Ciò che possiamo licenziare

domenica 23 febbraio 2014

Papa Francesco dice ai suoi nuovi cardinali di evitare intrighi chiacchiere e cordate.

Un altro toccante appello di papa Francesco. Questa volta è destinato ai diciannove cardinali che ha appena nominati. Che non fidarsi di quelli che si sono appena nominati non è bello. Chiedere a dei principi della Chiesa di non sentirsi a corte è come chiedere ai pinguini di volare alto. A mettere la mano sul fuoco per questi si corre il rischio di far la fine di Muzio Scevola


Oggi all'Angelus  papa Francesco si è esercitato nella nobile arte del monito .  E non è la prima volta. Evidentemente non sta imparando granché dall'esperienza di Giorgio Napolitano: i discorsi più sono toccanti e meno incidono  Lo sa bene il Presidente della Repubblica Italiana che monita dalla mattina alla sera con una petulanza degna di miglior causa. Ammesso che la petulanza possa avere una buona causa su cui esercitarsi. Però e non è una novità tutti se ne fregano. Anzi. Con grande perfidia i parlamentari italici, oggetto di tanti moniti, dopo aver ascoltato le monitanti presidenziali parole che pretendevano di essere anche una reprimenda e che ai più sarebbero apparse degli insulti, lo applaudirono. E pure entusiasticamente. Probabilmente pensando tra sé e sé a frizzi e lazzi e magari pure a cose irrepitibili anche dalla più volgare Littizzetto. 

Il discorso, come nello stile bergogliano, è stato chiaro e difficile da equivocare. Almeno questo è un vantaggio. In buona sostanza il papa ha ammonito i nuovi cardinali, detti principi della Chiesa, a non pensare di entrare in una corte dove  gli intrighi le chiacchiere e le cordate  la facciano da padrone. Piccolo dettaglio i destinatari di tanto appassionato discorso sono stati i cardinali nominati da lui sé medesimo, neanche un giorno fa. E lui, Francesco, questi nuovi diciannove cardinali dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) conoscerli bene anzi benissimo quasi come le dita delle sue mani. Infatti prima di nominarli avrebbe dovuto (sempre d’obbligo il condizionale) valutare di ognuno il curriculum vitae e considerarne le tante e profonde qualità e i pochi, sempre lievi ovviamente, difettucci, come ad esempio quello di bere due tazzine di caffè di troppo ogni giorno o di andare pazzi per le praline alla mentuccia. Quindi scartare quelli che apparissero men che cristallini. Insomma avrebbe (sempre condizionale) dovuto procedere a quello che in gergo si definisce l’analisi del sangue. E solo ad esito acclaratamente immacolato procedere alla consegna della purpurea papalina. 

Che poi sulla lealtà dei diciannove al vangelo ed alle linee guida della dottrina, che come sempre quando si tratta di princìpi viene difficile trovare delle pecche, dovrebbe poter mettere con tutta tranquillità la mano sul fuoco. Se invece teme di fare la fine di Muzio Scevola, cosa tutt’altro che improbabile visti i precedenti, allora significa che c’è qualcosa che non va e c’è del marcio. Quel che non va, almeno per le esperienze passate, è proprio la sostanza del piccolo ma potente stato del Vaticano. Insomma con quel discorso, sfrondato dalla inevitabile retorica, è come se papa Francesco avesse  chiesto ai pinguini di volare alto. Che va bene chiamarsi e richiamarsi al santo di Assisi ma non bisogna montarsi la testa. Il poverello umbro aveva a che fare con animali veri e non con umani diventati bestie feroci, se non ferocissime, giorno per giorno nella pratica quotidiana. Soprattutto abituati a nascondendosi dentro rassicuranti e comode tonache. Quindi il nuovo bel monito di papa Francesco assomiglia molto ad una simpatica e acuta preterizione: negare una cosa dicendola o dire una cosa negandola.


E poi van bene i moniti e i richiami ma se non son seguiti da azioni ficcanti e dirimenti corrono il rischio di assomigliare alle drammatiche grida manzoniane che più erano feroci e meno servivano. 

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