ha la sventura di ricordare alla Mussolini quel che lei stessa diceva di Berlusconi e quindi è prontamente cancellato. O meglio la Mussolini si autocensura: il sardo non potyrà leggere i suoi tweet.  Ampsicora si lagna del trattamento cui non è nuovo avendolo già ricevuto, dice, dal Maurizio Gasparri che gli impedisce di leggere i suoi preziosi pensieri. Forse se ne vergogna. Anche questa volta, come altre ma non sempre, ci è andato di mezzo un maschietto. Poveretto.  W le donne.


domenica 22 marzo 2015

La minoranza del Pd nuovo circo Barnum.

C’erano tutti, da D’Alema a Cuperlo a Civati a Bersani a Rosy Bindi fino al ritornato Folena. Sembrava una riunione di reduci e dei reduci hanno fatto i discorsi. E rimarcato le differenze. Secondo Bersani il sistema è marcio ma al 90% legale. Sconforto.

Ci fosse stato Antonio Gramsci, come inviato di l’Ordine Nuovo, al meeting organizzato dalle minoranze del Pd  a Roma  (21 marzo) avrebbe avuto una strana sensazione di déjà vu e probabilmente avrebbe riesumato la formula del circo Barnum. Sembra proprio che di questo si sia trattato: l’ennesima riedizione politica del circo Barnum. Tristezza. Con nani (politici) e senza ballerine.

C’era un D’Alema in apparente grande spolvero, ma senza cravatta che invece portava Cuperlo, che peraltro non le sa scegliere. Cos’è la nemesi. Il vecchio in versione trasgressiva mentre il giovane intappato nella divisa d’ordinanza. L’ex ghostwriter e l’ex capo corrente si sono pure punzecchiati. Solo il non-sense della situazione con annesso portato di ironia permette la digestione della retorica versata a piene mani. Banalità.

L’intervento di D’Alema è stato come al solito graffiante pur non dicendo alcunché, meno che mai di nuovo, anche se il tutto era ben coagulato intorno a parole d’ordine ancorate al nulla: « [la minoranza] deve essere capace di assestare colpi che, quando necessario, lascino il segno.» Puro stile dalemiano che conferma la confusione dell’oratore. Un colpo se non lascia un qualche segno non è un colpo e, di conseguenza che senso ha lanciare un colpo che non lasci segni? Sembra un urto involontario. Come in tram. Solo una platea obnubilata dall’astio verso il vincitore può vedere in queste vuote parole qualcosa di vagamente sensato. Ma ognuno si inganna come crede. In verità l’unica ragione di interesse per l’intervento sarebbe stata scommettere sulla quantità dei “diciamo” intercalati dal lìdermassimo. In questo caso: emozione.

Pierluigi Bersani giù dal palco sul caso Lupi dice «Rolex? Basta notizie irrilevanti – poi aggiunge – Sistema marcio ma legale al 90%» che solo a pensarlo un ex segretario del Pd e ex aspirante alla presidenza del consiglio dovrebbe auto cancellarsi. Ma questo non è il caso. Dal palco invece spara l’ennesima metafora: « [la politica del Pd renziano] è come vender casa per andare in affitto.» Poi aggiunge che bisogna star dentro il partito e rimanda tutto ad una riunione da tenersi in un palazzetto poco prima dell’estate. Sarà per fare la prova costume. Balneare.

Cuperlo Gianni con flemma triestina, ha confessato di aver capito al volo l’ultima ametafora di Bersani mentre per quella del tacchino ci ha messo due anni. Che affidamento può dare  su uno che spreca così due anni? Boh.

Nel circo c’erano pure Rosy Bindi che si dice stupita dalla situazione, beata lei che ha ancora spazio per lo stupore, il redivivo Paolo Folena (ex dalemiano pure lui) che parla di «Cinquanta sfumature di rosso» facendo intendere d’aver letto il libro di cui trasla il titolo ma evidentemente non ha mai visto il rosso. Politicamente parlando. Roberto Speranza non è d’accordo con D’Alema mentre Nico Stumpo, in ritardo di cent’anni, riesuma il trito «né aderire né sabotare» Ma forse non ha memoria storica e allora dice: «Né ultimatum né signorsì» Patetico.

