Ciò che possiamo licenziare

lunedì 16 dicembre 2013

Renzi e Letta: lotta continua. Berlusconi minaccia la rivoluzione.

Matteo e Gianni sono in lotta continua e cercano di primeggiare l'uno sull'altro a tutti i costi alzando continuamente la posta. Appena uno dice di voler fare una riforma quell’altro la spiattella sul tavolo del governo. E se alla fine tra i due litiganti fosse il paese a godere? Berlusconi dice che se lo arresteranno scoppierà la rivoluzione, ma non è vero.



Enrico guarda in basso, Matteo in alto si tengono le mani
in modo bizzarro, si vede che sono fatti l'uno per l'altro.
Tra Renzi e Letta s’è avviata una bella competizione: appena uno lancia sul tavolo l’idea di una riforma subito quell’altro si dà da fare per superarla, dire che la farà prima e meglio e addirittura metterla in cantiere. 
Sembra di vedere Paul Newman e Lonegan nel film La stangata mentre giocano a poker sul treno. Ognuno dei due è lestissimo a dire «piatto» (che nel gergo del pocker significa punto tutto quanto è nel piatto in questo momento) appena quell’altro accenna a rilanciare la puntata.

E così Matteo non fa in tempo a dire che vuol ragionare sui costi della politica e pensa alla montagna di soldi che i partiti ingurgitano che zac l'Enrico ti riunisce il consiglio dei ministri ed in un battibaleno presenta il decreto legge che abolisce il finanziamento ai partiti e lo fa approvare. Viene il sospetto che quel documento se lo tenesse nel cassetto da un bel po’ di mesi ma se non ci sono prove questa diventa una maldicenza gratuita. E magari Pierluigi Battista se ne adombra. Lungi quest’idea da qualsiasi benpensante. 

Oddio gli italiani alla decisione che i partiti si finanziassero da fonti non statali c’erano già arrivati vent’anni addietro, nel 1993 ma non è che ci sia sempre immediata corrispondenza tra quanto vuole il popolo e quanto fanno i suoi rappresentanti. E’ un po’ come la differenza che passa tra la giustizia e la legalità. Una cosa è giusta ma non legale e un’altra e legale ma non giusta. Così va il mondo. Almeno da queste parti.

Peraltro non è che il decreto legge proposto ed approvato dal governo sia proprio cristallino, qualche alea la lascia ma, come dicevano i vecchi, piuttosto che niente è meglio piuttosto.  Infatti l’abolizione vera e propria del  finanziamento scatterà solo nel 2017, quindi fra tre anni e a questa data ci si avvicinerà per gradi. E qui occhio alla penna perché tre anni sono lunghi, poi c’è da dire che quelli che poggiano i loro deretani sugli scranni del Parlamento non saranno intelligenti ma astuti come faine questo certo sì. E quindi il rischio che quello tessuto oggi venga disfatto domani non è poi così lontano. E quindi un’altra volta occhio alla penna anche perché Ugo Sposetti e i suoi consimili girano sempre nei paraggi. E sono pericolosetti.

Comunque è già bello constatare che appena il Renzi dichiara di avere in testa una riforma che quell’altro, il Letta, si butti a farla per togliere ogni vantaggio al primo. E allora ecco che subito Matteo rilancia: subito il taglio delle spese inutili, subito l’abolizione delle province, subito la nuova legge elettorale e subito la riduzione dei parlamentari, e subito il taglio delle tasse. E magari anche, perché no, subito la restituzione dei soldi già ricevuti dal partito. E poi chissà che altro. Certo che se tanto dà tanto il popolo potrebbe pure trovarsi a stropicciarsi le mani per la contentezza. Vuoi mai vedere che quei due nel tentativo di fregarsi l’un con l’altro si trovano inopinatamente a fare gli interessi del Paese? E’ sì perché a furia di rilanci in questa continua ed infinita campagna elettorale a due dove pure qualche cosa bisogna farla, magari ne escono, se non tutte, almeno una buona parte di quelle riforme che il ventennio berlusconiano un po’ ha promesso e mai ha realizzato. Che sia la volta buona in cui tra i due litiganti il terzo goda e questa volta il terzo sia il Paese?

