Ciò che possiamo licenziare

giovedì 31 ottobre 2013

Maria la bimba rom bionda con due madri che forse alla fine ne avrà tre.

I genitori, rom bulgari, l’hanno affidata (o venduta) a rom greci. Ora gli stati di Grecia e Bulgaria stanno discutendo su chi dei due la debba tenere, Il tutto nell’interesse del minore. Problema non semplice.



Mentre in Italia si sta discutendo se un evasore fiscale condannato in via definitiva può sedere in Senato e deliberare su nuove leggi, magari ad personam, in Grecia una bimba sta per essere tolta alla sua seconda famiglia per essere affidata senz’altro ad un istituto e forse, in seguito, ad una terza mamma.
E questo, come recitano le leggi di tutti i Paesi “nell’interesse del minore.”  Per chi non si è fatto completamente obnubilare dalle bagatelle italiche che vedono novecento e briscola tra deputati e senatori ballare la taranta solo perché uno di loro non vuol decidersi a mollare quello che di diritto non gli appartiene mentre qualche altra decina di milioni ha fatto un buco in più alla cinghia la storia è ragionevolmente nota.

In sintesi si dice che in un campo nomadi nel centro della Grecia abitato da rom di pelle scura, anzi scurissima, è stata trovata una bimba bionda,anzi biondissima, con gli occhi verdi e la carnagione lattea. Alcuni media hanno definito le sue fattezze nordiche, magari svedesi, o dell’est Europa. La seconda risposta è quella giusta: i genitori biologici di Maria (nome di fantasia, che pecca di originalità) sono, come da dna, bulgari. Bulgari ma rom. Rom ma bulgari. Quindi è appurato che esistono oltre che i rom scurissimi anche quelli bianchissimi. E averlo scoperto è un gran sollievo. D’altra parte il fenomeno è transnazionale anche in Italia ci sono italiani scurissimi ed altri bianchissimi e benché la cosa possa stupire lo stesso accade anche in Germania.  Quindi almeno su questo piano tra italiani, germanici e popolo rom non ci sono grandi differenze. Con buona pace di chi si sente superiore e diverso solo perche nato, senza alcun suo merito, dalle parti di Abbiategrasso. Il solito razzista da strapazzo.

Il secondo passaggio della storia racconta che Maria non è stata rapita e neppure venduta (anche se magari qualche dubbio potrebbe venire) ma più semplicemente data in affido o regalata alla famiglia greca. Quella di origine aveva già sei o sette figli e senza un soldo in tasca una bocca in più da sfamare non è poco. E anche questo è un bel passaggio: non tutti i rom rubano i bambini. Ma d’altre parte neppure tutti gli italiani evadono le tasse.
Il terzo passaggio racconta che Maria sta con i suoi secondi genitori, che poi per lei sono i primi e gli unici, da quando aveva sette mesi e oggi ha un’età tra i 5 e i 6 anni. Quindi è da un bel po’ di tempo, forse gli anni più importanti della vita di un individuo, che chiama  mamma Eletheria, papà Christos e fratelli  tutti gli altri bimbi della famiglia. Inoltre sembra appurato che Maria non abbia mai lavorato e neppure sia stata obbligata a chiedere l’elemosina. Per sopramercato Maria parla solo il dialetto rom di casa sua. Insomma una famiglia normale per gli standard rom e un po’ bizzarra ai nostri occhi ma forse anche noi risultiamo un po’ bizzarri ai loro. 

Nel di mezzo c’è una poco piacevole storia di corruzione e di truffa ai danni dello stato greco messa in atto da Elethria e Christos per ottenere illecitamente dei sussidi: fino a 2.500€ al mese. Si dice, ma credere ai giornali non sempre è facile.  Il tutto, pare, grazie a funzionari corrotti che se lo erano per davvero qualche soldo di ritorno l’avranno pure avuto.  Quindi, appurato che truffare non è bello (ma succede anche nel Belpaese e qui più gli importi sono grandi meno ci si scandalizza) è anche da dire, magari con un doppio salto carpiato e triplo avvitamento, che alla fine quei denari sono finiti nelle mani dei destinatari d’elezione: le famiglie rom con ampia prole e con pochi mezzi di sussistenza. Che poi non tutta la prole sia a prova di dna è solo un accidente della storia. Però questo è un punto di discussione che può rimanere aperto.

La storia comunque sta andando avanti mettendo in scena il solito paradosso: ovvero che lavorando nell’interesse del minore lo si penalizzi. Già perché Maria, che non ha mai conosciuto la madre biologica, è stata tolta alla sua vera mamma, Eletheria e messa in un istituto. Da qui uscirà, se e quando che ne uscirà, per due possibili destinazioni: la permanenza in Grecia o il ritorno in Bulgaria.
In entrambi i casi si prevede un dato di fatto ed una serie di corollari. Il dato certo è che se resterà in Grecia non rimarrà con Eletheria e Christos (che magari finiranno in galera per la truffa di cui sopra) così come se andrà in Bulgaria non tornerà con la sua famiglia biologica e in ogni caso non starà  con nessuna altra famiglia rom. 
Il primo dei corollari dice che, senza ombra di dubbio, verrà affidata ad un istituto per orfani o bimbi abbandonati (che, oggettivamente e per quanto confortevole, non sarà un bel vivere) il secondo invece recita che da qui, con il tempo, che potrebbe sostanziarsi anche in anni, sarà possibile sia data in adozione,  con due varianti: nazionale o internazionale. Che poi è come dire essere sradicati per un certo numero di volte. Che anche una sola è più che sufficiente a far male.

Magari a volte converrebbe chiedersi quale sia effettivamente l’interesse del minore e se questo passi attraverso lo star bene materiale o quello emozionale e poi, come carico da undici, se non valga la pena di esaltare le diversità mettendole in condizione di esprimersi piuttosto che emarginarle e reprimerle. O forse son questioni troppo grosse e allora meglio occuparsi di bagatelle come di evasori che non vogliono mollare l’osso, cioè il posto. Che tanto poi alla fine che l’evasore resti o se ne vada, nel quadro complessivo, fa la stessa differenza che corre tra la zuppa e il pan bagnato.



lunedì 28 ottobre 2013

Basta alcolici in Parlamento.

Forse sarebbe il caso di sospendere la somministrazione di alcolici alla buvette di Montecitorio dalle dieci di sera perché molti deputati tornano a casa in auto. Ma anche per evitare abusi. Questa la proposta del deputato Sel Daniele Farina. E se la distribuzione di alcolici fosse sospesa del tutto?



Notiziona: il deputato di Sel Daniele Farina chiede che non si vendano alcolici dopo le dieci di sera nella buvette di Montecitorio (Corsera, 25 ottobre).
Forse non tutti lo sanno ma i due rami del parlamento italiano (Camera e Senato) oltre che del ristorante, del barbiere, della tabaccheria, dell'ufficio postale, della banca e di una serie di altre e peraltro doverose facilitazioni (facilities in inglese per Enrico balls of steel Letta adesso che non c'è più la Fornero) dispongono anche di un bar.

