Ciò che possiamo licenziare

venerdì 28 marzo 2014

Barack e Francesco: 53 minuti di segreto .

Negli incontri al vertice si vola alto e i complimenti si sprecano. Poi però bisogna fare i conti con la realtà. Chissà se nell’incontro con papa Francesco s’è parlato d’armi. Sembra che Barack abbia in testa una strana equazione produrre armi per sconfiggere la povertà.

A vedere i grandi del mondo quando si incontrano l’animo si riempie di felicità. Gioia gaudioque. Sono sempre sereni, rilassati e si congratulano tra di loro:«È un grande onore conoscerla» oppure «Meraviglioso incontrarla. Sono un suo grande ammiratore» e poi «Caro signor Presidente» e «Caro signor Papa.» No, pardon «caro signor Papa» non si dice. E tutti in queste occasioni ufficiali si scambiano parole che paiono di miele tanto scivolano dolci e morbide. Almeno quelle pubbliche. Di quelle private non si sa. Quindi si va d'immaginazione.

E così Barack parlando con Francesco pare abbia detto del suo impegno a voler sconfiggere la povertà nel mondo. E Francesco probabilmente si è fregato le mani dalla contentezza. Obbiettivo encomiabile. E Francesco l’ha guardato con occhi sognanti e, forse e con qualche probabilità, ma non c’è da giurarci, gli deve aver creduto quasi subito. Perché uno che ti dice una cosa del genere deve essere creduto per forza. Certo non gli sarà venuto in mente a Francesco, solo per educazione, di chiedere a Barack perché non cominci magari nel piccolo: chiedendo alle aziende americane di lasciare in pace, per esempio, quelli che vivono nella foresta amazzonica. Poiché, in fondo, quei pochi che ancora vivono nel Mato Grosso gran male non fanno così come, al contrario invece, molto male fanno all’intera umanità quelli che tagliano gli alberi e vogliono farlo attraversare da  un’autostrada. Che asfaltare una foresta non è bello.  Ma forse a papa Francesco gli sarà parso un po’ demodé e magari anche retorico. O magari ha immaginato che se avesse affrontato questo tema il suo ospite avrebbe potuto sospettare un qualche conflitto d’interesse, in Italia si è esperti come nessuno al mondo in questa pratica, dato che lui viene proprio da quelle parti. Intendendo con questo il continente sud americano.

Chissà poi se papa Francesco ha proposto a Barack uno dei suoi ultimi cavalli di battaglia: una giornata di digiuno contro la vendita delle armi nel mondo. A meno che questo monito, che i moniti non sono esclusiva prerogativa di Giorgio Napolitano ma stanno diventando merce comune, valga solo per i ministri della difesa italici che peraltro, neanche a dirlo, subito si sono affannati a dire che ci stavano a digiunare ed hanno rinunciato, per un giorno, ad affollare i ristoranti parlamentari. Ma si sospetta, con qualche ragione, che si siano rifatti in quelli successivi. Papa Francesco, se avesse affrontato questo tema con Barack, sarebbe stato certo di parlare con uno che conta, anzi con quello che nel settore conta per davvero. 

Barack  non millanta credito, come certi peracottari indigeni. Anzi in questo suo viaggio ha assunto, senza imbarazzo alcuno, anche il ruolo di piazzista d’aeroplani.  Di quegli F35 che devono fruttare alla Lockheed Martin sempre lo stesso fatturato, ancora non ben definito peraltro, a prescindere dal numero degli apparecchi venduti. Gli americani, in particolare quelli che vendono armi, hanno uno strano modo di far tornare i conti e di avere i bilanci in utile. Specialmente poi quando il prodotto, come pare il caso degli F35, sia un po’ farlocco e, per dirla più piana, anche poco affidabile. Dato che un aereo che non può volare quando piove non è propriamente garanzia di efficienza e qualità. A meno che non si pensi che il nemico attacchi solo quando c’è bel tempo. Sempre che anche agli altri nella bella stagione non interessi fare vacanza. 

Come piazzista poi Barack è stato assai convincente, almeno con Renzi, poi si tratterà di vedere che faranno gli olandesi e i canadesi e tutti gli altri che stanno tagliando le spese militari.  Certo l’ha fatto con tono un po’ rude anche se stemperato dalla battuta che «anche la libertà ha un costo.»  Come tutto del resto. È quasi certo che nel sentir questa frase nessuno avrà fatto notare al signor Presidente Obama che, nella sostanza, in questo mercato solo lui vende e tutti gli altri devono comprare. Magari pure un po’ con obbligo. Che quindi sì anche la libertà ha un costo ma magari solo per chi compra perché chi vende ci guadagna.

Quindi se l’equazione che Barack ha in testa è: guadagnare vendendo armi e poi spendere i denari ricavati per risolvere il problema della povertà vien difficile trovarla credibile. E forse neanche papa Francesco l’ha bevuta. Allora meglio sorridersi e scambiarsi medaglioni. Come infatti è stato fatto.

Pillole (circoncise) della quarta settimana di marzo 2014

Barack Obama ringrazia l’Italia menntre Putin potrebbe invaderla. Solidarietà all'on, Tripiede. Renzi copia Mussolini. Fabrizio Corona:«Il carcere mi ha salvato» Tre motivi per licenziare Mauro Moretti. Dolce&Gabbana assolti da Santamaria. Le ultime del cardinal Bagnasco. Forza Italia è una piccionaia.

Barack Obama ringrazia l’Italia
Obama ha ringraziato l’Italia per l’ospitalità che viene data ai 30.000 militari americani. Grazie Obama per aver ringraziato l’Italia. Ma se se ne andassero non dispiacerebbe. Visto che soldi non ne portano, consumano tutto dentro le basi e quando fanno casini non  riusciamo a punirli perché vengono subito rispediti a casa. Allora per fargli capire che è ora che se ne vadano la ministra Mogherini non deve dirgli «the guest is like a fish after three days smell bad»  perché non lo capirebbe ma usare la frase idiomatica che suona così:«Mr. President Obama your guys  have worn out their welcome.» Se poi volesse aggiungere il più semplice «Yankee go home» la cosa sarebbe  ancora più chiara.  
Putin potrebbe invadere l’Italia
Putin invade la Crimea, Obama e l’Europa protestano, magari con moderazione. Però in Italia si alza la voce di un dissidente. Almeno uno sta con Putin in modo chiaro e palese: Silvio Berlusconi. Uno che non abbandona gli amici nel momento del bisogno. Fra qualche settimana l’amico Silvio sarà ai servizi sociali o in carcere Si spera che Putin non decida di invadere l’Italia per liberare il suo amico Silvio. Piuttosto glielo si manda. Anche gratis. Non serve che poi venga reso.

