Ciò che possiamo licenziare

martedì 30 dicembre 2014

Nati 11 orsetti hanno il ritmo nel sangue. Piaceranno a Renzi

Nel 2014 undici orsetti in più. Le cose buone in crescita sono poche. Calano anche le famiglie numerose nel 1961 erano più di 2.800.00 ora solo 180.000. Tutta colpa della tv. Sul ritmo l’orso è preparato per via di una lontana parentela con Baloo, l’orso di Walt Disney.

La novità bella anzi bellissima e in trend con talune recenti dichiarazioni di big del mondo che conta, consiste nel fatto che la popolazione dell’orso marsicano è in decisa crescita. 

In quest’anno che oramai volge alla fine sono stati censiti ben undici nuovi orsetti che su una popolazione di soli cinquanta esemplari dice di un notevolissimo balzo demografico.  Che se poi a nessun altro verrà in mente di catturare mamme orse che difendono i cuccioli è assai probabile che il numero dei nuovi possa crescere anche nell’anno che verrà.  La natura, al solito, è premonitrice e si porta avanti. E poi si equilibra per conto suo. Sempre che la si lasci fare.

L’orso marsicano (Ursus arctos marsicanus), nessuna parentela diretta o indiretta con il senatore Antonio Razzi,  è una delle poche cose (detto con rispetto, ovviamente, poiché ben si sa l’orso non sia una cosa) che cresca in Italia. Considerando, ça va sans dire,  solo quelle positive poiché se si guardano le altre, criminalità, corruzione, politici che cambiano casacca, consigli regionali inquisiti, parlamentari che non sanno quello che votano, ministri che sono sbugiardati  o, versione soft, sorpresi dalle dichiarazioni del loro capo, tassazioni e all’unisono evasioni fiscali, le prime finiscono inevitabilmente sotto. Come alcuni vigneti alle pendici dell’Etna che quando erutta li sommerge con veementi colate di lava, Nel caso italico, metaforicamente parlando, purtroppo non si tratta di lava che forse ci si farebbe la firma.

Tutto il resto è in calo. Il numero degli occupati è in calo, la compravendita immobiliare è in calo, la spesa media è in calo, la speranza di futuro è in calo e pare, così si dice però da anni, sia in calo anche il desiderio. Sono in calo anche le famiglie numerose ora ridotte solo a 180.000 unità mentre nel 1961 erano più di 2.800.000. È da dire, a loro parziale giustificazione che proprio nel 1961 fu lanciato il secondo canale della Rai e la penetrazione nelle famiglie del tubo catodico aumentava a velocità sorprendenti. Definendo una bizzarra equazione: più televisione uguale meno figli. Quindi se ne deduce che la televisione era ed è fonte di grande distrazione dai propri doveri. Lo sostengono anche i pedagogisti più illuminati: più ore davanti allo schermo meno compiti ben fatti e minor apprendimento. Così come capita che ci si dimentichi di sistemare le proprie pendenze con l’erario e, causa la distrazione, si arrivi a truffarlo. Sempre colpa delle televisioni.


L’orso marsicano non ha televisioni che lo distraggano e non si trova coinvolto neppure nella stucchevole querelle sul come pagarne il canone per evitare che l’evasione dalla tassa continui a crescere che se si bloccano i non paganti magari si mette un cerotto sulla enorme falla del debito pubblico. Inoltre il saggio orso di questi tempi è in placido letargo così si scavalla le più trite e melense conferenze  e saluti di fine d’anno a reti unificate. Che tanto di cronoprogrammi,  inni alla fiducia, 80 euro, quarantuno percento, e moniti vari, ma questi paiono essere gli ultimi, gli orsi d’Abruzzo non sanno che farsene. Sul ritmo invece forse hanno qualcosa da dire come ben testimonia Baloo un loro lontano parente che prese parte al film di Walt Disney intitolato “il libro della giungla”. Lui il ritmo ce l’ha nel sangue. 

venerdì 26 dicembre 2014

Suor Cristina sbanca in Germania. Si torni sotto lo stato Vaticano.

Laici e laicisti si mettano il cuore in pace: quelli di oltre Tevere sono più bravi. Berlusconi, Monti, Letta (Richetto) e poi Renzi hanno bucato le tournée in Germania mentre per suor Cristina standing ovation alla prima.

Laici, laiscisti, repubblicani, mangiapreti, atei, agnostici, miscredenti in genere e sbattezzati dello Uaar devono farsene una ragione: meglio tornare sotto lo stato del Vaticano. Loro, i preti, saranno anche indigesti, magari un po’ untuosi, magari pure un bel po’ saccentelli e comunque sempre con una verità, la loro, in tasca, però, obbiettivamente sono più bravi. Il caso di suor Cristina è solo l’ultima prova provata della superiorità della Chiesa verso l’italico stato. Proprio non c’è storia. La suora canterina ha sbancato anche in Germania. I rigidi e freddi teutoni sono andati in visibilio per la suora che calza scarpe da ginnastica, rigorosamente nere e senza stringe. Anche queste hanno avuto il privilegio di un bel primo piano. Le scarpe di Renzi non hanno mai goduto di un simile omaggio. Il fatto è accaduto durante Die Hellene Fischer Show.. Dicono i bene informati una delle trasmissioni più seguite della popolarissima rete Zdf. Applausi a scena aperta e poi standing ovation. Con la televisione ci aveva provato anche Berlusconi con Telefünf . Fu un fisco. Evidentemente il Berlusconi va (andava) bene solo per gli italici. Evvabbene.