Detto così può sembrare un fatto un po' troppo nazionalpopolare e allora i rappresentanti dell'italico popolo hanno deciso di chiamare quello spazio con un termine un po' più sofisticato avendone scartati altri come “ristoro ” che suonava povero (cheap in inglese) o “spaccio” dal taglio troppo operaista (e poi negli anni si è scoperto che di questa attività qualche deputato si sarebbe avvalso ed è bene non metterne altri in tentazione). Anche “dopolavoro” è stato scartato perché suonava un po' fascio, così hanno deciso per la lingua francese e quindi il termine bar si è trasformato in buvette. La parola è leggiadra come lo sono quasi tutte le parole francesi, ha sapore esotico e non fa pensare a nulla di specifico e di concreto, come è giusto che sia in quel contesto. D'altra parte non fa presumere immediatamente neanche al tempo libero e neppure dà l'idea del luogo dove si vadano a consumare inutili chiacchiere sorseggiando magari vermut e pasticciando con olive, salatini e patatine, così come accadrebbe in un qualsiasi bar. Per l'appunto.

Per onestà storica va detto che questa idea di chiamare il bar buvette fu partorita molti e molti decenni addietro e in questa decisione i berlusconiani non hanno alcuna responsabilità. Precisazione necessaria per evitare che qualcuno tra gli amici dei due Renati, per intenderci Brunetta e Schifani, si monti la testa pensando di far parte dei monopolisti unici e riconosciuti di tutte le fesserie commesse in quelle sacre stanze. Purtroppo non è così anche se la notizia darà un duro colpo al loro narcisismo: sono solo saldi oligopolisti che poi è come dire che se la battono, ahinoi bene, fin troppo bene, anche con quelli degli altri partiti. Poiché non è come entrare in quelle sacre stanze per cominciare a sparare citrullagini. Forse è l'aria che si respira lì dentro. Ma presumibilmente l'aria da sola non basta ci vuole anche un qualche aiutino e magari la buvette in questo è di supporto.

Alla buvette infatti si servono cappuccini e brioches, maritozzi, tramezzini, caffè, alcuni corretti grappa o anice o sambuca, e può essere che qualcuno beva solo le correzioni rinunciando al caffè. Che se a questo punto si somma l'aria con gli alcolici presi in libertà, c'è l'immunità parlamentare, molte delle cose che colà sono accadute hanno il loro perché. E così si comprende perché assennati, si fa per dire, professionisti della politica e delle libere professioni amino definirsi come appartenenti alle più svariate specie animali, dai cavalli di razza ai piccioni e ai serpenti, o presentino leggi senza neppure averle lette o addirittura dichiarino coram populo di aver aiutato il loro avversario ad aumentare il suo fatturato o anche, perché non c'è limite all'assurdo, non capire che togliere ai poveri per dare ai ricchi non è una buona politica per lo sviluppo così come tenere la gente in azienda oltre una certa età non aiuta l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Bagatelle di cui non si capiva l'origine. Ora grazie a Daniele Farina si sono disvelati gli arcani e si sono comprese le origini di tante perle di saggezza che il più scardellato degli zii avrebbe gestito con la praticità del buon senso.

Daniele Farina storico portavoce del centro sociale Leoncavallo di Milano, covo di feroci antagonisti, si è ovviamente un po' ammorbidito poiché anziché chiedere la totale sospensione della somministrazione di alcolici si è limitato a sole poche ore: dalle ventidue in avanti, con ciò facendo implicitamente intendere che la buvette di Montecitorio faccia un orario da pub della movida. 
L'onorevole di Sel peraltro non ha neppure dato le giuste e vere motivazioni che forse sarebbero parse crude e allora ha deciso di virare sul politicamente corretto sostenendo che:«Molti di noi (dopo le ventidue ndr) tornano a casa in auto» lasciando cadere maliziosamente anche un  « per evitare esagerazioni da parte dei deputati.»

Peraltro i deputati potrebbero essere equiparati ai pubblici ufficiali che, notoriamente, non possono bere in servizio. Ma i deputati fanno servizio? Magari si potrebbe pure pensare di chiudere la buvette e sostituirla con quelle simpatiche macchinette che si trovano in quasi tutti gli uffici e magazzini e fabbriche che distribuiscono ampia gamma di prodotti a prezzi modici. Ci sono i boccioni d'acqua e poi i distributori di merendine e di tutte le opzioni di caffè, fino alle bibite. Rigorosamente analcoliche. Così i deputati andrebbero a casa prima, per la gioia (forse) delle mogli e delle famiglie, ne guadagnerebbero in salute e inoltre sarebbero più sobri, per davvero e non solo retoricamente e magari capirebbero pure quello che stanno facendo.





In ogni caso prosit.

A Roma muore un ragazzo è gay e papa Francesco che dice?

In una piazza si parla d'amore per la famiglia e di apertura agli altri. A pochi chilometri , da un palazzone di undici piani un ragazzo si getta nel vuoto perché si sente costretto, probabilmente poco amato e non vede apertura da parte degli altri. Troppo facile e troppo comodo per chi sta in piazza ignorare ciò che quel ragazzo rappresenta.



La solitudine della morte
La notizia è di quelle che lascia senza parole per la sua drammaticità: un ragazzo ha deciso di togliersi la vita gettandosi nel vuoto e facendo un salto di oltre trenta metri.
Segni particolari: ventuno anni, universitario e gay.
Che quest'ultima non dovrebbe essere una caratteristica particolarmente interessante così come non lo è in modo cogente l'essere di alta o bassa statura, avere capelli biondi o neri o rossi e il colore dell'iride azzurro o grigio o castano, o anche essere mancino o destrorso.
Apparentemente non ha subito violenze, dicono le forze di polizia, anche se stanno continuando le indagini e le agenzie di stampa rilanciano.
La festa della folla

Ma tutti paiono dimenticare che la violenza non è solo fisica e neppure solo platealmente psicologica. La peggiore è quella che passa per non essere tale e si muove gelatinosa come la nebbia: avvolge ed impregna il contesto nel quale la vittima vive ancor prima di essere individuato come bersaglio.
L'omofobia ed i suoi irreprensibili sostenitori sanno come essere farisaicamente ficcanti in questo senso. Una violenza morbida fatta di sorrisini, di gesti, di occhiate, di movenze, di allusioni, di ammiccamenti e di battutine intrasentite alle proprie spalle.

Non è facile immaginare quanta sofferenza ci sia in chi diventa oggetto (anche se sconosciuto) di tante attenzioni. Magari pure nella propria casa, magari borghese e magari mediamente colta dove non si è avuto il coraggio e la forza, di dire della propria condizione, perché chiamarla diversità è vergognoso ancor più che ipocrita. Anche lì, nella tua casa, dove neppure sospettano come sei vedi gli ammiccamenti e senti le allusioni e le grasse risate che sono, dopo tutto, le stesse che vedi e senti per strada. Sono i placidi benpensanti, le persone per bene, quelle che, apparentemente, non farebbero male ad una mosca e non i soliti rozzi energumeni o gli sguaiati teppisti che magari neppure sai dove incontrare, quelli che ti feriscono di più.Perché sono come te, appartengono al tuo mondo, al tuo ceto sociale, hanno la tua stessa educazione, con loro condividi gli stessi valori e magari votate pure per lo stesso partito.  Perché sono quelli che ti hanno insegnato a dire buon giorno e buona sera, a non buttare la carta per terra, a cedere il posto in autobus agli anziani, ad amare gli animali, magari un canarino o un cane o un gatto o un cavallo. Questi sì che li puoi amare ma un altro del tuo stesso genere no, quello o quella che sia non si  possono amare.