Solidarietà all’on. Davide Tripiede
L’on. Davide Tripiede del M5S ha goduto, suo malgrado, di sessanta secondi di notorietà per essere incorso, causa l’emozione, in un banale scivolone. Ha iniziato in suo primo intervento alla camera dicendo: «Sarò breve e circonciso» Per cui anche queste pillole, per solidarietà, saranno brevi e circoncise. Il suo non è stato e non sarà il solo caso. Ci fu chi chiese: «Buttami giù un testicolo.» Intendendo con questo un testo breve. E anche chi rifiutò un caffè macchiato perché per lui il latte era«fetale». Voleva dire letale.

Renzi copia le idee di Mussolini
Si racconta che Mussolini Benito il nonno di Mussolini Alessandra avesse dato ordine di lasciare la luce del suo studio sempre accesa così che la gente che passava da piazza Venezia di sera e di notte vedesse quanto lavorava. Renzi ha copiato l’idea solo l’ha resa 2.0 e quindi manda twitter alle 6 del mattino per far sapere a mezzo mondo che è già all’opera.  Bravo. C’è chi ha tanto lavoro e chi non ce l’ha per niente.

Fabrizio Corona: il carcere mi ha salvato.
Come forse qualcuno ricorda Fabrizio Corona il fotografo dei vips (la esse finale è messa a irrisione) è in carcere.  È stato processato e condannato: in teoria dovrebbe farsi 14 anni ma per bizzarre alchimie pare che fra 6 sarà fuori. Contabilità astrusa. Comunque anche dal carcere rilascia interviste e non è il solo: Adriano Sofri aveva una rubrica fissa, su Il Foglio. I detenuti hanno diritto a una telefonata alla settimana (utenza fissa e solo di parente)  e  sei colloqui al mese. Sempre con un familiare. E’ possibile effettuare colloqui con persone diverse dai familiari soltanto quando sussistano “ragionevoli motivi”. Evidentemente per Fabrizio Corona esistevano “ragionevoli motivi”. Comunque durante l’intervista ha detto: «il carcere mi ha salvato la vita». Bene, che ci rimanga allora. Uscire per lui potrebbe essere pericoloso.

Perché licenziare Mauro Moretti- 1
Matteo Renzi la questione della riduzione degli stipendi dei manager pubblici l’ha buttata lì per vedere l’effetto che fa e si deve essere detto:«Chissà se c’è un pollo che abbocca.» L’ha trovato subito il pollo che ha abboccato in Mauro Moetti, ex sindacalista Cgil (lì qualcosa avrebbe dovuto imparare, una volta facevano dei corsi) e attuale amministratore delegato delle Ferrovie. Su 500 e passa manager che attendono il rinnovo della carica lui è stato l’unico che ha parlato e ha protestato. Bisognerebbe licenziarlo solo per questo: manifesta pollitudine.

Perché licenziare Mauro Moretti - 2
Mauro Moretti del grande manager ha solo lo stipendio: 850.000 all’anno che al mese fa 65.000€. La qualcosa significa che ogni mese il Moretti incassa più o meno l’equivalente di due anni dello stipendio medio di un ferroviere. In compenso le ferrovie hanno ricavi per 8,2 miliardi e debiti per 9. Se le ferrovie fossero una famiglia questa sarebbe sul lastrico: dormirebbe sotto i ponti, magari delle ferrovie e mangerebbe pane e cipolla. Questo è un secondo altro buon motivo per licenziare Moretti.

Perché licenziare Mauro Moretti – 3
Per rimanere sulle prime pagine dei giornali Mauro Moretti le pensa tutte. L’ultima sua proposta è di fare entrare le Fs nel Tpl (trasporto pubblico locale). Nel Tpl ci sono le metropolitane,i tram, gli autobus e i filobus. In sostanza tutti i mezzi di trasporto pubblici cittadini. Per essere uno che non riesce a far funzionare i treni pendolari che vanno da Saronno a Milano ci vuole un bel fegato a fare una simile proposta. Comunque gli ha risposto il prof. Marco Ponti docente di Economia dei trasposrti al politecnico di Milano. Le sue parole:«Sarebbe un quadro terrificante.» Questo è un terzo buon motivo per licenziare Moretti.

Dolce&Gabbana assolti da Santamaria
Dolce, Gabbana e Santamaria. l’Italia è il paese dei miracoli. Per Santamaria si intende il Sostituto procuratore generale di Milano che guarda il caso si chiama come il commissario di La donna della domenica di Fruttero e Lucentini. Comunque, c’è stata la prima seduta del processo d’appello contro Dolce&Gabbana paccusati di evasione fiscale per aver costituito, come ha fatto la Fiat, una società all’estero, in Lussemburgo, verso la quale hanno dirottato i profitti. Quando ha preso la parola il dr Santamaria che rappresentava l’accusa, tutti si aspettavano un duro attacco agli stilisti e invece no. Il dr. Santamaria li ha difesi “a spada tratta” scrive la Stampa definendo la loro un’azienda moderma che ha fatto quello che fan tutti. Bene. Benissimo. E ha chiesto l’assoluzione. Così nel tribunale di Milano c’è stato un miracolo oh santa-maria per avere  una sentenza  dolce, che ha gabbato l’ agenzia delle entrate. Alleluja brava gente.

L’ultima del cardinal Bagnasco - 1
Il Cardinal Bagnasco presidente in uscita della CEI, sembra che non stia simpatico a papa Francesco,  ha deciso di impicciarsi della questione italiana e quindi in un fiat (che non è la fabbrica di automobili americana ma espressione latina che significa “sia”, nel senso di verbo) ha deciso di benedire il governo Renzi che come boy scout ed ex democristiano ha senz’altro apprezzato. Dopo di che ha detto che bisogna tagliare sprechi e burocrazia che infatti in Vaticano è tutto velocissimo e sprechi non ce ne sono. Per questo si dice che papa Francesco stia facendo pulizia.

L’ultima del cardinal Bagnasco - 2
Per non farsi mancare nulla, anche se sarà l’ultima volta, il cardinal Bagnasco ha voluto intervenire sul bullismo omofobo nelle scuole. L’ha fatto spalleggiato dal direttore di l’Avvenire, che è un suo dipendente: L’Avvenire è di proprietà della Cei. Si verifica curiosamente la stessa situazione che c’è tra il Giornale e la famiglia Berlusconi. Comunque il cardinale ed il suo fido scudiero si sono scatenati contro l’educazione alla diversità nelle scuole. Ovvero spiegare ai bambini che i gay e le lesbiche e magari pure i transgender sono persone come tutti. Magari al cardinale converrebbe ricordare cosa disse a tal proposito  papa Francesco «chi sono io per giudicare » Già chi sono il cardinal Bagnasco e il fido direttore dell’Avvenire per giudicare?