Infatti il suddetto piaceva così tanto agli italici che se lo sono tenuto come presidente del consiglio per ben tre governi e con l’ultimo lo hanno anche mandato in tournée in Germania. Fiasco completo sia di pubblico sia di critica. Il massimo che ha saputo rimediare è stato un risolino. Era di scherno. E se ne è accorto mezzo mondo. Non fu una bella figura. Allora convinti che il Berlusconi non fosse il più adatto, in senso darwiniano, cj si è riprovato con altri tre. La tournée in Deutchland è d’obbligo. Prima è stato mandato il sussiegoso Mario Monti. Uno in grado di reggere una conversazione in inglese. Conservatore quel che basta, vaghe supposizioni di affiliazione alla massoneria che ha cercato di fugare frequentando ostentatamente le messe domenicali e tutte le altre comandate. Buco nell’acqua: i tedeschi si sono dimostrati più freddi di lui. Allora è stata la volta di Richetto Letta. Come il precedente sa stare a tavola compitamente ed è pure più curiale ma come al precedente e ad altri manca il quid. I tedeschi non hanno neanche fatto in tempo a conoscerlo che il twitter “Enricostaisereno” l’ha letteralmente asfaltato. Adesso è la volta di Renzi Matteo. Ruspante, ma non rozzo come il primo, cattolico ma non curiale e gatta morta come gli altri due. Il mix è cambiato, ma non il risultato. Buca con acqua.

Con sister Cristina invece la situazione è completamente ribaltata lei sul gradino più alto a cantare True colors di Cindy Lauper e i germanici in piedi a spellarsi le mani. Se chiedesse di sforare il tetto del tre per cento le direbbero di sì. Così, sulla parola. D’altra parte ha cantato anche con Patti Smith e di fronte a papa Francesco. Mica bruscoli.  E lui, papa Francesco, con due lettere e tre telefonate ha sistemato la questione Usa-Cuba. Non ci riuscivano da più di sessant’anni. Chapeau.

Allora che aspettare: si chieda subito di tornare immediatamente sotto le insegne vaticane. Toccherà qualche barbosa messa cantata e magari qualche processione e poi il rosario nel mese mariano, ma si vuol mettere con il rispetto internazionale? Forse fra le pochissime controindicazioni c’è che il cardinal Bagnasco sia ancora in giro. Parlando dei due marò ha detto: «È un fatto che non comprendo.» Oggettivamente non è il solo fatto che non ha colto e comunque non è l’unico a non averlo capito. Chiedere alla Farnesina ed al Ministero degli Esteri. Lì è buio pesto. Comunque, Bagnasco et Bertone et similia a parte, vale la pena farci un pensierino. Suor Cristina e le sue scatenate consorelle sono la soluzione  giusta. Successo assicurato. Provare per credere.

martedì 23 dicembre 2014

Napolitano e papa Francesco: corruzione, malattie e protagonismo.

Nello stesso giorno il Capo dello Stato italiano si stupisce dei mali del Paese mentre il Papa dà nome e cognome alle malattie che affliggono la Chiesa. Tutta roba vecchia già detta e ridetta. Magari qualche proclama di meno e qualche azione di più.

Con l’avvicinarsi del 25 dicembre si tende ad essere tutti buoni e magari, a quelli che sono più anziani punge il desiderio di essere maggiormente saggi e offrire importanti consigli di vita. Lo fanno i nonni, le zie zitelle e anche qualche capoufficio paternalista. Quindi è normale che l’abbiano fatto anche papa Francesco e il Presidente Giorno Napolitano. A scelta la categoria nella quale infilarli. Soprattutto se per quest’ultimo le possibilità di continuare a dispensare moniti si stanno restringendo con il veloce scorrere dei giorni, viste le dimissioni già annunciate. Ma non ancora rese operative.

In entrambi i casi, comunque, si è trattato di incontri per lo scambio degli auguri natalizi e del nuovo anno. Il Capo dello Stato si è rivolto all’assemblea plenaria del Csm mentre il capo della Chiesa si è rivolto a cardinali e vescovi. Magari non sono proprio la stessa cosa e non hanno la stessa funzione ma nelle singole specifiche son due consessi di un qualche peso. Sono stati auguri agri ancorché vivi e vibranti. Per la soddisfazione, che di solito si accompagna ai due aggettivi, c’è stato poco spazio, ma questo è fatto più che vecchio. Addirittura antico.

