Ciò che possiamo licenziare

giovedì 27 febbraio 2014

Pierluigi ed Enrico: i due perdenti che si abbracciano

In Italia non c’è come morire o perdere perché si parli bene di qualcuno. Gli italici sono fatti così: prima aiutano a cadere e poi si prodigano in simpatia e pacche sulle spalle. Qui si tifa sempre per l’asticella. È successo anche il 25 di febbraio mentre la Camera (un po’ controvoglia) votava il governo Renzi. La regola vale per quasi tutti: non per D’Alema che è antipatico sempre, anche quando perde.





Se si nasce nel Paese del melodramma la scena madre ce la si deve aspettare e sorbire anche nella vita di tutti i giorni. Succede sempre. È un classico che non si può evitare. 
Il fatto di essere, millantandolo, un popolo di brava gente ha questo come effetto collaterale. E così non poteva non succedere che nel giorno del trionfo (anche se un po’ stitico) di Matteo Renzi si materializzasse il drammone strappa lacrime e strappa applausi. 
I protagonisti della sceneggiata, che di questo si è trattato, sono stati i due sconfitti: Pierluigi Bersani ed Enrico Letta. Entrambi conoscono troppo bene il copione e la parte quindi per loro è stato come bersi un caffè.

Il primo ad entrare in scena è stato Pierluigi che ha utilizzato  proprio il giorno della votazione della fiducia al rivale degli ultimi anni quale palcoscenico della sua rentrée. La notizia non era trapelata: grande colpo da maestro. È entrato zitto zitto e quatto quatto, secondo la l’adagio che «mi si nota di più se ci vado e non mi faccio notare» E infatti così è stato. L’hanno notato tutti, ovvio, e giù applausi. Ovvio. Che poi ad applaudire fossero proprio quelli che lui aveva messo in lista e soprattutto, nel listino dei nominati va da sé.  Erano proprio quelli che negli ultimi mesi si sono esercitati con grande successo nell’esercizio del salto della  quaglia. Quello che si sviluppa in tre step: bersaniano, ex bersaniano, renziano.  E nella squadra di governo di quelli ce n’è un tot e nel partito anche di più. La Marianna Madìa in questo è una campionessa e neanche fosse uno storione ha saputo risalire tutte le correnti fino ad arrivare a quella di Renzi. Ha saltato solo quella di Civati che tanto non conta una fava.

Comunque tutti erano dimentichi dei gravi errori commessi dal Pierluigi: aver accettato il governo Monti anziché imporsi per andare al voto, ma in quel caso la fifa aveva avuto il sopravvento perché per governare bisogna almeno avere l’idea, platonica, di esserne capaci. Poi ha scialacquato l’enorme vantaggio che aveva sulla destra facendo giochini scemi sulla smacchiatura del giaguaro. Quindi è andato a ripescare come presidente della repubblica uno che in lui non aveva nessuna fiducia, che farsi del male va bene ma insistere è un po’ da tarlucchi,  e infine anziché rivendicare il proprio ruolo di leader del primo partito si è fatto scavalcare dal suo vice. Che poi segretario del Pd diventasse Renzi stava nelle cose.L’aveva capito anche Gasparri.

Quando oramai la claque si era messa tranquilla è stata la volta di Enrico Letta. L’aria un po’ spaesata come di chi è lì per la prima volta s’è mutata nell’espressione, più intensa, di quello che sta per mandar giù un bel cucchiaio di olio di fegato di merluzzo. Che se poi glielo avessero dato per davvero quand’era piccolo gli avrebbero senz’altro fatto bene: così veniva su bello forte e poco democristiano. Ma non l’hanno fatto. Anche per lui grandi applausi da quelli che erano suoi amici e che, rimanendo amici, non l’hanno sostenuto fino in fondo. Probabilmente il buon Richetto stava ancora cercando di capire il senso di #enricostaisereno. Evidentemente deve aver saltato qualche ripetizione dallo zio Gianni. Evvabbé. 

Appena entrato il buon Richetto, che  a far l'elenco dei suoi errori non bastano le pagine, s’è guardato attorno spaesato e poi è andato da Pierluigi e si sono dati la mano e poi abbracciati e giù a darsi pacche sulle spalle come se questo bastasse a trasformare due perdenti in un mezzo vincente. Ma non è così che funziona. Un perdente è sempre un perdente. E due perdenti sono sempre due perdenti. E mentre andava in scena questa rappresentazione da libro cuore tutti di nuovo ad applaudire quasi a voler dire a Renzi «Lui sì altro che te» Renzi comunque non si è scomposto anche lui ha fatto clap-clap. Tanto non costa. E comunque il posto ormai è suo.

Strana razza gli italici che nella competizione sportiva tifano sempre per l’asticella e si dicono, sottovoce perché non sta bene, «adesso cade, adesso cade» e se succede subito a correre a consolare il perdente. I perdenti in questo paese sono simpatici e in qualche modo amati. Furono simpatici Veltroni e Prodi, lui addirittura tre volte, e anche Fini un pochetto, e adesso ovviamente il duo Pierluigi e Richetto.  Mentre i vincenti piacciono un po’ meno. Salvo naturalmente che non siano anche cialtroni: l’abbinata vincente-cialtrone invece piace. Guarda come è strano il mondo..


Come ogni regola che si rispetti anche questa gode della sua bella eccezione. Eccezione che ha alle spalle una lunga serie di sconfitte e ovviamente un nome ed un cognome. L’unico che non riesce simpatico neanche quando perde è D’Alema.


domenica 23 febbraio 2014

Papa Francesco dice ai suoi nuovi cardinali di evitare intrighi chiacchiere e cordate.

Un altro toccante appello di papa Francesco. Questa volta è destinato ai diciannove cardinali che ha appena nominati. Che non fidarsi di quelli che si sono appena nominati non è bello. Chiedere a dei principi della Chiesa di non sentirsi a corte è come chiedere ai pinguini di volare alto. A mettere la mano sul fuoco per questi si corre il rischio di far la fine di Muzio Scevola


Oggi all'Angelus  papa Francesco si è esercitato nella nobile arte del monito .  E non è la prima volta. Evidentemente non sta imparando granché dall'esperienza di Giorgio Napolitano: i discorsi più sono toccanti e meno incidono  Lo sa bene il Presidente della Repubblica Italiana che monita dalla mattina alla sera con una petulanza degna di miglior causa. Ammesso che la petulanza possa avere una buona causa su cui esercitarsi. Però e non è una novità tutti se ne fregano. Anzi. Con grande perfidia i parlamentari italici, oggetto di tanti moniti, dopo aver ascoltato le monitanti presidenziali parole che pretendevano di essere anche una reprimenda e che ai più sarebbero apparse degli insulti, lo applaudirono. E pure entusiasticamente. Probabilmente pensando tra sé e sé a frizzi e lazzi e magari pure a cose irrepitibili anche dalla più volgare Littizzetto. 

Il discorso, come nello stile bergogliano, è stato chiaro e difficile da equivocare. Almeno questo è un vantaggio. In buona sostanza il papa ha ammonito i nuovi cardinali, detti principi della Chiesa, a non pensare di entrare in una corte dove  gli intrighi le chiacchiere e le cordate  la facciano da padrone. Piccolo dettaglio i destinatari di tanto appassionato discorso sono stati i cardinali nominati da lui sé medesimo, neanche un giorno fa. E lui, Francesco, questi nuovi diciannove cardinali dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) conoscerli bene anzi benissimo quasi come le dita delle sue mani. Infatti prima di nominarli avrebbe dovuto (sempre d’obbligo il condizionale) valutare di ognuno il curriculum vitae e considerarne le tante e profonde qualità e i pochi, sempre lievi ovviamente, difettucci, come ad esempio quello di bere due tazzine di caffè di troppo ogni giorno o di andare pazzi per le praline alla mentuccia. Quindi scartare quelli che apparissero men che cristallini. Insomma avrebbe (sempre condizionale) dovuto procedere a quello che in gergo si definisce l’analisi del sangue. E solo ad esito acclaratamente immacolato procedere alla consegna della purpurea papalina. 

