Ciò che possiamo licenziare

martedì 30 dicembre 2014

Nati 11 orsetti hanno il ritmo nel sangue. Piaceranno a Renzi

Nel 2014 undici orsetti in più. Le cose buone in crescita sono poche. Calano anche le famiglie numerose nel 1961 erano più di 2.800.00 ora solo 180.000. Tutta colpa della tv. Sul ritmo l’orso è preparato per via di una lontana parentela con Baloo, l’orso di Walt Disney.

La novità bella anzi bellissima e in trend con talune recenti dichiarazioni di big del mondo che conta, consiste nel fatto che la popolazione dell’orso marsicano è in decisa crescita. 

In quest’anno che oramai volge alla fine sono stati censiti ben undici nuovi orsetti che su una popolazione di soli cinquanta esemplari dice di un notevolissimo balzo demografico.  Che se poi a nessun altro verrà in mente di catturare mamme orse che difendono i cuccioli è assai probabile che il numero dei nuovi possa crescere anche nell’anno che verrà.  La natura, al solito, è premonitrice e si porta avanti. E poi si equilibra per conto suo. Sempre che la si lasci fare.

L’orso marsicano (Ursus arctos marsicanus), nessuna parentela diretta o indiretta con il senatore Antonio Razzi,  è una delle poche cose (detto con rispetto, ovviamente, poiché ben si sa l’orso non sia una cosa) che cresca in Italia. Considerando, ça va sans dire,  solo quelle positive poiché se si guardano le altre, criminalità, corruzione, politici che cambiano casacca, consigli regionali inquisiti, parlamentari che non sanno quello che votano, ministri che sono sbugiardati  o, versione soft, sorpresi dalle dichiarazioni del loro capo, tassazioni e all’unisono evasioni fiscali, le prime finiscono inevitabilmente sotto. Come alcuni vigneti alle pendici dell’Etna che quando erutta li sommerge con veementi colate di lava, Nel caso italico, metaforicamente parlando, purtroppo non si tratta di lava che forse ci si farebbe la firma.

Tutto il resto è in calo. Il numero degli occupati è in calo, la compravendita immobiliare è in calo, la spesa media è in calo, la speranza di futuro è in calo e pare, così si dice però da anni, sia in calo anche il desiderio. Sono in calo anche le famiglie numerose ora ridotte solo a 180.000 unità mentre nel 1961 erano più di 2.800.000. È da dire, a loro parziale giustificazione che proprio nel 1961 fu lanciato il secondo canale della Rai e la penetrazione nelle famiglie del tubo catodico aumentava a velocità sorprendenti. Definendo una bizzarra equazione: più televisione uguale meno figli. Quindi se ne deduce che la televisione era ed è fonte di grande distrazione dai propri doveri. Lo sostengono anche i pedagogisti più illuminati: più ore davanti allo schermo meno compiti ben fatti e minor apprendimento. Così come capita che ci si dimentichi di sistemare le proprie pendenze con l’erario e, causa la distrazione, si arrivi a truffarlo. Sempre colpa delle televisioni.


L’orso marsicano non ha televisioni che lo distraggano e non si trova coinvolto neppure nella stucchevole querelle sul come pagarne il canone per evitare che l’evasione dalla tassa continui a crescere che se si bloccano i non paganti magari si mette un cerotto sulla enorme falla del debito pubblico. Inoltre il saggio orso di questi tempi è in placido letargo così si scavalla le più trite e melense conferenze  e saluti di fine d’anno a reti unificate. Che tanto di cronoprogrammi,  inni alla fiducia, 80 euro, quarantuno percento, e moniti vari, ma questi paiono essere gli ultimi, gli orsi d’Abruzzo non sanno che farsene. Sul ritmo invece forse hanno qualcosa da dire come ben testimonia Baloo un loro lontano parente che prese parte al film di Walt Disney intitolato “il libro della giungla”. Lui il ritmo ce l’ha nel sangue. 

venerdì 26 dicembre 2014

Suor Cristina sbanca in Germania. Si torni sotto lo stato Vaticano.

Laici e laicisti si mettano il cuore in pace: quelli di oltre Tevere sono più bravi. Berlusconi, Monti, Letta (Richetto) e poi Renzi hanno bucato le tournée in Germania mentre per suor Cristina standing ovation alla prima.

Laici, laiscisti, repubblicani, mangiapreti, atei, agnostici, miscredenti in genere e sbattezzati dello Uaar devono farsene una ragione: meglio tornare sotto lo stato del Vaticano. Loro, i preti, saranno anche indigesti, magari un po’ untuosi, magari pure un bel po’ saccentelli e comunque sempre con una verità, la loro, in tasca, però, obbiettivamente sono più bravi. Il caso di suor Cristina è solo l’ultima prova provata della superiorità della Chiesa verso l’italico stato. Proprio non c’è storia. La suora canterina ha sbancato anche in Germania. I rigidi e freddi teutoni sono andati in visibilio per la suora che calza scarpe da ginnastica, rigorosamente nere e senza stringe. Anche queste hanno avuto il privilegio di un bel primo piano. Le scarpe di Renzi non hanno mai goduto di un simile omaggio. Il fatto è accaduto durante Die Hellene Fischer Show.. Dicono i bene informati una delle trasmissioni più seguite della popolarissima rete Zdf. Applausi a scena aperta e poi standing ovation. Con la televisione ci aveva provato anche Berlusconi con Telefünf . Fu un fisco. Evidentemente il Berlusconi va (andava) bene solo per gli italici. Evvabbene.

Infatti il suddetto piaceva così tanto agli italici che se lo sono tenuto come presidente del consiglio per ben tre governi e con l’ultimo lo hanno anche mandato in tournée in Germania. Fiasco completo sia di pubblico sia di critica. Il massimo che ha saputo rimediare è stato un risolino. Era di scherno. E se ne è accorto mezzo mondo. Non fu una bella figura. Allora convinti che il Berlusconi non fosse il più adatto, in senso darwiniano, cj si è riprovato con altri tre. La tournée in Deutchland è d’obbligo. Prima è stato mandato il sussiegoso Mario Monti. Uno in grado di reggere una conversazione in inglese. Conservatore quel che basta, vaghe supposizioni di affiliazione alla massoneria che ha cercato di fugare frequentando ostentatamente le messe domenicali e tutte le altre comandate. Buco nell’acqua: i tedeschi si sono dimostrati più freddi di lui. Allora è stata la volta di Richetto Letta. Come il precedente sa stare a tavola compitamente ed è pure più curiale ma come al precedente e ad altri manca il quid. I tedeschi non hanno neanche fatto in tempo a conoscerlo che il twitter “Enricostaisereno” l’ha letteralmente asfaltato. Adesso è la volta di Renzi Matteo. Ruspante, ma non rozzo come il primo, cattolico ma non curiale e gatta morta come gli altri due. Il mix è cambiato, ma non il risultato. Buca con acqua.

Con sister Cristina invece la situazione è completamente ribaltata lei sul gradino più alto a cantare True colors di Cindy Lauper e i germanici in piedi a spellarsi le mani. Se chiedesse di sforare il tetto del tre per cento le direbbero di sì. Così, sulla parola. D’altra parte ha cantato anche con Patti Smith e di fronte a papa Francesco. Mica bruscoli.  E lui, papa Francesco, con due lettere e tre telefonate ha sistemato la questione Usa-Cuba. Non ci riuscivano da più di sessant’anni. Chapeau.

Allora che aspettare: si chieda subito di tornare immediatamente sotto le insegne vaticane. Toccherà qualche barbosa messa cantata e magari qualche processione e poi il rosario nel mese mariano, ma si vuol mettere con il rispetto internazionale? Forse fra le pochissime controindicazioni c’è che il cardinal Bagnasco sia ancora in giro. Parlando dei due marò ha detto: «È un fatto che non comprendo.» Oggettivamente non è il solo fatto che non ha colto e comunque non è l’unico a non averlo capito. Chiedere alla Farnesina ed al Ministero degli Esteri. Lì è buio pesto. Comunque, Bagnasco et Bertone et similia a parte, vale la pena farci un pensierino. Suor Cristina e le sue scatenate consorelle sono la soluzione  giusta. Successo assicurato. Provare per credere.

martedì 23 dicembre 2014

Napolitano e papa Francesco: corruzione, malattie e protagonismo.

