Ciò che possiamo licenziare

mercoledì 26 novembre 2014

Votare non è più di moda.

Dopo l’Emilia-Romagna e la Calabria anche la Camera dei deputati si adegua al nuovo trend. Nelle regioni non hanno votato di domenica che è giorno di festa e di santificazione. Nel Parlamento non l’hanno fatto di martedì che è giorno feriale e di lavoro.

Le mode, è appurato, non si sa dove nascano ma le si vede bene quando si consolidano.  È successo per l’hula-hoop, la minigonna, i capelli lunghi e poi la rasatura che è partita con gli skinhead dell’estrema destra per finire a nascondere la alopecia di manager, giornalisti e garzoni. E alla fine è giunta pure in Parlamento. E ci mancherebbe: il Parlamento è il collettore delle istanze popolari. E dunque in Parlamento è arrivata pure la moda del non-voto, che fra un po' si scriverà senza trattino e diventerà una parola nuova. In fondo il parlamento mica sta fuori dal mondo. Anzi.

Così dopo i calabresi e gli emiliano-romagnoli anche i parlamentari hanno deciso di non votare. Per cose importanti ovviamente perché invece ad astenersi sulle intriganti proposte della aspirante presidente della Repubblica Roberta Pinotti sulla “istituzione della banca del tempo” o sulla “istituzione della giornata dell’inno nazionale” non ci pensano proprio. Questa volta i non votanti alla Camera per il renziano Job Act sono stati solo il 48%, numerello ancora basso. Per questa volta non sono riusciti ad eguagliare il primato regionale ma d’altra parte si è solo agli inizi. Ci si rifarà alle prossime occasioni. D’altra parte mettendo in campo gente del calibro di Civati (il-vado-ma-no-resto), Cuperlo (lo scrittore dei discorsi di D’Alema) e Fassina (quello che si è arrabbiato perché non è stato nominato ministro ma solo sottosegretario) senz’altro si potrà fare di meglio. Senza contare poi che ci sono le vecchie volpi della Lega Nord come Bossi (c’è ancora) e  le valchirie forziste (anche loro ci sono ancora) e poi quelli di Sel (i non attratti dalla sirena Renzi) e infine i giovani virgulti del M5S. Ce la possono fare senz'altro. Con un po’ di impegno.

A parziale scusante per non aver raggiunto il top c’è da dire che i deputati si sono trovati a votare di martedì che è giorno feriale mentre agli elettori delle regionali hanno potuto esercitare il loro non-voto di domenica, il che è un bel vantaggio. Nei giorni di festa è più facile trovare delle scuse per sgattaiolare e, come dicono a Roma “darsi”. Di martedì invece è più difficile: inoltre per molti è il primo giorno lavorativo e si è più notati se ci si è piuttosto che se non ci si é. Almeno così è risolto il quarantennale dubbio morettiano: li si nota di più quando ci sono soprattutto perché per non pochi è un fatto eccezionale. Quindi la buvette è stata più affollata del solito e gli abitué se ne sono lamentati.

Come per le regionali Renzi ha esultato e l’ha fatto via twitter, ci mancherebbe altro, scrivendo «più tutele e lavoro» come se il lavoro potesse nascere per decreto. Queste cosucce il suo amico Marchionne potrebbe anche spiegargliele, nei momenti di pausa tra la stesura di un piano industriale e l’altro. Sul fatto che in aula fossero in pochi il Renzi se ne è fatto subito una ragione, come in quattro-e-quattro-otto, se l’era fatta per la scarsa partecipazione alle regionali. Poi, come dire, meno si è e più facile è governare. Meno interruzioni, meno opposizioni, meno chiacchiere. Tutto sommato meglio così. E poi, a dirsela chiara, chi sta cambiando il Paese non può perdere tempo con i dettagli anche se in questi si nasconde il diavolo, che notoriamente fa le pentole ma non i coperchi.


A rimanere in aula e a votare a favore del provvedimento c’è rimasto Bersani e un manipoletto dei suoi. Lui dice che l’ha fatto per il «bene della ditta» ma forse è perché non sa che pesci prendere. Comunque se la moda del non-voto prende piede stabilmente anche in Parlamento verrà più facile sfoltirne i ranghi. Così, tra amici, si gestisce meglio e pure si risparmia. Che di questi tempi non è poco. 

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