Che poi sulla lealtà dei diciannove al vangelo ed alle linee guida della dottrina, che come sempre quando si tratta di princìpi viene difficile trovare delle pecche, dovrebbe poter mettere con tutta tranquillità la mano sul fuoco. Se invece teme di fare la fine di Muzio Scevola, cosa tutt’altro che improbabile visti i precedenti, allora significa che c’è qualcosa che non va e c’è del marcio. Quel che non va, almeno per le esperienze passate, è proprio la sostanza del piccolo ma potente stato del Vaticano. Insomma con quel discorso, sfrondato dalla inevitabile retorica, è come se papa Francesco avesse  chiesto ai pinguini di volare alto. Che va bene chiamarsi e richiamarsi al santo di Assisi ma non bisogna montarsi la testa. Il poverello umbro aveva a che fare con animali veri e non con umani diventati bestie feroci, se non ferocissime, giorno per giorno nella pratica quotidiana. Soprattutto abituati a nascondendosi dentro rassicuranti e comode tonache. Quindi il nuovo bel monito di papa Francesco assomiglia molto ad una simpatica e acuta preterizione: negare una cosa dicendola o dire una cosa negandola.


E poi van bene i moniti e i richiami ma se non son seguiti da azioni ficcanti e dirimenti corrono il rischio di assomigliare alle drammatiche grida manzoniane che più erano feroci e meno servivano. 

sabato 22 febbraio 2014

Il governo di Matteo Renzi.ha giurato

Qualcuno ha scritto che è il topolino partorito dalla montagna. Il topolino piace all'elefantino , anche se Walt Disney ha sempre sostenuto il contrario. Più donne e più giovani ma la stupidità non è questione né di genere né di età. Manca il ministro dell’integrazione Uno ha pensato che questo sarà il suo terzo governo: Napolitano. Mentre un altro si è arrabbiato per davvero: Richetto Letta. E gli italici?

Alla fine in una settimana o giù di lì Matteo Renzi il corridore è riuscito ha formare il suo governo.
 Qualcuno lo ha già battezzato come il Renzi primo che però non si capisce bene se sia un augurio o una minaccia. Per intanto non resta che aspettare e vedere. Pare che questo sia un atteggiamento zen, a dire di Richetto Letta, anche se i monaci tibetani quando è il momento sanno muoversi con una certa qual grinta. Ma forse le vie dello zen sono tante. E magari Letta Richetto non è proprio il più indicato a cui chiedere, è cattolico. Così dice.

Il governo ha evidenti segni di novità e alcuni di questi cascano nella categoria del folclore. Tanto per cominciare sono in 16, che sembra essere un numero piccolo, ma manca il ministero dell’integrazione. Qualcuno dice che non serve perché è questione culturale mentre qualcun altro sostiene che talvolta un ministero sia necessario per aiutare lo sviluppo della cultura. E qui ci sarà da discutere. Nella squadra di governo ci sono 8 donne, quindi la metà del team. e molti su questo fatto si sono sperticati in complimenti come se di cretini ce ne fossero solo tra gli uomini. Negli ultimi governi s’è visto che, ahinoi, la specifica qualità è stata ben distribuita tra i generi.  Giusto per essere obbiettivi. Inoltre è un governo giovane: l’età media veleggia intorno ai 46 anni e anche qui grandi applausi. Però il ragionamento sulla stupidità fatto qui sopra ha una certa qual ragione d’essere anche in questo  caso. E pure qui il riferimento a qualche ministro dei precedenti governi  cade facile. Adesso si tratta di aspettare le nomine dei sottosegretari e dei viceministri. Spesso questa pratica rappresenta una bella buccia di banana sulla quale sono scivolati in tanti. Peraltro il manuale Cencelli nessuno dice di leggerlo ma tutti lo tengono sotto mano. Comunque c’è anche chi ha considerato il gruppo nel suo complesso.

I commenti sono stati vari, come sempre. Ci sono i calorosi, quelli tiepidi e i decisamente contrari. I contrari hanno fatto notare che sembra la riedizione del precedente e  a sostegno  della tesi portano dati che oggettivamente sono di fatto. I tiepidi parlano di montagna che ha partorito un topolino. Detto dal Sole24Ore non butta bene. Poi a dimostrazione che questo non è un Paese normale il topolino piace moltissimo   all’elefantino. Di norma topolini ed elefantini  non stanno bene insieme. Lo dice Walt Disney. Per bizzarro che possa sembrare Giuliano l’apostata Ferrara è quello che si è lanciato nelle lodi più sperticate. In verità più per Renzi che per la sua squadra, ha titolato Ecce homo e l’ha definito il vero erede di Berlusconi. Chissà se anche questa deve essere considerata una promessa o una minaccia. A scelta.

Qualcuno ha fatto notare come il decisionista e spiccio Renzi  abbia deciso poco sui ministeri che contano per davvero. Alla giustizia, ad esempio, è stato mandato l’ex ministro dell’ambiente del governo Letta, Andrea Orlando che sa di giustizia come la massaia di Voghera e che senza dubbio ha più titoli di Nicola Gratteri che di mestiere fa il magistrato antimafia. De gustibus. Agli interni, che qualche bontempone definisce il ministero dei dossier,è rimasto Angelino Alfano che ha rinunciato con leggerezza alla vicepresidenza. La sostanza al posto della forma. De gustinus 2. Infine l’economia: Renzi ci voleva uno dei suoi e Napolitano ci ha messo chi vuole lui. Normale. Si tratta di un tecnico, Pier Carlo Padoan, che conosce bene il mondo della finanza internazionale e come soprammercato è un grande amico di D’Alema: ha fatto il presidente della fondazione Italiani Europei. De gustibus 3. A doppia via.

Sembra che Renzi e Napolitano prima di comunicare la lista dei ministri si siano tenuti compagnia per oltre tre ore. Dicono che non hanno discusso di alcunché e neppure si sono esercitati a braccio di ferro. Napolitano faceva le parole crociate mentre Renzi chattava con what’s app. Si sentivano soli. Poi, quando la noia cominciava a prendere il sopravvento hanno deciso di scendere in sala stampa dove ad attenderli c’era il fior fiore dei creduloni d’Italia.

E Richetto Letta? Quando ha dovuto consegnare la campanella a Matteo non aveva la faccia di uno capace di insegnare lo zen.  Ma nessuno aveva creduto che ne fosse in grado. Forse andrà in vacanza. In Australia. Agli antipodi di Italia e di Renzi.


E gli italici: ora che il governo ha giurato qualcuno si annoierà con Sanremo, qualcun altro discuterà di calcio, qualcuno andrà al cinema e pochi a teatro e qualcuno andrà a letto presto. Finché dura.

giovedì 20 febbraio 2014

Matteo Renzi e la settimana di Sanremo

Formazione del nuovo governo e festival di Sanremo vanno a braccetto. Renzi era partito a tutto gas ma Napolitano gli ha spiegato che bisogna fare con calma. E così Berlusconi canta in segreto per l'ex sindaco mentre Beppe Grillo gliele canta in streaming. A Renzi gli si imballano i pistoni ma Palazzo Chigi val bene due pistoni incrinati. La crisi scandita dai testi delle canzonette.

Settimana di passione questa che sta scorrendo per tutti gli italiani: c’è il festival di Sanremo e la formazione del nuovo governo.
Cosa vuol dire non farsi mancare nulla. Comunque niente paura tutto regolare. Tutto come al solito. Infatti ci sono gli habitué della balaustra e poi la Littizzetto con gli ovvi e sgangherati doppi sensi che oramai sono telefonati e Fazio Fabio sempre ben impegnato nella parte del  bravo ragazzo. Al solito sgusciante come un’anguilla. Ma poiché ognuno sa farsi del male a piacimento e come crede  questo è quello che tocca agli italiani. Anche se qualcuno pare rinsavire e infatti già in due milione hanno mollato il colpo e hanno altri programmi su come impegnare la serata. Beati e fortunati. 