Nello stesso giorno il Capo dello Stato italiano si stupisce dei mali del Paese mentre il Papa dà nome e cognome alle malattie che affliggono la Chiesa. Tutta roba vecchia già detta e ridetta. Magari qualche proclama di meno e qualche azione di più.

Con l’avvicinarsi del 25 dicembre si tende ad essere tutti buoni e magari, a quelli che sono più anziani punge il desiderio di essere maggiormente saggi e offrire importanti consigli di vita. Lo fanno i nonni, le zie zitelle e anche qualche capoufficio paternalista. Quindi è normale che l’abbiano fatto anche papa Francesco e il Presidente Giorno Napolitano. A scelta la categoria nella quale infilarli. Soprattutto se per quest’ultimo le possibilità di continuare a dispensare moniti si stanno restringendo con il veloce scorrere dei giorni, viste le dimissioni già annunciate. Ma non ancora rese operative.

In entrambi i casi, comunque, si è trattato di incontri per lo scambio degli auguri natalizi e del nuovo anno. Il Capo dello Stato si è rivolto all’assemblea plenaria del Csm mentre il capo della Chiesa si è rivolto a cardinali e vescovi. Magari non sono proprio la stessa cosa e non hanno la stessa funzione ma nelle singole specifiche son due consessi di un qualche peso. Sono stati auguri agri ancorché vivi e vibranti. Per la soddisfazione, che di solito si accompagna ai due aggettivi, c’è stato poco spazio, ma questo è fatto più che vecchio. Addirittura antico.

Il Presidente Napolitano si è detto «colpito dal dilagare della corruzione e della criminalità.» E ci si immagina il vibrante stato d’animo che senz’altro assomiglierà a quello del disoccupato che ha appena appreso dalla moglie che anche per questa volta sarà dura arrivare alla fine del mese. Chi poteva mai prevederlo? Nel Paese che ha avuto due volte a capo del governo uno con sulle spalle un discreto numero di  processi, molti dei quali scavallati per prescrizione e altri per leggi confezionate su misura e che ha portato in parlamento un bel tot di avvocati e pure qualche miss, perché anche l’occhio vuole la sua parte, e che alla fine è stato condannato per truffa ai danni dello Stato, beh, il dilagare della corruzione se proprio non ci sta ci va vicino. Senza contare che è anche il Paese dove le spese pubbliche costano, al minimo, il triplo che nel resto d’Europa e  dove i parlamentari da sempre si aumentano lo stipendio a piacimento e a ripetizione (qualche volta su quei banchi ad approvare quella spesa c’era pure l'attuale Presidente, anche allora vibrante di soddisfazione) e dove la questione tangentopoli scoperchiata oltre vent’anni fa non è ancora arrivata a buon fine. Sic stantibus rebus non c’è da rimaner colpiti. Sempre che non si siano trascorsi gli ultimi cinquant’anni della propria esistenza a confezionare collanine in Paupasia. Che può anche essere. Almeno con la mente.

Papa Francesco, che viene dalla fine del mondo (parole sue) anche se non si tratta della Paupasia, ha pensato bene di fare un piccolo bilancio. Ne è scaturito un bel elenco di quindici malattie della Chiesa. Si va dall’eccessiva operosità  all’alzheimer spirituale, dalla vanità alla schizofrenia esistenziale.  A occhio e croce le ha individuate tutte, o quasi, con tanto di nome e  cognome. Non deve essere stato un grande sforzo. Sono le solite da quasi duemila anni a questa parte. E le ricadute, nel grande e nel piccolo, sono pressoché quotidiane. E comunque già altri, tra cui anche Francesco d’Assisi. magari con meno scienza medica, già le avevano individuate e denunciate. Ma poi non è successo nulla. E anche adesso quanto a parole non si è lesinato, anzi. Ma sono i fatti, fino ad ora, ad essere stati lesinati.

A fare i protagonisti delle chiacchiere, in entrambi i casi, è un attimo. Magari ci fosse un po’ meno retorica, meno roboanti proclami e qualche fatterello in più, anche a far da esempio: l’intero Paese lo apprezzerebbe. Anche il disoccupato di cui sopra.

giovedì 18 dicembre 2014

Cuba è più vicina, i due marò invece no.

Dietro il ravvicinamento tra Cuba e Washington  pare ci sia la manina di papa Francesco: un paio di lettere e qualche telefonata. L’Italia in tre anni ha fatto sempre la stessa cosa: figura di palta. E se la si  affidasse a Bergoglio la questione dei marò?

Grande notizia sui giornali di tutto il mondo: finalmente il disgelo tra Cuba e gli Stati Uniti d’America. Dopo 63 anni riprenderanno a parlarsi e si riconosceranno reciprocamente. Bel colpo di cui (quasi) tutto il mondo è felice. Saranno un po’ perplessi i sognatori: mitizzatori del Che e di Fidel. Ma pazienza, forse sono rimasti pure in pochi. Gli statunitensi hanno scoperto che l’isolazionismo non funziona mentre i cubani da oggi rientrano nella grande famiglia americana. «Todos somos americanos.» lo ha detto Obama. Che tanto lo erano anche prima ma un bollino yankee fa sempre comodo.

Gli effetti collaterali non sono pochi. Innanzi tutto il nome di Cuba verrà depennato dalla lista nera degli stati canaglia (brillante invenzione USA) poi lo zucchero potrà potrà essere venduto a poche miglia di distanza e non fare il giro del mondo e infine i cubani residenti potranno ricevere più soldi da quelli espatriati: da 500 a 2.000 dollari per trimestre. Per gli USA il primo e più importante beneficio sarà che la Cia potrà smettere di scervellarsi sul come ammazzare Fidel. Ci hanno provato 638 volte compresa quella di avvelenare suoi sigari. A riprova che più il consesso è serio e più l’umorismo ha libero accesso.  La seconda è che Michele Obama e figlie potranno farsi un altro viaggetto. Sulla porta di casa, ma comunque esotico dove potranno visitare il più grande museo all’aria aperta d’auto d’epoca yankee. Fine tessitore del miracolo: Jorge Bergoglio in arte papa Francesco, da solo diciotto mesi residente a Roma. Gli sono bastate un paio di lettere e qualche telefonata.

Mentre tutto questo succedeva ad occidente della città eterna da oriente arrivava allo Stato italico  l’ennesimo smataflone. Targato India, naturalmente. Da tre anni la Corte Suprema indiana tiene in ostaggio due fucilieri, Latorre e Girone, senza emettere un capo di imputazione. Anche qui c’è la perfida ironia delle cose umane. E italiche in particolare. I fucilieri sono nella sostanza prigionieri ma senza accusa. Non sono in carcere, ma all’ambasciata. Ogni tanto hanno fruito di permessi, quasi delle licenze e qualche volta moglie e figli li hanno raggiunti. Un brillante ministro degli esteri durante una loro venuta sul patrio suolo non li voleva far ritornare nonostante la parola data. E per essere certo che la cosa girasse bene lo fece sapere alla stampa. Gli indiani, alle spalle una civiltà millenaria hanno capito in breve che degli italici non ci si può fidare. Per loro deve essere stata una scoperta. Pari a quella di Colombo Cristoforo quando trovò le indie occidentali.  Per cui Latorre, in Italia per curarsi, deve tornare nei tempi stabiliti e Girone non si può allontanare. Meglio tenersene uno ben stretto avranno pensato a New Delhi.