In tutto questo il giovane Renzi ha pure trovato il tempo di fare un passaggio dal vecchio Napolitano per dirgli chiaro-chiaro che lui di tutori non ha bisogno. Il Presidente dal monito facile ha incassato e taciuto d’altra parte non si può sempre avere a che fare con uno stuoino alla Enrico Letta che dice sempre di sì e che è lì solo perché in gioventù è stato il compagno di giochi del figlio. Giocavano a subbuteo. Alta strategia.

Di Berlusconi si sente dire meno. Oramai sui giornali, a parte quelli di sua proprietà, occupa spazio da pagina otto in avanti e se non spara berlusconate sempre più roboanti nessuno se lo fila più. D’altra parte non serve al governo e dall’opposizione può fare proprio poco.  E Grillo è decisamente più divertente. L’ultima che ha scaricato suona più o meno così: «Se mi arrestano scopia la rivoluzione» E l’ha detto alla tv di Francia che da quelle parti di rivoluzione un po’ se ne intendono.Però tranquilli: non succederà nulla. 

Innanzi tutto l’idea di arrestarlo non gira nella testa di alcuno. E poi nessun direttore o direttrice di carcere lo vorrebbe tra i piedi, hanno già abbastanza problemi per conto loro senza volerli aggravare con un altro rompiscatole, invadente e presuntuoso. In secondo luogo ha talmente paura di finire al gabbio che senz’altro prima di entrare gli scappa un’altra uveite e comunque ha sottomano sia il numero di cellulare della Cancellieri e, se gli mancasse,  quello dei Ligresti. Quindi anche entrasse uscirebbe subito: un passaggio sulla porta girevole.  Ma ciò che impedirà la rivoluzione sarà ben altra e assai più importante questione. Quale? Un guardaroba non adeguato. 

Infatti più d’una tra le valchirie, amazzoni e pitonesse varie, compresa qualche falchetta dell'ultima ora ha dichiarato in privato e con una certa disperazione che: «Se scoppia la rivoluzione non ho niente da mettermi».

Eh, già fare la rivoluzione non è come dirlo, ci vogliono i vestiti giusti, gli abbinamenti giusti, le scarpe giuste, gli accessori giusti.  Una rivoluzione tacco venti non si può fare e le prove dalla sarta portano via un sacco di tempo. E poi camminare con gli anfibi è un’arte tutta nuova da imparare. Quindi, con buona pace di Berlusconi prima si sistemano i guardaroba e poi si può parlare di rivoluzione. Ma se tagliano i finanziamenti ai partiti il guardaroba queste come se lo rinnovano?



venerdì 13 dicembre 2013

La prima puntata della rubrica "Gloria mundi" curata da Castruccio Castracani ai microfoni de il cantastorie


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Ai microfoni de Il Cantastorie la prima puntata della rubrica "Gloria Mundi". I fatti più salienti della settimana commentati dal pungente Castruccio Castracani.... tutti i mercoledì a Il Cantastorie.... ormai un appuntamento fisso. E per chi ne volesse sapere di più lo può seguire sul suo blog http...

giovedì 12 dicembre 2013

Oggi è il 12 dicembre.

«12 dicembre strage di stato la classe operaia non ha dimenticato.» Alla fine si dimentica tutto: anche la strage di piazza Fontana. Se ne sono dimenticati tutti: intellettuali, giornalisti, parlamentari, anche il Presidente della Repubblica. Se non ci si ricorda di piazza Fontana diventa difficile uscire dalla crisi.



Banca Nazionale dell'Agricoltura il giorno della bomba
Alla Banca nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969, quarantaquattro anni fa, nel pomeriggio, ci fu un’esplosione.  All’inizio si pensò che fosse una caldaia ma anche se il rumore era lo stesso si trattava di qualcosa di eccezionalmente più grave: era una bomba. Qualcuno aveva piazzato una bomba molto potente nella sala centrale della banca. Morirono 17 persone e 88 furono ferite. Fu l’attentato più sanguinoso di quel periodo superato per tributo di sangue solamente dalla strage di Bologna che avvenne nel 1980. Cominciò con la strage di piazza Fontana, anche se quello non fu cronologicamente il primo attentato dell’epoca quella che fu poi chiamata la strategia della tensione. 