Arriva anche Francesco Boccia che con la sinistra non c’entra nulla, oddio neanche gli altri a dir la verità, però è venuto a dir la sua. Forse sente forse il seggio a rischio che anche quello della moglie è vacillante. Ovviamente non poteva mancare Civati Pippo che ha sottolineato come lui le cose sentite alla convention le dica da oltre due anni. Cosa vuol dire la preveggenza. Quindi con nota di ottimismo ed in perfetto stile dalemiano ha sentenziato: «Serve una scossa» Come se quella presa da Renzi non bastasse. Poi ha aggiunto: «Altrimenti, l’ultimo spenga la luce» Anche questa è vecchia l’ha già usata diverse volte. Ripetitivo.


Alla fine, come diceva Nanni Moretti, con questi (ma anche con gli altri) non si va da nessuna parte. Sconforto. Normale.

sabato 21 marzo 2015

Per Lupi è l’ora, se ne va, ma non molto lontano.

Ripete di non essere inquisito il che è vero. Però alcune cose non si fanno solo perché non si devono fare. Lo si spiega ai bambini quando si mettono le dita nel naso. Certi regali poi, direbbe Holiday Golightly fanno un po’ cafone. Quanto a competenza: pochina.

E così Maurizio Lupi, il terrone di Baggio come si autodefinisce, ha dato le dimissioni. Per prendere questa epocale decisione ci ha messo solo 72 ore, ha tenuto a precisare, omettendo però di fare il puntuale computo del numero degli spintoni che si son resi necessari per convincerlo. Ma giunti a una certa età si è soggetti ad amnesie, e questo ci sta. Unici suoi difensori sono stati un’altra dimissionaria da ministro, la De Girolamo nota per la famosa frase: «Fagli capire chi comanda, mandagli i controlli …» e un vecchio ex socialista di sinistra, otto legislature e un passaggio attraverso la P2, cioè Fabrizio Cicchitto. Volendo o potendo si poteva scegliere di meglio.

Comunque, ha tenuto a dire Lupi, «Me ne vado a testa alta». E' una battuta retorica buona come qualsiasi altra di quella fatta in quelle circostanze. Oggettivamente si poteva cercare qualcosa di un filino più originale, ma è anche vero che ad ascoltarlo non c’era quasi nessuno. Quindi inutile sprecare le energie e il costo di un buon ghostwriter. Ciò che maggiormente colpisce è come il protagonista non colga gli elementi portanti sia sotto l’aspetto formale che sostanziale dell’intera vicenda. Che per il conseguimento della laurea un ragazzo riceva un orologio è normale, se a regalarlo sono i nonni che di solito per i nipoti stravedono. Ci sta anche che sia un amico di famiglia, basta che non appartenga al gruppo di quelli che ricevono dal papà tanti e ben remunerati,incarichi di lavoro e soprattutto  che il papà non sia un amministratore di cosa pubblica. Che poi il regalino sia un pataccone d’oro che Holiday Golightly, protagonista di Colazione da Tiffany, bollerebbe come  «un po’ cafone» è nello stile della storia. E solo per non far demagogia si omette di dire che per pagarlo ci vogliono otto o dieci mesi del salario di un laureato precario. I figli si sa sono piezz e core e chi non si darebbe dà da fare per loro? Ma per il combinato disposto di cui sopra meglio non chiedere a chi vive degli appalti del ministero di papà. Trincerarsi poi come unico dato di bravura del giovane virgulto dietro il 110 e lode lo espone solo a perfide ironie.. Così come val poco ripetere a mo’ di mantra: «Non sono inquisito», che magari per scaramanzia si dovrebbe aggiungere, almeno sottovoce, un bel «per il momento». Anche perché mettere dei blocchi al corso della storia o alla provvidenza, non è prudente.