Comunque, dal momento del fermo dei due del San Marco sono passati tre governi e non è successo nulla. O meglio è stato reiterato per tre il solito atto: figura di palta. Adesso con due ministri di polso: alla difesa Pinotti, che non è parente di Gianni perché quello è il cognome e di nome fa Roberta e agli esteri Gentiloni Paolo, la situazione è rimasta nelle orme della tradizione manzoniana. Grida ferocissime e fegato di burro. Anche perché tuonare aggiungendo dei “ma” raramente ha portato da qualche parte. Rivolgersi a Veltroni Walter per spiegazioni in merito. Se poi si cerca di intervenire sulla Corte Suprema, istituzione indipendente, facendo pressioni sul governo indiano si dimostra che «non tutto il mondo è paese.» Ché magari si fosse chiesto subito l’arbitrato internazionale la cosa sarebbe ormai risolta.  Ma non ci si può aspettare da chi è senza denti di mordere.

In tutto questo bailamme è intervenuto anche il Colle. Napolitano si è detto «fortemente contrariato», in inglese «very dissatisfied.» La Corte Suprema indiana sarà rimasta impressionata da quel «fortemente.» Si fosse trattato di Regno Unito, USA o Germania o anche Francia sarebbe bastato «contrariato» Ma questi non sono loro, avranno pensato i giudici indiani.  Dagli torto.

Naturalmente in questi tre anni solidarietà a fiumi, qualche lacrima, alcuni viaggi ministeriale a spese del contribuente. Insomma la solita rappresentazione. Magari un suggerimento a Renzi e Napolitano, prima che se ne vada, lo si potrebbe dare: perché non chiedere a Bergoglio di occuparsi della questione? Questi del Vaticano a volte sono lenti, mai quanto i diversi inquilini della Farnesina, ma quando si fissano ottengono quel che vogliono.



martedì 16 dicembre 2014

L’antipolitica, Mafia Capitale, Napolitano e gli altri

Ne hanno parlato Giorgio napolitano, Ernesto Gali della Loggia e monsigor Bregantini.  Pensare che Mafia Capitale nasca da due scardellati, per quanto carogne, è illogico. Il marcio nel pesce, ma non solo, parte dalla testa.  Vanno chiamati ladri o sottraenti?

Il termine antipolitica è vecchio assai ne facevano già uso i sofisti ai tempi di Pericle, quindi niente di nuovo sotto il sole. Al solito. Dalle nostre parti la parola ha cominciato ad avere corso corrente da relativamente poco tempo ed ogni volta che si è scoperchiato un qualche verminaio che vedeva coinvolti politici tradizionali. Che tutto sommato ci sta. Quando un corpo si ammala nascono gli anticorpi. Anche se talvolta questi sono così deboli da farsi assorbire dal corpo malato. Il caso della politica italiana dei venti anni passati.

Negli ultimi giorni di antipolitica si è parlato spesso. Anzi addirittura troppo. Anche in questo caso la miccia è stato un bel pateracchio messo in piedi da esponenti della politica in quel di Roma. Sarà molto interessante vedere se la magistratura sarà in grado di scoprire qual è stato il vero punto di partenza. È già, perché pensare che il tutto nasca da un ex assassino pure ex redento e da uno sparatore dei Nar, mai redento, suona strano. Anzi stranissimo. O meglio illogico. Quando si arriverà, se si arriverà, in fondo probabilmente ci saranno delle belle sorprese. E magari le mani di qualche solone tuttora tromboneggiante saranno ancora sporche di marmellata. Altro che due scardellati. Come dire che il pesce puzza dalla testa. In fondo come quando si scoprì in tempi di prima repubblica che esisteva il “conto protezione” che tutti proteggeva meno il soggetto per cui era nato. Peracottate italiche.

A parlare di antipolitica in genere ci si fa male. Non foss’altro per i begli esempi dati dalla politica: il consiglio della Lombardia ai tempi di Formigoni, l’altro ieri, contava più inquisiti che consiglieri regionali, e alcuni con simpatiche frequentazioni in ambito mafioso. In contemporanea c’era stato il caso della regione Lazio e subito dopo quella della regione Emilia-Romagna. Tanto per dirne solo tre. Che si fa prima a dire i consigli regionali puliti, elenco breve, che quegli altri: elenco lungo. Poi c’è il caso di Venezia con il Mose, e quello di Milano con Expo e adesso Roma. Senza contare del centinaio di parlamentari tra inquisiti e condannati. A proposito: i condannati ad andarsene non se ne danno per inteso. Che qualcuno, a questo punto, abbia qualche voltastomaco ci sta.

Comunque il Presidente Napolitano ha monitato, forse una delle ultime volte, sostenendo che l’antipolitica non solo non è bella, ma è «Eversiva».  Addirittura. Che magari lo sarebbe meno se invece di gridare «Fuori i ladri» si mormorasse, ancor più sottovoce: «Accompagnante alla porta i sottraenti le pubbliche risorse.» A stretto giro gli ha risposto con spiccato senso dell’umorismo monsignor Bregantini sostenendo che «Un politico corrotto è più eversivo di un antipolitico onesto.» Al solito il Vaticano gioca sul sicuro. D’altra parte con simili assist viene difficile non andare in rete. E chi è abituato a giocare di rimessa ci riesce benissimo.  Poi è stata la volta di Ernesto Galli della Loggia che ha semplicemente detto quel che molti pensano e sanno: la pulizia è morale ancor prima che tangibilmente fisica. E soprattutto che negli ultimi venti e passa anni, l’analisi del fenomeno non c’è proprio stata. Tirar fuori la lettera di un suicida, peraltro in quegli anni ampiamente strumentalizzata, oggi proprio non serve. Soprattutto se per quelle stanze bazzicano sempre le stesse facce. E le stesse famiglie. Che un altro Letta, Guido, corra, legittimamente, per la carica di segretario generale della Camera dei deputati, al di là dei quasi certi indubitabili meriti, suona poco chic. Ma tant’è.

Sostenere poi, come certi bolliti fanno che «La politica costa» significa dimenticare la storia della Società di Mutuo Soccorso, delle Cooperative e delle Case del Popolo Il «sistema» in termini qualitativi un po’ è cambiato ma poi neanche tanto: entrati in politica con le pezze ai pantaloni taluni, quanti?, ne sono usciti con ville, poderi, eccetera eccetera. Meglio non approfondire. O no? Dal punto di vista della quantità invece il cambiamento c’è stato: oggi sono molti di più. E questo non è bello.



Al dunque il fenomeno dell’astensione cresce, quindi sempre meno cittadini si interessano della cosa pubblica per via del lezzo. Chiudersi nel fortino di Montecitorio autonominandosi non servirà. Per finire la domanda epocale: chi sono l’antipolitica? Quelli che la pulizia non la fanno o quelli che la vogliono? 

venerdì 12 dicembre 2014

Papa Francesco non incontra il Dalai Lama. Si comporta come tutti.

Il Dalai Lama è simpatico e sempre sorridente ma nessuno lo vuole ricevere. Anche papa Francesco preferisce non incontrarlo. Vince sempre la politica dell’interesse di parte. La Chiesa si sta convertendo al relativismo: «meglio i tuoi che i miei.» Nel contempo monsignor Bregantini fa la morale a Napolitano.

Ancora una volta vince la realpolitik. Questa volta è realpolitik vaticana targata papa Francesco e a farne le spese è il solito Dalai Lama. Francesco non lo vuole ricevere. Alle porte in faccia il XIV Dali Lama ci è abituato. I cinesi l’hanno cacciato dal suo Paese, il Tibet, e molti capi di stato e di governo lo evitano come la peste. Non vogliono inimicarsi la Cina che se si arrabbia fa saltare un bel po’ di contratti e tanti bei dollaroni e euroni corrono il rischio di evaporare. E allora tanto vale chiudere un occhio sul genocidio culturale del Tibet e, già che ci si è, anche sulla mancanza di diritti civili nel ex celeste impero. Che adesso di celeste non ci ha proprio più nulla visto come ammazzano chi osa protestare e come cacciano in galera, e torturano, i dissidenti.

Tenzin Gyatso, questo il nome dell’attuale Dalai Lama agli sgarbi istituzionali perpetrati nel nome del profitto, perché di questo si tratta, forse ci ha fatto il callo e da buddista magari neanche se ne accorge. Già a Milano nel giugno del 2012 gli fu negata la cittadinanza onoraria, non era una gran medaglia ma un segnale che si può stare con la schiena dritta anche davanti ai potenti. In quella occasione il sindaco Pisapia fece un figurone: fu l’unica autorità ad incontrarlo. Meno onorevoli furono i sudafricani che gli impedirono di partecipare ai funerali di Nelson Mandela. Entrambi sono stati insigniti del Nobel per la Pace. Quindi un qualche motivo per consentirgli di esserci c’era.