Questa è la terza morte omosessuale che viene consumata a Roma nel lasso di poco tempo ed è paradigmatica della paradossale contraddittoria situazione che la città fulcro della spiritualità del mondo occidentale sta vivendo in modo così evidente: le parole ed i comportamenti che sembrano dare refrigerio a centocinquantamila in una piazza non servono per altre migliaia d'altri che vivono lì accanto.
Quasi negli stessi momenti in cui il giovane ventunenne omosessuale faceva il suo salto papa Francesco in piazza san Pietro ha ribadito che grazie , permesso e scusa sono il mantra della felicità e poi che :«è l'amore che tiene in piedi la famiglia e che è importante che voi preghiate l'uno per l'altro all'interno della famiglia» e poi ancora «apritevi agli altri» Come è bello l'amore quando è senza confini. 
Quindi bene. Bello. Bellissimo.

Però la vita è un po' più complicata del piano senso comune da comizio domenicale e allora tutto ciò posto vengono spontanee le domande di sempre: che succede se all'interno della famiglia c'è un omosessuale? Che si fa? Una passata di elettroshock come ha sperimentato Lou Reed? Si prega anche per lui? Anche per lui vale il mantra grazie prego scusa? E se i vicini di casa sono una coppia gay fanno parte anche loro degli altri a cui aprirsi?

La retorica buonista fatta di semplici banalità può dare serenità agli ingenui o ai furbi che digiunano a comando contro le armi mentre comprano aerei e navi da guerra e, soprattutto, non risolvono i problemi.

Si dice di Jorge Bergoglio che quando era vescovo a Buenos Aires cucinasse da sé la sua cena, chissà se ha mai riflettuto sul fatto che per fare la frittata è necessario prima rompere le uova.

martedì 22 ottobre 2013

Papa Francesco alla prova concreta del suo dire: un caso di pedofilia nella diocesi romana.

A chiacchiere son buoni tutti a fare i rivoluzionari ma le rivoluzioni, che notoriamente non si fanno in guanti bianche e non sono pranzi di gala, si fan coi fatti e non con le parole. Chissà se e quando papa Francesco vorrà cominciare a fare sul serio e non solo baloccarsi con il marketing degli atteggiamenti e delle dichiarazioni.



Il corriere.it di oggi (1) regala, si fa per dire, la notizia di un caso di pedofilia all'interno della Chiesa.

Già dire che questa sia una notizia è di per sé una esagerazione perché oramai i casi di sì sconcio e terribile comportamento da parte dei tonacati, ai diversi ordini e gradi, sono tali e tanti che a far le mosse di meravigliarsi sarebbe raccontare una bugia. E questo non va fatto, non solo perché il mentire è peccato grave ma anche e forse soprattutto, perché si farebbe la parte dei fresconi.
Questa notizia di tale spregevole atto si porta appresso, come giusto che sia, una serie di corollari che se da un lato la suffragano dall'altro potrebbero essere di sponda per mostare, coram populo e senza tema di smentita dell'effettivo cambiamento d'aria all'interno della più vecchia istituzione del mondo occidentale.

Il fatto, per riassumerlo in soldoni, sta nelle violenze che il prete Ruggero Conti ha perpetrato su sette minorenni quand'era parroco della borgata romana di Selva Candida, denunciato e processato viene condannato a quattordici anni e tre mesi di reclusione e, come si usa e come è giusto e sacrosanto al risarcimento delle vittime. Anche se, sia ben chiaro che con il risarcimento monetario non si mette alcuna pezza al danno morale e psicologico arrecato. Questo giusto per togliere di mezzo ogni giustificazione a quelli che pensano di lavare il sangue (non solo metaforico) con la frusciante carta del denaro. E su questo papa Francesco dovrebbe essere d'accordo.

I corollari dicono che il prete (lo è ancora a quanto sembra, vergogna) Ruggero Conti non può pagare, dice di essere nullatenente e come non credergli. Allora gli avvocati di uno degli oltraggiati decidono di risolvere la questione per via bonaria e giustamente, si rivolgono al Cardinale Agostino Vallini che è vicario del papa e arcivescovo della diocesi di Roma. Il cardinale, guarda un po' come si ripete la storia, sovvertendo il detto che ubi major minor cessat si dichiara non competente e butta la palla nel campo di monsignor Gino Reali vescovo della diocesi romana di Porto santa Rufina dove si sono svolti i fatti. Però c'è un però il vescovo Gino Reali è anch'esso, in qualche modo, parte in causa perché pur informato dai genitori dei ragazzi non fece nulla anzi il magistrato scrive che ha «tenuto un comportamento eccessivamente passivo o indolente nella conduzione della vicenda.» La qual cosa se non ha rilevanza penale senz'altro l'ha sul versante della morale, Come dire che se il cardinale Vallini è non competente a gestire il caso il vescovo Reali lo è ancora di più. E anche su questo papa Francesco non potrà che essere d'accordo.

Poiché il destino sa essere cinico, cattivo e ironico quel tanto che basta,  gli avvocati della diocesi hanno risposto alla richiesta che sì, si può valutare un'ipotesi di risarcimento ma solo sotto forma di opera di carità. E questa è la parte dell'ironia cinica.
Da qui in avanti inizia la misurazione della distanza che c'è tra il dire e il fare che solitamente comporta l'evocazione del mare.

Ora il fatto è di pubblico dominio, e ci mancherebbe, ciò che manca è l'intervento fattivo delle gerarchie per non dire di papa Francesco per fare giustizia di così scandalosa gestione dell'evento. E qui non vale la differenza che si suol tirare in ballo tra la legalità e la giustizia.
Perché non basta commuoversi e mettere in fila l'armamentario della retorica che son buoni tutti anche i più strapelati tra i politici. Anche gridare vergogna non basta innanzi tutto perché perché sono sufficienti buone corde vocali e una spruzzatina pathos come  insegna la storia e poi non comporta alcun costo . Così come incitare alla giornata di digiuno contro la guerra è atto mediatico d'impatto ma che dura poco più dello spazio di uno spuntino. Peraltro ha aderito al digiuno anche il ministro della difesa italiano che in Parlamento si batte per spendere trentacinque miliardi per comprare degli aeroplani da guerra che pare siano pure difettosi. Che se quei miliardi fossero diversamente destinati magari aiuterebbero la ripresa e lo sviluppo.

Anche portare la solidarietà in giro per le isole del Mediterraneo non è poi questo grande gesto rivoluzionario come a non voler vicino i politici del momento. Che senza questi tra i piedi ci si guadagna soltanto, in salute e popolarità.
Non basta portare solidarietà che ormai è merce corrente e pure a nullo costo quando gira per comizi e le prediche sono comizi addizionati con il fumo d'incenso. E poi, come dire, una sigaretta e una carrettata di solidarietà non la si nega a nessuno.
Adesso sarebbe carino se la curia italiana che tanto ha a cuore la stabilità del Paese si occupasse un pochino dei casi suoi e mettesse ordine nelle sue sacrestie facendo magari volare qualche testa che comunque da quelle parti ce n'è in abbondanza. E in ogni caso neanche questa sarebbe una così grande novità visto che di stracci fuori dal tempio ne volarono parecchi e si usò pure la frusta. al tempo di Barabba.

Sarebbe anche un bel colpo, detto contro l'interesse di chj è laico e anticlericale, per marcare concretamente delle differenze e lo sarebbe anche sotto il profilo della comunicazione se finalmente si passasse ai fatti dopo tanti proclami che così magari si darebbe un senso al laico detto: verba volant scripta manent exempla trahunt .
Eh sì, perché quelli che mancano sono gli esempi. Di citazioni a chili ma di esempi vien difficile metterne insieme anche qualche grammo.
Per questo i laici anticlericali scommettono sul sicuro


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(1) http://www.corriere.it/inchieste/reportime/societa/pedofilia-chiesa-risarcimento-sottobanco-curia/1bf94068-3a7d-11e3-970f-65b4fa45538a.shtml


sabato 19 ottobre 2013

Michele Santoro, Michelle Bonev e le altre. Per favore adesso basta.