Forza Italia è una piccionaia
Il nuovo consigliere politico di Berlusconi si chiama Giovanni Toti e prima era il direttore di due tg di Mediaset: studio aperto e rete4. Berlusconi l’ha chiamato a sé e lui si è precipitato. Giovanni Toti ha capito subito e con chiarezza chi c’è in Forza Italia ed ha dichiarato:«In Forza Italia  non ci sono né falchi né colombe caso mai solo piccioni.» A Milano per dire che uno è tarlucco dicono «sei proprio un piccione» E se i piccioni si offendono?

mercoledì 26 marzo 2014

Toti: in Forza Italia né falchi né colombe solo piccioni.

La specie piccione appartiene alla famiglia dei columbidi: è ampiamente diffusa e poco amata in tutto il mondo. A Milano piccione sta per tarlucco. Per molti sono i troll dei pennuti. Se Giovanni Toti è contento di far parte della categoria ce ne si farà una ragione.


E bravo Giovanni Toti: è riuscito con poche precise parole a definire Forza Italia. Si vede che è un giornalista e pure preparato. Come sempre accade in queste occasioni per meglio far capire quello che si ha in testa  si ricorre a metafore. Le migliori per lui sono quelle del mondo animale, detto senza perfidia che quella, inconsciamente o forse no, ce l’ha messa da solo. Si racconta in un suo ritratto agiografico, uscito su Libero (1,) che «si incanti davanti ai documentari sugli animali». Dunque, non ci si poteva aspettare altro. Tra tutte le specie Toti ha scelto quella degli uccelli, che un suo perché deve avercelo di sicuro. La definizione suona dunque così:« Falchi? Colombe? In Forza Italia solo piccioni»

A onor del vero, sulla strada degli uccelli ce l’hanno portato un po' i cronisti che gli stavano addosso durante la sua visita pastorale al Consiglio regionale della Lombardia. Il riferimento era alle tensioni che agitano il partito e che al solito vede contrapposti i duri e puri a quelli che sono più accomodanti. I primi, detti anche falchi, di norma sono estremisti e più realisti del re che nel caso significa essere più berlusconiani di Berlusconi. Compito non proprio facile disponendo questi di un ego che, detto per difetto, ha dimensioni planetarie. Per i moderati, le colombe, il fatto è assai più semplice si tratta sempre di salvare la le penne, cioè la pelle: fare un passo qualche volta in avanti e qualche altra indietro.

Comunque vien difficile pensare che la definizione data dal gioviale, così vien descritto, Giovanni Toti da Massa Carrara, sia piaciuta a quelli del partito (e forse qualche fastidio deve averlo dato pure a Berlusconi) per le implicazioni che l’immagine del piccione ha nel vissuto popolare. Immagine emblematica dai connotati decisi e non propriamente positivi. C’è chi li definisce i troll dei pennuti. In particolar modo a Milano. La specie piccione, della famiglia dei columbidi, pur essendo ampiamente diffusa non rientra certamente tra quelle più amate e i motivi sono tanti. I piccioni hanno abitudini pessime: sono invadenti, lasciano segni evidenti del loro passaggio e l’intorno a dove abitano è ben marcato. Poi, il che è gravissimo, detestano la cultura,e in particolare i monumenti e le facciate delle chiese con particolare predilezione per quelle più antiche nelle quali spesso si installano abusivamente. Tanto che Pasolini ebbe a dire «I monumenti  non dovrebbero aver paura dei piccioni, sono i piccioni che dovrebbero aver paura dei monumenti» Inoltre questi pennuti cittadini hanno in grande antipatia le auto appena lavate e lucidate, sono sempre affamati e si beccano in continuazione. 

Se le caratteristiche e abitudini dei piccini le si riporta a Forza Italia c’è poco da stare allegri. Soprattutto se se ne intravvedono dei tratti somiglianti.  Quindi si capisce che qualcuno se ne sia pure adombrato.  Mentre per altri sia stata solo una conferma.
Senza contare che in quel di Milano dare del piccione a qualcuno significa classificarlo come non particolarmente brillante anzi decisamente un po’ tarlucco. E alla Santanché questo proprio non deve essere piaciuto e forse neanche alla Gelmini, che pure quella parte la fece quando se ne uscì con la galleria del neutrino. In ogni caso se a Toti piace il raffronto Forza Italia-piccioni non si può che prenderne atto. E magari farsene pura una ragione.


A Berlusconi (non più cavaliere per la sofferenza di Giuliano l’apostata Ferrara di non poterlo più nomare cav.) i delfini sono sempre piaciuti alti o lunghi poiché i pesci si misurano in lunghezza, e  Giovanni Toti lo è. Evidentemente dev’essere un inconscio desiderio di compensazione: aggiungere una trentina di centimetri ai propri, anche se diventare alti per procura non è come esserlo per davvero. Magari ci sta sotto anche il perfido piacere di comandare quelli che sono più altri e più grossi. Pare che nella storia simili esempi non siano pochi.  Comunque varrebbe la pena che Berlusconi i suoi numeri due li scegliesse non solo per la stazza. C’è un detto che suona: grande , grosso e …piccione.

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(1)   http://www.liberoquotidiano.it/blog/1383848/Moglie--giornaliste--Fb-.html

lunedì 24 marzo 2014

Mauro Moretti: una vita da sindacalista.

Pochi hanno avuto il coraggio di essere sindacalisti duri e puri. In un’Italia di “tengo famiglia” finalmente uno che le canta chiare ai poteri forti.  Andreotti sbagliava quando diceva che solo i matti pensavano di risanare le FFSS. La capacità di far apparire grandi, Capezzone e Quagliariello e anche Lupi.

Mauro Moretti: ecco fatto!
Mauro Moretti ha iniziato la sua carriera da sindacalista e da sindacalista la sta, probabilmente, concludendo.Nel 1978 entra nel fantasmagorico mondo delle ferrovie e dopo pochissimo capisce che i lavoratori sono il cuore pulsante dell’azienda e devono essere difesi, così si iscrive alla Cgil. D’altra parte è della generazione cresciuta guardando alla tv dei ragazzi il cavaliere Ivanoe. Che combatteva i cattivi e gli arroganti e difendeva i poveri e gli oppressi. 