Comunque se dai laici simili voltafaccia, per stare nel politicamente corretto, ce le si può aspettare da un’autorità religiosa viene un po’ più difficile. Soprattutto se questa passa per essere trasgressiva (per come lo può essere un papa cattolico) e sommamente democratica  (sempre per quanto lo può essere un papa cattolico) come è nel caso di papa Bergoglio.  Eh sì, il papa che si è dato il nome di Francesco  ha detto che non vuole entrare in quelle che, tra la Cina ed il Dalai Lama, sono definite «tensioni». Come sono gentili e ben educati ed elusivi in Vaticano. Come sanno scegliere bene le parole. D’altra parte duemila anni di storia avranno pur insegnato qualcosa. 

In queste «tensioni» papa Bergoglio non vuole entrare per timore che il governo cinese se la prenda a male e magari crei qualche problema con i cattolici locali. Allora a salvaguardia del proprio ce ne si può infischiare di quello che succede agli altri. Insomma come dire «non nel mio giardino» o se si vuole essere più diplomatici: «È meglio se ammazzano i tuoi piuttosto che i miei». C’è una nota di cinico relativismo in questo modo di ragionare che, forse, un po’ stupisce. La chiesa sta forse diventando laica?  O che magari invece indigna. La lezione della doppia verità oltre Tevere è stata ben appresa e, soprattutto, ben digerita. E in questa tradizione va letto l’attestato di stima di Bergoglio per il capo spirituale dei buddisti tibetani. Con una mano si dà e con l’altra si toglie. Come sempre.
Nelle stesse ore in cui Bergoglio volta le spalle ai tibetani (poi si dirà che non è proprio così, già ce lo si immagina) monsignor Bregantini uno dei capi della Cei contraddice Napolitano e afferma che: «Un politico corrotto è più eversivo di un antipolitico onesto.» Come battuta lapalissiana non è male, un bel sette più. Come demagogia un nove pieno. Come sincerità, trasparenza e coerenza un misero tre. Ma dato con lode.

E pensare che il Dalai Lama al momento dell’elezione di Bergoglio disse «Mi sono commosso quando ho saputo che ha scelto il nome di Francesco. Conosco san Francesco, la sua disciplina, la semplicità del suo stile di vita e il suo amore per tutte le creature sono qualità che trovo di profonda ispirazione». Magari adesso sull’amore per tutte le creature ci sarà un po’ da riflettere.

Come dire: papa Francesco è un uomo di potere e come tutti gli uomini di potere si comporta , con calcolo furbizia, quel tanto di demagogia che serve, eccetera, eccetera. Insomma non è diverso da tutti gli altri. Forse solo un po’ più simpatico, ma questo, forse, non basta.

domenica 7 dicembre 2014

Berlusconi il moralizzatore:« basta marciume»

Il miracolo operato dai servizi sociali. Il domiciliato di Arcore vuole pulizia in politica. Nuova promessa agli italiani: la moralità. Arriva dopo l’aumento delle pensioni, le dentiere, i toupet ed i cateteri gratis per tutti. Presto anche il buon senso sbarcherà in politica. La metafora del bue e l’asino.

«E il bue disse all’asino cornuto.» Fino ad ora sembrava uno dei tanti adagi popolari trasmessi per via orale. Di quelli di cui si conosce ben bene il significato ma che rimangono sempre metaforici e non immediatamente riportati e riportabili alla realtà. E quando lo sono fanno riferimento a cose piccole e semplici: liti tra moglie e marito o, più divertente, storielle di corna tra due che coram populo si dicono coniugati con donne dai facili costumi. Quindi questioni private e mai di pubblico e nazionale interesse. A dare una sterzata a questo ormai liso stato di fatto ha pensato il domiciliato di Arcore, in arte Silvio Berlusconi. E così lui ha stentoreamente dichiarato: «,basta al marciume.» Portando la metafora a livello nazionale.

Non pochi tra i suoi si sono preoccupati ma poi leggendo il resoconto giornalistico si sono tranquillizzati: il loro leader faceva riferimento ai recenti fatti di Roma.  E non ad altro. Che così è pure meglio. Vuole pulizia in politica e nella vita sociale  il condannato a quattro anni per frode fiscale di cui tre coperti da indulto ed uno sanato con  l’affidamento ai servizi sociali. Verrebbe proprio da dire: il bue dice all’asino cornuto.

Voler più moralità è giusto, anzi giustissimo. Detto e scritto senza alcuna malizia: solo chi ha conosciuto la colpa, anche se veniale come quella della frode, sa quanto sia bello vivere nel lindore. La qual cosa comporta la possibilità di guardarsi allo specchio senza arrossire, anche sotto chili di cerone, e di dormire sonni tranquilli. Magari con la papalina e la boule dell’acqua calda. 

Ovviamente i giornali tutti si sono buttati sulla ghiotta notizia e l’hanno pubblicata a caratteri di scatola.  Pochi hanno colto il vero segno di questa affermazione che non ha nulla di politico ma fa riferimenti solo alla sfera morale. E ancora meno sono stati quelli che, in cuor loro,  si sono complimentati con il giudice che ha trasformato un anno di vigliacca galera con i servizi sociali. Sono stati questi a far germogliare sulle labbra del Berlusconi Silvio parole dal tanto importante valore etico. Cesare Beccaria nell’udirle si sarà messo a ballare nelle tomba e avrà gioito e dimostrato a quei forcaioli che vogliono pene sempre più dure, finanche la morte, il cambiamento del pensiero di un uomo. Passare dall’avere alle dipendenze e difendere un mafioso conclamato (Mangano)  o trascorrere la vita lavorativa accanto  ad un altro (Dell’Utri) e addirittura con questo fondare un partito e poi impedire al proprio ministro dell’Interno di commissariare un comune mafioso fino ad essere condannato per frode fiscale al diventare poi paladino della pulizia in politica, ha del miracoloso. Grazie, Cesare Beccaria.

Ma i miracoli non finiscono qui. È proprio grazie alla frequentazione, obbligata, dei più deboli e svantaggiati che il cuore del più ricco degli italici si fa di burro e ne è evidente l’influenza nel suo messaggio politico. Già perché il Berlusconi Silvio resta in politica anche se già lo si vedeva avviato verso qualche sperduto eremo. Rimane in politica e volge il benevolo sguardo agli anziani ed ai poveri. Al confronto san Francesco, con le sue colombe ed i suoi lupi, parrebbe proprio un venditore di bufale. Nel senso di fregature. O di balle. E infatti l’uomo redento lancia il suo programma elettorale fatto di dentiere, cateteri, toupet e pensioni minime portate fino alla strabiliante cifra di mille, diconsi mille, euro al mese. E udite udite, per tredici mensilità. E ovviamente giù le tasse per tutti. Lascia stare che così a guadagnarci sarebbero solo quelli con più soldi: non tutte le ciambelle riescono col buco.

Un uomo così non può che avere in uggia il marciume. Nella politica come nella vita sociale e soprattutto nella sua vita privata. E, se ne ha la quasi certezza, ben di disfarebbe di tutti i suoi averi per darli ai poveri se non fosse per i tanti figli, che sono pezz’e core, e per gli ancor più numerosi nipoti. E poi mai vorrebbe rubare la scena a papa Bergoglio ed al resto del clero.

Se la piccola frequentazione dei servizi sociali, un sola volta alla settimana, ha potuto operare tale cambiamento perché non allungarne la permanenza a quattro o cinque giorni? Anzi a tutta la settimana e a tempo pieno. Così finalmente si avrebbe un politico completamente depurato, come l’acqua microfiltrata, e il governo del Paese ne trarrebbe infinito beneficio.

sabato 6 dicembre 2014

Indovina chi si incontra a cena?