D’altra parte il Lupi Maurizio non ha capito che, come spiega Wittgenstein, alcune azioni non si fanno semplicemente perché non vanno fatte. È come quando si dice ad un bambino che non si deve mettere le dita nel naso: perché? Perché non è bello. Tutto qui. Ma forse è un azzardo pensare che Lupi abbia mai sfogliato qualcosa del filosofo austriaco troppo preso a leggere Tempi, il settimanale di Comunione e Liberazione di cui peraltro detiene quote azionarie.  Eppure qualche campanello avrebbe dovuto sentirlo suonare come quando, nel febbraio del 2014,assieme ad altri cinquecento parlamentari, c’era pure Gasparri che pare sbadigliasse, papa Francesco tenne un sermone lungo il giusto sui sepolcri imbiancati i farisei e la corruzione. Con la scusa di essere un prete che viene da dove finisce il mondo e con qualche difficoltà con l’italiano Francesco ha mischiando passato e presente lanciando più di un avvertimento. Chissà che in Vaticano già non si sapesse qualcosa. Si sa mai. C’è chi su quelle parole ci scherzò sopra e adesso ha tempo di meditarle stando al fresco.  E qualcosa di simile Francesco ha ripetuto quando ha incontrato (5 marzo 2015) gli ottantamila di CL dove invitava «ad essere liberi».

Però per essere liberi bisogna sapere e a dar ascolto alle registrazioni Lupi Maurizio pare non avesse idea di dove stesse lavorando, si fa per dire, e cosa stesse facendo: non distinguere una strada da una ferrovia vien difficile anche alla signora Maria. Per non dire della sua più completa ignoranza sui costi che invece la signora Maria di solito ha sulla punta delle dita.

Ha finito il suo discorso l’ex ministro Lupi Maurizio dicendo che la politica si può fare anche stando dai banchi del parlamento e la cosa è suonata vagamente minacciosa poi ha aggiunto che andandosene rafforza il governo. E magari qualche perfido avrà pensato che se lo imitassero anche Madia, Boschi, Alfano e Orlando, tanto per i dire i primi quattro che vengono in mente questo sarebbe un governo fortissimo. Vuoi mai mettere che qualcuno non ci pensi.

In ogni caso Lupi Maurizio se ne va, sì, ma solo un poco più in là. Pare sia già pronto per lui il posto di capo dei deputati di Ncd spostando Nunzia De Girolamo a chissà che. In fondo per fare il capogruppo la competenza necessaria è minima. Prudenza però vorrebbe di attendere lo sviluppo e magari anche la fine dell’evento. Se qualche filo del sistema Incalza verrà a scucirsi, che ci si spera proprio, si avrà ad un bel rimescolamento di carte e quando questo dovesse accadere verrà poi difficile chiamarsi fuori.  Che dimettersi due volte di fila sarebbe sì originale ma anche bruciante.

lunedì 16 marzo 2015

Tutti contro Landini.

Ha più nemici a sinistra che non a destra. Neanche l’immaginazione di D’Alema avrebbe potuto inventarlo. Con D’Attorre parte l’operazione recupero ma si dimostra che non hanno capito. L’unico che ha capito, anche se di pancia è Renzi.

Alé, adesso tutti contro Landini. Renzi è contro, Speranza è contro, Camusso è contro, la Cgil è contro. 
Sembra contro anche Lucia Annunziata che a in mezz’ora ha speso un’aggressività degna di miglior causa.  Ancora sospeso è Berlusconi, impegnato nei festeggiamenti post Severino, che quando la sbornia sarà finalmente finita non gli parrà vero di avere un comunista autentico a portatadi mano.  Salvini ancora non se ne è accorto perché ha altre gatte da pelare  e comunque non capirebbe. Degli altri inutile dire.

Comunque meno male che c’è altrimenti bisognerebbe inventarlo e , oggettivamente , in giro ce n’è pochi in grado di avere tanta immaginazione da pensare ad un Maurizio Landini.  Neanche D’Alema con tutta la sua passione per la dietrologia e le fini trame  sedicenti politiche ci riuscirebbe  Il fatto è che lui, il Landini, ha messo tutti in mora dicendo qualcosa che non appartiene alle categorie correnti. Un conto è dire alla Tosi Flavio «mi faccio un partito», che poi sarà ino-ino, o alla minoranza bersancivatcuperliana che velatamente minaccia, ma sempre per il giorno dopo, una sorta di strappetto che solo i più arditi chiamano scissione. No, il Landini no. Non si limita a cambiare i contenuti ma anche le forme della politica che lui vuole fare.