Il Presidente Napolitano si è detto «colpito dal dilagare della corruzione e della criminalità.» E ci si immagina il vibrante stato d’animo che senz’altro assomiglierà a quello del disoccupato che ha appena appreso dalla moglie che anche per questa volta sarà dura arrivare alla fine del mese. Chi poteva mai prevederlo? Nel Paese che ha avuto due volte a capo del governo uno con sulle spalle un discreto numero di  processi, molti dei quali scavallati per prescrizione e altri per leggi confezionate su misura e che ha portato in parlamento un bel tot di avvocati e pure qualche miss, perché anche l’occhio vuole la sua parte, e che alla fine è stato condannato per truffa ai danni dello Stato, beh, il dilagare della corruzione se proprio non ci sta ci va vicino. Senza contare che è anche il Paese dove le spese pubbliche costano, al minimo, il triplo che nel resto d’Europa e  dove i parlamentari da sempre si aumentano lo stipendio a piacimento e a ripetizione (qualche volta su quei banchi ad approvare quella spesa c’era pure l'attuale Presidente, anche allora vibrante di soddisfazione) e dove la questione tangentopoli scoperchiata oltre vent’anni fa non è ancora arrivata a buon fine. Sic stantibus rebus non c’è da rimaner colpiti. Sempre che non si siano trascorsi gli ultimi cinquant’anni della propria esistenza a confezionare collanine in Paupasia. Che può anche essere. Almeno con la mente.

Papa Francesco, che viene dalla fine del mondo (parole sue) anche se non si tratta della Paupasia, ha pensato bene di fare un piccolo bilancio. Ne è scaturito un bel elenco di quindici malattie della Chiesa. Si va dall’eccessiva operosità  all’alzheimer spirituale, dalla vanità alla schizofrenia esistenziale.  A occhio e croce le ha individuate tutte, o quasi, con tanto di nome e  cognome. Non deve essere stato un grande sforzo. Sono le solite da quasi duemila anni a questa parte. E le ricadute, nel grande e nel piccolo, sono pressoché quotidiane. E comunque già altri, tra cui anche Francesco d’Assisi. magari con meno scienza medica, già le avevano individuate e denunciate. Ma poi non è successo nulla. E anche adesso quanto a parole non si è lesinato, anzi. Ma sono i fatti, fino ad ora, ad essere stati lesinati.

A fare i protagonisti delle chiacchiere, in entrambi i casi, è un attimo. Magari ci fosse un po’ meno retorica, meno roboanti proclami e qualche fatterello in più, anche a far da esempio: l’intero Paese lo apprezzerebbe. Anche il disoccupato di cui sopra.

giovedì 18 dicembre 2014

Cuba è più vicina, i due marò invece no.

Dietro il ravvicinamento tra Cuba e Washington  pare ci sia la manina di papa Francesco: un paio di lettere e qualche telefonata. L’Italia in tre anni ha fatto sempre la stessa cosa: figura di palta. E se la si  affidasse a Bergoglio la questione dei marò?

Grande notizia sui giornali di tutto il mondo: finalmente il disgelo tra Cuba e gli Stati Uniti d’America. Dopo 63 anni riprenderanno a parlarsi e si riconosceranno reciprocamente. Bel colpo di cui (quasi) tutto il mondo è felice. Saranno un po’ perplessi i sognatori: mitizzatori del Che e di Fidel. Ma pazienza, forse sono rimasti pure in pochi. Gli statunitensi hanno scoperto che l’isolazionismo non funziona mentre i cubani da oggi rientrano nella grande famiglia americana. «Todos somos americanos.» lo ha detto Obama. Che tanto lo erano anche prima ma un bollino yankee fa sempre comodo.

Gli effetti collaterali non sono pochi. Innanzi tutto il nome di Cuba verrà depennato dalla lista nera degli stati canaglia (brillante invenzione USA) poi lo zucchero potrà potrà essere venduto a poche miglia di distanza e non fare il giro del mondo e infine i cubani residenti potranno ricevere più soldi da quelli espatriati: da 500 a 2.000 dollari per trimestre. Per gli USA il primo e più importante beneficio sarà che la Cia potrà smettere di scervellarsi sul come ammazzare Fidel. Ci hanno provato 638 volte compresa quella di avvelenare suoi sigari. A riprova che più il consesso è serio e più l’umorismo ha libero accesso.  La seconda è che Michele Obama e figlie potranno farsi un altro viaggetto. Sulla porta di casa, ma comunque esotico dove potranno visitare il più grande museo all’aria aperta d’auto d’epoca yankee. Fine tessitore del miracolo: Jorge Bergoglio in arte papa Francesco, da solo diciotto mesi residente a Roma. Gli sono bastate un paio di lettere e qualche telefonata.

Mentre tutto questo succedeva ad occidente della città eterna da oriente arrivava allo Stato italico  l’ennesimo smataflone. Targato India, naturalmente. Da tre anni la Corte Suprema indiana tiene in ostaggio due fucilieri, Latorre e Girone, senza emettere un capo di imputazione. Anche qui c’è la perfida ironia delle cose umane. E italiche in particolare. I fucilieri sono nella sostanza prigionieri ma senza accusa. Non sono in carcere, ma all’ambasciata. Ogni tanto hanno fruito di permessi, quasi delle licenze e qualche volta moglie e figli li hanno raggiunti. Un brillante ministro degli esteri durante una loro venuta sul patrio suolo non li voleva far ritornare nonostante la parola data. E per essere certo che la cosa girasse bene lo fece sapere alla stampa. Gli indiani, alle spalle una civiltà millenaria hanno capito in breve che degli italici non ci si può fidare. Per loro deve essere stata una scoperta. Pari a quella di Colombo Cristoforo quando trovò le indie occidentali.  Per cui Latorre, in Italia per curarsi, deve tornare nei tempi stabiliti e Girone non si può allontanare. Meglio tenersene uno ben stretto avranno pensato a New Delhi.