L'ultima puntata di Servizio Pubblico, forse, chi lo sa, per ragioni di audience, ha voluto rimestare episodi noti e stranoti sul malaffare berlusconiano fino ad arrivare alla questione della natura lesbo di Francesca Pascale. Come se i gusti sessuali di una donna fossero elemento discriminante.



Nell'ultima puntata di Servizio Pubblico si sono esibiti come attori principali il Santoro e la Bonev.
Michelle Bonev ha detto che alla fine non ne vale la pena
 La circostanza che lui di nome faccia Michele e lei Michelle (Michele più elle direbbe Grillo Beppe) è solo un accidente della storia e nulla ha portato di vantaggio alla performance.

La trasmissione è stata monotona, noiosa e vecchia quasi quanto un monologo della Littizzetto a Che tempo che fa. Il fatto poi che entrambi le trasmissioni ottengano successo di pubblico, magari pure grande (chissà poi se questo aggettivo è appropriato alla situazione) non è altro che la riprova di quanto Berlusconi si attagli a questo paese, e ne sia la giusta emanazione. Che prenderne coscienza e non volersi sempre assolvere di tanto in tanto farebbe pure bene. Alla salute e magari anche all'economia.
Il tutto si può riassumere in sei battute: dalla più importante alla più infelice, che avessero detto solo queste ci si sarebbe risparmiati tutti un sacco di tempo.

Quella più importante durante le quasi tre ore di trasmissione, l'ha pronunciata Massimo Cacciari che di professione fa sia il filosofo, ormai a tempo perso ed è un peccato, sia l'ospite televisivo dedicandovisi troppo e anche questo è un peccato. Grosso modo e andando a memoria il dire del filosofo veneziano recitava così: «basta! Oramai lo sappiamo non possiamo più continuare a parlare di quanto ha fatto Berlusconi nella sua camera da letto. Non è così che lo si batte.» Frase interessante e sacrosanta ma giusto per questo lasciata rapidamente cadere. Che il lavoro dei filosofi sia ingrato è cosa nota.
È stata una trasmissione inutile sotto tutti i punti di vista poiché nulla ha portato e nulla ha tolto a quanto gli italici, sia pro sia contro, già non sapessero.
Entrambi gli schieramenti sanno oggi e sapevano ieri, pur non avendo prove, i fatti e gli accadimenti avvenuti al di là dai cancelli della villa brianzola o del palazzo romano.
Peraltro in qualche modo ammetteva il “sapere senza prova” uno degli avvocati-deputati quando definì il capo del Pdl come «l'utilizzatore finale.» Espressione che dava il senso pur superando il limite della volgarità. Perché si sa che ogni volgarità ha il suo limite. O così dovrebbe essere se non ci fossero stati gli ultimi quarant'anni fatti di grossolanità e oscenità maturate nelle strade, negli uffici e nelle famiglie per poi essere riproiettate dalle televisioni e dal cinema. Ma se non non si vuol capire questo c'è poco da girarci attorno.

Quella più volgare l'ha detta Maurizio Belpietro, comparsa d'ordinanza a Servizio pubblico quando, forse per imitare Maurizio Ferrara, ha voluto parlare di «pentiti delle mutande, - aggiungendo - stiamo scivolando nel livello più basso … di chi le rivolta le mutande.» Sic transeat gloria mundi
Quella più mercantile è di Marco Travaglio quando s'è chiesto retoricamente quale sarebbe, in tutto questo, il guadagno della Bonev. Ma non s'è dato risposta. Infatti viene il dubbio che madame Bonev non potendo più abbeverarsi ad un pozzo forse cercherà di riciclarsi altrove. Il tempo lo dirà.

Quella più vera l'ha proferita Michelle Bonev, a riprova che la realtà supera la fantasia, quando ha detto che «alla fine non ne vale la pena e ci si sente sporchi» Magari non sarà stata sincera ma sull'assunto vien difficile darle torto. In teoria per tutti e in pratica per chi conserva qualche briciolo di coscienza.
Quella più falsa e anche più comica è sempre di Michelle Bonev quando s'è erta a paladina dell'onore nazionale: «lo faccio per gli italiani.» Credere nei samaritani è difficile, l'unico di cui si abbia conoscenza (sapendolo ma senza averne prove, guarda il caso) risale a oltre duemila anni fa e non pochi pensano che fosse pure lui farlocco. Ritrovarsi una samaritana bulgara che fa pure la morale sposta i limiti della comicità un po' più in là.

Quella più inutile è sempre della Bonev che ne fa un tormentone dichiarando coram populo che Francesca Pascale sia lesbica. Forse che si forse che no. Qui non solo non ci sono prove ma neppure, fino a giovedì 17 ottobre, si sapeva o si parlava. Comunque un fatto è certo che la Pascale sia lesbica e no è un fatto suo e, eventualmente, delle sue amiche. Dopo di che del caso non dovrebbe occuparsi alcuno ad eccezione della stessa Francesca Pascale. Questo perché, come diceva un vecchio milanese: «non tutti i gusti sono alla menta.»

Il sobrio Mario Monti se ne va. Barcollando.

Il grande girone della politica è animato da accelerazione centripeta e anche il sobrio Mario Monti c’è cascato dentro. Un conto è fare il professore o l’algido commissario e altro è correre rischi in proprio e senza rete. Fosse stato uno studente all’esame di marketing politico l’avrebbero bocciato. Probabilmente con salto d’appello.



Una tra le tante cose tristi che ci sono al mondo è vedere chi è stato di qualcosa fondatore affondare lontano dalla sua creatura. 
E questo è lo spettacolo che Mario Monti sta regalando con la sua (pen)ultima azione politica. Anche se con ogni probabilità non sarà né l’ultima e forse neanche la penultima. Il grande girone della politica, si sa, è animato da una potente accelerazione centripeta che, come ha ben spiegato Isacco Newton (guarda un po’ chi tocca scomodare per simili bagatelle), fa sì che i corpi tendano verso il centro. Di questo genere è anche la forza di gravità per cui tutti i corpi tendono verso il centro e la città di Roma, segnatamente Palazzo Madama, sede del Senato, e Palazzo Montecitorio, sede della camera dei deputati, debbono essere stati dotati di una sovradimensionata forza di gravità.  Attirano. Attirano i sedicenti politici tanto e forse più di quanto le carte moschicide (per essere urbani) attirino le mosche.

Il sobrio Mario Monti non è sfuggito alla regola nonostante abbia raccontato a tutti e fino allo sfinimento che la sua mamma non voleva che lui si occupasse di politica. E che anche sua moglie paventava che «lo si chiamasse a Roma.» Con ogni probabilità la signora Elsa aveva ben capito il tipo di contesto e con certezza anche com’è fatto Marione suo. Ché un conto è fare il professore o l’algido commissario europeo slalomeggiando tra destra e sinistra, in entrambi i casi il rischio è nullo e soprattutto si è ben spalleggiati dalle istituzioni (che sono ambedue un po’ totali) e un conto è giocare in proprio e senza rete.  Che per quest’ultima esperienza ci vuole un bel po’ di fegato, coratelle e bargigli oltre che di creatività e lungimiranza. E certo, a ben vedere, nessuna di queste è proprio dote da professore.