Quel terribile giorno a Milano doveva esplodere anche una seconda bomba in un’altra banca: nella sede della Banca Commerciale, in piazza della Scala, ma qualcosa andò storto e non brillò. A farla esplodere ci pensarono gli apparati dello Stato cancellando così alcune importanti prove. Anche a Roma esplosero altre tre bombe: in via Veneto sempre di fronte ad una filiale della BNA, all’Altare della Patria e al Museo del Risorgimento. Tutti luoghi simbolici. Si colpivano le due capitali del Paese, quella politica e quella economica (si diceva morale anche se di moralità allora come oggi ne girava pochina), le banche in rappresentanza del potere economico e due dei segni della unità nazionale  Gli attentati e le uccisioni poi si susseguirono con un ritmo incalzante tra il 1968 e il 1974 si contarono ben 140 attentati.

Dopo quarantaquattro anni e innumerevoli processi si è arrivati alla conclusione che non c'è alcun colpevole. Quella bomba si è messa lì da sola. Forse era una giornata troppo fredda per andare in giro a fare shopping e la Banca Nazionale dell’Agricoltura le sarà parso un bel posto caldo dove passare il pomeriggio. Non c’è da stupirsi può capitare. 

In verità dopo poche ore dall’attentato s’era già pescato un colpevole, anzi una intera categoria di colpevoli: gli anarchici. Si sapeva che questi dalla metà dell’ottocento in avanti avevano disseminato di bombe l’intera Europa colpendo monarchi e governanti di ogni tipo. E poi gli anarchici non piacciono a nessuno, sono senza regole e per giunta non sono rappresentati in Parlamento: i colpevoli ideali.  

A Milano c’è il circolo Ponte della Ghisolfa che ha un segretario (anche gli anarchici hanno bisogno di un po’ di organizzazione)  ed è Giuseppe Pinelli che oltre ad essere anarchico è anche ferroviere: perfetto per l’immaginario collettivo. Viene fermato lo stesso 12 dicembre e passa in questura tre giorni. Poi succede che voli dalla finestra del quarto piano e si sfracelli nel cortile. Se è caduto la colpa è solo sua: nessuno era presente in quella stanza. Già perché in quel 15 dicembre la questura era popolata da personaggi bizzarri che ritenevano Giuseppe Pinelli un pericoloso terrorista ma lo lasciavano solo in una stanza, chissà poi di quale funzionario, con la finestra aperta neanche fosse primavera. A Roma arrestarono Pietro Valpreda anche lui anarchico del circolo 22 Marzo.  Poi a distanza di anni e un bel po’ di galera si scoprì che era innocente e che chi l’aveva riconosciuto era stato un po’ influenzato. Sono cose che capitano.

Successe quindi che si pensò che i colpevoli fossero estremisti di destra: fascisti per dirla come va detta. Ne furono arrestati un po’ ma anche loro risultarono innocenti. Nessuno di questi fu lasciato libero vicino ad una finestra, visti i precedenti, però si fecero qualche anno di galera. Come dire mal comune mezzo gaudio.

Se si seguisse la logica si dovrebbe arrivare ad arguire che non essendoci colpevoli la strage non è mai avvenuta. Fatto metafisico quindi. Imperscrutabile. Infatti oggi 12 dicembre 2013 nessun giornale ne parla. Sarà che non ci sono più le ideologie, sarà che i partiti sono diventati liquidi, sarà quel che sarà: oggi silenzio assoluto.

Eppure fino a qualche tempo fa si gridava: «12 dicembre strage di stato la classe operaia non ha dimenticato.» E invece sì: la classe operaia ha dimenticato. Però è scusata: adesso dicono che non ci sia più. Sarà. Però a Taranto in quella che una volta era l’Italsider quelli che muoiono di cancro, sono operai così come sono operai quelli morti per la lavorazione dell’amianto a Casale Monferrato e sono in buona parte operai anche quelli che a Torino, a Milano e nel resto dell’Italia sono disoccupati. Chissà.