Moretti è  uno che si batte con così tanto coraggio e anche un po’ di tigna per salvaguardare i giusti diritti dei ferrovieri e magari pure degli utenti che si è trovato inopinatamente (e chissà se a sua propria saputa) a salire i ripidi scalini del sindacato e con carriera lampo nel 1986 ne  diventa il segretario generale.  In questo ruolo rimane fino al 1991 quando, guarda il caso, il management delle ferrovie lo richiama in servizio con la proposta di  diventare Vice Direttore Divisione Tecnologie e sviluppo di Sistema che poi è come dire passare dall’altra parte della barricata. Son cose che succedono nel mondo dello Stato. E non solo.  Lui accetta, ci mancherebbe, perché capisce che da quella posizione può meglio aiutare i lavoratori e gli utenti. L’importante è non perdere la fede. Cosa che si può fare, magari con qualche sforzo, anche come Amministratore Delegato. Carica alla quale arriva passetto dopo passetto in soli 10 anni. Lui è uno che brucia le tappe. Certo i ruoli sono diversi da sindacalista si contestano i conti aziendali mentre da manager i conti bisogna pareggiarli. E magari renderli in utile.

L’eroico Moretti, l’italico è popolo di eroi, santi e navigatori, ben conscio della sua storia di sindacalista sa bene come si fa. Cosa può volere un dipendente se non avere più tempo libero? Ebbene il sindacalista amministratore delegato Moretti fa di tutto per accontentarli e in pochi anni ne libera dal lavoro circa 26mila. Alcuni vanno in pensione altri semplicemente a spasso. Mica bruscoli. Poi agli italici piace girare in auto anche solo per andare dal panettiere e lui li accontenta con un fine stratagemma. I biglietti dei treni  pendolari e delle piccole tratte diventano più costosi e contemporaneamente se ne riduce l’efficienza e la manutenzione. Idee geniali.

Comunque è l’anima del sindacalista quella che continua a pulsare con forza nel suo petto e che lo rende indomito e capace di affrontare ogni battaglia. Con lo stesso ardore con cui negli anni passati difendeva i bigliettai i macchinisti e i capistazione oggi si batte per quelli che stanno dietro le scrivanie. Si chiamano manager ma sono pur sempre ferrovieri.

In un paese di «tengo famiglia» lui, unico fra 500 manager di Stato che devono essere rinnovati, ha fatto sentire forte e chiara la sua voce di sindacalista. Che, per farlo in questo momento in cui i suoi primi protetti (considerandoli come una sineddoche per il resto del Paese) tirano la cinghia, bisogna essere dei leoni o qualcosa che con questi faccia rima. E non si giochi sul fatto che il suo stipendio sia di 850mila€ cioè ventidue volte la busta paga media (che nella media ci sta pure la sua) di un lavoratore delle ferrovie. Qualsiasi sindacalista sa che un salario è un salario e va difeso. Punto. A  prescindere dalla sua entità che tutto sommato è solo  un dettaglio.

E poi comunque i numeri la dicono lunga: le ferrovie sono in utile. Sbagliava Andreotti quando raccontava che nei manicomi chi non diceva di essere Napoleone sosteneva di poter rimettere a posto i conti delle ferrovie. Mauro Moretti c’è l’ha fatta. Il 2012 si è chiuso con un utile di 380milioni€ su 8.2miliardi€. Mica male è. Poi c’è  anche un indebitamento di 9miliardi€. Bazzecola. Che se a tutto questo si aggiungono 2,4miliardi€ di sovvenzioni governative, pizzellacchere, l’idea di Andreotti torna di moda. Anche perché pareggiare i propri conti con i soldi degli altri non è un giochetto da ragazzi. E le frecce rosse e quelle argento? Anche qui la saggezza popolare viene in aiuto: una freccia non fa primavera. Ops, non fa utile in bilancio. Per farlo ci vogliono prodotti e servizi.

Certo ci sono anche gli scivoloni, come  minacciare le dimissioni che non è mai bello e poi comunque un sindacalista che si rispetti non lo fa perché si corrono due grossi rischi. Il primo è di far apparire di buon senso il pasdaran Capezzone e il saggio Quagliariello, e ce ne vuole, che a suo tempo dissero: «Le dimissioni si danno e non si promettono» Vero, chi può negarlo.  Il secondo è far sembrare il serafico Maurizio Lupi un fine umorista:«Se trova qualcuno che lo paga di più ci vada.» Eh già infatti c’è la fila fuori dalla sede di Ferrovie dello Stato, in piazza della Croce Rossa 1, nemesi storica nell’emblematico indirizzo,  per accaparrarsi Moretti e i suoi manager. 

Sarà dura per Moretti Mauro trovare il tempo per cercare un altro lavoro, non tanto per la crisi che lui la supera con un balzo ma perché, salvo errori od omissioni, ha anche  altri 13 impegni istituzionali. (1) forse neppure pagati. Cosa vuol dire il disinteresse e la bontà d’animo Tra questi anche quello sindaco di  Mompeo, in provincia di Rieti, ma per il Comune  fa tutto da Roma via telefono e ci va poco. È un Comune senza stazione, quella ne più vicina è a 18 km.

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(1)  Incarichi di Mauro Moretti
·       Presidente del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani dal 2004
·       Componente della giunta di Confindustria da ottobre 2006.
·       Componente elettivo del Consiglio Direttivo e del Comitato Tecnico Europa di Confindustria dal 2012.
·       Componente di Giunta Assolombarda.
·       Da luglio 2013 fa parte del Consiglio Direttivo dell'Associazione Amici dell'Accademia dei Lincei per il triennio 2013 - 2016.
·       Membro della ANIE (Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche) da gennaio 2003.
·       Vicepresidente con delega alle Grandi Infrastrutture dell'Unione Industriali Napoli da dicembre 2010.
·       Membro Comitato Scientifico Fondazione Politecnico di Milano per quadriennio 2011/2014
·       Consigliere Generale Fondazione SLALA da febbraio 2008
·       Presidente della Consulta del progetto FIGI - Facoltà Ingegneria Grandi Imprese - dell'Università La Sapienza di Roma da gennaio 2013.
·        Membro del Consiglio di Amministrazione dell'Associazione CIVITA da Febbraio 2007
·       Membro del Comitato d'Onore del Coro Polifonico Romano Oratorio del Gonfalone. In carica dal 2010.
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venerdì 21 marzo 2014

Pillole sulla terza settimana di marzo 2014

Anche questa settimana il Belpaese non si è fatto mancare nulla. Azioni a tutto tondo, in Italia e all’estero: Crimea 1 e 2, Agnese va a Parigi, don Mazzi contro i giudici, il ritorno di Fini, le comiche di gianni&pinotti, figli e lolite e i digiunatori a singhiozzo

Baci und abbracci
Crimea 1: come dire
Sulla questione Crimea Renzi ha detto di essere sdraiato sulla linea della Merkel: sanzioni dure e pure ma… c’è sempre un ma. Lui è favorevole anche al dialogo diplomatico. Che poi è come dire che si condanna la Russia, ma solo un po’. O più prosaicamente come dicevano i nostri nonni tenere il piede in due scarpe. Naturalmente tutti condannano la Russia, ammesso che abbia torto, ma facciamolo calma. Soprattutto se si è imprenditori e in Russia si esporta. Che è come dire: che siamo veramente molto dispiaciuti ma in realtà non ce ne frega niente. Pur di vendere. In fondo tutti tengono famiglia.