Settimana durissima, comunque, quella di Matteo Renzi. Era partito alla grande facendo fuori in quattro-e-quattro-otto Richetto Letta. Prima l’aveva rassicurato con #enricostaisereno e poi l’ha splattato neanche fosse fatto di pongo cantando a squarciagola: «vado al massimo, vado a gonfie vele, voglio proprio vedere come va a finire.» E già si vedeva a Palazzo Chigi con tanto di ministri. E invece no. il festival dura una settimana e anche la formazione del nuovo governo deve durare una settimana. Quindi ci ha pensato Napolitano, dopo la partenza a razzo del giovane virgulto fiorentino, a dargli una calmata. 

Poiché Napolitano è pure napoletano e amante della canzone napoletana ma rock l’ha accolto in Campidoglio cantandogli «tu vo fa l’americano, siente a me chi t’ho fa fa»  doppiandolo poi per riportarlo alla realtà con «Tu vuò fa l’americano  ma sei nato in Italy! Siente a mme non ce sta niente a ffa o kay napolitan.»   Prima Napolitano l’ha obbligato ad aspettare  lunedì per avere l’incarico, nonostante il Renzino avesse il motore  a mille, quindi l’ha invitato a sottoporsi con calma al rito delle consultazioni: con il rischio che gli si rompessero i pistoni. Che, se non si sono rotti, un po’ si sono incrinati. Ma Palazzo Chigi val bene l’incrinatura di un paio di pistoni e comunque in qualche modo l’ha scavallata.  Poi per lui è arrivato, con largo anticipo, il mercoledì delle ceneri.

La mattinata è stata con Berlusconi e i suoi due capigruppo: Brunetta e Romani che però non sanno cantare e allora per porre rimedio alla pecca Berlusconi, vecchio chansonnier, ha invitato il Renzi a sette minuti di cheek to cheek durante i quali con la sua voce suadente gli ha cantato il refrain di Cinque minuti vecchio successo di Maurizio dei New Dada.  Al Berlusconi Maurizio è sempre piaciuto un po' per l’altezza e un po' per la massa di capelli. Ma poiché il Berlusconi Silvio è un ometto dotato di fantasia ha leggermente adattato il testo che è diventato: «cinque minuti per noi, poi anche tu mi salverai,  quattro minuti per noi, poi anche tu mi aiuterai, solo un minuto per noi guarda che bell’aiuto mi darai». E infine come non bastasse: la barzelletta. Insomma tutto il repertorio.

Quindi è arrivato Grillo che l’ha fatta facile e in sostanza gli ha detto «Matteo sei un buono manovrato da cattivi.» Che è come dire sei un pupazzo. Il tutto tradotto in sanremese suona così « tu ti fai girar tu ti fai girar come fossi una bambola, che ti buttan giù poi ti tiran su come fossi una bambola» Che da Grillo tutto sommato ci sta Ma quello che al povero Renzi ha scaricato del tutto  le batterie sono stati gli ultimi 120 minuti passati con Napolitano. 

In serata il Presidente della Repubblica ha spiegato che a comandare è sempre lui. La vecchia politica. Matteo ha cercato di reagire con timido «nuntereggaepiù.» Ma il Presidente da sempre estimatore di Celentano, molleggiando sulle ginocchia gli ha urlato: «tre passi avanti e crolla il mondo beat, una meteora che fila e se ne va, ragazzo svegliati ehi cosa fai mi lasci per andare con uno che ti mette nei guai
Adesso Renzi ha promesso che terrà la testa a posto e presenterà il governo sabato. Giusto uno zik prima della fine di Sanremo mentre tutti i suoi gli cantano «su Matteo non aver paura di sbagliare un calcio di rigore non è da questo particolare che si giudica un calciatore - e poi tra loro si dicono -   il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette e il prossimo anno giocherà con la maglia numero 7.»
Tra i cantanti ci sono tutti i vecchi volponi di una volta, anche D’Alema, che pure è stonato. Ma nella settimana di Sanremo non si può stare a guardare il capello.

martedì 18 febbraio 2014

Se hai sposato un bamboccione la Chiesa ti annulla il matrimonio.

Sposare un bamboccione potrebbe anche non essere una cattiva idea. Da adesso la Chiesa considera il “mammismo” una buona causa per annullare un matrimonio. Praticamente come non aver consumato. Adesso anche i costi sono scesi. Il Vaticano è sempre un passo avanti.



Forse non tutti lo sanno ma la Chiesa ammette che un matrimonio possa essere sciolto. Sorpresi vero? Oggettivamente di questi tempi se ne parla poco mentre invece la cosa era assai più in voga negli anni sessanta quando il divorzio in Italia non c’era ancora e i grandi borghesi,  le teste coronate e gli industriali avevano solo questo mezzo per sbarazzarsi del partner. E per poter convolare a successive nozze. 

Ovviamente il tutto  nel classico stile vaticano, la cosa non è né detta né fatta nel modo chiaro e spiccio con cui lo fa lo stato laico. Il divorzio concesso dalla Chiesa è contorto come una pagina di catechismo. Dove le cose si dicono e si negano. Un po’ si ammettono e un po’ si respingono. E la logica che si segue è quella del punto croce o dello zig-zag. Innanzitutto si parte dal nome: per tutti quando un matrimonio si scioglie si chiama divorzio, per la Chiesa invece, che è più pudica,  si chiama annullamento. 
Noblesse oblige.

Ma qui gatta ci cova. Intanto si parta dalla semantica: il termine divorzio, che deriva dal latino divortium, significa  per l’appunto separare. sottintende una divisione di qualcosa che c’è.  L’annullamento invece  è come dire che il matrimonio non c’è mai stato. È un po’ come un goal annullato: non c’è mai stato realizzato.

I motivi ammessi dalla Chiesa  per ottenere l’annullamento sono un po’ normali e un po’ cervellotici. Quelli cervellotici rientrano nella categoria del retro pensiero: se ci si sposa con l’idea di non avere figli o pensando già al divorzio si può contare sull’annullamento. Va da sè che la cosa debba essere dimostrata con prove documentali o testimoniali.  Ma non viene troppo difficile immaginare che qualche parente o amico ricordi perfettamente come lui o lei «sì, in effetti mi disse che non intendeva avere figli e anche pensava che alla bisogna avrebbe potuto separarsi.» E questi sono i motivi cervellotici. Poi ci sono quelli normali: tipo la litigiosità o la non responsabilità verso il coniuge o le malattie mentali o i comportamenti sessualmente disturbati. Quindi c’è il caso borderline di quando il matrimonio non sia stato consumato. Che per accorgersi del fatto solo ad anelli scabiati bisogna proprio essere state sbadate durante il periodo del fidanzamento. Anche se pare, pare, che la gran parte degli annullamenti nei fantastici anni ’60 lo furono proprio in virtù di questa sbadataggine. Forse le signorine all’epoca erano meno pratiche. Piccolo dettaglio: le corna, cioè i cosiddetti tradimenti, non rientrano tra le cause di annullamento. Bah!

Da qualche tempo si è affacciata alla ribalta degli annullamenti un’altra causa: il mammismo.  Così le signorine che sposano i bambocccioni, solo quelli cattolici però, possono stare tranquille. Nel caso, la cosa più essere sventolata con successo. Come dice monsignor Paolo Rigon che è il vicario giudiziario, si definisce mammismo l’attaccamento alle gonne della mamma o ai pantaloni del papà.  Che poi è il fenomeno che secondo la vulgata genera il bamboccione, In genere si avvera di più il primo caso. In fondo la mamma è sempre la mamma. Quindi la nuova giovane famiglia non prende decisione alcuna senza che la mamma di lui sia stata consultata o addirittura questa sia la vera responsabile d’acquisto della famiglia. Laddove per acquisto si intendono non solo i beni materiali ma anche altre questioni come per esempio la scelta della scuola per i figli o i sistemi educativi o altro ancora. Insomma, tutto.