Comunque, dal momento del fermo dei due del San Marco sono passati tre governi e non è successo nulla. O meglio è stato reiterato per tre il solito atto: figura di palta. Adesso con due ministri di polso: alla difesa Pinotti, che non è parente di Gianni perché quello è il cognome e di nome fa Roberta e agli esteri Gentiloni Paolo, la situazione è rimasta nelle orme della tradizione manzoniana. Grida ferocissime e fegato di burro. Anche perché tuonare aggiungendo dei “ma” raramente ha portato da qualche parte. Rivolgersi a Veltroni Walter per spiegazioni in merito. Se poi si cerca di intervenire sulla Corte Suprema, istituzione indipendente, facendo pressioni sul governo indiano si dimostra che «non tutto il mondo è paese.» Ché magari si fosse chiesto subito l’arbitrato internazionale la cosa sarebbe ormai risolta.  Ma non ci si può aspettare da chi è senza denti di mordere.

In tutto questo bailamme è intervenuto anche il Colle. Napolitano si è detto «fortemente contrariato», in inglese «very dissatisfied.» La Corte Suprema indiana sarà rimasta impressionata da quel «fortemente.» Si fosse trattato di Regno Unito, USA o Germania o anche Francia sarebbe bastato «contrariato» Ma questi non sono loro, avranno pensato i giudici indiani.  Dagli torto.

Naturalmente in questi tre anni solidarietà a fiumi, qualche lacrima, alcuni viaggi ministeriale a spese del contribuente. Insomma la solita rappresentazione. Magari un suggerimento a Renzi e Napolitano, prima che se ne vada, lo si potrebbe dare: perché non chiedere a Bergoglio di occuparsi della questione? Questi del Vaticano a volte sono lenti, mai quanto i diversi inquilini della Farnesina, ma quando si fissano ottengono quel che vogliono.



martedì 16 dicembre 2014

L’antipolitica, Mafia Capitale, Napolitano e gli altri

Ne hanno parlato Giorgio napolitano, Ernesto Gali della Loggia e monsigor Bregantini.  Pensare che Mafia Capitale nasca da due scardellati, per quanto carogne, è illogico. Il marcio nel pesce, ma non solo, parte dalla testa.  Vanno chiamati ladri o sottraenti?

Il termine antipolitica è vecchio assai ne facevano già uso i sofisti ai tempi di Pericle, quindi niente di nuovo sotto il sole. Al solito. Dalle nostre parti la parola ha cominciato ad avere corso corrente da relativamente poco tempo ed ogni volta che si è scoperchiato un qualche verminaio che vedeva coinvolti politici tradizionali. Che tutto sommato ci sta. Quando un corpo si ammala nascono gli anticorpi. Anche se talvolta questi sono così deboli da farsi assorbire dal corpo malato. Il caso della politica italiana dei venti anni passati.

Negli ultimi giorni di antipolitica si è parlato spesso. Anzi addirittura troppo. Anche in questo caso la miccia è stato un bel pateracchio messo in piedi da esponenti della politica in quel di Roma. Sarà molto interessante vedere se la magistratura sarà in grado di scoprire qual è stato il vero punto di partenza. È già, perché pensare che il tutto nasca da un ex assassino pure ex redento e da uno sparatore dei Nar, mai redento, suona strano. Anzi stranissimo. O meglio illogico. Quando si arriverà, se si arriverà, in fondo probabilmente ci saranno delle belle sorprese. E magari le mani di qualche solone tuttora tromboneggiante saranno ancora sporche di marmellata. Altro che due scardellati. Come dire che il pesce puzza dalla testa. In fondo come quando si scoprì in tempi di prima repubblica che esisteva il “conto protezione” che tutti proteggeva meno il soggetto per cui era nato. Peracottate italiche.

A parlare di antipolitica in genere ci si fa male. Non foss’altro per i begli esempi dati dalla politica: il consiglio della Lombardia ai tempi di Formigoni, l’altro ieri, contava più inquisiti che consiglieri regionali, e alcuni con simpatiche frequentazioni in ambito mafioso. In contemporanea c’era stato il caso della regione Lazio e subito dopo quella della regione Emilia-Romagna. Tanto per dirne solo tre. Che si fa prima a dire i consigli regionali puliti, elenco breve, che quegli altri: elenco lungo. Poi c’è il caso di Venezia con il Mose, e quello di Milano con Expo e adesso Roma. Senza contare del centinaio di parlamentari tra inquisiti e condannati. A proposito: i condannati ad andarsene non se ne danno per inteso. Che qualcuno, a questo punto, abbia qualche voltastomaco ci sta.