Crimea 2: tre appuntamenti con la storia
Gli italiani con la Crimea hanno un legame storico-sentimentale che dura da secoli. Tre sono state le occasioni topiche. La  prima volta, metà del ‘700, fu la czarina Caterina a chiamare centinaia di artigiani per abbellire chiese e palazzi. La seconda volta fu nella metà dell’800, ci andarono i bersaglieri di Lamarmora. Si erano autoinvitati alla guerra contro la Russia. Il primo esempio di imbucati alla guerra. Quella volta si vinse, si era in compagnia di Francia, Inghilterra e impero Ottomanno: quattro contro uno. Bella forza. Quel furbone di Cavour aveva delle idee tutte sue su come farsi degli amici. E poi la terza volta domenica scorsa con Riccardo Fogli chiamato a cantare la vittoria del movimento secessionista filorusso. Forse non tutti ricordano Riccardo Fogli: è stato il cantante e bassista dei Pooh. Sapete chi sono i Pooh vero? L’unico gruppo in grado di cantare le sue canzoni postume.

Agnese
Agnese: bellissimo nome. Così si chiamava la mamma di Lucia nei Promessi sposi  e così si chiama la moglie di Matteo Renzi. Aveva detto la signora Agnese Landini in Renzi che non avrebbe fatto la first lady. La sua vita sarebbe corsa normale: niente auto blu, niente Roma, niente turismo politico, nessuna esposizione, nessuna passerella. Niente di niente.  Nessuno glielo aveva chiesto ma lei ha voluto dirlo lo stesso. Bene . Poi appena il marito è diventato primo ministro, lei che era precaria in una scuola di Fiorenze, ha chiesto l’aspettativa. Per occuparsi dei figli ha detto. E infatti alla prima uscita internazionale di Matteo eccola lì. A Parigi. Forse non c’era mai stata.

Parigi val bene uno strappo
Prima uscita internazionale di Agnese Landini in Renzi: a Parigi. Ma poiché monsieur Hollande, nonostante il tourbillon di donne che lo circonda, al momento sembra sprovvisto di una premiére  dame ecco che per la signora Agnese Landini in Renzi non era il caso di farsi vedere ufficialmente e allora? E allora il Musée d’Orsay, c’è una mostra di Van Gogh, con la moglie dell’ambasciatore italiano. E i tre figli? A casa.  Ovvio. Con la nonna. Ovvio.

Figli e lolite
I figli sono piezz’e core ma danno sempre preoccupazione come il figlio di un deputato del centrodestra che sarebbe nell’elenco dei vip che frequentavano le baby squillo dei Parioli. Per il momento non si sa chi sia ma quasi sicuramente sarà figlio di qualche ipermoralista. Uno di quelli che crede nella famiglia e di solito a l’idea di famiglia piace così tanto che preferiscono averne due o tre. Naturalmente tradizionali. E naturalmente  no al divorzio (degli altri) e si oppongono alle coppie di fatto, alle unioni gay, all’aborto e a chissà cos’altro. Mai che si chiedano perché nonostante tutti i loro principi poi abbiano dei figli zozzoni.

Ritorna Fini
No, non il pastificio Fini che ritorna in tv ma Gianfranco Fini l’ex segretario del Msi, poi ex presidente di Alleanza Nazionale e poi ex semidelfino di Berlusconi fino alla sua cacciata da Forza Italia. È stato anche presidente della Camera e la cosa gli dà ancora qualche privilegio. Ora anziché godersi la pensione vuol continuare a far politica, a lavorare dice lui. Ha fondato quindi Libera Destra. Vuole una destra repubblicana,(come quella di Salò), che si contraddistingua per legalità e responsabilità. Esempi a cui riferirsi pochini e sempre di antica memoria. Comunque complimenti. Ma il problema sono i soldi e aderire a Libera Destra costa: 10€ per i sostenitori non iscritti, 100€ per gli iscritti ordinari e 500€ per quelli special.

Don Mazzi: è arrabbiato coi giudici
Un altro che non vuole andare in pensione nonostante la veneranda età e il tanto lavoro fatto è don Mazzi. Il fondatore di Exodus onluss benemerita che ha fondato cooperative sociali, centri giovani, comunità per il recupero di tossico dipendenti e molto altro. è arrabbiatissimo con i giudici. Quelli troppo severi con i suoi giovani un po’ fuori di testa? No, ce l’ha  con quelli che hanno condannato Berlusconi. Ha detto: «perdonerei degli assassini ma non i giudici che hanno condannato Berlusconi.» Come dice il proverbio? Chi sta con i fuori di testa va fuori di testa. Appunto.

La Cassazione conferma
Nonostante don Mazzi la Cassazione ha confermato i due anni di interdizione a Silvio Berlusconi che, bontà sua, si è autosospeso dal titolo di Cavaliere del lavoro. Onorificenza assegnata a imprenditori di successo e di specchiata moralità. Appunto. Da adesso in avanti l’ex cavaliere non solo non potrà presentarsi alle elezioni europee ma non potrà neppure votare.  Berlusconi Silvio se ne dovrà fare una ragione. E anche don Mazzi. Io per me me la sono già fatta. Una ragione.

Impulso all’export
Matteo Renzi ha incontrato frau Angela Merkel. Si conoscevano già e si sono trovati ancora più simpatici della volta precedente. Meno male. I giornali italiani hanno speso titoli mirabolanti, positivi a sinistra e negativi a destra. In Germania non se n’è accorto nessuno. I quotidiani tedeschi hanno messo la notizia nelle pagine interne, la Frankfurter Allgeneine  Zeitung a pagina 4, altri a pagina 7 o 11. Meglio così. Qualche volta vale la pena  non farsi notare troppo.  Comunque Renzi ha portato alla cancelliera la maglietta di Mario Gómez, attaccante della Fiorentina e della nazionale detesca. Bene. questo è un primo grande impulso all’export dato dal nuovo governo italiano.