Roberto Saviano chiede spiegazioni per una cena di 4 anni fa. Il ministro Poletti trova «sgradevole essere tirato in ballo». Andreotti non accettava inviti se non conosceva i commensali e Cuccia dei suoi azionisti conosceva tutto, ma proprio tutto. Se si fanno minchionate è giusto essere bacchettati.

Giulio Poletti è stato attaccato da Roberto Saviano perché nel 2010 andò ad una cena dove sedeva il gotha di quello che poi è diventato il caso «Mafia Capitale» 
Narrano alcune leggende metropolitane, che di solito sono delle gran bufale ma qualche volta ci prendono, che Giulio Andreotti, detto il divo Giulio, ma anche lo zio Giulio, ma anche belzebù e anche la volpe, fosse solito, prima di accettare inviti a cena, chiedere chi fossero gli altri a tavola. E se aveva delle cattive impressioni declinava. Non che poi tutte le sue frequentazioni fossero specchiate, ma almeno un po' alle apparenze ci teneva. Inoltre i soliti bene informati dicono anche che volesse conoscere la disposizione dei posti in modo da avere affianco solo persone presentabili. Si fa per dire. Sempre le stesse leggende metropolitane raccontano che Enrico Cuccia, presidente di Mediobanca, che peraltro non accettava mai inviti a cena, conoscesse per filo e per segno, comprese le magagne, tutti i suoi azionisti. E con prodigiosa memoria ricordasse, in privata sede e solo agli interessarti, episodi per così dire divertenti. Almeno finché rimanevano in quelle stanze che quei muri non aveno né bocca né orecchie. Leggende metropolitane. Ma come spesso raccontano i parroci di campagna bisogna sempre far tesoro di queste favole perché dentro nascondono spesso un bel po' di saggezza.

Giuliano Poletti invece andava a cena senza informarsi sugli altri commensali e soprattutto senza aver ben chiaro chi fossero i suoi associati. Già, perché allora non era ministro ma più semplicemente il presidente di Legacoop nazionale. A dirla così sembra una bocciofila mentre invece era ed è una potenza economica non da ridere. Nel 2009, l'anno prima della cena incriminata, la Legacoop nazionale gestiva 15.000 cooperative (sono 15.000 da sempre e in questo assomigliano ai cinesi di Milano che di numero non cambiano mai), ottomilioni di soci, quasi mezzo milione di dipendenti e circa 56 miliardi di fatturato. E così, neanche fosse l'ospite invitato all'ultimo perché gli altri a tavola erano in tredici, lui ci andò senza fare domande e si sedette proprio di fronte a Gianni Alemanno, allora sindaco. Già chiacchierato. E come niente fosse si trovò in compagnia di Salvatore Buzzi e di tutti quegli altri che ai giorni nostri vengono classificati in ordine alfabetico nel fascicolo «Mafia Capitale». 

Uno dice: «Mica si possono conoscere tutti i presidenti delle cooperative aderenti.» E questo è vero, ma quante cooperative fatturavano 16 milioni di euro in quegli anni? Che sono quanti ne faceva la cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi nel 2009. Pochine vien da dire. Qualcuno avrebbe dovuto dirlo al presidente che si sarebbe trovato di fronte ad un fenomeno: perché una cooperativa di ex detenuti che mette insieme in pochi anni quel popò di giro d'affari dev'essere guidata proprio da un genio. Dato per scontato che quei soldi non li abbiano messi insieme facendo delle rapine. Se poi si pensa che quel gruzzoletto il Buzzi lo faceva con un'amministrazione comunale di colore avverso deve essere genio due volte.

Da cui discende che se quelli di destra utilizzano una cooperativa di sinistra i fatti sono due: o la 29 giugno ha prezzi e qualità strabilianti o viene usata come effetto candeggina. Ovverosia per dimostrare che tuttto è regolare e sbiancare eventuali magagne. Gli si fa vincere qualcosina. Garette marginali. Premi di consolazione. Ma sedici milioni di eurini non sono propriamente un premio di consolazione. E allora qui gatta ci cova.

E ci covava sì perché già allora si mormorava sulla «parentopoli nera» di Alemanno Ginni e anche sulle gare d'appalto qualcosa si diceva. E non erano cosa belle. Ma l'imolese Giuliano Poletti, presidente, non sapeva nulla. E nulla sapeva il suo staff e nulla la Legacoop di Roma e tanto meno quella del Lazio. Che a guardare solo gli ultimi due livelli, che sono quelli più legati al territorio, c'è da chiedersi come quell'organizzazione abbia potuto e possa tutt'ora mettere insieme quel bel fatturato degno di una multinazionale.


La vulgata, nel vecchio Pci, diceva che per i funzionari di carriera il partito fosse il paradiso, il sindacato il purgatorio e le associazioni di massa l'inferno. E lì stava Poletti. Poi le Coop un po' si sono risollevate perché controllare i flussi di cassa fa crescere nella scala sociale e nella reputazione. Soprattutto quando il partito non è più forte come un tempo e l'autonomia si è allargata. Però, magari, metterci un po' d testa quando si viene invitati da qualche parte o quando vien richiesto di stringere qualche mano, magari adesso che si è ministro, non fa male. Soprattutto se non si è in debito.

mercoledì 3 dicembre 2014

Non ci sono più i fascisti di una volta.

I fascisti veri, quelli dell’ordine e disciplina, quelli del  ridotto in Valtellina e poi del doppio petto sono spariti. Sono rimasti i soliti: picchiatori, delinquenti comuni e mafiosi integrati (questo l'aveva fatto anche Mussolini). In tanti si staranno rigirando nelle tombe: Starace, Pavolini, Almirante e anche Rauti. Doveva pestare con più forza sulla zucca di Alemanno. 

Achille Starace sul cavallo nero quello bianco
poteva solo saltarlo, era di Mussolini
A Roma la Guardia di Finanza e i Carabinieri si sono scatenati, però anziché dare la caccia a Rom e Sinti e magari pure qualche clandestino, si sono messi ad indagare su 100 bei personaggini. Ne hanno già messi dentro, nel senso di arrestati, 37 definiti «eccellenti.» Che il mondo è ben bizzarro, un tempo «eccellente» veniva utilizzato, solo nel senso di buonissimo, superlativo senza issimo, adesso invece no.  Sempre più spesso eccellente si accompagna con arresto. E sempre più spesso arresto eccellente fa rima con mafia cogente e capitale corrente. Deve essere colpa del rap e dei rapper. I tempi cambiano, ma le rime restano. 

Questa volta oltre alla solita carrettata di eccellenti, che eccellenti paiono poco essere, ci si sono infilati anche una bella schiera di fascisti. Neo fascisti, un poco fascisti, molto fascisti, fascisti pentiti, ex fascisti, insomma: fascisti. Il fatto è che guazzano con mafiosi e delinquenti comuni. E si danno da fare con estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta (anhe per la gestione dei campi Rom), false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e chissà cos’altro. Insomma quasi tutto l’armamentario mafioso che per averlo per intero bisogna studiare e fare molta pratica. Che salutare romanamente, avere lo sguardo truce e manganellare in tanti contro uno non basta.. 

Certo non ci sono più i fascisti di una volta: quelli abituati a marciare con passo fermo: alla Starace. Il quale forse si starà rivoltando nella tomba: lui voleva ordine e pulizia pure se ci aggiungeva un bel po’ di minchioneria. Fu addirittura mandato da Mussolini a commissionare la federazione di Milano (1928) che pareva in combutta con loschi figuri. Tipo la Roma d’oggi. Oppure quelli che vagheggiavano della bella morte e del ridotto in Valtellina (1945), dove volevano fare le Termopili del fascismo. Il campione di questa bella pensata era Alessandro Pavolini, un altro probabilmente in agitazione nel sarcofago. Lui si vedeva con l’elmo di Leonida in testa: tutto gloria ed eroismo. E mentre quello sognava il germanico colonnello Wolf sghignazzava su queste che definiva «stupidagini» e vendeva lui e gli altri in blocco.  Neanche si trattasse di un sottocosto. E li piazzò al primo colpo senza troppa pubblicità.  E non ci sono più neanche quelli alla Almirante, un altro in agitazione nella tomba, tutto doppio petto e ben azzimato anche se a Valle Giulia qualche sganassone l’ha mollato.. Quei fascisti non ci sono più? No, non ci sono più. Sono rimasti i soliti quelli di sempre: picchiatori, delinquenti comuni e mafiosi integrati. 