Il Landini, quello della Fiom, quello con la felpa rossa, che più rossa non si può, quello che di tanto in tanto ha voglia di siopero, decide di parlare di aggregazione sociale e di processo sul territorio e di favorire la partecipazione. Per forza che allora tutti quelli dell’area Pd sono contro. E quelli che alla buon ora dicono di essere d’accordo come D’Attorre, ma anche quelli di Sel presi in blocco, dimostrano inequivocabilmente di non aver capito. Perché se fossero su quella lunghezza d’onda non starebbero dove stanno e con chi stanno. Uno che ha capito benissimo la posizione di Landini, non di testa, ché bisogna avercela, ma di pancia è Renzi Matteo. Lui ha capito benissimo che la forma di politica ancor prima dei contenuti che di quella sono parte integrante  e viceversa, che Landini propone è il suo esatto opposto. E perciò stesso assai pericoloso perché mortale nemico.

Porsi la questione del perché la gente non va a votare non è prioritario ma nemmeno coinvolgente per Renzi, per Berlusconi e per tutti gli altri, troppo interessati a considerare le percentuali come rappresentative dell’intero popolo e non solo dei votanti. Come più giusto, perché se così si facesse il consenso passerebbe dal 40% a circa il 20% che non è esattamente la stessa cosa. Se si parte dal territorio e si va a salire i contenuti dell’azione politica, oltre che le modalità di gestione della cosa pubblica sono all’esatto opposto. E questo forse non piace a chi sta inopinatamente scaldando i sacri scranni.

Certo che la foga landiniana è tacciata di velleitarismo che è un tentativo primitivo di demotivazione come se non si sapesse che si può essere detti velleitari solo dopo. Se si riesce si è innovatori se si perde velleitari, quindi per questo c’è tempo.  Comunque nel molto di nuovo si colgono interessanti sentori di argomenti cari a Pietro Ingrao (Masse e potere) e ad Adriano Olivetti anche se davanti all’Annunziata l’unica citazione è stata per Bruno Trentin. Come volevasi dimostrare.

venerdì 13 marzo 2015

Boschi, Bersani, Berlusconi, Bagnasco, Battisti: settimana cruciale

Settimana ricca di eventi quella appena trascorsa che, se non ci fosse Enrico Mentana che lo ripete ad ogni inizio di telegiornale,  la si potrebbe definire addirittura cruciale. I cinque big  hanno il cognome che inizia con la "b".

I protagonisti sono (quasi) sempre i soliti e proprio non si capisce come non gli venga a noia ripetere in continuo la stessa parte in commedia. Si fosse a Broadway  la cosa potrebbe anche andare ma non si può contrabbandare il “teatrino della politica italiana” con il Fantasma dell’Opera, troppo il dislivello emotivo per non dire di quello culturale.  

Boschi: la principessa della settimana.
Senz’altro il titolo Maria Elena Boschi se lo merita ché, se non fosse per l’età e per lo status di single, potrebbe ambire a quello di regina. Ma ha tempo e, in fondo è da solo poco più di un anno che sta replicando il suo personaggio di adolescente (adesso arrivano fino ai 36 anni) impegnata a governare.  La sua riforma costituzionale è passata alla Camera con un voto maramaldo: hanno votato a favore coloro che l’avversano e contro chi l’ha scritta. In entrambi i casi si è trattato, hanno sottolineato ghignando i renziami, di gente che tiene famiglia e in taluni casi anche un mutuo sul groppone. In teoria la riforma dovrebbe semplificare, verbo caro nientepopodimenoche al Calderoli, ma se il paradigma è l’articolo 70  che da una riga passa a una sbrodolata legulea c’è poco da stare allegri. Comunque ha tenuto testa al giornalista Damilano almeno nella forma se non nella sostanza dato che certe affermazioni possono essere difese solo reiterandole piuttosto che spiegandole.  Laddove l’ottusità fa premio sulla ragione.