Le comiche di gianni&pinotti
Sono tornati alla ribalta gli F35, quei begli aeroplanini che pare siano tarocchi e non funzionino affatto. Non li vogliono neanche gli americani. Comunque per dirla tutta costano un patrimonio o per dirla come va detta: costano un botto. L’Italia ne sta comprando 90 per un importo ancora indefinito che gira tra i 14 e i 17miliardi. La ministra della difesa Roberta Pinotti prima ha detto:«E’ lecito immaginare una riduzione o una razionalizzazione.» Poi ha precisato che il suo era un ragionamento teorico e che fino al 2015 non prenderà nessuna decisione. Le manca un Gianni a farle da spalla per ricreare la coppia gianni&pinotti

Digiunatori a singhiozzo
Chissà che fine hanno fatto i digiunatori di papa Francesco. Qualcuno ricorderà che un bel po’ di deputati hanno digiunato contro sugli armamenti. Digiunò anche il cattolicissimo, di Comunione e Liberazione, ministro della difesa Mario Mauro (ex Forza Italia della prima ora, ex Pdl, ex Scelta civica e attuale presidente di Popolari per l’Italia). Che un ministro digiuni contro il suo ministero non era mai successo. Ma tant’è. L’aveva chiesto papa Franceco e subito gli stuoini si sono prostrati. Ora la giornata del digiuno è passata e si possono comprare altre nuove armi e bombardieri e chissà che altro.

Sic transeat gloria mundi

mercoledì 19 marzo 2014

Tagli agli F35. La ministra Pinotti dice: certo, certissimo anzi probabile.

Gli F35 costano tantissimo e forse sono anche dei bidoni. La ministra della difesa Roberta Pinotti si sbilancia. Matteo Renzi da anche dei numeri sul possibile risparmio. Poi interviene il Presidente Napolitano e i cacciabombardieri non si toccano. E la Pinotti fa marcia indietro. Misteri (o banalità) della politica italiana.





La senatrice  Roberta Pinotti  indica la misura dei tagli
Gli F35 sono gingillini che costeranno al Belpaese tra i 14 e i 17 miliardi, un paio peraltro già versarti, e qualche altro soldo già speso per sistemare la portaerei Cavour. Per inciso si tratta di 3,5 miliardi ha detto l’ex ministro Mario Mauro, l’unico ministro della difesa al mondo che ha digiunato contro l’acquisto (e si immagina pure la vendita) delle armi. Ma questi sono dettagli. Qualcuno nel governo si è chiesto se non valesse la pena di limare qualcosina anche da quelle parti per coprire i famosi 1.000 eurini che dovrebbero finire nelle buste paga dei 10 milioni di dipendenti con un reddito inferiore ai 25.000€ annui. 

Il governo,,si dice, è coeso sugli obbiettivi da raggiungere e tutti sono impegnati allo spasimo per farlo. Per cui non ha stupito nessuno sentire la ministra Roberta Pinotti, 53 anni, due figlie, insegnante di lettere nei licei, ma di quella esperienza ha perso memoria visto che è alla sua quarta legislatura consecutiva, affermare con il piglio tra il deciso ed il materno che: «È lecito immaginare una razionalizzazione, si può ridurre e rivedere» E qui i cuori hanno avuto un sobbalzo. Poi ha aggiunto un ambiguo, «ma prima bisogna chiedersi che difesa vogliamo, quale tipo di protezione ci può servire.» Quindi con la nonchalance che contraddistingue chi appoggia le terga sugli scranni parlamentari ha aggiunto: «C'è un impegno assunto dal governo, aspettiamo la fine dell'indagine conoscitiva per prendere le decisione.»

I romani per dire di un evento che mai si sarebbe realizzato indicavano le calende greche, i più prosaici degli italici dicono «a babbo morto» mentre anche i più scardellati dei politici hanno capito che nulla è più indefinito che l’attendere i risultati di un’indagine conoscitiva. E la ministra Pinotti forte della sua laurea in lettere ha aggiunto come carico da novanta: «È lecito immaginare.»  Che è come dire: sognare non fa male. Deve essere andata a ripetizione dal manager da sogno in arte Flavio Briatore. Comunque qualcuno c’è cascato. Infatti Matteo Renzi che non sta fermo un attimo ha subito colto la palla albalzo e ha dichiarato il suo apprezzamento per la ministra e immediatamente, come sono veloci questi scout, ha definito in 3,5 miliardi il risparmio. Anche se non tutto derivante dagli F35. A rompere le uova, e non solo quelle, nel paniere del governo ci ha pensato il Presidente Napolitano. Infatti ha lanciato l’ennesimo monito, che di moniti si può pure fare indigestione, che suona praticamente così: sugli F35 il il Parlamento non deve intervenire e il governo meno che mai. Punto.

Va bene l’autorevole monito ma poiché qualche raziocinante ancora gira, a insaputa della classe politica nazionale, per le plaghe del Belpasese sarebbe bello che qualcuno gli spiegasse  il perché di tanto interesse per questi aereoplanini costruiti dalla Locked, azienda di cui in passato si parlò molto per storie di corruzione. Il fatto che si dica: «No-Perché?-Perché no.» va bene per le canzonette.  E solo per quelle. Ormai anche i più conservatori tra i pedagogisti dicono che la formula fa acqua quindi un po’ di spiegazione ci vuole. Se la cosanon funziona per i bimbi ancor meno funziona per gli adulti.

Ovviamente la ministra Pinotti dopo questa autorevole dichiarazione poteva far solo due cose: discutere nel merito o abbozzare. Ha scelto la terza: dare la colpa ai giornalisti che hanno malinteso il suo pensiero e per giunta l'anno anche esteso. Infatti la ministra ha spuntualizzato che «Io non ho parlato specificamente degli F-35. I media hanno esteso mie considerazioni con valutazioni che io non ho fatto.» Chissà se anche per i ministri si può usare la dizione “scusa puerile”.  Se fosse , questo sarebbe il caso.

Gli F35 sono croce e delizia del ministero della difesa ma anche del governo tutto visto quel che costano. Che poi se costassero e basta, quasi quasi ci si potrebbe passar sopra, in fondo gli italiani sono un popolo di signori e non stanno a guardare gli spiccioli. Il fatto vero è che sono pure tarocchi.  Che per girarla in politichese significa che non funzionano tanto bene e che, giusto per dirne una, siano vulnerabili ai missili a lunga gittata posseduti dall Cina. Bazzecole. C’è poi da dire, senza voler essere pignoli come fa la Bbc, che il programma F35, se tutto andrà bene sarà completato ed operativo nel 2018 con solo otto anni di ritardo rispetto a quanto progettato inizialmente. E nel frattempo quella tecnologia sarà ampiamente superata . Capita. Qualche volta succede anche ai travet (impiegato modesto e mal pagato, fonte Treccani) di arrivare tardi in ufficio e avere problemi con le obliteratrici dei tram.






martedì 18 marzo 2014

Le donne di coraggio ci sono.