Un altro che probabilmente sta allegramente prillando nella bara è Pino Rauti. Ideologo e intellettuale, clerico-fascista tutto d’un pezzo. Mussolini era più laico. Pino Rauti prilla perché tra gli indagati, per ora a piede libero, c’è anche Gianni Alemanno, che è suo genero. E questo, data la situazione, non pare fine. Si rammaricherà, forse,  il vecchio Rauti di non aver pestato a sufficienza sulla testa del genero per fargli entrare nella zucca gli elementi fondamentali della mistica del fascio. Tutta nobili sentimenti, eroismi e impegno sociale che spazio per il venale ce n’era poco. Ma d’altra parte l’asino puoi portarlo all’acqua  ma vien difficile obbligarlo a bere. 

Sull’integrazione della mafia nel regime il fatto non è nuovo. Qualcosina l’aveva fatta anche Mussolini (il nonno) quando si intascò la Sicilia esonerando il Prefetto Mori. Nonostante che pure Mori viaggiasse con la camicia nera.  Quindi questi di Roma in qualche modo sono in linea. Bhè sì, alla fine i fascisti restano sempre fascisti. E non è bello.

domenica 30 novembre 2014

Il Paese va a rotoli e loro giocano.

Berlusconi fa la parodia di Cetto La Qualunque, D’Alema pur di dar addosso a Renzi dice peste e corna delle sue scelte di quindici anni fa. Renzi distribuisce patenti d’eroismo che se si prendesse qualche weekend lungo non farebbe male. Intanto diminuiscono i consumi, cresce la disoccupazione e 11 miliardi delle tredicesime finiranno per pagare Imu, Tasi e balzelli vari.

Ci fosse ancora Totò direbbe: «c’è da scompisciarsi». A seguire le dichiarazioni dei vari personaggi che calcano il palcoscenico della politica peracottara. Sembrano ragazzini in gita scolastica: giocano. Galletti sempre pronti a beccarsi su tutto e non importa quale sia il tema all’ordine del giorno.

Berlusconi fa la caricatura di Cetto La Qualunque e  gli viene benissimo: quasi meglio dell'originale. Promette meno tasse per tutti come quell’altro prometteva «più pilu per tutti». Poi, come un televenditore, ci aggiunge l'aumento delle pensioni minime a 1.000€ e, non contento,  essendo uno che ha il cuore in mano e pure grande ci mette anche le dentiere gratis. Si vede che l’igiene dentale è rimasto un suo chiodo fisso. E gli porta alla memoria graziosi ricordi. Poi disquisisce sulle prossime elezioni per la presidenza della Repubblica e, a detta de commentatori che sembrano dei bookmaker, gioca spiazzare Renzi e a lasciarlo con il cerino in mano ponendo veti su questo e su quello e con l’aria di fare un favore chiede che tutto sia posticipato al giorno di poi del mese di mai. Tenendo comunque a specificare che la situazione è grave e lui lo deve dire. Che se magari tacesse questa sarebbe meno grave. Almeno per il sistema nervoso di quelli che ricordano aerei in overbooking e ristoranti pieni.

Renzi risponde dando patenti di eroismo, neanche si fosse sul Piave a tutti gli artigiani e imprenditori che si alzano al mattino. Come se operai, impiegati, contratti atipici, partite iva e precari non facessero lo stesso. Per informazione al vulcanico giovane presidente si aggiunge che anche i disoccupati, o come si usa dire i «diversamente occupati», lo fanno. Di alzarsi la mattina. E forse questi ultimi sono anche pià scattanti dei precedenti. Detto così, a spanne che ad entrare nei dettagli ci si fa solo male. Poi già che c’è anche lui dice che vuole abbassare le tasse, ma intanto non sa farsi rispettare dai petrolieri che non abbassano il prezzo della benzina e neancheriesce a riscuotere i crediti pregressi. Sarà poi da vedere se seguirà i suggerimenti della Corte dei Conti sull’8 per mille alle confessioni religiose. Che se ognuno si pagasse privatamente la sua chiesa e la sua fede sarebbe nel suo diritto e magari nel suo dovere. Ma sui fatti il fiorentino e i suoi paggetti e le sue ancelle latitano.

Chi non vuole latitare è l’immarcescibile Massimo D’Alema che intervistato questa volta da Paolo Valentino anziché dal solito Di Vico (che deve aver chiesto una dispensa) ha affermato che rifare quello che fece lui quindici anni fa sarebbe sbagliato. In verità in molti già lo sapevano e pure da quindici anni. Comunque pur di dare addosso a Renzi dice tutto e il suo contrario: sconfessa tutto o quasi quel che fece durante il suo governo che se non ci fosse mai stato ci si sarebbero risparmiati non pochi dei guai di adesso. Quindi, obnubilato dalla sua foga guerriera arriva addirittura a dire che bisogna fare più investimenti e anche pubblici. Che è proprio quel che sostiene Renzi. Ma non aveva detto dalla Gruber che ormai faceva un altro mestiere e girava il mondo? Perché non continua a farlo, il giramondo, e, come dicono i giovani non ci molla?

Nel mentre che i ragazzi guazzano nella pozzanghera della politica politicata la disoccupazione giovanile è salita al 43,3%, e quella generale al 13,2%, con l’incremento dell’1% dall’inizio dell’anno. Sei italiani su dieci hanno deciso di tagliare le spese natalizie (che tradotto per i cervelloni di cui sopra vuol dire meno consumi) e ben 11 miliardi delle tredicesime serviranno per pagare le varie tassazioni: Imu, Tasi ed addizionali varie. Poi bastano due gocce di pioggia e intere città finiscono sott’acqua. Le case popolari cadono a pezzi e solo a Milano ci sono migliaia di vani vuoti. E gli spazi vuoti, è una legge fisica, vengono riempiti, si sa.  Come tutto questo non fosse sufficiente c’è anche il pasticcio del bonus mamme lanciato nientepopodimenoche dal governo Monti. Dopo due anni non è chiaro a quanto ammonterà quali i limiti di reddito e neppure i tempi di erogazione. Probabilmente verrà consegnato quando i pargoli partiranno per il servizio militare. Ma ci saranno ancora la controfigura di Cettolaqualunque, un mezzo conte megalomane e un fiorentino dalla lingua sciolta. Auguri

venerdì 28 novembre 2014

Chi contro Renzi? Nessuno, uno, centomila.

Le ricerche dicono che l’approccio personalistico venga vissuto come concretezza. Ma lo affermavano prima delle ultime elezioni regionali. Adesso, sembra, che il leader lontano sia più debole del leader vicino. Se Renzi non sembra avere un avversario tra i big nazionali degli altri partiti forse ne può trovare centomila tra quelli locali.

Pirandello senz’altro apprezzerà il titolo. già di suo amava il paradosso e perdonerà pure che sia utilizzato, un po’ stiracchiato, per una questione non così importante e filosofica come la comprensione del proprio essere.  Al dunque questa è la domanda che attanaglia la stragrande maggioranza dei commentatori politici, giornalisti, conduttori di talk show e magari anche qualcuno degli elettori. Che trovarli in questi giorni diventa pure difficile.

Chi contro Renzi? Fino ad oggi la risposta sembra essere:«nessuno» Non viene in mente alcun nome nell’attuale panorama politico che sembri in grado di contrastare l’asfaltatore. Anche i più giovani come Fitto o come Alfano o come Cattaneo, sembrano non vecchi ma addirittura decrepiti: sono lì già da una vita. Da troppo tempo girano nel fantastico mondo della politica. Gli altri fanno parte del paleolitico. E Renzi di tutto questo se ne fa una ragione come peraltro  del dissenso del sindacato e anche della scarsa affluenza alle urne. E probabilmente si è fatto una ragione anche che il suo governo esista e che i sondaggi dicano che se si votasse adesso lui, nonostante il calo di consensi, vincerebbe alla grande. Quindi chi contro? Nessuno.