Bersani: l’uomo del penultimatum.
All’inizio la battaglia sulla costituzione doveva essere quella risolutiva ma poi l’ex segretario Bersani ha deciso che per il bene della “ditta” avrebbe votato a favore pur non condividendo. E ha spostato l’ultimatum, sempre che sia l’ultimo e non il penultimo o addirittura il terzultimo, alla legge elettorale. Da ciò si capisce che bene l’on. Bersani non ha mai lavorato e tanto meno vissuto all’interno di una vera ditta. Comunque sia si sta facendo sfogliare come una cipolla, strato dopo strato perdendo terreno. Forse ha in mente la storia degli Orazi e dei Curiazi ma deve averla digerita male. L’Orazio scappava davanti ai tre Curiazi per dividerli e quando si fermava ne faceva secco uno. Qui invece solo di fuga si tratta. Twitta uno di quelli a lui più vicini, il senatore Gotor Miguel, che la partita è lunga, il che può anche essere ma dimentica quel che diceva Boskov:«la partita finisce quando l’arbitro fischia.» E nel caso specifico il fischietto l’hanno in bocca gli altri.

Berlusconi: la madre di tutte le assoluzioni
La Cassazione ha confermato la correttezza formale della sentenza della Corte d’appello di Milano: Berlusconi è innocente sia per la concussione sia per la prostituzione minorile. Ai colpevolisti rimangono i dubbi mentre gli innocentisti si rafforzano nella loro precedente idea. La logica purtroppo, o per fortuna, non è univoca e quindi ci stanno tutte e due. Quel che è oramai acclarato è che Berlusconi sia un bugiardo e questo per ammissione del suo avvocato difensore professor Franco Coppi che ha detto: «difficile dimostrare che (a quelle cene) si parlasse di Dante o Benedetto Croce.» Lo si sapeva, ma questa è autorevole conferma. Comunque i processi berlusconiani sono ancora una lista lunga, per fortuna del professor Coppi che avrà altre possibilità di esibirsi in Cassazione, e di emettere fatture, e per sfortuna degli italici che magari meriterrebero un cicinin di meglio.

Bagnasco: il naso della Chiesa
A quanto pare la Chiesa cambia il titolare della ditta (per dirla alla Bersani) ma non il vizietto di cacciare il naso nelle questioni italiche. Lo facesse con uguale regolarità e impegno in Francia o in Spagna o in Austria se ne vedrebbero delle belle. Comunque personalmente la cosa non mi da fastidio, è come andare al circo: più  gente entra più bestie si vedono. Così dopo L’Avvenire e il monsignor Galantino segretario generale della Cei ha detto la sua anche il cardinal Bagnasco che della Cei è presidente, invitando Berlusconi  a valutare il contesto prima di tornare in politica. Come se mai ne fosse uscito. Laddove è chiaro l’invito a starsene a casa. Certo un bel giro di valzer da quando monsignor Fisichella gli dava la comunione. Giusto per dire quella più famosa che altri fiancheggiamenti se ne trovano nelle annate dei giornali.

Battisti: non si riesce a riprenderselo
Non c’è verso, ogni volta che l’Italia perde uno dei suoi figli non riesce a farselo ridare da chi lo ha trovato o rubato. Non ci si riesce da tre anni con i due marò o da una settimana con il comandante dell’Idra Q e da molti più anni con Cesare Battisti. I primi tre sono persone normali che hanno avuto incidenti sul lavoro l’altro invece è un delinquente comune passato negli anni di piombo alla lotta armata ed ha ucciso nel rapinare. Comunque neanche lui si riesce a farselo restituire e dire che era in Francia, a portata di mano. Adesso è in Brasile ma pare che la cosa non faccia differenza. All’Italia vengon bene solo le restituzioni che sono a pagamento ma quelle son atti da ladroni.

È probabile che la settimana prossima sia uguale a questa ma l’ottimismo della volontà lascia qualche speranza.

martedì 3 marzo 2015

Gianluca Buonanno l’arma segreta per distruggere l’Isis.