Comunque il Presidente Napolitano ha monitato, forse una delle ultime volte, sostenendo che l’antipolitica non solo non è bella, ma è «Eversiva».  Addirittura. Che magari lo sarebbe meno se invece di gridare «Fuori i ladri» si mormorasse, ancor più sottovoce: «Accompagnante alla porta i sottraenti le pubbliche risorse.» A stretto giro gli ha risposto con spiccato senso dell’umorismo monsignor Bregantini sostenendo che «Un politico corrotto è più eversivo di un antipolitico onesto.» Al solito il Vaticano gioca sul sicuro. D’altra parte con simili assist viene difficile non andare in rete. E chi è abituato a giocare di rimessa ci riesce benissimo.  Poi è stata la volta di Ernesto Galli della Loggia che ha semplicemente detto quel che molti pensano e sanno: la pulizia è morale ancor prima che tangibilmente fisica. E soprattutto che negli ultimi venti e passa anni, l’analisi del fenomeno non c’è proprio stata. Tirar fuori la lettera di un suicida, peraltro in quegli anni ampiamente strumentalizzata, oggi proprio non serve. Soprattutto se per quelle stanze bazzicano sempre le stesse facce. E le stesse famiglie. Che un altro Letta, Guido, corra, legittimamente, per la carica di segretario generale della Camera dei deputati, al di là dei quasi certi indubitabili meriti, suona poco chic. Ma tant’è.

Sostenere poi, come certi bolliti fanno che «La politica costa» significa dimenticare la storia della Società di Mutuo Soccorso, delle Cooperative e delle Case del Popolo Il «sistema» in termini qualitativi un po’ è cambiato ma poi neanche tanto: entrati in politica con le pezze ai pantaloni taluni, quanti?, ne sono usciti con ville, poderi, eccetera eccetera. Meglio non approfondire. O no? Dal punto di vista della quantità invece il cambiamento c’è stato: oggi sono molti di più. E questo non è bello.



Al dunque il fenomeno dell’astensione cresce, quindi sempre meno cittadini si interessano della cosa pubblica per via del lezzo. Chiudersi nel fortino di Montecitorio autonominandosi non servirà. Per finire la domanda epocale: chi sono l’antipolitica? Quelli che la pulizia non la fanno o quelli che la vogliono? 

venerdì 12 dicembre 2014

Papa Francesco non incontra il Dalai Lama. Si comporta come tutti.

Il Dalai Lama è simpatico e sempre sorridente ma nessuno lo vuole ricevere. Anche papa Francesco preferisce non incontrarlo. Vince sempre la politica dell’interesse di parte. La Chiesa si sta convertendo al relativismo: «meglio i tuoi che i miei.» Nel contempo monsignor Bregantini fa la morale a Napolitano.

Ancora una volta vince la realpolitik. Questa volta è realpolitik vaticana targata papa Francesco e a farne le spese è il solito Dalai Lama. Francesco non lo vuole ricevere. Alle porte in faccia il XIV Dali Lama ci è abituato. I cinesi l’hanno cacciato dal suo Paese, il Tibet, e molti capi di stato e di governo lo evitano come la peste. Non vogliono inimicarsi la Cina che se si arrabbia fa saltare un bel po’ di contratti e tanti bei dollaroni e euroni corrono il rischio di evaporare. E allora tanto vale chiudere un occhio sul genocidio culturale del Tibet e, già che ci si è, anche sulla mancanza di diritti civili nel ex celeste impero. Che adesso di celeste non ci ha proprio più nulla visto come ammazzano chi osa protestare e come cacciano in galera, e torturano, i dissidenti.

Tenzin Gyatso, questo il nome dell’attuale Dalai Lama agli sgarbi istituzionali perpetrati nel nome del profitto, perché di questo si tratta, forse ci ha fatto il callo e da buddista magari neanche se ne accorge. Già a Milano nel giugno del 2012 gli fu negata la cittadinanza onoraria, non era una gran medaglia ma un segnale che si può stare con la schiena dritta anche davanti ai potenti. In quella occasione il sindaco Pisapia fece un figurone: fu l’unica autorità ad incontrarlo. Meno onorevoli furono i sudafricani che gli impedirono di partecipare ai funerali di Nelson Mandela. Entrambi sono stati insigniti del Nobel per la Pace. Quindi un qualche motivo per consentirgli di esserci c’era.

Comunque se dai laici simili voltafaccia, per stare nel politicamente corretto, ce le si può aspettare da un’autorità religiosa viene un po’ più difficile. Soprattutto se questa passa per essere trasgressiva (per come lo può essere un papa cattolico) e sommamente democratica  (sempre per quanto lo può essere un papa cattolico) come è nel caso di papa Bergoglio.  Eh sì, il papa che si è dato il nome di Francesco  ha detto che non vuole entrare in quelle che, tra la Cina ed il Dalai Lama, sono definite «tensioni». Come sono gentili e ben educati ed elusivi in Vaticano. Come sanno scegliere bene le parole. D’altra parte duemila anni di storia avranno pur insegnato qualcosa. 

In queste «tensioni» papa Bergoglio non vuole entrare per timore che il governo cinese se la prenda a male e magari crei qualche problema con i cattolici locali. Allora a salvaguardia del proprio ce ne si può infischiare di quello che succede agli altri. Insomma come dire «non nel mio giardino» o se si vuole essere più diplomatici: «È meglio se ammazzano i tuoi piuttosto che i miei». C’è una nota di cinico relativismo in questo modo di ragionare che, forse, un po’ stupisce. La chiesa sta forse diventando laica?  O che magari invece indigna. La lezione della doppia verità oltre Tevere è stata ben appresa e, soprattutto, ben digerita. E in questa tradizione va letto l’attestato di stima di Bergoglio per il capo spirituale dei buddisti tibetani. Con una mano si dà e con l’altra si toglie. Come sempre.
Nelle stesse ore in cui Bergoglio volta le spalle ai tibetani (poi si dirà che non è proprio così, già ce lo si immagina) monsignor Bregantini uno dei capi della Cei contraddice Napolitano e afferma che: «Un politico corrotto è più eversivo di un antipolitico onesto.» Come battuta lapalissiana non è male, un bel sette più. Come demagogia un nove pieno. Come sincerità, trasparenza e coerenza un misero tre. Ma dato con lode.