A proposito: di mammismo ne soffrono più i maschietti delle femminucce. Anche se spesso le mamme delle femminucce, dette suocere, sono delle belle pizze. Nella disgrazia comunque la giovane sposina, che magari aveva accalappiato il bamboccione proprio per poterselo manipolare a piacimento, ha un asso nella manica: la santa romana chiesa cattolica e apostolica. Accusando il marito di mammismo può sbarazzarsene. Secondo la Chiesa. Che per l’appunto dirà che il matrimonio non c’è mai stato. Dopo i goal fantasma i matrimoni fantasma.  

Giusto per pignoleria storica: l’istituzione che annulla i matrimoni è comunemente detta Sacra Rota e prende il via con l’emanazione della bolla di Giovanni XXII il 16 dicembre 1331. Sembra che il nome derivi dalla disposizione a circolo degli uditori. Così come pare che il procedimento costicchi abbastanza, insomma roba da ricchi, anche se recentemente su indicazione di Benedetto XVI i prezzi sono un po’ calati. E questo per poter reggere alla concorrenza dei laici. Anche i tempi sono lunghetti: 5/6 anni. I vantaggi di ricorrere alla Sacra Rota sono di due tipi. Il primo è che si ritorna vergini, che non è male. Il secondo è che annullamento significa che il fatto non è mai esistito e quindi se non c’è stato allora non c’è motivo di essere obbligati verso l’ex partner. Cioè, in parole povere, non ci sono alimenti. Anche se poi ci si mette d’accordo.

Il Vaticano è sempre un passo più avanti. 




lunedì 17 febbraio 2014

Alle 10,30 Napolitano offre un cappuccino a Matteo Renzi

Probabilmente il cappuccino sarà preso in piedi perché Renzi ha una gran fretta e se non corre non è contento. Sembra la riedizione in sedicesimo di un futurista. Giuliano l’apostata Ferrara lo incita «Vai avanti Matteo!» Che sembra le riedizione dei De Rege. Il toto ministri mette i brividi. C’è sempre un indagato. Tanto per non perdere l’abitudine.



E così Matteo Renzi comincia a coronare il sogno della sua vita con un cappuccino ed una brioche. 
È stato convocato da Giorgio Napolitano per le 10,30 a.m, (ante meridiem scritto per Severgnini, la Fornero e quelli che se la tirano mentre gli altri lo capiscono anche senza specifica)  È l’orario,  così dice la vulgata ma ci crede solo Matteo Salvini e una manciata di leghisti, in cui a Roma si fa colazione o si inizia la pausa cappuccino. 
Matteo, questa volta il Renzi, ci si precipiterà come un bolide un po’ perché fare colazione con il Presidente della Repubblica non è da tutti i giorni, un po’ perché ama la velocità neanche fosse un futurista di ritorno e un po’ per capire come potrebbe essere a a parti invertite.  Eh sì, il giovane Matteo (sempre Renzi), meglio noto ai suoi compagni di liceo come il “bomba” per come le sparava grosse, vuole bruciare le tappe e corre continuamente come un indemoniato. Basta guardare come arriva sempre di corsa e tutto impettito alla sede del Pd.

Oddio il jogging serve a Matteo perché dimostra una preoccupante tendenza alla pinguedine e se si ferma un pochetto subito gli spunta la pancetta. Che a 38 anni non depone proprio bene. Quindi la brioche sarà integrale ed il cappuccino senza zucchero e pure preso in piedi. Anche lui come il Berlusconi (che non è più senatore e neppure cavaliere dopo quella condannetta per truffa ai danni dello Stato anche se è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica) ci tiene alla forma fisica e fra un po’ si metterà nelle mani di un qualche chirurgo plastico anche se per il momento è l’Italia ad essere nelle sue. 

Comunque Renzi ha un sacco di estimatori. In primis Carlo Rossella che lo definisce come un mix tra Pico della Mirandola e Machiavelli. Cosa vuol dire fare commenti da stadio. Evviva. Poi c’è Giuliano l’apostata Ferrara che dice «Vai avanti Matteo.» che sembra una riedizione della famosa frase dei De Rege e che forse nasconde pure una qualche malizia. Evviva, Evviva. E poi non può mancare Alessandro Nosferatu Sallusti che lo definisce il nuovo Berlusconi. Evviva, Evviva. Evviva.

Ma dato che non potrà far tutto da solo sta mettendo insieme la squadra dei ministri. Già, ma quali ministri e per quale governo dato che le alleanze rimangono le stesse di prima?  Finora Matteo ha tampinato quel bradipo di Richetto Letta con il cambio di passo e il fatto che il suo governo sembrava una palude. Nessuna delle due espressioni era ben augurante e la seconda neppure di buon gusto. Ma che fa. Quindi anche le riforme che il Matteo (sempre Renzi) vuol fare dovranno galoppare come destrieri e i suoi ministri di conseguenza. Però a dar retta alle voci che circolano pare che le idee non siano poi così chiare come parevano qualche tempo addietro quando ricopriva solo il ruolo, molto comodo, del pungolatore. Pertanto le faccine che circolano sono ben poco moderne e ancor meno rassicuranti. 

C’è Fassino Pietro (di recente saltato sul carro del vincitore e il cui ultimo intervento alla direzione è stato bollato come il più vecchio ed il più infarcito di politichese) oppure Epifani Guglielmo (che a scanso di equivoci s’è mantenuto neutro come ha imparato a fare da socialista che stava dentro la Cgil)  per non dire della conferma della Bonino Emma che sulla questione del marò sta andando alla grande. Tra le facce nuove si paventa quella di Mauro Moretti, a.d. delle Ferrovie dello Stato, che oltre ad essere indagato per la strage di Viareggio si porta dietro la fama di  aver poca voglia di investire sui treni dei pendolari, che non è proprio una bella cosa da raccontarsi in giro. E dire che è un ex sindacalista della Cgil trasporti. Ma quando si sale ai piani alti la memoria si fa corta e comunque era un sindacalista da ufficio. C’è anche il prof. Pietro Ichino, lunga esperienza politica,  ex Pci e di tutta la trafila a seguire, poi montiano e ora di Scelta Civica in attesa che si sciolga e quindi chissà dove approderà.  E poi sempre sotto il capitolo facce nuove ecco rieditarsi Franceschini Dario (tra i prmi a fiutare l’aria della vittoria di Renzi) e naturalmente Angelino Alfano come vice e ovviamente Lupi Maurizio, un nome una marca una garanzia. Spunta anche il sindaco di Salerno De Luca, quello che non voleva scegliere tra il posto di sottosegretario e quello di sindaco. Che a farlo decidere non c’è riuscita neppure la legge. Altro bell’esempio.

Ora non resta che aspettare, manca poco  all’ora fatidica anche se la storia racconta che le ore fatiche scoccano all’improvviso e non sono programmate. 




domenica 16 febbraio 2014

La consultazione delle beffe

Un invito ad una consultazione è come una sigaretta: non la si nega a nessuno. Questa volta però c’è stato chi ha risposto: «Grazie, io non fumo» Si fa finta di non sapere chi avrà l’incarico di formare il nuovo governo. Intanto gli si dà più tempo per i suoi patteggiamenti. Sembra di assistere alla Cena delle beffe di Sem Benelli. C’è solo da indovinare chi dirà la battuta :«E chi non consulta come me peste lo colga.»