Però qualcuno episodicamente ci prova a lanciare una candidatura. Magari a titolo personale. E qui entra in ballo l’uno pirandelliano. «Uno» è Salvini e «uno» è Passera. Qualche settimana addietro ha fatto una fugace apparizione come «uno» anche Diego Della Valle. Adesso è in ombra ma magari poi riappare. Cuperlo, Civati e Fassina forse hanno il buon senso di non considerarsi un «uno» che poi a stare a strascico se ne guadagna. Però, però. c'è Salvini, è come Bossi tutta demagogia nazionalpopolare o, lui lo preferirebbe, federalpopolare. E le sue cento felpe sono lì a dimostrarlo. E’ un Bossi in formato giovane, sguaiatello, senza competenze, già bollato in Europa come «assenteista» e definito da Maurizio Ferrara semplicemente  «un attaccamanifesti.» E Ferrara è uno che di patacche se ne intende non foss’altro per quelle che sostiene da trentanni e più. Data dalla sua conversione a Craxi

C’è anche Corrado Passera  che, lo ha dichiarato ufficialmente, si candiderà come aspirante premier per il centrodestra o i moderati o comunque per quelli non di sinistra. Si porta dietro, ahilui, non pochi “peccati mortali”: essere stato ministro del governo Monti e prima ancora amministratore delegato di banche che di loro non hanno un bel posizionamento nell’immaginario collettivo. Ma non solo: ha passeggiato anche con i capitani coraggiosi che hanno affossato Alitalia, facendola pagare ai contribuenti. Precedenti pesanti per presentarsi come il garante del bene comune. Forse se ne possono trovare di meglio. Ma si vedrà.

Le ricerche, però, dicono che nell’attuale contesto l’approccio “personalistico” pare funzionare e che sia anche considerato un elemento di concretezza. Ma le ultime elezioni in Emilia-Romagna suonano diversamente: non si va a votare per il leader regionale, lontano,  ma ci si sposta per quello locale:il sindaco. Lui lo si conosce e si sa cosa può fare e cosa no. Come dire che i centomila del territorio possono sparigliare. Che senz’altro è cosa che piacerebbe a Pirandello. Potrebbero i «centomila», se i singoli territori ne avessero la voglia e magari anche un po’ di capacità, connettersi e fare rete. E allora magari ogni singolo potrebbe mandare a Roma il politico che conosce meglio e di cui si fida. Che poi sarebbe un vincere facile: centomila contro uno solo. Si vince a mani basse. Lo dice anche la pubblicità.
La domanda è: chi si candida a fare da federatore dei centomila?


mercoledì 26 novembre 2014

Votare non è più di moda.

Dopo l’Emilia-Romagna e la Calabria anche la Camera dei deputati si adegua al nuovo trend. Nelle regioni non hanno votato di domenica che è giorno di festa e di santificazione. Nel Parlamento non l’hanno fatto di martedì che è giorno feriale e di lavoro.

Le mode, è appurato, non si sa dove nascano ma le si vede bene quando si consolidano.  È successo per l’hula-hoop, la minigonna, i capelli lunghi e poi la rasatura che è partita con gli skinhead dell’estrema destra per finire a nascondere la alopecia di manager, giornalisti e garzoni. E alla fine è giunta pure in Parlamento. E ci mancherebbe: il Parlamento è il collettore delle istanze popolari. E dunque in Parlamento è arrivata pure la moda del non-voto, che fra un po' si scriverà senza trattino e diventerà una parola nuova. In fondo il parlamento mica sta fuori dal mondo. Anzi.

Così dopo i calabresi e gli emiliano-romagnoli anche i parlamentari hanno deciso di non votare. Per cose importanti ovviamente perché invece ad astenersi sulle intriganti proposte della aspirante presidente della Repubblica Roberta Pinotti sulla “istituzione della banca del tempo” o sulla “istituzione della giornata dell’inno nazionale” non ci pensano proprio. Questa volta i non votanti alla Camera per il renziano Job Act sono stati solo il 48%, numerello ancora basso. Per questa volta non sono riusciti ad eguagliare il primato regionale ma d’altra parte si è solo agli inizi. Ci si rifarà alle prossime occasioni. D’altra parte mettendo in campo gente del calibro di Civati (il-vado-ma-no-resto), Cuperlo (lo scrittore dei discorsi di D’Alema) e Fassina (quello che si è arrabbiato perché non è stato nominato ministro ma solo sottosegretario) senz’altro si potrà fare di meglio. Senza contare poi che ci sono le vecchie volpi della Lega Nord come Bossi (c’è ancora) e  le valchirie forziste (anche loro ci sono ancora) e poi quelli di Sel (i non attratti dalla sirena Renzi) e infine i giovani virgulti del M5S. Ce la possono fare senz'altro. Con un po’ di impegno.

A parziale scusante per non aver raggiunto il top c’è da dire che i deputati si sono trovati a votare di martedì che è giorno feriale mentre agli elettori delle regionali hanno potuto esercitare il loro non-voto di domenica, il che è un bel vantaggio. Nei giorni di festa è più facile trovare delle scuse per sgattaiolare e, come dicono a Roma “darsi”. Di martedì invece è più difficile: inoltre per molti è il primo giorno lavorativo e si è più notati se ci si è piuttosto che se non ci si é. Almeno così è risolto il quarantennale dubbio morettiano: li si nota di più quando ci sono soprattutto perché per non pochi è un fatto eccezionale. Quindi la buvette è stata più affollata del solito e gli abitué se ne sono lamentati.

Come per le regionali Renzi ha esultato e l’ha fatto via twitter, ci mancherebbe altro, scrivendo «più tutele e lavoro» come se il lavoro potesse nascere per decreto. Queste cosucce il suo amico Marchionne potrebbe anche spiegargliele, nei momenti di pausa tra la stesura di un piano industriale e l’altro. Sul fatto che in aula fossero in pochi il Renzi se ne è fatto subito una ragione, come in quattro-e-quattro-otto, se l’era fatta per la scarsa partecipazione alle regionali. Poi, come dire, meno si è e più facile è governare. Meno interruzioni, meno opposizioni, meno chiacchiere. Tutto sommato meglio così. E poi, a dirsela chiara, chi sta cambiando il Paese non può perdere tempo con i dettagli anche se in questi si nasconde il diavolo, che notoriamente fa le pentole ma non i coperchi.


A rimanere in aula e a votare a favore del provvedimento c’è rimasto Bersani e un manipoletto dei suoi. Lui dice che l’ha fatto per il «bene della ditta» ma forse è perché non sa che pesci prendere. Comunque se la moda del non-voto prende piede stabilmente anche in Parlamento verrà più facile sfoltirne i ranghi. Così, tra amici, si gestisce meglio e pure si risparmia. Che di questi tempi non è poco. 

lunedì 24 novembre 2014

Calabria rossa

La Calabria si scopre terra rossa mentre l’ex rossa Emilia terra di conquista dei neo gallo-celti d’altra parte Bologna fu fondata dai Galli Boi. A votare vanno sempre meno. Le prossime elezioni in uno stadio per farle poi nel salotto di casa. Fino a quando gli assenti non decideranno di tornare presenti.

I vincitori: Gerardo Oliviero e Stefano Bonaccini
Adesso oltre ai giovani (ma questa è storia vecchia), alle mezze stagioni (di cui si dice da qualche decennio)  ed al potere dei sindacati (che invece è storia nuova)  neanche le regioni sono più come quelle di una volta. Tra Emilia-Romagna e Calabria la regione rossa adesso è la seconda, dove viene eletto un vecchio bersaniano che passa il turno con il 61,39% dei consensi. 

Oddio il numero suona tondo e anche un pochetto roboante se non fosse che a votare ci sono andati in pochini: solo il 44%. Ma che è un bel po’ di più della percentuale raccolta nella terra del liscio, del gnocco fritto e della (una volta) partecipazione: uno striminzito 37,7%. E allora a ben guardare il nuovo Governatore della Calabria è stato eletto con il consenso del 27% dei calabresi in età di ragione. Che non è poco ma a ben vedere non è neppure così tanto.  Mentre quello dell’Emilia ex rossa porta a casa un 44,52% che poi, nella realtà vera, è uno stiracchiato 16%. Ma ognuno si inganna come crede.