Certo non c’è più la classe operaia ma tutti gli altri ci sono ancora e tuttavia non se ne ricordano.  Non se ne ricordano gli intellettuali e neppure i giornalisti e neanche i parlamentari e neanche il Presidente della Repubblica e neanche quelli che dicono di voler tirare fuori il Paese dalla crisi e dalla morsa dello spread.
Ma se non si ricordano del 12 dicembre 1969 come possono pensare di salvare questo Paese?




lunedì 9 dicembre 2013

Vince Matteo Renzi

In oltre due milioni e mezzo, forse quasi tre, vanno a votare e Renzi stravince. Da adesso e in pochi giorni si dovrà cominciare a mettere in pratica le promesse fatte. Cuperlo raggiunge uno stiracchiato 18% mentre Civati dice di essere un terzo che arriva quasi secondo.C'è un Pd fuori dal Pd.




Alla fine il nuovo che avanza ha tagliato il suo primo traguardo: Matteo Renzi ha vinto le primarie e sarà il nuovo segretario del Pd. 
Vittoria ben chiara come d'altra parte lo fu la sua sconfitta con Bersani Pierluigi. Questa volta è toccato a Renzi assaporare il dolce di una percentuale che veleggia intorno al 68% contro uno stiracchiato 18% di Cuperlo Giovanni, in arte Gianni, e un eclatante risultato di Civati Giuseppe detto Pippo, che è lì lì per superare il 14%.
Cuperlo Gianni, tre volte deputato, ex pupillo di D'Alema e di lui ex-ex scrittore ombra di discorsi, come si conviene si è fatto carico di tutte le colpe della sua sconfitta a partire dal dire di «non essere stato all'altezza della bellezza delle nostre idee» e dal confermare di «aver indossato talvolta le cravatte sbagliate.» Il fatto é che ha seguito i suggerimenti di D'Alema sulle questioni politiche e non su come vestirsi, avesse fatto il contrario probabilmente avrebbe raggiunto quel 30% di voti di cui era accreditato. Invece Cuperlo si deve accontentare di poco più della metà. Ma come tutti i dalemiani o ex tali non sa meditare sulle sconfitte, d'altra parte il suo capo corrente non s'è mai esercitato in questa nobile ed utilissima pratica anche se spesso avrebbe dovuto e quindi lancia trasversali minacciosi messaggi. Nello stile criptico caro alla tradizione vetero comunista e anche un po' democristiana comunica che «abbiamo fatto un pezzo del viaggio … ma i binari non sono finiti … e non scenderemo dal treno.» Il tutto tradotto suona come se avesse detto: «anche con il poco che abbiamo staremo lì e daremo del filo da torcere.» Beppe Grillo avrebbe tradotto la metafora in modo assai più diretto e colorito ma di tanto in tanto bisogna ricordarsi dell'esistenza di madama Buona Creanza.
Civati ha fatto onore al suo nome, Pippo, e se l'è cavata con due battute, la prima:«se D'Alema mi avesse attaccato un po' di più avrei ottenuto un risultato migliore.» Come dargli torto. La seconda ha sapore bersaniano: «sono un terzo arrivato quasi secondo» Poi ha fatto maliziosamente notare che tra i supporter di Renzi c'era l'ingombrante presenza di Fassino Piero (ex parlamentare, cinque volte, ex segretario ds, per due, poi ci si domanda perché il Pd è nato così male, ex ministro prima alla giustizia e poi al commercio estero, in entrambi i casi nessuno mai s'è accorto della sua presenza, attuale sindaco di Torino, auguri alla città, e poiché non gli piacciono le cariche è anche presidente dell'Anci) che rilasciava alle televisioni esultanti interviste sulla vittoria del sindaco fiorentino. Il caso vuole che proprio nello stesso momento Renzi dicesse:«non stiamo cambiando la sinistra ma i giocatori della sinistra». Leggasi il vecchio gruppo dirigente che guarda caso comprendeva anche quel Fassino lì. Il quale forse del fatto non s'è ben reso conto (ma di cosa mai s'è reso conto?) a meno che Renzi non stia mettendo in pratica il proverbio latino: «Vulgus vult decipi, ergo decipiatur (il popolo vuol essere inganno e allora inganniamolo)» E d'altra parte non sarebbe la prima volta. Silvietto docet.
Ora si tratta di attendere e verificare se il budino Renzi, che va assaggiato e cioè messo alla prova, è buono come dice. Sarà questione di ore dalla composizione della segreteria si capirà se si parte con nuovi inciucini o se, nell'interesse del paese, si useranno metodi un po' spicci. E salutari.
«Ora tocca a noi» dice Renzi e i due milioni e briscola (forse quasi tre) di militanti-s impatizzanti-elettori che hanno fatto la fila per votare, ed hanno sborsato i due euro d'ordinanza che a occhio fanno un bel cinque milioncini che come finanziamento al partito non è male, sono lì ad aspettare che il sogno divenga realtà.