E pensare che il Dalai Lama al momento dell’elezione di Bergoglio disse «Mi sono commosso quando ho saputo che ha scelto il nome di Francesco. Conosco san Francesco, la sua disciplina, la semplicità del suo stile di vita e il suo amore per tutte le creature sono qualità che trovo di profonda ispirazione». Magari adesso sull’amore per tutte le creature ci sarà un po’ da riflettere.

Come dire: papa Francesco è un uomo di potere e come tutti gli uomini di potere si comporta , con calcolo furbizia, quel tanto di demagogia che serve, eccetera, eccetera. Insomma non è diverso da tutti gli altri. Forse solo un po’ più simpatico, ma questo, forse, non basta.

domenica 7 dicembre 2014

Berlusconi il moralizzatore:« basta marciume»

Il miracolo operato dai servizi sociali. Il domiciliato di Arcore vuole pulizia in politica. Nuova promessa agli italiani: la moralità. Arriva dopo l’aumento delle pensioni, le dentiere, i toupet ed i cateteri gratis per tutti. Presto anche il buon senso sbarcherà in politica. La metafora del bue e l’asino.

«E il bue disse all’asino cornuto.» Fino ad ora sembrava uno dei tanti adagi popolari trasmessi per via orale. Di quelli di cui si conosce ben bene il significato ma che rimangono sempre metaforici e non immediatamente riportati e riportabili alla realtà. E quando lo sono fanno riferimento a cose piccole e semplici: liti tra moglie e marito o, più divertente, storielle di corna tra due che coram populo si dicono coniugati con donne dai facili costumi. Quindi questioni private e mai di pubblico e nazionale interesse. A dare una sterzata a questo ormai liso stato di fatto ha pensato il domiciliato di Arcore, in arte Silvio Berlusconi. E così lui ha stentoreamente dichiarato: «,basta al marciume.» Portando la metafora a livello nazionale.

Non pochi tra i suoi si sono preoccupati ma poi leggendo il resoconto giornalistico si sono tranquillizzati: il loro leader faceva riferimento ai recenti fatti di Roma.  E non ad altro. Che così è pure meglio. Vuole pulizia in politica e nella vita sociale  il condannato a quattro anni per frode fiscale di cui tre coperti da indulto ed uno sanato con  l’affidamento ai servizi sociali. Verrebbe proprio da dire: il bue dice all’asino cornuto.

Voler più moralità è giusto, anzi giustissimo. Detto e scritto senza alcuna malizia: solo chi ha conosciuto la colpa, anche se veniale come quella della frode, sa quanto sia bello vivere nel lindore. La qual cosa comporta la possibilità di guardarsi allo specchio senza arrossire, anche sotto chili di cerone, e di dormire sonni tranquilli. Magari con la papalina e la boule dell’acqua calda. 

Ovviamente i giornali tutti si sono buttati sulla ghiotta notizia e l’hanno pubblicata a caratteri di scatola.  Pochi hanno colto il vero segno di questa affermazione che non ha nulla di politico ma fa riferimenti solo alla sfera morale. E ancora meno sono stati quelli che, in cuor loro,  si sono complimentati con il giudice che ha trasformato un anno di vigliacca galera con i servizi sociali. Sono stati questi a far germogliare sulle labbra del Berlusconi Silvio parole dal tanto importante valore etico. Cesare Beccaria nell’udirle si sarà messo a ballare nelle tomba e avrà gioito e dimostrato a quei forcaioli che vogliono pene sempre più dure, finanche la morte, il cambiamento del pensiero di un uomo. Passare dall’avere alle dipendenze e difendere un mafioso conclamato (Mangano)  o trascorrere la vita lavorativa accanto  ad un altro (Dell’Utri) e addirittura con questo fondare un partito e poi impedire al proprio ministro dell’Interno di commissariare un comune mafioso fino ad essere condannato per frode fiscale al diventare poi paladino della pulizia in politica, ha del miracoloso. Grazie, Cesare Beccaria.

Ma i miracoli non finiscono qui. È proprio grazie alla frequentazione, obbligata, dei più deboli e svantaggiati che il cuore del più ricco degli italici si fa di burro e ne è evidente l’influenza nel suo messaggio politico. Già perché il Berlusconi Silvio resta in politica anche se già lo si vedeva avviato verso qualche sperduto eremo. Rimane in politica e volge il benevolo sguardo agli anziani ed ai poveri. Al confronto san Francesco, con le sue colombe ed i suoi lupi, parrebbe proprio un venditore di bufale. Nel senso di fregature. O di balle. E infatti l’uomo redento lancia il suo programma elettorale fatto di dentiere, cateteri, toupet e pensioni minime portate fino alla strabiliante cifra di mille, diconsi mille, euro al mese. E udite udite, per tredici mensilità. E ovviamente giù le tasse per tutti. Lascia stare che così a guadagnarci sarebbero solo quelli con più soldi: non tutte le ciambelle riescono col buco.