La violenza sulle donne presenta numeri da bollettino di guerra. Moltissime quelle che non denunciano le violenze subite. Alcune, purtroppo sempre troppo poche, lo fanno come Lucia Annibali e altre come Jessica Rossi vanno anche oltre. Oggettivamente a cinquant’anni dal caso di Franca Viola il percorso fatto non è stato tanto.



Jessica Rossi, 23 ann, di Grosseto 
I numeri come si sa sono agghiaccianti. Nel 2013 sono state uccise 128 donne mentre nei primi 76 giorni del 2014 il computo delle vittime arriva già a 15 di cui ben tre nella sola giornata del 8 marzo. Casualmente (e ironicamente) dedicata alla festa della donna.  Come se la donna debba essere festeggiata da tutti in un solo giorno all’anno che per i rimanenti ci pensa da sola. 

Se più di cento sono state le donne uccise migliaia, decine di migliaia, sono quelle picchiate a schiaffi e a pugni e a calci e tra queste molte, tante, tantissime che se anche fosse una sola sarebbe sempre troppo non denunciano. Troppa la vergogna e troppa l’educazione ricevuta alla sudditanza. Così, come si sa, non si ottiene la pace ma semplicemente il prolungamento dell’agonia.

Di tanto in tanto, finalmente, dei casi eclatanti di ribellione che, sia chiaro, sarebbe meglio non averli questi esempi non essendoci le cause. L’ultimo in ordine di tempo è quanto successo a Grosseto, che purtroppo ha trovato sulla stampa nazionale smilze colonnine e riquadretti formato mignon. Jessica Rossi, 23 anni  commessa in un negozio del centro, fa il tragico errore di accettare il cosiddetto “ultimo incontro”. Come tutti gli “ultimi incontri” anche questo finisce a botte però questa volta ci sono tre bei “ma” che capovolgono il finale della storia. Il primo: …ma Jessica ha la prontezza di spirito di attivare il registratore del suo cellulare. E quindi una bella ulteriore prova da esibire in tribunale.  Il secondo: …ma sono intervenuti dei passanti. Bella fortuna poiché di solito questi se la squagliano a gambe levate perché nessuno vuol essere coinvolto. Il terzo: …ma poi Jessica ha deciso che tutti dovessero sapere cosa le era capitato e anziché correre a nascondersi in casa ha  fatto chiamare i giornalisti e ha chiesto loro che le immagini del suo volto tumefatto fossero rese di pubblico dominio. Il più possibile. Quest’atto varrà, si spera più di cento retoriche giornate di festa.

Anche Luisa Annibali, 36 anni, avvocato, si è ribellata. La sua storia è nota: l’ex fidanzato, Luca Varani, anche lui avvocato, dopo una lunga storia di vessazioni ha deciso di punirla definitivamente: con l’acido. Non l’ha fatto in prima persona ma assumendo il ruolo di mandante, più comodo e che se va bene consente addirittura la possibilità di trovarsi anche un bel alibi. Il lavoro sporco l’hanno fatto due albanesi. Adesso Luisa dopo sette operazioni che sono solo le prime sette che altre saranno a venire, ha deciso che la sua faccia debba essere vista da tutti come monito e grido d’allarme. E quindi accetta di essere fotografata e vuole mettersi al servizio delle altre donne che hanno subito violenza e degli ustionati.

Fatti recenti anche se la storia, un po’ smilza in realtà, della ribellione delle donne alle violenze maschili ha lontane radici. La prima donna che in Italia si ribellò alla violenza di genere fu Franca Viola, siciliana di Alcamo. Era il 1965, quarantanove anni fa, e Franca decise di non sposare il suo stupratore. All’epoca se si accettava il matrimonio, detto riparatore, il reato veniva estinto e solo a quel patto,  beffa oltre al danno, la donna era considerata ancora “onesta” nonostante arrivasse all’altare non più vergine. Franca Viola con quel rifiuto accettò di essere “svergognata” ma libera. E comunque, per la cronaca, poi si è sposata lo stesso e ha avuto due figli. Durante un’intervista ebbe a dire: « Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l'ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori »

Il cuore di per sé può fare molto, questo è certo. Se poi lo si corazza da un lato con la forza della educazione, a partire delle scuole primarie, spiegando che non esiste supremazia di genere  e dall’altro con il codice penale per chi si dimostra di dura cervice, allora anche quello che oggi appare improbabile può diventare più che possibile.




venerdì 14 marzo 2014

Difendere la Mussolini?

La senatrice è attaccata da tutti come se fosse lei la colpevole. Non è colpevole ma neppure vittima poiché le responsabilità non sempre sono palesi ed evidenti. Le vittime di tutta la vicenda sono cinque . Le due baby escort e i tre figli della coppia Floriani-Mussolini. Nessuno di questi ha colpa per i genitori che si ritrovano.




Tempi duri questi per la senatrice Alessandra Mussolini. La stanno attaccando tutti da che è trapelata la notizia che il marito, Mauro Floriani, già capitano della guardia di finanza ed ora capo di Ferrovie dello Stato Logistica Spa, ha frequentato le baby escort dei Parioli. E sono attacchi  forti portati con impegno determinato e forse degno di miglior causa. Oddio non è che per attaccare, politicamente s’intende, la nipote di Benito Mussolini (il nonno) e di Sofia Loren (la zia) ci fosse bisogno di questo disgraziato fatto. Di motivi ce n’erano già d’avanzo anche prima. 

Di posizioni politicamente surreali la attuale senatrice Alessandra Mussolini, ma con già alle spalle ben cinque legislature passate alla Camera dei deputati, ne ha prese più d’una per cui non c’era e non c’è che l’imbarazzo della scelta. Giusto per stare dalla parte delle comiche basterebbe andare a rileggere quello che nel corso degli anni ha detto di Berlusconi. Prima esaltato, poi schifato e poi di nuovo esaltato. E dato che è tipico dei pentiti essere più pentiti che pria la senatrice è andata addirittura oltre dicendo:«Io amo Berlusconi» De gustibus verrebbe da dire in prima battuta. E questo sarebbe tutto se la cosa non avesse riguardato anche quegli svariati milioni di italiani che non l’hanno mai votato. Detto per inciso questi ultimi sono la maggioranza ancorché frammentata ed imbelle, Berlusconi ha ottenuto consensi solo per il 30% quindi un 70% non l'ha mai votato. Ma tant’è, e comunque il punto non è questo.