Il fatto vero è che, come in una rappresentazione di Samuel Beckett, c'è un Pd fuori dal Pd. E si spera che il Pd che sta dentro il Pd almeno per una volta non faccia harakiri. Perché poi difficilmente ci sarà un'altra possibilità.




giovedì 5 dicembre 2013

Corte Costituzionale: il porcellum è una porcata.

Epocale scoperta della Corte Costituzionale. Non è normale in un Pese normale che le leggi porcata siano costituzionali. In Italia ce ne si accorge dopo otto anni e ben tre elezioni che poi sono tre parlamenti, tre legislature e un numero indefinito di vitalizi. Forse si sta diventando un Paese normale. E comunque essersi liberati di una porcata ha del miracoloso.






E così la Corte Costituzionale ha stabilito che il porcellum era, ed è, una porcataMica male.  E verrebbe d'aggiungere: bella scoperta. Ma soprattutto meglio tardi che mai. Ovviamente i paludati giudici costituzionali non l’hanno detto in modo rozzo come, per esempio, avrebbe potuto fare Calderoli. Quel Roberto Calderoli che dopo aver scritto la legge e naturalmente averla presentata e vistasela approvare dal parlamento ha pensato bene di darne una sua personalissima definizione che, almeno per una volta, ha corrisposto perfettamente alla realtà. Disse infatti «abbiamo fatto una porcata.» Bravo. Ottima intuizione. La sua legge elettorale una porcata lo era di nome e di fatto

Ora che dopo ben otto anni dal suo varo e la bellezza di tre legislature, quindi tre elezioni (2006, 2008 e 2013), dunque tre parlamenti e la maturazione di chissà quanti vitalizi, se ne sono accorti anche i giudici della Corte Costituzionale: più che un fatto bellissimo ha del miracoloso. Da oggi gli italiani possono tirare, oltre che la cinghia anche un bel sospiro di sollievo. La nazione è in buone mani. Questi giudici della Corte Costituzionale sanno distinguere tra una buona legge e una porcata. C’è la crisi ma non tutto in Italia va male.

Oddio, in un paese normale, magari all’indomani della promulgazione della legge, sbandierata su tutti i giornali e meritoria di infinite conferenze stampa ed interviste e pure dopo aver sentito la calderoniana definizione a qualcuno della Corte Costituzionale, gli sarebbe pure potuto venire venuto l’uzzolo di “guardarci dentro” a questa legge. (L’espressione è volutamente dialettale per consentirne la comprensione anche agli amici di Calderoli) E magari a quel solerte servitore dello Stato, anche solo per averla scorsa e senza essere entrato nel dettaglio, gli sarebbe dovuto venire il dubbio che se una legge è definita una porcata da chi l’ha scritta forse con la costituzione aveva poco a che fare. Perché non è normale, in un Paese normale, che le leggi porcata siano, come dire, anche costituzionali. Di solito nei paesi normali si cerca di fare leggi che siano quantomeno decenti. Poi se quel solerte servitore dello Stato nonché  giudice costituzionale avesse investito qualche minuto del suo prezioso tempo a leggere il parto di Calderoli si sarebbe reso conto, quasi subito che, nell’ordine: le segreterie dei partiti la facevano da padrone nella definizione degli eletti, che gli elettori erano semplicemente chiamati a ratificare e non avevano libertà di scelta alcuna e poi che una maggioranza relativa, che è pur sempre minoranza per quanto cospicua, acquisiva la maggioranza assoluta del Parlamento. Che poi il sistema di votazione del Senato fosse differente da quello della Camera e di vantaggio quasi esclusivo per una sola parte politica, come se, detto senza malizia, fosse stato studiato alla bisogna, l’avrebbe capito anche un bambino.  