Un uomo così non può che avere in uggia il marciume. Nella politica come nella vita sociale e soprattutto nella sua vita privata. E, se ne ha la quasi certezza, ben di disfarebbe di tutti i suoi averi per darli ai poveri se non fosse per i tanti figli, che sono pezz’e core, e per gli ancor più numerosi nipoti. E poi mai vorrebbe rubare la scena a papa Bergoglio ed al resto del clero.

Se la piccola frequentazione dei servizi sociali, un sola volta alla settimana, ha potuto operare tale cambiamento perché non allungarne la permanenza a quattro o cinque giorni? Anzi a tutta la settimana e a tempo pieno. Così finalmente si avrebbe un politico completamente depurato, come l’acqua microfiltrata, e il governo del Paese ne trarrebbe infinito beneficio.

sabato 6 dicembre 2014

Indovina chi si incontra a cena?

Roberto Saviano chiede spiegazioni per una cena di 4 anni fa. Il ministro Poletti trova «sgradevole essere tirato in ballo». Andreotti non accettava inviti se non conosceva i commensali e Cuccia dei suoi azionisti conosceva tutto, ma proprio tutto. Se si fanno minchionate è giusto essere bacchettati.

Giulio Poletti è stato attaccato da Roberto Saviano perché nel 2010 andò ad una cena dove sedeva il gotha di quello che poi è diventato il caso «Mafia Capitale» 
Narrano alcune leggende metropolitane, che di solito sono delle gran bufale ma qualche volta ci prendono, che Giulio Andreotti, detto il divo Giulio, ma anche lo zio Giulio, ma anche belzebù e anche la volpe, fosse solito, prima di accettare inviti a cena, chiedere chi fossero gli altri a tavola. E se aveva delle cattive impressioni declinava. Non che poi tutte le sue frequentazioni fossero specchiate, ma almeno un po' alle apparenze ci teneva. Inoltre i soliti bene informati dicono anche che volesse conoscere la disposizione dei posti in modo da avere affianco solo persone presentabili. Si fa per dire. Sempre le stesse leggende metropolitane raccontano che Enrico Cuccia, presidente di Mediobanca, che peraltro non accettava mai inviti a cena, conoscesse per filo e per segno, comprese le magagne, tutti i suoi azionisti. E con prodigiosa memoria ricordasse, in privata sede e solo agli interessarti, episodi per così dire divertenti. Almeno finché rimanevano in quelle stanze che quei muri non aveno né bocca né orecchie. Leggende metropolitane. Ma come spesso raccontano i parroci di campagna bisogna sempre far tesoro di queste favole perché dentro nascondono spesso un bel po' di saggezza.

Giuliano Poletti invece andava a cena senza informarsi sugli altri commensali e soprattutto senza aver ben chiaro chi fossero i suoi associati. Già, perché allora non era ministro ma più semplicemente il presidente di Legacoop nazionale. A dirla così sembra una bocciofila mentre invece era ed è una potenza economica non da ridere. Nel 2009, l'anno prima della cena incriminata, la Legacoop nazionale gestiva 15.000 cooperative (sono 15.000 da sempre e in questo assomigliano ai cinesi di Milano che di numero non cambiano mai), ottomilioni di soci, quasi mezzo milione di dipendenti e circa 56 miliardi di fatturato. E così, neanche fosse l'ospite invitato all'ultimo perché gli altri a tavola erano in tredici, lui ci andò senza fare domande e si sedette proprio di fronte a Gianni Alemanno, allora sindaco. Già chiacchierato. E come niente fosse si trovò in compagnia di Salvatore Buzzi e di tutti quegli altri che ai giorni nostri vengono classificati in ordine alfabetico nel fascicolo «Mafia Capitale». 

Uno dice: «Mica si possono conoscere tutti i presidenti delle cooperative aderenti.» E questo è vero, ma quante cooperative fatturavano 16 milioni di euro in quegli anni? Che sono quanti ne faceva la cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi nel 2009. Pochine vien da dire. Qualcuno avrebbe dovuto dirlo al presidente che si sarebbe trovato di fronte ad un fenomeno: perché una cooperativa di ex detenuti che mette insieme in pochi anni quel popò di giro d'affari dev'essere guidata proprio da un genio. Dato per scontato che quei soldi non li abbiano messi insieme facendo delle rapine. Se poi si pensa che quel gruzzoletto il Buzzi lo faceva con un'amministrazione comunale di colore avverso deve essere genio due volte.

Da cui discende che se quelli di destra utilizzano una cooperativa di sinistra i fatti sono due: o la 29 giugno ha prezzi e qualità strabilianti o viene usata come effetto candeggina. Ovverosia per dimostrare che tuttto è regolare e sbiancare eventuali magagne. Gli si fa vincere qualcosina. Garette marginali. Premi di consolazione. Ma sedici milioni di eurini non sono propriamente un premio di consolazione. E allora qui gatta ci cova.

E ci covava sì perché già allora si mormorava sulla «parentopoli nera» di Alemanno Ginni e anche sulle gare d'appalto qualcosa si diceva. E non erano cosa belle. Ma l'imolese Giuliano Poletti, presidente, non sapeva nulla. E nulla sapeva il suo staff e nulla la Legacoop di Roma e tanto meno quella del Lazio. Che a guardare solo gli ultimi due livelli, che sono quelli più legati al territorio, c'è da chiedersi come quell'organizzazione abbia potuto e possa tutt'ora mettere insieme quel bel fatturato degno di una multinazionale.


