Ciò che possiamo licenziare

sabato 31 agosto 2013

Enrico Letta il rabdomante.

Enrico Letta sta riportando in auge l'arte della rabdomanzia. Si tratta di un'arte antica, se ne ha notizia fin dal terzo secolo avanti Cristo, e consiste nel ricercare oggetti nascosti, il più delle volte acqua o anche filoni di metalli. Lo strumento portentoso consiste in un bastoncino di legno dalla forma biforcuta. Ovviamente il metodo non funziona.


Enrico letta si domanda se la rabdomanzia funziona?
Il rabdomante ritiene di poter individuare quello che cerca grazie a radiazioni che sono emesse dalla materia ricercata che fa vibrare il legnetto dalla forma biforcuta che, racconta la tradizione, tiene saldamente in mano. Di solito all’altezza della pancia. Che forse questa posizione un qualche significato ce l’ha. In passato i rabdomanti cercavano acqua, in zone desertiche, o filoni d’oro o di metalli vari nelle valli o montagne. Una vita d'inferno.
Oggi, i moderni rabdomanti hanno abbandonato le zone desertiche e gli impervi sentieri di montagna e siedono più comodamente in parlamento. Non cercano più acqua e metalli ma qualcosa che possa far felici loro stessi e se qualcosa avanza anche i cittadini che dicono di amministrare e governare. E questo va facendo da centoventi e briscola giorni anche il giovane, quarantasette anni appena compiuti, Enrico Letta.

Per avere certezza di essere sulla strada giusta Enrico ha iniziato col dare un bel nome al suo governo: il 'governo del fare'. Programma che suonava interessante anche perché veniva dopo il 'decreto salva Italia' di montiana memoria che il per poco non la strozzava, l'Italia. Comunque, appena varato il nuovo governo ha posto all'ordine del giorno temi come: «reddito minimo, esodati, stop alle province, basta tasse ai soliti noti, abolizione dell'IMU, lotta all'evasione fiscale, la revisione della legge elettorale e poi naturalmente i giovani e le donne, il mezzogiorno, i costi della politica eccetera, eccetera, eccetera.» Bello quasi un libro dei sogni. Ma per realizzare il programma servono due cose: la sicurezza di poter durare e i soldi. Il fatto è che a disposizione immediata non ci sono nessuno dei due. Bisogna cercarli. E il buon Letta armato del suo bastoncino a due punte si mette alla ricerca di entrambi. Per durare serve l'appoggio del Pdl che un giorno dice sì e il giorno dopo minaccia la crisi (a causa di quella storia di evasione fiscale del suo boss) e soprattutto vuole l'abolizione dell'IMU.

Per un po' Enrichetto con il suo bastoncino si barcamena. La prima idea è di abolire i doppi stipendi: chi è parlamentare e ministro percepirà solo il primo. Non è tanto ma è un buon segno. Soprattutto è buon senso pensando all'ammontare dell'indennità parlamentare. Poi? Poi sono stati ratificati una bella serie di accordi internazionali, a costo e ricavo zero, quindi si è trovata un'altra paccatina di saggi (a pagamento, ovvio) per discutere di questioni istituzionali che, detto per inciso non hanno ancora partorito nulla, si son destinate misere risorse, in quattro anni per il lavoro dei giovani e contemporaneamente si è dato un'altra bella paccatona di milioni ai partiti (Sposetti e Misiani ridevano sotto i baffi) dicendo però che ci saranno delle restrizioni. Quando? Negli anni a venire, ovvio. Che poi è come dire 'a babbo morto' E infine da due giorni si è abolita la prima rata dell'IMU. Sulla seconda si vedrà.

Bello bellissimo. Però ora son da trovare i soldi che l'IMU generava Che non avere una tassa è bello solo che costa e i soldi non ci sono. Mancano per tre mesi poi improvvisamente si scopre che si può fare e si trova qualche miliardozzo. Virtuale ovviamente. Perché i soldi di copertura dovranno venire da imposizioni sui giochi d'azzardo e da qualcosa d'altro che non si è ancora ben capito cosa sia. Tanto Enrico ha il suo bastoncino e qualcosa troverà, dicono gli ottimisti.
Piccolo dettaglio: i gestori dei giochi d'azzardo che hanno evaso il fisco per 98miliardi, hanno scoperto che lo Stato, se ne accontenterebbe anche solo di 2 (sempre miliardi) poi derubricati a 600 milioni, hanno risposto picche. Giusto per rimanere nel loro gergo. Sconti che i comuni mortali si sognano mentre gli azionisti di quelle società, palesi od occulti che siano, li pretendono standosene magari spaparanzati su qualche barca o producendo vini. Tanto per dire.