I padri costituenti erano a tal punto malati di democrazia che hanno pensato bene di distribuirne a piene mani in tutti i passaggi istituzionali. Così hanno deciso che, quando cade un governo e se ne deve formare un altro, il Presidente della Repubblica convochi mezzo mondo a partire dai Presidenti Emeriti, che poi sarebbero quelli precedenti e quindi i presidenti di Camera e Senato e infine tutti i gruppi presenti in parlamento. Anche il gruppo misto e le minoranze che più minoranze non si può.

Un invito ad una consultazione è come una sigaretta: non la si nega a nessuno. Questa volta però c’è stato chi ha risposto: «Grazie, io non fumo» che detto fuor di metafora sta a significare non credo che queste consultazioni siano cosa seria. L’hanno fatto in due: i leghisti e i 5 Stelle. I primi perché che dopo aver guazzato nei governi berlusconiani ora sono impegnati in operazioni di imenoplastica, cioè cercano di ridarsi una verginità antisistema. I secondi, i ragazzi pentastellati sono così abituati a dire no che se dovessero dire un sì sarebbe come voce dal sen fuggita.  Tutti gli altri ci sono andati, sussiegosi, con l’aria di non aver responsabilità alcuna in quanto fino ad ora è successo e pure un tantinello tronfi. Comunque ognuno è com’è e poi ciascuno s’inganna come crede.

Di norma il rito inizia con i gruppi di più piccole dimensioni  e si va a salire. La durata dei colloqui è più o meno lunga a seconda del peso politico o della simpatia e da questi il Presidente della Repubblica dovrebbe trarre elementi per chiarirsi le idee e al tempo stesso individuare chi potrebbe , con una certa possibilità di successo e magari anche una qual certa dignità (ma questa è un’aggiunta non richiesta dal regolamento) assumere la guida del prossimo governo venturo. E anche questa volta così è andata. Ma con un piccolo e marginale dettaglio: tutti sapevano e già sanno a chi verrà affidato l’incarico. Questo anche se il Presidente Napolitano, che sabato sera aveva già finito il suo lavoro, mai così facile, e si è preso un ulteriore giorno prima di comunicare al popolo tutto a chi affiderà l’incarico di formare il nuovo governo. Questo tempo aggiunto è una sorta di sospensione per «dare spazio e serenità – sono parole di Napolitano - a colui che verrà incaricato di formare il nuovo governo.» 

Ma come? Non sarà Matteo Renzi l’incaricato?  E qui la patria che fu di Leonardo, di Galileo Galilei, di Enrico Fermi, di Rita Levi-Montalcini e di Margherita Hack smarrisce la logica ed il poco buon senso rimasto. Insomma a colui che non è stato ancora nominato viene lasciato il tempo per sistemare le alleanze e quelle altre cosucce  che, a esser buoni, sono chiamate passaggi affinché il suo governo possa stare in piedi. Che poi tradotto significa patteggiamenti: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me. Ad una simile contorta trama  neanche Giannetto Malespini sarebbe mai arrivato. 

Giannetto Malespini è il protagonista de “La cena delle beffe” stupenda tragedia scritta da Sem Benelli. In cui un poveretto angariato da arroganti e presuntuosi si vendica sistemando le cose in modo tale che questi si eliminino tra loro. E mai come in questo momento un simile personaggio servirebbe al Paese. Che se ci si liberasse di proclami e magari pure di ricatti, e di quelli che ci stanno dietro, non ci si starebbe proprio male. Infatti a far la parte dei fratelli Chiaramantesi, che erano gli angariatori di Giannetto, ci sono quelli che voglion mettere paletti, essendo stati fino a ieri i cani da guardia della mai realizzata svolta liberale  e negano che «il lieto fine sia garantito.»  E ci sono anche quelli che esigono «segnali molto chiari e molto forti di discontinuità», che poi erano gli stessi che rivendicavano la continuità  tra il governo del povero Richetto Letta con il loro precedente e quindi quelli che promettono «una opposizione seria e costruttiva»  che il serio in vita loro va cercato con il lanternino.  E poi, come ti sbagli,  ci sono quelli che fino a ieri all’interno della stessa squadra erano contro il nuovo che avanzava e oggi, saltatori dell’ultima ora, ne fanno parte avendo massacrato un partito rendendolo irriconoscibile agli stessi suoi. Insomma nella cene delle beffe. Ora manca solo chi dirà: «E chi non consulta con me peste lo colga.» Chi sarà?




giovedì 13 febbraio 2014

La legge Fini-Giovanardi è anticostituzionale

Per capire che la Fini-Giovanardi fosse una bischerata o legge quantomeno impropria ed inadeguata c’erano tanti motivi: già il fatto che avesse come firmatario Giovanardi doveva dare da pensare. Pesante e leggero sono aggettivi qualificativi opposti, non li si possono equiparare. La nemesi storica di Carlo Giovanardi.



E così un’altra legge dai connotati decisamente stupidi è caduta. 
Non c’è che dire i giudici della Corte Costituzionale si stanno dando un gran da fare per cancellare alcune corbellerie. O come si dice in Toscana alcune bischerate. Almeno le più grosse ed evidenti. Per capire che la Fini-Giovanardi fosse una bischerata o legge quantomeno impropria ed inadeguata c’erano tanti motivi: già il fatto che avesse come firmatario Giovanardi doveva dare da pensare. Comunque bastava metterci un pizzico di buon senso. Merce rara purtroppo, in ogni dove ed in particolare nei due rami del Parlamento. 

Innanzi tutto l’equiparazione era semanticamente illogica: pesante e leggero sono due aggettivi qualificativi che tra loro confliggono. Pesante è il contrario di leggero e viceversa,  quindi l’equiparazione è un ossimoro. Però qui bisognerebbe spiegare a Giovanardi il significato di ossimoro e ci si mette sulle curve. Meglio tagliar corto e dirgli, al Giovanardi che pesante e leggero non stanno insieme. Perché? Perché no. Così magari si evitano lungaggini. Poi quella bella legge aboliva la distinzione tra spaccio e consumo. E anche qui si sta parlando di logica. Le situazioni di chi spaccia e di chi consuma sono di molto differenti così come gli obiettivi. sono di gran lunga differenti. Molto diversi. Per non dire del contesto in cui si trovano a vivere e ad agire Probabilmente anche Paperoga coglierebbe la differenza. Figurarsi che della differenza tra chi spaccia e chi consuma se ne era accorta anche Rosa Russo Jervolino. Quindi, come dire, non era una differenza particolarmente difficile da vedere.

In questi otto anni però un bel po’ di ragazzi si sono fatti del carcere. Anni che non gli verranno mai resi.  E attualmente con questa imputazione, dicono le stime, dietro le sbarre ce ne starerebbero oltre diecimila, che solo a fare uscire questi già la situazione delle carceri migliorerebbe. Di poco ma migliorerebbe. Che se poi si mettesse mano anche alla Bossi-Fini si farebbe tombola. Ma questo è un altro discorso. E qualcuno per pochi grammi di cannabis ci ha lasciato pure la pelle come è successo a Stefano Cucchi finito dentro per il possesso di 20 grammi di cannabis. E poi si sa come andò a finire. Tanto per ricordare un caso. 

Naturalmente Carlo Giovanardi ha commentato la decisione della Corte Costituzionale dicendo: «Sconcerto per il ruolo della Corte, che scavalca il Parlamento - subito doppiato da - La Corte manda un messaggio devastante ai giovani, quello secondo cui ci sarebbe differenza di pericolosità tra droghe pesanti e leggere.» A riprova che non capisce le differenze.