Quindi difendere la Mussolini? Lei sa difendersi da sé anche se magari non sempre con la lucidità necessaria. Comunque, per chi da sempre è stato dalla parte dei perdenti e di quelli che le bastonate le hanno prese spesso in conto proprio e un po' anche per procura verrebbe quasi da dire di sì. In fondo lei, la Mussolini che c’entra? Mica era lei che andava a visitare “bakecaincontri” e neanche era lei a clickare sugli annunci e soprattutto non era lei che fissava gli appuntamenti e andava a far visita alle baby prostitute. Anzi, fosse stato per lei i pedofili andavano, andrebbero e forse, andranno chimicamente castrati. Sempre ammesso che ora non ci siano dei cambiamenti di sentire e di linea politica. Quindi più chiara di così. E poi sentire una donna dirsi distrutta per le malefatte del marito un certo moto di comprensione, se non proprio di simpatia, che trovare simpatica la Mussolini ce ne vuole, può pure scappare. Però a ben guardare la vicenda, tutta la vicenda, questa come qualsiasi altra di simil modello, si scopre che qualcuno in effetti da difendere c’è. E nel caso specifico questi sono cinque.

Sono le due bambine, anche se hanno 15 anni al di là delle apparenze, delle esperienze e delle pose e i tre figli della coppia Floriani-Mussolini. Questi cinque sono le vere vittime e gli unici da difendere con le unghie e coi denti perché possano uscire al più presto da questa melma e, auspicabilmente, con il meno danno possibile. Visto che di colpe non ne hanno proprio: due per essere state strumentalizzate, irretite e obnubilate da un mondo fatto d’aria e che alla prova pratica si sgonfia come un soufflé mal riuscito. E per gli altri tre vale le regola  che non è colpa loro del padre che si sono trovati ad avere.

La Mussolini ha detto che il suo matrimonio è finito. Vero. Ma il suo matrimonio è finito non adesso che la magagna è saltata fuori, verrebbe da dirle, ma nel momento il cui Mauro Floriani ha cominciato a navigare nella rete alla ricerca di siti come “bakekaincontri” ammesso e sia concesso il beneficio del dubbio, che quella sia stata la prima volta che cercava compagnia fuori dalla famiglia. Magari, da ora in avanti, Alessandra Mussolini avrà da riconsiderare non poche cose  della sua vita. E non solo quella politica. Comunque, auguri.




martedì 11 marzo 2014

Un, due, tre e la quota rosa più non c'è.

Le quote rosa non ce l’hanno fatta. Tre emendamenti e tre bocciature. Magari non è questa la strada per la parità. Per Margherita Hack:« Sarebbe bello che le donne crescessero senza complessi di inferiorità. E magari fossero un po’ più combattive»

Deputate biancovestite e ridanciane
Tre votazioni alla camera sulle quote rosa. Partita persa 3 a 0. Neanche a dirlo. Il primo emendamento richiedeva l'alternanza di genere in lista. Risposta: no. Il secondo emendamento prevedeva la rappresentanza di genere non superiore al 50% per i capilista. Risposta: no. Il terzo emendamento, trattativa al ribasso, auspicava, sempre per i capilista, la proporzione 40% donne e 60% uomini. Risposta: no. Tempo ed energie sprecate salvo che non si considerasse la cosa come un pigiama party. E adesso?

Sulle quote rosa si è fatto un gran parlare e con ogni probabilità la cosa andrà avanti  anche in futuro. Quindi non foss’altro che per l’impegno fino ad ora profuso la questione dev’essere evidentemente importante. Va da sé che le discriminazioni, di qualsiasi tipo, ordine e grado come per esempio per motivi di  razza (concetto che in scienza non esiste), colore della pelle, religione, opinioni politiche e pure genere o sesso sono assolutamente intollerabili. Per cui bene che ognuno, con le specifiche di cui sopra, abbia le stesse possibilità e le stesse opportunità. Ora nel fantasmagorico mondo della politica si è deciso di mettere fine allo strapotere dei maschietti sulle femmine e quindi cosa di meglio che inventare le quote di genere? Tema dai tratti evidentemente anfibologici. Ma il punto vero, intorno al quale si gira senza soluzione di continuità, è se la parità la si debba avere per decreto o per cultura. Bella domanda.

La scienziata Margherita Hack, che viveva e lavorava in un bel consesso di maschietti, si trovò a dire sulle quote rosa che: «È un concetto nato come una necessità per vincere ritardi tradizionali. Può essere stato utile in partenza, ma ormai le donne sono in grado di occupare tutte le posizioni sociali. Le capacità ci sono. Molte di loro non sono abbastanza combattive per colpa dell’educazione che ricevono. Sarebbe bello che le donne crescessero senza complessi di inferiorità.» Detto da lei, Margherita Hack, suona senz’altro bene e fuori da ogni possibile strumentalizzazione. Inoltre così scantona dalla burocrazia e dalla demagogia. Che è un bel scantonare.

Comunque in Parlamento, laddove contano i numeri, il risultato è stato che la parità di genere non è passata. Però son da rimarcare alcune cosette già peraltro anticipate dalla scienziata Margherita Hack. Fino a che votano contro i maschietti non è bello ma ci sta, la cosa si fa grama quando a esser contro sono anche le femminucce.  Qualcuna, per l’occasione e con una bella dose di creatività ha lanciato l’idea di indossare un capo bianco. Sarà stato per riconoscersi. Ma non è servito. In Parlamento ci sono 198 donne elette o meglio nominate che detratte le 37 rappresentanti del M5S (hanno considerato la cosa una trovata ipocrita e populista) fanno 161 di queste le biancovestite sono state una novantina. Solo di un pelo più della metà. Risultato scarsuccio. Anche considerando chi, Daniela Santanché, si è definita un maschio travestita da donna. Ma lei ama le provocazioni, come quando disse, parlando dei partiti di plastica, che lei della materia si intendeva bene. Chissà che avrà voluto dire. In entrambi i casi.

C’è stato anche un tentativo di “soccorso rosso” , pardon, bianco impersonato dal leghista Bonanno (gran mattacchione che forse il suo posto d'elezione dovrebbe essere altrove) che ha preso in prestito la giacca da un cameriere e di Davide Baruffi, funzionario a tempo pieno del Pd (una volta si chiamavano apparatiniky) che sfoggiava una enorme sciarpa candida neanche avesse il raffreddore. Solo due su oltre quattrocento. Prevedibile che la cosa girasse male.Come infatti.

Nonostante tutto l’atmosfera, a guardare i servizi fotografici, sembrava felice, da gita scolastica. Molte delle deputate biancovestite a far capannello e a ridere e ad abbracciarsi e scattar foto ricordo. Come capitava ai tempi del liceo. Che magari fossero effettivamente di ricordo quelle foto. Nel senso che siano proprio le ultime fatte in Parlamento prima del tutti (maschietti e femmine) a casa.  Che così magari si cambia il personale politico ed entrano in Parlamento quelle donne cresciute senza complessi di inferiorità. Come diceva Margherita Hack. E quegli uomini che non sono d’apparato ma magari solo di buon senso. E per esagerare pure competenti.