Una volta gli sconfitti delle elezioni guardavano i dati con la lente di ingrandimento e per dire d’aver in qualche modo vinto facevano raffronti con anni lontani o andavano a scovare minuscole località e le portavano a testimonianza dell’incremento di voti o di percentuale. Lo fece anche il povero Bersani nel 2012, pare oltre un secolo fa, quando andò a contrapporre alla sconfitta di Parma la vittoria di Budrio. Paese di ocarine eletta a nuova Stalingrado. Tenerezze d’altri tempi.

Adesso chi vince fa il contrario: non guarda nulla. Nulla che non sia l’ultima riga del verbale elettorale, quella che riporta i seggi ripartiti per partiti e non si perita di notare  quanto gli manca tutto attorno. E così si esulta per il 2 a 0, alla Renzi, dicendo al massimo che sì l’affluenza alle urne non è stata tanta. Pazienza. Andrà meglio la prossima volta. Come pure esulta l’aspirante gallo-celta Salvini, che si chiami Matteo come l’altro, dev’essere uno di quei colpi gobbi di cui è piena la storia, che si ringalluzzisce per il risultato emiliano-romagnolo che si scrive 19,42% ma va letto come 7,32%. E nella foga dell’esaltazione si dimentica di rivendicare che Bologna fu fondata dai Galli Boi e magari adesso toccherà vedere bolognesi con corna e spadoni mettersi a bere l’acqua del Savena o del Reno. Entrambi,i vincitori, uno un po’ più uno un po’ meno, si appropriano delle penne altrui per parere un po’ più belli: Salvini dei voti e dei seggi di Forza Italia e di Fratelli d’Italia mentre Renzi di quelli di Sel e di due altri minori.

Ma per fortuna c’è la Calabria, terra rossa, seppur di recente conio, dove il Pd si vanta del 22% dei voti che poi letti in filigrana diventano un poco meno del 10%. Ma l’importante al solito è crederci. E gli eletti, si sa, sono disposti a credere a tutto. In tutti i campi, e in tutti i tempi. E qui al Pd è andata pure bene perché, al di là degli sparuti cinque stelle, gli altri concorrenti erano i nuovi amici del Nazareno e i discepoli di Alfano. Come dire il nulla.

Se si andrà avanti di questo passo le prossime consultazioni si terranno in uno stadio, poi in una palestra  e sempre più a rimpicciolire lo spazio fino ad arrivare al giardino e al salotto di casa. E lì i capi di partito finalmente godranno per intero. Salvo che nel frattempo gli assenti non tornino presenti.
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http://ilvicarioimperiale.blogspot.it/2012/05/budrio-e-la-nuova-stalingrado-ditalia.html

venerdì 21 novembre 2014

Eternit: il diritto si mangia la giustizia.

Iacoviello: «Talvolta accade che diritto e giustizia vadano da parti opposte» Il reato ambientale si è esaurito con la chiusura dello stabilimento nel 1986. I morti sono altra cosa.  Dice la difesa che il reato non è agganciato alle morti. Autunno felice per l’avvocato della difesa Franco Coppi, in poco più di un mese due assoluzioni eccellenti: Eternit e Berlusconi.

A sentire le parole pronunciate del sostituto procuratore generale della cassazione Francesco Iacoviello durante il processo contro Stephan Schmidheiny proprietario superstite di Eternit tornano  alla mente, quei bei compiti di matematica in cui tutti i passaggi erano giusti ma il risultato finale sbagliato. Ci si impazziva sui quei compiti così come oggi si impazzisce sulla sentenza dell’amianto. Si dice che un conto sia il diritto (la legalità) ed altro la giustizia. Piacerebbe ai semplici che i due termini fossero sinonimi.

Dice Iacoviello: «[l’imputato] è responsabile di tutte le condotte a lui ascritte» e «Per reati come le morti per amianto che ha latenza di decenni serve un intervento legislativo» e «[talvolta accade che] diritto e giustizia vadano da parti opposte». Perfetto quindi condanna. No:«Reato prescritto» Che della prescrizione non si sono accorti né i giudici di primo grado né quelli d’appello. Delle due l’una : o i primi erano ciechi o i giudici della Corte di Cassazione hanno rimirato il codice con la lente d’ingrandimento e scovato un codicillo piccolo piccolo, se lo son baloccato fino ad ingrandirlo all’inverosimile e quindi «Reato prescritto.» Che la prescrizione era più che conclamata se si fa risalire il tutto al 1986 anno di chiusura dello stabilimento mentre invece scoppia come un palloncino portato a contatto con un aghetto se si sta a guardare la macabra contabilità dei morti. L’ultima in ordine di tempo l’hanno seppellita sabato 15 novembre 2014. E come non bastasse in aula c’era anche chi per respirare ha bisogno della bomboletta dell’ossigeno e sa con certezza che per lui i giorni son contati con più micragnosa pignoleria. 

Diceva Cesare Beccaria che: «Non v'è cosa più pericolosa di quell'assioma comune che bisogna risalire allo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinione.» Forse nessuno ha parlato di spirito della legge ma è come se così fosse stato fatto  Si giustificano i giudici, ed è ben triste faccenda quando i giudici si devono giustificare,  che loro non eran lì per sentenziare sui morti.  No, certo. Erano lì per altro:« oggetto del giudizio era esclusivamente l'esistenza o meno del disastro ambientale, la cui sussistenza è stata affermata dalla Corte, che ha dovuto, però, prendere atto dell'avvenuta prescrizione del reato essendosi l'evento consumato con la chiusura degli stabilimenti Eternit, avvenuta nel 1986, data dalla quale ha iniziato a decorrere il termine di prescrizione. Non erano, quindi, oggetto del giudizio i singoli episodi di morti e patologie sopravvenute, dei quali la Corte non si è occupata.» Che se il disastro ambientale in questione abbia generato le patologie e i morti che già sono stati e di altri che a stretto giro saranno, questo è un puro accidente della storia. Come dire che si processano le uova e non la frittata. 

Ha commentato il legale della difesa Franco Coppi che è stato «Un reato [di disastro ambientale] non agganciato alle lesioni e alle morti.» Che per agganciarlo chissà che si doveva fare.  In ogni caso per arrivare a questo risultato ci sono voluti cinque anni. Da decidere se sono tanti o sono pochi.
Comunque ad oggi i morti più o meno sono stati 2.200 ma la storia non è finita poiché il picco delle morti è previsto a cavallo del 2020 e poi, come sempre, dopo il picco ci sarà la striscia della discesa. Assai lunga e ugualmente dolorosa. Adesso il pubblico ministero Raffaele Guariniello si prepara a rilanciare sul  processo bis, questa volta tutto centrato sull’accusa di omicidio. A questo punto ci si domanderà se dopo la sentenza di Cassazione e il rilancio del processo bis per omicidio le multinazionali avranno più o meno paura di come viene gestita la giustizia, pardon, il diritto in Italia.

Restano a corollario di tutta la faccenda la dichiarazione della difesa dello svizzero Schmidheiny che suona così: «Ora basta processi ingiustificati.» Che infatti non piacciono a nessuno e in più costano. E come secondo il trascurabile fatto che stabilimenti Eternit con la loro polverina bianca di amianto pare siano attivi in Cina e Brasile.  Come dire che i padroni di Eternit di quanto successo in Italia han capito poco o punto e in ogni caso non ne hanno  tratto alcuna lezione.

A chiusura un’altra frase di Cesare Beccaria: «Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile. Il fine non è altro che di impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.» 

A margine della vicenda la constatazione che questo sia stato un autunno fortunato per l’avvocato Franco Coppi che in poco più di un mese ha ottenuto due vittorie importanti: il caso Ruby Berlusconi e questo di Eternit. Complimenti.

Verrebbe da dire: good night, good luck.