Comunque, mentre i diecimila sono finiti dietro le sbarre  il pasciuto Giovanardi, sempre un bel po’ sovrappeso,  se ne è stato bello e allegro in Parlamento a sproloquiare su tutto: di gay, di unioni civili, di eutanasia, addirittura a  ventilare che gli antiproibizionisti non potessero parlare in pubblico. Poi ci furono anche  le vergognose dichiarazioni sui casi Cucchi e Aldrovandi. E qui non è solo questione di buon senso.
Carlo Giovanardi, tanto per fare un po' di storia,  è anche quello della distinzione tra «Persecuzioni di situazioni gay e Olocausto gay» che per lui il secondo non c’è mai stato. Evidentemente è anche daltonico o forse ha difficoltà con la lettura perché non ricorda che i gay erano contrassegnati dalla stella rosa e finivano nei lager prima di diventare fumo per i camini. E’ scritto in tutti i libri e nei documentari che trattano del tema.

Last but not list poco meno di un mese fa il Giovanardi  ha presentato un emendamento per tutelare qualunque orientamento sessuale, quindi quello omosessuale e bisessuale ma anche eterosessuale  e fra questi è compresa la pedofilia. Poi ha sostenuto di essersi sbagliato, porello, intendeva pedofobia. Che la pedofobia non pare essere un orientamento sessuale, però se lo dice lui.
A tanto accanimento contro la logica ed il buon senso come si può mettere rimedio? Ci pensa la storia: la nemesi storica. Con ironia:  sua figlia va in Sudafrica e si fidanza con un rasta (e lui dice:« mi spiega cos'è») che è un uomo di colore (e lui dice:« mi spiega cos'è»)  e pure gay (ma questo il Carlo l'ha capito subito) e già sposato con un altro uomo. Dopo la confessione Giovanardi sviene. Ma neanche questo gli è servito per capire. Giovanardi è un caso disperato.

Ah, grave dimenticanza, della sentenza della Corte Costituzionale ha parlato anche Maurizio Gasparri. Ma di quel che dice Gasparri non val la pena di dar di conto.



mercoledì 12 febbraio 2014

Letta, il nipote adottivo, si affida alla provvidenza.

Dura la vita del nipote, specie se lo zio è adottivo. Il richiamo alla provvidenza è pericoloso che se per davvero si occupasse delle cose della terra i rischi sarebbero molti. Specialmente per i politici. Di proclama in proclama verso la fine. Aleggia la sindrome delle Termopili ma Richetto Letta non assomiglia a Leonida.


Fare il nipote è una vitaccia. Già è difficile il ruolo di nipote con un vero zio che ti scappellota come fosse il padre ma non ti gratifica come se fossi il figlio.  Giocare poi come nipote adottato è ancora peggio : per mantenersi lo zio adottivo bisogna faticare il doppio dato che non c’è legame di sangue ma solo quello, più flebile, dell’interesse. Già, perché finché tutto funziona il legame è saldo ma quando comincia a sfilacciarsi non resta che rimettersi alla provvidenza. E questo è il caso di Richetto Letta. Che alla provvidenza si è già rimesso.  

Con quell’aria da giovane precocemente invecchiato Richetto da buon democristiano le ha tentate tutte: sdraiato sulla linea Prodi per arraffare un posto da ministro e poi sdraiato su Monti, ancora in molti ricordano quel patetico bigliettino che il cinico professore sbandierava  in favore di macchina un po’ per sbeffeggiare un po’ per dimostrare i suoi agganci. Poi a fare da megafono e a volte anche da stuoino, di zio Giorgio, quello adottivo. Infondo aver giocato a burraco con il di lui figlio è stato di una qualche utilità. Con quest’ultima trovata pensava di essersi sistemato ma non ha fatto i conti  con l’imprevisto: come il tacchino americano che vive felice per un paio d’anni fino al giorno prima della festa del ringraziamento. E lui, Richetto, contrariamente al tacchino, qualche segnale di pericolo l’aveva pure avuto per tempo. Poi doveva immaginarsi che lo zio adottivo sarà anche abile nei giochetti politici ma da qui a immolarsi, oltre a tutto per uno che non è neanche della famiglia (né di sangue né politica) ce ne corre.  Ed ecco allora saltar fuori la provvidenza, antico richiamo di speranza che il cielo voglia occuparsi delle cose terrene. In verità richiamo più adatto ai santi che ai politici. Roba che, a memoria, nessun volpone democristiano ha mai citato. Che il cielo è meglio che stia dove sta e non si occupi di cose terrene che mai accadesse sarebbe un altro diluvio.

Il fatto è che a Richetto i paroloni ed i proclami sono sempre piaciuti. Fin dall’inizio del suo mandato. Al momento dell’incarico parlò di «Sobria soddisfazione» poi presentò un programma che al confronto il libro dei sogni di socialista memoria, pareva la cosa più semplice da attuare. La sua promessa più grande fu: «I cittadini non possono più essere presi in giro.» Che se avesse promesso di rendere vegetariano un coccodrillo ci si sarebbe creduto di più. Poi infatti c’è stato il balletto dell’Imu.  Quindi, neanche a dirlo, la promessa delle riforme: «Subito nuova legge elettorale. Tagli a cultura e ricerca? Mi dimetterò.» Era il 5 di maggio, cosa vuol dire il caso, e la data facilmente riporta alla memoria ei fu siccome immobile. E così Richetto è rimasto: immobile.  Poi viene difficile contestare l’affermazione:«È inadeguato»

Oggi Richetto è al redde rationem e non fa mancare il solito proclama e la solita promessa: «Un patto di coalizione incentrato sulla ripresa economica - contava di presentarlo ieri -Un patto che convincerà tutti i partiti che sostengono l’esecutivo ».  Bene. Poi ha aggiunto «Io non mi dimetto. Vado avanti alla luce del sole, fino alla fine» la solita sindrome delle Termopili che però ci sono state una sola volta e Richetto a Leonida non ci assomiglia proprio.  Poi ha doppiato con «Non sono disponibile a nessun compromesso. E non mi presto a manovre di palazzo o macchinazioni di potere. Per quanto mi riguarda non c’è alcun piano B».  Che in politica, e i democristiani ne erano maestri, non c’è come negare per voler affermare. Comunque, si vedrà. 

Anche perché se smette con la politica un altro lavoro a portata di mano non ce l’ha, salvo che non pensi a qualche consiglio d’amministrazione pubblico. Mastrapasqua ne ha lasciati liberi un tot. Da mesi, peraltro, si dice che l’ambizioso Richetto vorrebbe fare il commissario europeo. Bel posto, di tutta tranquillità e soprattutto a rischio zero. Mario Monti ne sa qualche cosa. Magari poi lo zio adottivo si fa vivo e suggerisce caldamente una qualche soluzione. Anche se per il momento, il caso qualche volta aiuta, se ne sta in Portogallo e scarica le responsabilità sul Pd.

E in tanto il tempo passa, i bimbi crescono e le mamme invecchiano e si gioca al toto ministri. Sembra ci siano facce nuove. Non resta che aspettare.



martedì 11 febbraio 2014

Lo scoop di Alan Friedman: poco meno di una bufala.

Più che uno scoop il libro di Friedman racconta quello che già tutti sanno, magari senza averne le prove. Pierpaolo Pasolini docet. Ciò di cui si parla poco è il piano di Corrado Passera. Per quel che se ne è letto fino ad ora sembra più serio di quel che poi mise in pratica Mario Monti. Ma di questo si dice poco che sarebbe stato il vero scoop.





Che al Belpaese piaccia divertirsi si sa fin da sempre. Ne racconta anche Goethe nel suo Viaggio in Italia e in un modo o nell’altro l’hanno detto, scritto e fatto, tutti gli stranieri più o meno grandi che sono passati lungo lo stivale. Il fatto che a divertire gli italici ci si metta anche un americano di nome Alan Friedman oltre che non stupire dovrebbe lasciare indifferenti. E invece c’è chi abbocca. I giornalisti, per esempio, e quattro scartellati che per campare fanno i politici che con voce simil stentorea, dato che  nessuno ce l’ha per davvero, protestano o attaccano. Ovviamente tutti o quasi si mettono a discutere di quel che di peso ne ha pochissimo e lasciano perdere, come ti sbagli, quanto sarebbe interessante indagare. Ma questa è l’Italia.