Ma, a compenso, c’è l’aspirazione un po’ piccolo borghese di essere in cattedra e ben sotto agli occhi di tutti.  E se Dante, per un tragico personaggio, scrisse che più che l’amor poté il digiuno per chi di tragico ha solo il desiderio dell’apparire si può ben dire che  più che la ragion poté l’ambizione.  Che come noto obnubila anche le menti eccelse ammesso e non concesso che sostantivo e aggettivo possano viaggiare a braccetto. Già all’inizio ci fu la stucchevole manfrina del “vengo non vengo” e quell’opaco passaggio della nomina a senatore a vita che non pochi giudicarono più come un prezzo, un po’ salato, da pagare che come omaggio a chissà quali meriti.  E ancora la noiosa ripetizione nel chiedere «come posso essere utile al Paese» che faceva venir voglia di rispondere col motto dei carabinieri «aduso obbedir tacendo». Anche se di tacere il professore non aveva punto voglia. E poi quel parlare indiretto fatto di «prenderò in considerazione l’idea di appoggiare chi mi vuole leader» fino a quando parlando di amnistia per Berlusconi  se ne è uscìto con un farisaico «sono non favorevole» che a dire «sono contrario gli sarebbe venuta l’orticaria. Giochetti sempre fuori luogo. Senza dimenticare del continuo sbandierare la propria diversità che se a parole, forse, ci stava nei fatti si è dimostrata scarsina. 

Poi quel gergo da stregone della finanza fatto di “ i mercati, la crescita, lo spread (nomignolo affibbiato pure all’innocente nipote), la produttività, la spendig review” risultava irridente per chi i sacrifici doveva farli per davvero. La parola meno usata è stata “equità” che probabilmente nella storia poche volte è stata così tristemente manipolata e soprattutto svillaneggiata. Fino ai passaggi elettorali che hanno dimostrato come non fosse il mestier suo: non aver saputo leggere i sondaggi che lo davano ben lontano dalla vittoria e aver dimostrato una disarmante incapacità nella impostazione strategica del marketing politico. Abbracciare cani e fare il tour delle tv non è far politica. Fosse stato all’università l'assistente di turno agli esami l'avrebbe cacciato e magari gli avrebbe pure imposto il salto d’appello. Penoso.

E poi la voglia frustrata di essere presidente del Senato e quindi l’ondivago rapporto con la sua creatura fatto più di “vado-torno-resto” che non di impegno reale. Adesso è nel gruppo misto e siede con i recenti ex di mezzo mondo che nessuno se li fila neppure di striscio salvo durante le epidemia di raffreddore (o salmonella) per puntellare il governo di turno. Tristezza. E anche poca sobrietà anzi l’opposto. 
Peraltro se il barcollare fosse dato da qualche goccio di troppo sarebbe meglio che averlo generato dall’ira sorda dell’ambizioso frustrato e bilioso.

Un consiglio al professore: ha appena avuto un incarico in Bocconi, probabilmente qualche azienda ancora lo chiamerà per avere suoi vaticini e comunque gli resta sempre quel seggio piovuto dal cielo che non è neanche tenuto a scaldare con regolarità quindi si quieti ed affronti con calma la sua era di pensione. Pensi ai molti che con il suo determinante contributo la pensione la vedono allontanarsi giorno dopo giorno.

martedì 15 ottobre 2013

Amnistia anche per Berlusconi. Finalmente.

I berlusconiani a prescindere dalla razza di appartenenza, falchi o colombe o lealisti o magari anche diversamente  berlusconiani hanno passato le ultime settimane soffrendo atrocemente neanche fossero galline sul punto di fare l’uovo. Poi l’uovo l’hanno fatto e i loro mal di pancia, per così dire, si sono trasferiti al resto delll’italico popolo.


Quagliariello finalmente rilassato dopo aver deposto l'uovo
Ogni questione in Italia, si prenda ad esempio quella delle carceri, giusto per farne uno visto che al momento non ne vengono in mente altri, ha due facce: quella seria e quella ridanciana. 
Nel caso in questione quella seria parla di uomini e di donne in carne ed ossa e di amnistia e di indulto e poi di delitti che devono essere contemplati e di pene che non vanno rimesse. Che su quest’ultimo tema, pene e delitti, si dibatte dal 1764 quando cominciò a ragionarci un ventottenne che di nome faceva Cesare Beccaria. E da allora si discute e si discute e poco o niente si quaglia ma questo fa parte di quegli orpelli che ci si ritrova come optional obbligatori solo per essere nati nel Belpaese. Poi, com’è normale in un Paese che normale non lo è mai stato  c’è la parte ridanciana che per trovarla non bisogna andar troppo indietro nel tempo: basta fermarsi alle ultime due settimane. Quando quelli del Pdl sulla questione decisero di metterci becco che è la dizione esatta essendosi tutti autonominati pennuti ad honorem. 

E infatti tutti quelli del Pdl, indipendentemente dalla razza di appartenenza, sia che fossero falchi o colombe o lealisti o governativi o ministeriali o magari anche diversamente berlusconiani o veramente berlusconiani o decisamente berlusconiani o fintamente berlusconiani o empaticamente berlusconiani (no, questi no perché si trovano nel Pd) hanno passato le ultime settimane soffrendo atrocemente neanche fossero galline (per mantenersi nel mondo dei pennuti) sul punto di fare l’uovo.  E infatti si vedeva chiaramente che trattenevano e stringevano e strabuzzavano gli occhi per non farselo scappare, l’uovo. E quando parlavano tutti atteggiavano infatti la boccuccia come fosse, metaforicamente parlando, le cavità nella quale l’uovo si culla.
E l’ovetto era sempre lì lì per uscire. Ma mai pronto, poiché c’è momento e momento per presentarsi al mondo ed esservi accolto con favore e non a colpi di uova marce. Per l’appunto.  Non perché  stia male dove sta, l’uovo, quello vero. Coccolato, ben nutrito e soprattutto al calduccio in mezzo a tutti quegli umori e, in più, senza tema di rotture, quelle arriveranno con le frittate, né di sbattimenti, quelli arriveranno con le crepes suzette

È alla gallina (anche a quella metaforica) che questa situazione di mezzo dentro e mezzo fuori proprio non va a genio. Non solo per una ideologica questione di chiarezza, che peraltro per parallelo proprio con la chiara dell’uovo si fanno delle meringhe favolose, ma anche di sforzo fisico, di contrazioni e di spasmi che proprio non è facile da reggere.  L’ essere sul punto di … ma non quagliare mai è una sofferenza senza fine.
Poi finalmente si sono decisi. Finalmente l’hanno detto: l’amnistia deve valere anche per Berlusconi. 

«Per bacco - avranno detto i più – chi avrebbe mai pensato di tenerlo fuori da quest’atto di onesta clemenza?» Oltre tutto lui, proprio lui che gli atti di clemenza se li cuciva addosso allungando ed accorciando e prescrivendo ed introducendo che nelle sue mani il diritto assomigliava di più ad una omelette che non a un fatto serio. 
E quindi ecco la frittata, con uovo debitamente rotto ça va sans dire, che suona così: «amnistia anche per Berlusconi. Poiché non s’è mai visto che una legge sia fatta contra personam.» E soprattutto contro quell’uno che non solo non è abituato a questo tipo di trattamento ma che è anche un grande statista. 
A pronunciare la esilarante battuta può essere solo il più diversamente berlusconiano che ci sia, tanto da essere stato considerato, a sua insaputa e con sua somma sorpresa, addirittura un saggio: Gaetano Quagliariello. Che peraltro, nomen omen, ha il cognome uccellifero che più si adatta alla voga del momento. E quindi è stato detto ciò che i più sospettosi subodoravano da tempo e i più ingenui davano per impossibile.
Adesso la questione è sul tappeto in modo chiaro ed in equivoco quindi che fare?