Una vita a fare il politico di professione. Mai meno di tre incarichi in contemporanea. Una passione compulsiva per la carica di sindaco. Se  l’Isis lo catturasse segnerebbe l’inizio della sua fine. Dimostrerà che esiste la regione della Tajinia. E ne chiederà la secessione. Porterà Al Baghdadi a fare il tronista nei locali della riviera romagnola.

Il deputato europeo Gianluca Buoanno ha comunicato al globo terraqueo che partirà, da solo, per la Libia e che se per caso dovesse cadere nelle mani dell’Isis non vuole assolutamente che si dia soddisfazione ad una eventuale richiesta di riscatto. 

Forse in pochi hanno in mente chi sia Gianluca Buonanno. Poco male, si può vivere e anche bene, pur  senza saperlo. Comunque, per chi non lo conoscesse qualche informazione a corredo di quella già sopra indicata. Gianluca Buonanno si guadagna da vivere facendo il politico di professione e lo fa, attualmente sotto le insegne della Lega Nord, dopo un periodo nel Msi e poi in Alleanza Nazionale. In vita sua, oggi ha 48 anni, ha lavorato solo qualche tempo, poi la politica. Successe anche a San Paolo. Gli piace da morire fare il sindaco e l’ha fatto in ben tre cittadine: Serravalle Sesia (1993) e poi di Varallo Sesia (2002) e di Borgosesia (2014). Ha trovato il tempo e le energie per essere consigliere provinciale di Vercelli, nonché vicepresidente e presidente della stessa provincia, assessore al comune di Borgosesia e, come poteva mancare, consigliere alla regione Piemonte. All’epoca era un fedelissimo di Roberto Cota quello che aveva la passione delle mutande verdi e infine è stato parlamentare per due legislature in Italia mentre ora lo è in Europa. Ovviamente tutti questi posti non sono stati occuparti in sequenza, come verrebbe di pensare,  ma in parallelo. Abilità questa che forse gli deriva sempre dal Cota che riusciva a pranzare contemporaneamente in due ristoranti distanti qualche decina di chilometri l’uno dall’altro. 

Nel 2008 il Buonanno era sindaco a Varallo e vicepresidente della provincia di Vercelli nonché deputato nazionale: neanche Nembo Kid ce l’avrebbe fatta, lui invece sì. Unica dèfaillance  quando si dimise da vicepresidente della provincia (2009) per occupare il posto di assessore a Borgosesia. Però rimanendo sindaco e parlamentare. Insomma se gli incarichi non sono almeno tre si sente di stare con le mani in mano. Uno stakanovista della politica, che fa senza fini di lucro. Ha dichiarato di non volere il vitalizio da deputato italico, non si sa se la cosa sarà possibile, ma intanto ha fatto richiesta. Su quello regionale ed europeo non si è espresso. Ma ha tempo. Va matto per Vasco Rossi a cui ha dedicato un monumento ma evidentemente non coglie il significato dei testi perché se così fosse non farebbe quel che fa ne direbbe quel che dice.

Le sue performance parlamentari sono ficcanti e surreali quanto i dialoghi di Petrolini di cui il nonno pugliese è stato spalla. Ha scoperto che esiste la padania non perché l’abbia trovata negli atlanti ma perché c’è il grana padano che è come dire che esite la sciacquonia perché esiste lo sciacquone. Ma  questi sono stati solo gli inizi. Poi si è affinato portando alla Camera un forcone di cartone a simbolo dei contadini, quindi si è dipinto la faccia di nero per dire che in Italia i neri abbiano maggiori diritti dei bianchi. Un’altra volta, era però il primo di aprile, durante un intervento, confuso il giusto, ha sventolato una spigola parlando di sardine ed acciughe. Queste a suo dire vengono date ai pensionati ed ai poveri mentre quella se la pappa la Boldrini, presidente della Camera. Cosa c’entri non si sa. A febbraio dell’anno scorso ha esibito delle manette dicendo che vorrebbe vedere i delinquenti in galera e le persone per bene a passeggiare per le strade. Auspicio apprezzabile che magari si potrebbe raggiungere lavorando con serietà in parlamento. Dove peraltro il Buonanno risulta essere uno dei più presenti con una percentuale del 98%. Come faccia anche a fare il sindaco è un mistero.