Probabilmente pretendere tutto questo sforzo in così breve tempo sarebbe stato chieder troppo ai quindici giudici costituzionali in carica nel 2005. Già perché in Italia i giudici costituzionali sono  quindici mentre quelli della Suprema Corte degli Usa, tanto per fare un esempio, sono nove e sono di riferimento ad una repubblica federale composta da 50 Stati (contro le nostre 20 scardellate regioni, di cui ad oggi 16 con rappresentanti inquisiti) e con una popolazione di quasi 320 milioni che è come dire più di cinque volte il numero degli italiani. Ma tant’è.  Quindi per ben otto anni e, tre tornate elettorali non è successo assolutamente nulla. O per meglio dire andava tutto bene madama la marchesa Chissà come mai. Chissà perché. E questo, guarda un po’ il caso, nonostante tra gli attuali quindici due fossero già in carica prima della presentazione della legge, tre lo fossero prima delle elezioni del 2008 e ben dodici prima delle elezioni del febbraio 2013. Evidentemente avevano altro da fare.

Ora qualche dietrologo dotato di malizia farà notare che la bocciatura del porcellum segue a ruota la nomina di Giuliano Amato a giudice costituzionale. Un elemento di novità sia rispetto a otto anni addietro sia rispetto alle successive scadenze ma Giuliano Amato invece oggi c’è. Sarà un dettaglio ma forse la cosa ha il suo peso. Senz’altro lui è lì a portare in questo organismo tanto delicato quando fondamentale per il buon funzionamento dello Stato un po’ della sua scanzonata voglia di esserci e quella ventata di gioventù e aria nuova che tanto colpì, ai tempi andati anche Bettino Craxi. Comunque bene quel che finisce bene e la fine della legge porcata è già un bel risultato. 

Si spera che questa vicenda serva di lezione anche per gli attuali giudici costituzionali e che magari buttino un occhio un tantinello più attento alla prossima legge elettorale che di deputati e senatori che ambiscano ad imitare Calderoli ce n’è a iosa. Ahinoi.




lunedì 2 dicembre 2013

I cittadini sono meglio dei politici?

L'aspirazione ad imitare il poverello di Assisi è tanta ma non a tutti riesce bene. A 2.500, su 8.000 controlati, la povertà stava stretta e gli hanno scoperto automobili di lusso, ville con piscina e proprietà immobiliari oltre che conti in banca decisamente paffutelli. Forse allora i politici sono lo specchio della società civile.



Oltre 2 miliardi di € il costo delle truffe allo Stato
Uno dei mantra che si è soliti sentire è che i politici, questi politici, che ora siedono in Parlamento, ma non solo loro, non rappresentano la società civile.
 La tesi è accattivante anche perché a nessuno piace essere accostato a quella parte di deputati e senatori o consiglieri del Piemonte o del Lazio o della Lombardia (gestione Formigoni, per quella Maroni tutto bene. Almeno per ora) o dell'Emilia Romagna, giusto per citare i più rappresentativi. Poiché in verità, a voler essere pignoli si dovrebbe dire che su 20 parlamentini regionali 16 hanno propri rappresentanti sotto accusa per disinvolto uso di denaro pubblico. Per dirla con simpatica metafora. Il natale si avvicina etocca essere buoni.