Nulla di quanto ha scritto Friedman era ignoto. Tutti o la maggior parte lo sospettavano o in qualche modo lo sapevano ma non ne avevano le prove. E poiché Pierpaolo Pasolini  non c’è più nessuno ha potuto scrivere un pezzo dal titolo « lo so ma non ne ho le prove.» Gran bel articolo quello di Pasolini attaccato  a posteriori da Pierluigi Battista, giornalista di cui fra trent’anni nessuno si ricorderà più, che le prove le vuole lì, belle e calde sul tavolo, neanche fossero una lattina d’olio.  In verità qualche giornale più informato o più ammanicato aveva ricevuto una velina o forse più (nel senso di sottile foglio di carta trasparente) e ne aveva accennato annegando la notizia tra varie pizzellacchere. Ma neanche questo ha da stupire questo è il Paese di azzeccagarbugli.  

Che Monti e Napolitano si conoscessero era normale e noto: uno era stato parlamentare europeo, pure pizzicato da un giornalista tedesco per aver volato con una compagnia low cost ed aver richiesto il rimborso come da compagnia di linea, che, detto in confidenza, non è bello. Mentre l’altro ha passato a Bruxelles due mandati da commissario europeo: una volta sul conto di Berlusconi e la seconda su quello di D’Alema. Dire poi che la vita è dura è solo un eufemismo. Quindi nulla di strano anche tenendo conto che nel periodo incriminato, il Mario Monti ricopriva solo la carica di rettore di una università e forse si annoiava mentre Napolitano aveva belle gatte da pelare con il governo.  Certo era un governo imbarazzante che si reggeva sul tetragono pacchetto di mischia formato da Scilipoti-Razzi-Calearo-Cesario, con la credibilità internazionale di un Brighella e i conti allegramente vacillanti. Ma questi lo sono sempre stati. E in più c’erano due aggravanti: lo spettro della Grecia e Tremonti come ministro economico. Con elementi collaterali come il declassamento di Standard & Poor’s, la lettera della Banca Centrale e poi anche lo spread. Che doveva fare quel pover’uomo di Napolitano?

Certo avrebbe potuto, constatata la situazione mandare il Paese alle urne, ma forse conoscendo il gruppo dirigente del Pd di allora ha avuto qualche brivido lungo la schiena. E chi non l’avrebbe avuto. L’idea di nominare Monti Mario senatore a vita è stato vissuto come una sorta di pedaggio che se invece fu un regalo non richiesto non depone a favore di chi è prodigo con i denari altrui. I milanesi millantano di avere il cuore in mano ma il signor rettore è nato a Varese e per quanto lombardo deve avere avuto ingombranti infiltrazioni elvetiche che a sinistra oltre che il cuore ci tengono il portafoglio e le mani se le mantengono libere. Ma comunque, pensando il Presidente di fare da suggeritore occulto, la scelta in qualche modo ci stava, si poteva far di meglio e scegliere uno che non desse la colpa dei propri errori ad un cane, ma è andata così. E tutti lo sapevano pur non avendone le prove. Che poi della cosa oltre che nei bar e dai barbieri si chiacchierasse anche in qualche salotto preteso buono sta ancor prima che nello scandalo nella consuetudine al consociativismo. Mala pianta dura a morire, forse endemica del Belpaese.

Ciò di cui si parla poco è del corposissimo, centonovantasei pagine, documento stilato da Corrado Passera. In quello si ipotizzava di risistemare i conti e altro lì attorno passando da chi i denari ce li ha per davvero. Ma l’abitudine a guardare il dito invece che la luna non è di oggi. Perché sarebbe interessante capire come mai quel piano che qualcuno deve aver evidentemente richiesto non sia stato reso pubblico e perché le misure successive come di consueto andarono, come il famoso cetriolo, a conficcarsi nel cuore dei soliti che il sangue continuano a darlo nonostante l’abbiano già versato più di una volta. Ecco questo sarebbe stato lo scoop e non rifriggere notizie risapute nell’olio di sempre.

By the way Napolitano nella sua lettera al Corriere della Sera è ritornato sul quanto affermato dalla Cassazione in merito alle sue dichiarazioni e così salva dal racconto di eventuali sue barzellette,  poi ha scavallato, come tutti già sapevano da un pezzo pur non avendone le prove, la questione della messa in stato d’accusa e adesso deve decidere se proteggere ancora il nipote adottivo Enrico Letta, che nonostante l’età non è così brillante come vuol vendersi, o passare a Matteo Renzi corda e sapone lasciandolo libero di cercarsi l’albero adatto. Per costruirsi un’altalena o a cui appendersi. A scelta.



giovedì 6 febbraio 2014

La Chiesa la pedofilia e papa Francesco

La Commissione per i diritti dei minori accusa il Vaticano:«coprì, quindi permise, gli abusi.» Le sedici paginette del rapporto sono addirittura eccessive, bastavano poche righe. Papa Francesco come Gesù nel tempio o come Ponzio Pilato? La rimozione di monsignor Nunzio Galantino sarebbe già un bel segnale.



E così dopo tanti tantissimi anni, oltre duemila, è arrivata la condanna. 

Ma d’altra parte, come recita l'adagio,  che Dio non paghi il sabato è noto. Laddove si intende che ricompense e punizioni arrivano a tempo debito e non a scadenze fisse. E della saggezza dei popoli bisogna fidarsi. Quanto scritto nel rapporto della Commissione Onu per i diritti dei bambini condanna la Chiesa non solo per il delitto di pedofilia ma per quello ancor più grave che a questo si è accoppiato: la copertura di quelle vergognose pratiche. Copertura che qualche volta è passata attraverso il denaro (che non sempre è stato considerato dalla sacra istituzione lo sterco del demonio) e molte altre, c’è il sospetto che siano la gran parte, attraverso la coercizione, anche psicologica, della vittima. Questa se ne rimaneva negata, umiliata ed abbandonata mentre l’orco nero se la rideva bellamente rimanendo, preteso vergine, al suo posto o magari semplicemente spostato in altro ambiente a lui favorevole e ad altro incarico o addirittura avviato a salire i gradini di una ricca e prestigiosa carriera. Che anche nella istituzione della spiritualità divina avere qualche spicciolo in tasca non dispiace e se poi questo  diventa un’auto con autista e un segretario e un pingue conto in banca va ancora meglio. Il punto di partenza e di arrivo risultava (e risulta) essere sempre lo stesso: difendere o, il che è concettualmente addirittura peggio, preservare l’onorabilità, l’immagine e la reputazione della Chiesa. Che per far questo si dovesse calpestare e distruggere la dignità e non solo quella delle vittime ha sempre importato poco.

Le sedici paginette che compongono il documento risultano perfino eccessive. In verità bastavano e bastano poche righe oltre a quello che ben si conosce di uno sconcio  modo di agire di cui si dà notizia perfino in alcune pagine di importanti opere della letteratura italiana. Le righe in questione recitano così: «La Santa Sede (sic! Che di santo in quella sede c’è oggettivamente poco Ndr) ha adottato sistematicamente politiche e pratiche che hanno portato alla prosecuzione  degli abusi su minori e all’impunità dei colpevoli. La Santa Sede ha sempre posto la salvaguardia della reputazione della Chiesa e la tutela degli interessi dei colpevoli sopra a quelli dei bambini.» Sic et simpliciter. Questo è il punto. Il resto aria per bocche sazie.

Quanto viene scritto nel rapporto della Commissione dell’Onu per i diritti dei bambini è chiaro e cristallino. Ciò che è più vergognoso è l’atteggiamento omertoso (in nulla differente dall’abitudine mafiosa) che non solo copre il delitto ma consente, garantendone l’immunità, la sua prosecuzione all’infinito. E nella sostanza la sua legittimazione. E in questo dire non si deve trovare scandalo poiché di tanto in tanto, che meglio sarebbe se fosse di spesso in spesso,  vale la pena di tirare i collegamenti tra i vari punti ed arrivare al disvelamento delle  logiche e delle parole. Che a capire devono essere tutti e non solo gli iniziati.