Fatti eclatanti da segnalare al parlamento europeo non ce ne sono se quando rivolgendosi alla Mogherini ha detto: «Lei non conta un c…. » Aggiungendo che anche il parlamento europeo a livello internazionale non conta nulla e che anzi gli pare che tutti dormano e quindi per dare la sveglia e la carica ha messo in azione una trombetta da stadio. Bazzecole può fare di meglio. E lo dimostrerà.


Ora vuole partire per la Libia per verificare di persona cosa succede e questa è una grande opportunità per l’Europa. Non per liberarsi di Buonanno, che il cielo lo conservi, ma perché questi è l’arma segreta per distruggere l’Isis dall’interno. Se Buonanno fosse catturato e immediatamente dichiarasse di essere un parlamentare europeo subito lo porterebbero alla presenza di  Abu Bakr al-Baghdadi e dell’intero quartier generale e magari anche di John il boia. Senz’altro lo interrogheranno e quello sarà il loro errore. Buonanno gli spiegherà tutto quello che devono fare e si lancerà in uno dei suoi discorsi conditi con trombette, spigole, bottigliette di sabbia del deserto, uomini blu che si dipingono la faccia di bianco, cammelli sodomiti e altro a piacimento. E poi, come ha fatto a Varallo, suggerirà disseminare il deserto di jihdisti di cartone per intimorire i profughi miliardari italiani che salpando in yacht  da Lampedusa cercano di attraccare al porto di Tripoli. E spiegherà che non ci si può fidare dei meridionali da dovunque vengano perché vogliono portare  via il lavoro agli autoctoni e che «prima il nord» è meglio di qualsiasi altro progetto. E svelerà loro che devono combattere per la secessione della regione tajinia perché se esiste il tajine esiste anche la tajinia. E così non avendo gli anticorpi che l’occidente si è costruito in oltre vent’anni di leghismo l’Isis si dissolverà. Al Baghdadi fuggirà sulla riviera romagnola e si impiegherà come tronista mentre John il boia si metterà a fare il piastrellista a Varallo Sesia E tutti vivranno felici e contenti.

domenica 1 marzo 2015

Twitter e la politica

I social network fanno audience i politici ci si infilano. Il punto non è che stiano lì quanto il come ci stanno. Quattro modi d’esserci: dai comunicatori ai cazzeggiatori. I compulsivi come Brunetta e Salvini. I censori come Gasparri, Giuliano Ferrara e ovviamente Brunetta.

I politici che frequentano twitter si possono dividere, ovviamente con la tara delle schematizzazioni, in quattro categorie: a) i comunicatori b) i ritwittatori, c) i segnalatori e d) i cazzeggiatori, che talvolta sono anche cazzari, Naturalmente non si tratta di categorie rigide, può capitare, e capita spesso, che la stessa persona sia presente in due o più cluster. L’uomo non è di legno.

Principe della prima categoria è  Renzi Matteo. Forse è stato il primo a capire le potenzialità del mezzo e soprattutto ad utilizzarlo con precisione. La sua iscrizione risale al gennaio 2009 ed il suo primo  tweet di cui si abbia traccia è del 18/4/13, era ancora sindaco, e racconta: «In Piazza Dalmazia ad inaugurare un nuovo fontanello: beneficio per l’ambiente, un risparmio per le famiglie #coseconcrete m#firenze» Poi  sono venuti tutti gli altri che ad oggi assommano a 4.267, neanche poi tanti quanto sembrano, ma il paradigma è rimasto immutato: Matteo Renzi (sindaco o premier) lavora per il bene della collettività ed è impegnato in cose concrete e il domani sarà radioso. Pochi i tweet fuori schema, il più famoso «#Enricostaisereno» (17/01/14) e il più recente «Evitato il cucchiaio di legno. Strepitosi gli azzurri del rugby #seimnazioni» (28/02/14) Mediamente ritwitta quasi nulla. 