Finora i Von Clausewitz della politichella italiana si erano nascosti dietro la sofferenza di 60.000 che per una buona parte son poveri cristi, essendo la larga maggioranza dei delinquenti veri a piede libero. Per mancanza di spazio nelle celle. Poi hanno sperato nei 101, che se fossero cani sarebbe un tripudio di felicità ma invece son quelli che hanno impallinato il prode Prodi. Ma adesso che l’uovo è uscito e ne è stata conclamata la dischiusa bisognerà trovare il modo per gestire la questione anche perché il pulcino di cui si dice di star chiuso in casa non ne ha punto voglia e di tornare a fare il gallo ha un grande ardore.

sabato 12 ottobre 2013

Berlusconi Silvio chiede l'affidamento ai servizi sociali.

Decisione inaspettata da un politico tutto d'un pezzo che ha fatto della coerenza la sua seconda natura. Preoccupazione di Dudù che vorrebbe un po' di privacy e anche stare in pace per conto suo.


Grande sorpresa negli ambienti politici, giornalistici, industriali, commerciali e financo militari del Belpaese e dell’intera Europa e dell’intero globo terraqueo, è arrivata, inaspettata, la richiesta di affidamento ai servizi sociali per il condannato Berlusconi Silvio.

Nessuno mai avrebbe sospettato o immaginato una simile scelta da parte  di Berlusconi Silvio. Berlusconi Silvio, l’uomo che aveva fatto, fino ad ora, della coerenza  la sua seconda natura. L’uomo che mai, in oltre settantasette anni di onorata vita si è contraddetto una sola volta.  A quest’uomo pensava un hippy palestinese, figlio di un falegname e di una vergine,  all’incirca due mila anni fa, quando pronunciò il suo famoso discorso della montagna allorché disse: « sia il vostro parlare sì, sì o no, no perché il di più viene dal maligno» Bene, quest’uomo dal passato cristallino che dichiara di avere rapporti di parentela, pare anche abbastanza stretti, con l’abitante  del cielo che si raffigura con l’occhio dentro il triangolo, ha ceduto. Forse non per colpa sua ma ha ceduto.

Per una volta, per la prima volta in vita sua ha cambiato idea. Chi l’avrebbe mai detto. Aveva affermato e poi giurato e spergiurato che sarebbe andato in galera a testa alta perché innocente e che mai e poi mai avrebbe richiesto l’applicazione delle misure alternative. E invece: anche i migliori scivolano sulle bucce di banana. Specialmente quando gliele occultano sotto i giornali. Certo, diranno i maligni comunisti che si nascondono dietro gli armadi e l’imparziale figura di Napolitano, qualche altra volta aveva già cambiato idea. Ma non è vero. Solo dei poveri comunisti senza cervello  potevano non capire le fini strategie politiche che stavano dietro quelle parole ed atteggiamenti considerati contraddittori.  ma lo erano solo in apparenza.

Quando disse che mai e poi mai si sarebbe seduto ad un tavolo (politico) con Bossi lo fu solo per spronare questi a lavorare più duramente e ad alzarsi presto la mattina. Poi infatti lo ricompensò con le note cene del lunedì ad Arcore che hanno provato il senatur oltre ogni limite. Quindi dopo aver passato anni con Fini Gianfranco e Casini Pierferdinando li ha definiti «persone orride anzi orridissime» ma era un gioco goliardico tra di loro che gli esterni, specie se comunisti, non potevano capire. E anche quando prima appoggiò Monti, dicendo che faceva un passo indietro per il bene del Paese, e poi lo sfiduciò, sempre per il bene del Paese lo fece perché il professore bocconiano, magari un po’ neghittoso, non voleva più stare in politica e gli chiese espressamente di dargli una mano per uscirne. E Silvio il generoso lo accontentò e piazzò sul Paese una bella crisi di governo e le conseguente elezioni. Quindi quale contraddizione, quale passo indietro? E’ stato solo un dare una mano ad un amico. Che infatti gliene è tuttora grato.

E poiché è un burlone, dopo qualche giorno propose lo stesso Monti come candidato dei moderati ma sapendo che il bocconiano non ne aveva voglia si sacrificava nuovamente  e prometteva che l’avrebbe fatto lui, il premier. Poi gli è andata male: è arrivato solo terzo e ha dovuto mollare il colpo. Ed è inutile tirare fuori la storia di Balotelli «una persona che io non accetterai mai che facesse parte dello spogliatoio del Milan» Solo degli interisti o degli juventini, che sono uguali ai comunisti, potevano non capire che era tattica. Tattica per avere il campione pagandolo due cocomeri e un peperone e infatti aver sborsato solo 20 milioni è stato come rubare le caramelle ad un bambino.

Questa è stata la logica che sta dietro la fiducia al governo Letta. Fare uno scherzo, mica contraddirsi. Questo fino ad oggi. D’altra parte chi è senza contraddizione scagli la prima pietra. E adesso gli avvocati stanno anche lavorando affinché l’affidamento venga espletato in casa e non presso quelle onlus arriviste  che lo vorrebbero tra i loro volontari.  Solo per farsi belle con le penne del pavone.

E qui si apre il problema di Dudù. Il cagnolino definito  «adesso l’unica gioia della mia vita» che ha  libertà di movimento (e non solo) nelle varie magioni sembra sia un po’ preoccupato. Sì perché fino ad ora Silvio se lo spupazzava ma solo nei momenti lasciati liberi dalla politica ma se gliela tolgono, la politica, e gli fanno fare «la stesura di un programma economico per le fasce più deboli della popolazione» se ne starebbe sempre in casa. E vuoi mettere stare 24 ore su 24 con Berlusconi Silvio. Neanche Alfano ce l’ha fatta e Fitto fa lo sborone lealista solo perché non sa cosa vuol dire stare giorno e notte con Silvio. Specialmente la notte.

Ma probabilmente anche questo della richiesta dei servizi sociali è solo uno scherzo e si ravvederà ed andrà in carcere per allietare le giornate dei carcerati con barzellette, ne sa un sacco, e canzoni francesi e napoletane. Sempre che non si avesse ragione quando si scrisse che Berlusconi come Sallusti ha paura della galera (1). Che fare i rodomonti da parlamentari (e da giornalisti) è un conto mentre affrontare la vita è tutt’altra storia. E stare in otto in dieci metri quadri e dormire al terzo piano di un letto a castello non è quello che si definisce una vacanza. Che poi essendo il Silvietto cortarello va a finire che lo mandano a dormire in piccionaia e lì il burlesque se lo sogna.


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lunedì 7 ottobre 2013

Letta ed Epifani: l'’irresistibile voglia di perdere del Pd.

Epifani e Letta: come dare una mano a Berlusconi. Invece di fare quelli che godono quando gli avversari litigano pensano bene di metterci pure il dito. Che non si fa mai tra moglie e marito. Evidentemente hanno dimenticato gli insegnamenti delle loro nonne. O non li hanno mai capiti. Ipotesi più facile. Poi ci si mette anche il diavolo che fa le pentole e talvolta anche i cuperli. 


 I proverbi, si sa, sono da sempre la saggezza dei popoli e un partito che si definisce democratico e con velleità di essere pure popolare della saggezza dei proverbi dovrebbe fare tesoro. Magari per trarne ispirazione per vincere qualche elezione politica qua e là e per sconfiggere, come si usa dire, politicamente il terribile Silvietto Berlusconi.
Che poi sarebbe quel rodomente invincibile che nell’ultima settimana se l’è passata proprio brutta e che se non fosse per la sua spregiudicata abilità di piazzista che gli consente di cambiar faccia come la gente normale si cambia i pedalini non oserebbe più uscire di casa.