La vulgata, nel vecchio Pci, diceva che per i funzionari di carriera il partito fosse il paradiso, il sindacato il purgatorio e le associazioni di massa l'inferno. E lì stava Poletti. Poi le Coop un po' si sono risollevate perché controllare i flussi di cassa fa crescere nella scala sociale e nella reputazione. Soprattutto quando il partito non è più forte come un tempo e l'autonomia si è allargata. Però, magari, metterci un po' d testa quando si viene invitati da qualche parte o quando vien richiesto di stringere qualche mano, magari adesso che si è ministro, non fa male. Soprattutto se non si è in debito.

mercoledì 3 dicembre 2014

Non ci sono più i fascisti di una volta.

I fascisti veri, quelli dell’ordine e disciplina, quelli del  ridotto in Valtellina e poi del doppio petto sono spariti. Sono rimasti i soliti: picchiatori, delinquenti comuni e mafiosi integrati (questo l'aveva fatto anche Mussolini). In tanti si staranno rigirando nelle tombe: Starace, Pavolini, Almirante e anche Rauti. Doveva pestare con più forza sulla zucca di Alemanno. 

Achille Starace sul cavallo nero quello bianco
poteva solo saltarlo, era di Mussolini
A Roma la Guardia di Finanza e i Carabinieri si sono scatenati, però anziché dare la caccia a Rom e Sinti e magari pure qualche clandestino, si sono messi ad indagare su 100 bei personaggini. Ne hanno già messi dentro, nel senso di arrestati, 37 definiti «eccellenti.» Che il mondo è ben bizzarro, un tempo «eccellente» veniva utilizzato, solo nel senso di buonissimo, superlativo senza issimo, adesso invece no.  Sempre più spesso eccellente si accompagna con arresto. E sempre più spesso arresto eccellente fa rima con mafia cogente e capitale corrente. Deve essere colpa del rap e dei rapper. I tempi cambiano, ma le rime restano. 

Questa volta oltre alla solita carrettata di eccellenti, che eccellenti paiono poco essere, ci si sono infilati anche una bella schiera di fascisti. Neo fascisti, un poco fascisti, molto fascisti, fascisti pentiti, ex fascisti, insomma: fascisti. Il fatto è che guazzano con mafiosi e delinquenti comuni. E si danno da fare con estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta (anhe per la gestione dei campi Rom), false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e chissà cos’altro. Insomma quasi tutto l’armamentario mafioso che per averlo per intero bisogna studiare e fare molta pratica. Che salutare romanamente, avere lo sguardo truce e manganellare in tanti contro uno non basta.. 

Certo non ci sono più i fascisti di una volta: quelli abituati a marciare con passo fermo: alla Starace. Il quale forse si starà rivoltando nella tomba: lui voleva ordine e pulizia pure se ci aggiungeva un bel po’ di minchioneria. Fu addirittura mandato da Mussolini a commissionare la federazione di Milano (1928) che pareva in combutta con loschi figuri. Tipo la Roma d’oggi. Oppure quelli che vagheggiavano della bella morte e del ridotto in Valtellina (1945), dove volevano fare le Termopili del fascismo. Il campione di questa bella pensata era Alessandro Pavolini, un altro probabilmente in agitazione nel sarcofago. Lui si vedeva con l’elmo di Leonida in testa: tutto gloria ed eroismo. E mentre quello sognava il germanico colonnello Wolf sghignazzava su queste che definiva «stupidagini» e vendeva lui e gli altri in blocco.  Neanche si trattasse di un sottocosto. E li piazzò al primo colpo senza troppa pubblicità.  E non ci sono più neanche quelli alla Almirante, un altro in agitazione nella tomba, tutto doppio petto e ben azzimato anche se a Valle Giulia qualche sganassone l’ha mollato.. Quei fascisti non ci sono più? No, non ci sono più. Sono rimasti i soliti quelli di sempre: picchiatori, delinquenti comuni e mafiosi integrati. 

Un altro che probabilmente sta allegramente prillando nella bara è Pino Rauti. Ideologo e intellettuale, clerico-fascista tutto d’un pezzo. Mussolini era più laico. Pino Rauti prilla perché tra gli indagati, per ora a piede libero, c’è anche Gianni Alemanno, che è suo genero. E questo, data la situazione, non pare fine. Si rammaricherà, forse,  il vecchio Rauti di non aver pestato a sufficienza sulla testa del genero per fargli entrare nella zucca gli elementi fondamentali della mistica del fascio. Tutta nobili sentimenti, eroismi e impegno sociale che spazio per il venale ce n’era poco. Ma d’altra parte l’asino puoi portarlo all’acqua  ma vien difficile obbligarlo a bere. 

Sull’integrazione della mafia nel regime il fatto non è nuovo. Qualcosina l’aveva fatta anche Mussolini (il nonno) quando si intascò la Sicilia esonerando il Prefetto Mori. Nonostante che pure Mori viaggiasse con la camicia nera.  Quindi questi di Roma in qualche modo sono in linea. Bhè sì, alla fine i fascisti restano sempre fascisti. E non è bello.