In questa categoria si iscrive anche Brunetta Renato, (febbraio 2009), twittarore comulsivo (19.400 tweet) e può arrivare anche a 18/20 tweet giornalieri (28/02/14) pure se molti sono ritwit. In genere i suoi messaggi fanno riferimento ai fatti del giorno, sono polemici e qualche volta, come ti sbagli, anche astiosi. Il suo primo riferimento è il Mattinale, il suo notiziario che esce di pomeriggio. Se poi qualcuno gli fa notare che per l’orario d’uscita il gazzettino dovrebbe chiamarsi Pomeridiale o risponde con uguale polemica ai suoi pensierini si adombra ed impedisce al reprobo di seguirlo oltre e per colmo della beffa si autocensura. Come dire: la storia del marito che si evira per far dispetto alla moglie gli si attaglia.  Quindi il Brunetta sta in tre categorie: i seri (nel metordo), i ritwittatori e i cazzeggiatori, sottocategoria cazzari. 

Pure Matteo Salvini, usa il mezzo con puntualità ed intelligenza di metodo, nel giudizio i contenuti non sono ovviamente compresi. Si è iscritto tardi (marzo 2011) ma ha recuperato il terreno perduto (9374 tweet). Compulsivo anche lui: un centinaio di tweet nella sola giornata del raduno romano e comunque almeno una decina la sua media giornaliera.  Polemico verso tutti accetta le polemiche che lo toccano, anche se non risponde e tutto sommato ritwitta poco.

Nella categoria dei ritwittatori (talvolta anche frenetici) stanno in genere figure di seconda schiera che, in genere, hanno poco da dire e si contentano di rilanciare messaggi altrui perché a loro favorevoli. Categoria affollata c’è solo l’imbarazzo della scelta: Ravetto, Misiani, Gelmini, Speranza Gasparri, Moretti, Adinolfi, Scalfarotto …

I segnalatori sono quelli che hanno preso twitter per la loro agenda personale e quindi segnalano con puntualità a quale trasmissione radio o tv o convegno o seminario o conferenza o sagra del formaggio parteciperanno. C’è addirittura chi squaderna la sua fatica giornaliera. Che è come dire«guardate quanto sto lavorando.» Che ci mancherebbe altro.  Il messaggio tipo: «tra poco (ore18,30) all’italian book shop di Londra a parlare di informazione costituzionale con amici e compagni del pd Londra» (Scalfarotto) oppure :«In viaggio per Bologna per Stati Genere le #donne ER e questo pomeriggio ad Ancona per inaugurare Casa Demetra» (Fedeli) O anche «giovedì 19 #opensenato, h 8,30 commissione, h9,30/15 #votofiducia #decretoIlva, h16 aula interrogazioni #Stefy2015» (Pezzopane) E anche «Cari amici, Tra poco sarò in diretta su RTB- Retetelebrescia #sempresulterritorio» (Lara Comi)   Che in verità è quello che ci si aspetta da un deputato o da un senatore: che lavori. Come se Cipputi twittasse: «h7,15 timbro cartellino, h7,30 inizio turno, h7,31 primo bullone avvitato, h 9,30 pausa bagno ……» ma Cipputi non può twittare.


Infine i cazzeggiatori (qualche volta cazzari) sono quelli che scrivono tutto  quello che gli gira per la testa. Ci sono quelli che, con il giusto grado di demagogia, vogliono dimostrare di essere come tutti i mortali quindi inneggiano alla squadra del cuore: «Due giorni a #RomaJuve Riviviamo la storia della sfida in meno di un minuto» (Boccia) O quelli che cercano un lavoro alla Rai: «@storace giornalista professionista da tempo quasi quasi faccio domanda pure io…» la firma è di Gasparri. Più comico di così. Ancora: «Ieri al lavoro fino a notte inoltrata alla Camera. Si ricomincia stamani con un unico obiettivo: cambiare l'Italia #lavoltabuona» ( Maria Elena Boschi) Nella sub categoria dei cazzari ci sono quelli che non vogliono essere letti: uno è Brunetta e s’è già detto poi ci sono Gasparri, non poteva mancare, e Giuliano Ferrara che si firma @ferrarailgrasso. Degli insultatori non si dice. Non vale la pena.