Nel contesto dell’ultima settimana, per intenderci quella nella quale Angelino Alfano e i suoi prodi hanno racimolato il coraggio per ribellarsi al padre padrone del Pdl, due sono i proverbi a cui avrebbero dovuto indirizzarsi e prendere ispirazioni i dirigenti del Pd. Il primo tra quelli individuati e suggeriti, che magari ce ne sono anche di meglio, suona così: «tra i due litiganti il terzo gode». Il proverbio che di suo è vecchissimo e dice, per renderlo esplicito a quelle raffinate teste d’uovo del Pd che magari con simili antiche arguzie non hanno dimestichezza che a trarre vantaggi quando due persone litigano assai spesso è un estraneo. E questa era proprio la situazione perché rispetto ai litiganti, intendendosi con ciò identificare le due, che poi sotto traccia sono di più, fazioni che si sono combattute così ferocemente nel partito berlusconiano, il Pd è proprio estraneo. Pure se evidenti tracce di berlusconismo albergano anche all’interno di questo che più che un partito assomiglia ad accrocchio di ex partiti, Pci e Dc in primis poi seguiti da rimasugli di altri, dove la gente, per non chiamarle correnti, stanno insieme solo perché sanno che singoli varrebbero assai meno di un bel niente. Ma questa è un'altra storia.

Il secondo proverbio recita: «tra moglie e marito non mettere il dito» che in soldoni sta a significare che non è bello e nemmeno facile entrare nelle dinamiche tra due persone (schieramenti in questo caso il che rende la cosa ancor più problematica) che si vogliono bene, o tale si son voluti. Anzi è auspicabile non entrarci proprio e lasciare che le cose se le sistemino tra loro. Quindi zitti e mosca. Meglio ancora girare la testa dall’altra parte e fare, almeno, finta di non sentire e di non ascoltare.

Quindi, in sintesi, che c’è di preferibile che guardare sornioni e soprattutto senza proferir parola mentre nella parte avversa se le danno di santa ragione e sono proprio lì lì per arrivare ad una rottura clamorosa che nell’immediato sarebbe devastante e sul futuro metterebbe, per loro, delle belle ipoteche al peggio? E invece no. Ecco che con più che intempestiva alzata d’ingegno nella giornata di domenica sia il Presidente del Consiglio sia il segretario, pro tempore, del Pd, nell’ordine sono Richetto Letta e Guglielmo Epifani, per chi non se ne fosse accorto, hanno deciso di mettere lingua. Che invece avrebbero fatto bene a mordersela. E magari anche tanto. E quindi quasi l’avessero preparata, nel giro di brevissimo se ne escono dicendo che «sì sarebbe proprio giusto e bello se quelli del Pdl si dividessero e formassero diversi gruppi parlamentari per dare ancor più ,marcatamente sostegno al governo». Quel governo che il capo del Pdl voleva far cadere per sperare se non di salvarsi le terga almeno di dilazionarne l’abbrustolimento.

Già perché gli interventi che nelle intenzioni dei due, ma dove li vanno a prendere i leaders quelli del Pd?, dovevano essere un endorsement, cioè un sostegno, si è trasformato in un boomerang. Infatti in quattro e quattro otto ecco ricompattarsi, anche se poi è solo cosa formale questo è chiaro, il fronte avverso. Con tutti, da Gaetano Quagliariello a Fabrizio Ciccchitto, a dire che le cose interne al Pdl se le gestiscono quelli del Pdl e che non c’è nessuna necessità di rompere alcunché. E che quindi quelli del Pd pensassero ai casi loro, che ne hanno a sufficienza, e non si intromettessero che il centrodestra sa da sé come si fa il centrodestra. E che pure la smettessero perché quello operato da Alfano and company non è stato un tradimento e non voleva esserlo ma un atto svolto per il bene del Paese. Eccoli quelli del Pd serviti di barba e capelli. Che in verità non hanno ne gli uni ne gli altri.

Ma poiché il diavolo fa le pentole e qualche volta anche i cuperli ecco Gianni Cuperlo, che forse a causa dell'essere dalemiano ha strette relazioni con le scempiaggini, uscirsene di lunedì mattina, quindi a reazioni Pdl già esposte ed acclarate, a ripetere la stessa tiritera. Che se si fosse stati all'asilo Mariuccia anche i più tardi tra i pulcini avrebbero capito che sarebbe stato meglio lasciar cadere l’argomento ed occuparsi d’altro. Magari dello scambio delle figurine dei parlamentari non inquisiti. A questo punto è stato necessario l’intervento di Franceschini Dario, neanche fosse Talleyrand, per metterci una pezza. A che punto si è ridotti.
Matteo Renzi sul tema è stato zitto con ciò dimostrando che talvolta i boy scout sanno quando sfregare i bastoncini per fare il fuoco e quando invece no.

venerdì 4 ottobre 2013

I morti sono 300 le parole 3000

D’accordo sulla commozione e sulla vergogna e sull’orrore, dopo di che cosa si fa? Se si prendessero i giornali degli ultimi vent’anni si scoprirebbe  che son tutti sentimenti e discorsi e articoli fotocopia. Si cede sempre alla logica che «domani è un altro giorno e la vita deve andare avanti.»


Grande ennesima tragedia sulle spiagge di Lampedusa. 
Questa volta il numero dei morti ha superato di gran lunga quello dei sopravvissuti, di quelli cioè che l’hanno scampata al deserto, alla fame, alla sete, al caldo, al freddo, agli stupri, alle sevizie, alle torture, ai ladrocini e a qualsiasi altra cosa possa venire in mente ad un caldo e ben pasciuto benpensante..I morti sono trecento e le parole tremila o magari anche trecentomila o tre milioni. Il numero delle parole supera sempre per quantità ed intensità qualsiasi evento disastroso.  Non è la prima volta che una simile sciagura  accade in quell’isola così bella e così martoriata per essere il punto d’Europa più vicino all’Africa. Però questa è la prima volta che su quelle spiagge muoiono in così tanti e in un solo tentativo di sbarco. 

Diceva Karl Wolff che «se se ne ammazzano  dieci o venti si fa una strage se invece il numero sale, soprattutto se s’impenna a dismisura, si compila più semplicemente una statistica». E lui se ne intendeva essendo un generale delle Waffen SS. Probabilmente per  qualcuno non è così: che siano solo trecento o anche solo tredici o anche solo tre i morti affogati che vogliono scappare dalla fame e dalla miseria, per non dire dalla guerra perché la retorica piace punto per non dire nulla, fa ancora un certo effetto. Per fortuna.

Ma anche qui c’è però da intendersi sul tipo di effetto e sulla conseguenza che quello sortisce. Eh già perché su questioni del genere non si può andare un tanto al chilo, bisogna essere precisi. E ancor più che precisi, selettivi, sofisticati anzi sofisticatissimi nell’intendersi sul tipo di effetto che questi eventi hanno. E soprattutto su chi hanno effetto. Anche se molto spesso il combinato disposto tra il ‘tipo d’effetto’ e il ‘chi’ mette quasi ancor più tristezza che non le stesse morti.