Forse monsignor Nunzio Galantino, segretario generale per quanto ad interim della Cei,  farebbe bene a riflettere se quelle sue pilatesche parole sul ruolo del «vescovo che non è un pubblico ufficiale e neppure un pubblico ministero.» non si inquadrino in quel contesto di vergogna denunciato dalla Commissione per i diritti dei bambini. E magari ne trasse una qualche conseguenza.

Certamente in Vaticano si aspettavano la condanna magari non così precisa e non così  cruda e semplice ma talvolta vale la pena di essere chiari. Parrà strano a vescovi e cardinali sempre abili nel parlare per metafore ma oggi così è. Adesso si tratterà di attendere con savia pazienza la reazione annunciata dal Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin che ha daffermato: «questo rapporto va studiato.» Che è certo nulla va preso sui due piedi. Lo disse anche Isabella di Castiglia e lo pensò pure Newton quando una mela gli cadde in testa. Se con questo Parolin intende che quella lettura sarà fonte di ulteriore presa di coscienza e punto di partenza del cambiamento sarà un fatto. Altro sarà se invece si studieranno le carte per leguleianamente individuare qualche pertugio giustificatorio. O si evochino lobby varie che è metodo vecchio, ha già dato ed soprattutto nell’evocare antichi protocolli non ha portato fortuna ai suoi evocatori.  Nel secondo caso  il Vaticano perderà definitivamente la sua battaglia. Con  la sua fede, i suoi fedeli e con sé stesso.

Questo è il momento per papa Francesco di fare il salto di qualità: passare dal telefono per chiamare i calzolai all’afferrare una ramazza per la pulizia della sua casa. Non occorrerà neanche tanto tempo perché in quei palazzi tutto è catalogato e ben archiviato e lì difficilmente spariscono i faldoni. Il Vaticano non è una Asl italiana. Magari cominciare con il rimuovere Nunzio Galantino potrebbe essere un bel segnale d’avvio.
E comunque non si preoccupi papa Francesco della eventuale confusione che seguirà alla ramazzata. Rammenti che l’hippy nazzareno quando entrò nel tempio si portò dietro uno scudiscio e i tavoli che rovesciò furono più d’uno e non andò neanche tanto per il sottile, a seguire quel che scrissero i suoi quattro storici. E dall’altra parte pericolo di finire inchiodato ad una croce non ce n’è: non si usano più quei metodi, film già visto ma nel caso c’è il lieto fine a soli tre giorni di distanza.



martedì 4 febbraio 2014

Alle Olimpiadi di Sochi anche lo slalomista Richetto Letta il furbetto.

Enrico Letta sarà a Sochi con la schiena dritta per sbattere in faccia a Putin, che già trema come una foglia,  tutto il suo sdegno e la vergogna che si deve provare dinnanzi a leggi omofobe. Lo farà di persona mica come tutti quegli altri leader vigliacchi che se ne staranno a casa loro. 





E così Richetto Letta andrà alle Olimpiadi. Tutti i leader dei grandi Paesi occidentali non ci saranno. 
La grinta di Letta, la paura di Putin
A Sochi non si vedrà frau Merkel, né monsieur Hollande (si deve destreggiare tra molti fatti sia pubblici sia privati) e neppure presenzieranno mr. Obama e mr. Cameron.  Questione di principio. A  nessuno di loro va giù l’omofobia e meno che mai che questa venga sancita per legge. Tutti hanno ben in mente cosa significhi mettere per iscritto e poi pensare di far rispettare regole che discriminano le persone su fatti come colore della pelle, religione, sesso e magari pure sessualità. Questione di principio, ovvio, ma anche di stile, di classe e di buon gusto.  Ed è certo che a tutti spiacerà non essere presenti alla cerimonia d’apertura non foss’altro che per il fatto di passare qualche paio d’ore lontani dalle beghe quotidiane. O essere sportivi dentro come succede ai britannici. O magari gustarsi in anticipo il piacere di qualche medaglia come verosimilmente succederà ai tedeschi e agli americani.  Richetto invece ci sarà. Magari stretto in quel suo ridicolo cappottino e battendo i piedi a terra per tenersi caldo. La vita è dura per tutti.

Richetto Letta sarà a Sochi ad esibirsi in quello che sa fare meglio: lo slalomista. Un po’ di qua e un po’ di là. Naturalmente con la chiarezza cristallina di cui è capace ha già risposto a tutti coloro che lo criticano. E si è nascosto, as usual, dietro le grosse spalle di Giorgio Napolitano e di altri simpatici campioni come il presidente del Coni e il ministro dello sport, quel Del Rio che passa per essere il mentore di Matteo Renzi. È una bella compagnia, anche istituzionale, non c’è che dire.

Comunque, per non smentire l’antico animo democristo che se ne sta  bello comodo sotto le sue vesti di democratico moderno, Richetto Letta ha già  rilasciato la sua dichiarazione. L’ha fatto con il solito assertivo sussiego dicendo che: «A Sochi ribadirò la contrarietà dell'Italia a qualunque norma o iniziativa odiscriminatoria nei confronti dei gay, nello sport così come fuori dallo sport,» E tutti sono certi che lo farà con l’abituale fermezza e la dura determinazione e tutto il suo impegno personale e la sua decisa passione politica. Non potrà usare  l’aggettivo vibrante perché quello è un copyright di Napolitano e  lui non vuole essere sculacciato dal suo zio adottivo. Quando Putin ha saputo della dichiarazione di Letta ha avuto un tremito per tutto il corpo e ha esclamato: «Летта чи? (Letta chi?)»  Dopo aver telefonato al suo amico Berlusconi per avere informazioni  Wladimir ha capito con chi avrà a che fare, ha sbadigliato e ordinato una tazza di tè.

Richetto sarà a Sochi con la schiena dritta per sbattere in faccia a Putin, che adesso sa chi è Letta già trema come una foglia,  tutto il suo sdegno e la vergogna che si deve provare dinnanzi a una vergogna come la discriminazione gay. Lo farà di persona, mica come quei vigliacchi che se ne staranno a casa.  E dopo aver manifestato con la durezza che lo contraddistingue il suo disgusto per il russo  retrogrado avanzerà la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024. E già bisogna essere pratici «È un dovere essere a Sochi. – ha dichiarato ieri - Bisogna esserci per cominciare a far marciare questa candidatura.» 

By the way Richetto ha rilasciato queste belle dichiarazioni che fanno onore all’Italia proprio mentre sta girando il Qatar e gli Emirati Arabi dove è andato per dire  quanto il paese sia serio, onesto, rigoroso, probo e trasparente.  E che i signori sceicchi possono investire con tranquillità il loro denaro nel Belpaese dove non si fanno scherzi di bassa lega e neppure doppi giochi. Nel Belpaese i principi sono sacri e nessuno si sognerebbe mai di tradire la parola data per un volgare interesse di bottega.

L’immaginario collettivo è popolato da icone che molto difficilmente possono essere scalzate o neppure scalfite dai comportamenti reali. Ecco che pensando ai tedeschi viene naturale immaginarseli con l’elmo prussiano in testa, per intendersi quello col chiodo, se invece la mente corre oltre la Manica vien difficile non immaginarsi un compito signore con in mano un bicchiere di birra o gin o scotch o brandy, insomma qualcosa di alcoolico.  Se poi si va dall’altra parte dell’Atlantico ecco saltar fuori dalle onde un ragazzone con cinquantaquattro denti che sprizza vitamine da tutti i pori e mastica chewingum. Gli altri nel mondo pensando agli italiani s’immaginano pizza e mandolino. La parola peracottari non gli viene in mente. Solo perché nelle loro lingue non c’è.