No, ad essere accostati con quelli che hanno il dono dell'ubiquità (riescono a pranzare contemporaneamente in due ristoranti che distano centinaia di chilometri l'uno dall'altro) o frequentano mafiosi o si fanno corrompere per concedere appalti et similia, o quelli che vogliono il rimborso del caffè (pezzenti) o della sauna (pezzenti al cubo) all'italiano medio proprio non piace. Anche perché son cose così vergognose, un po' da ladri di polli e un po' da arrampicatori sociali che cercano di togliersi le croste di dosso, da mettere in imbarazzo chiunque abbia un po' d'amor proprio e qualche briciolo di dignità. Per non dire di senso morale o addirittura dello Stato. Se questo è quel che fanno i politici, solo un parte dei politici ben inteso, quelli che son stati beccati, il resto degli italiani che fa?


Bhè, come non tutti i politici son candidi (eufemismo) così neanche tutti gli italiani lo sono.
Oddio è certo che lo Stato nelle sue varie accezioni (comune, fisco, catasto, università, asl, tanto per ricordarne alcune) una bella mano a chi vuol fare il furbo di sicuro la dà. Non accorgersi, in una piccola cittadina, di una qualche decina di immobili ancorché non accatastati è un po' da citrulli (eufemismo) e se poi a chi possiede quei beni al sole, che proprio perché tali son noti e visibili a tutti, si concedono benefici sociali (assegno di accompagnamento e pensione e rimborso delle tasse universitarie del figlio) significa essere citrulli al cubo (eufemismo). Così come vien difficile pensare che chi abita in una zona esclusiva d'una qualsiasi città possa aver diritto all'esenzione delle tasse universitarie. Basta una semplice verifica sull'indirizzo della famiglia e il trucchetto è presto scoperto. Però per farlo ci vuole un minimo di ben d'intelletto o anche più semplicemente di attenzione e, se si vuole esagerare, la voglia di far bene il proprio lavoro. La domanda è quanti ce l'hanno questa voglia?


In fondo il truffatore fa il suo mestiere che, per l'appunto, è quello di truffare come per i piccioni è quello di lordare le panchine del parco. Mica ce la si può prendere con i piccioni se fanno il loro mestiere e pure con coscienza, no? Mentre con i truffatori sì che ce la si può prendere e se chi deve controllare non è tarlucco (e questo è un bel dubbio amletico) il gioco è presto scoperto. Perché pensare che tutti i controllori siano conniventi fa male al cuore e al fegato ancor prima che alla ragione. Anche se poi si scopre che i dipendenti pubblici denunciati per azioni poco consone al ruolo (eufemismo) son ben 5.000. Ad oggi. Che se per avventura si va avanti con le indagini, e soprattutto se il governo non taglierà i fondi alla Guardia di Finanza come ha già fatto con la polizia i tribunali e le carceri, il numero senza dubbio è destinato ad aumentare.


Dalle recenti indagini della Guardia di Finanza è emerso che su 8.000 controlli effettuati ben 2.500 che si dichiaravano poveri, non lo erano affatto. E' certo che l'aspirazione e la voglia di imitare il poverello di Assisi è tanta ma è altrettanto vero che non a tutti riesce bene e qualche proprietà, per incidente, gli rimane tra le dita. Ciò che colpisce nella statistica presentata dalle fimme gialle non è tanto il numero in assoluto degli evasori o dei truffatori, senz'altro ragguardevole, quanto la percentuale tra controllati e scoperti: oltre il 30%. Al confronto i parlamentari, solo l'11% è indagato, ci fan quasi la figura delle verginelle. Almeno di spirito.
Anche se poi verrebbe la voglia di capire come possono stare in piedi talune fondazioni di politici che spesso hanno sedi prestigiose e quindi costose (ancorché ottenute a prezzi di favore da banche o assicurazioni, che pure questo con l'agire cristallino c'entra poco) e pletorici comitati direttivi composti da famose personalità e magari, per salvare le apparenze, pure di prestigiosi organismi di controllo: che in quei “santuari” vien difficile pensare che ci si entri per far beneficenza e neppure per salvarsi l'anima.
Allora forse val la pena di riconsiderare l'assioma di partenza: la società civile è il brodo di coltura di questi politici, a tutti i livelli, che lì guazzano con agio e disinvoltura. La società civile, dunque, è ben rappresentata negli organi politici. Purtroppo.