Infatti c’è chi si commuove, come ai funerali. E quindi? C’è chi piange. E quindi? C’è chi si indigna. E quindi? C’è chi butta corone di fiori in mare. E quindi? C’è chi fa discorsi. E quindi? C’è chi maledice. E quindi? C’è chi grida «vergogna!» E quindi? C’è chi alla «vergogna aggiunge orrore», quasi si fosse alla gara di chi le spara più grosse. E, comunque, e quindi? C’è chi porta solidarietà, che tanto non costa nulla. E quindi? C’è chi abbraccia. E quindi? C’è chi propone premi Nobel. E quindi? C’è chi chiama in soccorso gli altri. E quindi? C’è chi vuol cambiare o abolire le leggi. E quindi? C’è chi sostiene che il problema è ben altro. E quindi? E poi senz’altro ci sarà chi applaudirà ai funerali. E per questi non val la pena di sprecare un «e quindi?»

Sì perché sulla retorica molti son campioni ma di solito è sul «e quindi?» che cascano, e non sono solo gli asini.  E sul «e quindi?» Se con pazienza si andassero a riprendere i giornali degli ultimi vent’anni si noterebbe con sconsolata tristezza che gli articoli, i discorsi e financo i sentimenti e le lacrime sono in formato fotocopia. Un tempo andavano per la maggiore le sciagure dell’Adriatico: c’era la questione albanese poi ha preso il sopravvento quella africana. Gli albanesi possono arrivare in Europa anche via terra. Per gli africani è un po’ più difficile.

E quindi dopo l’indignazione, la vergogna, l’orrore, la solidarietà e tutto il resto che compone il merchandising del buonismo che si fa? Le risposte «siamo impotenti» o «tocca ad altri» o «non abbiamo le risorse » non sono ammesse. Paccottiglia d’accatto che lascia il tempo che trova. Perché questo è il momento del fare. Ma fare veramente. Salvo frignare ora, per poi consolarsi con il fatto che «domani è un altro giorno e la vita deve andare avanti». Che poi è come dire che si è tutti veramente molto dispiaciuti ma in realtà non gliene frega niente a nessuno. Che se così è almeno lo si dicesse chiaramente e non ci si nascondesse vigliaccamente dietro le parole «vergogna ed orrore». Che tanto qui, questa sera si cenerà uguale, come i pesci davanti a Lampedusa.

Sulla questione hanno parlato anche i leghisti, ma di loro non val la pena di tener conto.

mercoledì 2 ottobre 2013

Berlusconi vota la fiducia: il ruggito del piazzista.

I senatori Pdl si riuniscono prima della seduta in aula e votano per far cadere il governo Letta. Bondi Sandro, il mite, grida «fallirete» come fra Dolcino gridava «penitenziagite». E anche Schifani dice no. Poi arriva il gran piazzista e gli fa fare la solita figura di palta.

E così, senza parere e senza neppure un accenno di rossore Silvio Berlusconi ha detto sì.  Neanche fosse l’uomo del Monte davanti a una banana. 
Ebbene sì, Berlusconi Silvio dopo aver ammorbato l’estate degli italiani con il tormentone  «sarà crisi» alternata dal suo contrario «non sarà crisi» ha deciso, lì sui due piedi, e molto probabilmente senza neanche aver informato i suoi di votare la fiducia a Enrico Letta e al suo governo. L’ha fatto parlando (forse per l’ultima volta) dal suo posto di senatore, con le mani giunte all’altezza dell’inguine. Che se, come dicono quelli che hanno studiato, anche il corpo ha il suo linguaggio e manda messaggi, c’è poco da stare allegri. Comunque si vedrà. Anche perché dice l’adagio: «sarà seren e se non sarà seren si rasserenerà.» Che poi è come dire, per chi gioca la schedina, che il risultato potrà essere 1X2.  Bella forza.

Comunque Berlusconi Silvio da presidente, re, monarca, imperatore, unico gestore (apparentemente) e chissà che altro ha disposto di mantenere il suo gregge nell’area governativa. E questo dopo aver deciso, poche ore prima, in sede di gruppo parlamentare di non votare la fiducia. E dopo aver liberato e dato il via al mite Sandro Bondi che si è trasformato da delicato amanuense in pericoloso estremista. Lo si è visto scatenato e anche un po’ eccitato e lo si è sentito gridare con voce stentorea: «fallirete, fallirete.». Oddio non è che Bondi gridasse proprio e la sua voce non era certo stentorea ma si sforzava, gli va dato atto, e comunque ognuno fa con quel che ha. Pareva, il novello monaco di Arcore, uno di quei frati apostolici d’inizio primo millennio allorquando seguendo fra Dolcino urlavano «penitenziagite, penitenziagite.»  E per Bondi forse il senso è lo stesso. A quelli di allora gli andò male: la più parte fu passata a fil di spada dai soldati della Chiesa e i rimasti finirono bruciati nelle pubbliche piazze.  A Sandro Bondi è andata meglio, ha rimediato solo una miserrima figura di palta, non è la prima e non sarà l’ultima, Come del resto è toccato a Schifani Renato. Ma si sa che i re, monarchi, imperatori e unici gestori rimangono sempre ragazzi .Sono volubili e facili agli innamoramenti (e di questo Bondi e company hanno avuto abbondanti prove) e altrettanto repentini nei cambiamenti.

Questa volta a far cambiare opinione a Berlusconi Silvio è stata la replica di Enrico Letta. Non che questi abbia detto nulla di molto diverso rispetto alla sua relazione ma questa volta l’ha convinto. Miracolo delle parole o forse dell’ora. Ormai si era vicino al pranzo e ad una certa età è meglio rispettare gli orari. E infatti subito dopo la dichiarazione è schizzato a casa. Forse la nostalgia di Dudù?
Ovviamente non si tratta di marcia indietro, quando mai s’è visto un piazzista ammettere di aver cambiato idea. L’ultima esibita è solo la naturale evoluzione della precedente che peraltro è figlia della precedente che è figlia della prima. Basta accontentarsi.

Il primo a cogliere la palla al balzo è stato, ovviamente, Maurizio Gasparri che felice come una pasqua dichiara in tv che è contento che il partito rimanga unito perché tanto «si vota in un giorno solo e poi la vita va avanti» e che in fondo «i governi passano mentre i partiti restano.» E lui ne sa qualcosa di partiti che restano, visto che il Pdl è il suo terzo e gli altri due sono scomparsi. Negli stessi momenti Roberto Forrmigoni diceva che lui e gli altri sono da considerarsi «pionieri lungimiranti»,  quindi non più «diversamente berlusconiani?,  e formeranno un nuovo gruppo parlamentale. Che per un partito unito non c’è male. Chissà come si comportano quando si dividono.

Adesso sarà da vedere e da ridere, quel che faranno «questi pionieri lungimiranti/diversamente berlusconiani», Ammesso che rimangano tali e non rientrino presto tra i normalmente berlusconiani. Che almeno questi ultimi si sa come sono fatti. Che poi la diversità tra i due è tutta da capire. Già a Ballarò (1/10/2013) s’è assistito alla esilarante esibizione del duo Cicchitto-Sallusti. Si insultavano come due ragazzini all’uscita dalla scuola e se avessero avuto le cartelle si sarebbero presi a cartellate, come ai tempi del libro Cuore. Comunque erano carini a vedersi così agguerriti l’uno contro l’altro nel comune nome del berlusconismo. Si stentava a credere che entrambi avessero sostenuto con forza che la crisi non c’era, per via che non trovavano posto nel loro ristorante preferito, o del fatto della magrebina rubacuori o delle tasse che andavano tolte, cambiate di nome e ripresentate. Uno spasso.
Comunque non è finita. La serie degli sketch sarà ancora lunga peraltro da un paio di settimane non si sente nulla sul versante Pd. Ma non bisogna disperare. Si ride anche da quelle parti.