E quindi? E quindi  bisognerà che Enrichetto continui a cercare anche perché chi ricatta lo fa per vizio e non si accontenta della prima tranche. Quindi la doccia scozzese organizzata dal Pdl con il refrain «oggi ci stiamo ma non è detto domani» continua tra dichiarazioni e smentite.
Pertanto Enrico deve sperare di sentire, prima che il tempo scada, una leggera vibrazione dalle parti della pancia per cominciare a scavare anche perché pare, pare che per coprire il buchetto dell'IMU sarà necessario aumentare l'IVA. Le tasse indirette lo sanno anche le tante matricole a nome Mario Monti che affollano le facoltà di economia delle italiche università, colpiscono i più poveri e riducono i consumi. Quindi non c'è trippa per gatti.

L'ultima volta  in cui ufficialmente si è utilizzata la rabdomanzia è stata alla fine degli anni sessanta: alcuni marines statunitensi la usarono in Vietnam per localizzare tunnel ed armi dei vietcong. Si sa come è andata a finire.


mercoledì 28 agosto 2013

Oggi si parla solo di IMU. Meno male

Grande fortuna per l'italico popolo nonché per i giornalisti e tutti i commentatori politici: oggi tiene banco solo l'IMU. Falchi, colombe, pitonesse e amazzoni posso riposare. Chissà perché Renato Brunetta non vuole l'IMU? Sarà forse per la sua passionaccia per il mattone? Scavallare l'IMU per un immobile che ha una rendita catastale di oltre 2.300 è un bel risparmio.

Brunetta Renato mentre sogna di scavallare l'IMU
Per un giorno intero o quasi si potrà dare tregua al più processato politico d'Italia. E per un giorno non si sentiranno i pianti e gli strepiti dell'innocente per eccellenza. 
E neppure si sentirà la solita tiritera di quello che aspetta, neanche fosse Godot, un cenno dal Quirinale. Come se il Quirinale si potesse mettere a fare ammiccamenti e moine o equivoci e compromettenti cenni al primo che passa per la strada che se così fosse si correrebbe il rischio di incorrere nel reato di adescamento, Vecchio reato caro a quelle che una volte si chiamavano, con tocco di sofisticata filosofia aristotelica, le peripatetiche.
Che bisogna proprio essere armate di tanta filosofia per andare su e giù per li viali a soddisfare meschine e vergognose voglie di chi se le può togliere solo a pagamento perché di loro, mezzi uomini come sono, senza il potere dei soldi gli resterebberosolo gli occhi e le mani. Gli occhi per piangere e le mani per i minuti piaceri. Latrin lover da sbarco.

Oggi, poiché si parlerà solo di IMU tutti si riposeranno.
Le colombe del Pdl se ne staranno tranquille in piccionaia a tubare tra di loro e a calcolare i rischi di essere ancora in lista nel caso di possibili elezioni se il governo dovesse cadere. Inoltre, almeno per un giorno, non correranno il rischio di essere aggredite da pitonesse e altri serpenti vari che da quelle parti la cova è breve e le uova si dischiudono in un baleno. Le amazzoni potranno dedicarsi a rigovernare, metaforicamente parlando che se lo facessero per davvero sarebbe una bella conquista per l'umanità, i box dei loro destrieri e magari dessero pure una bella spazzolatina agli zoccoli dei suddetti con annessa spalmata di grasso.
Per i falchi si suggerisce di utilizzare la giornata facendo una gita fuori porta: al Gran Paradiso. Pare che lì alloggino ben ventisette coppie di aquile. Magari vedere come funziona la vita di chi quel nome lo porta con onore e senza usurpazione potrebbe indurli a riflettere. Riserva di fosforo permettendo.

Di IMU pare ne possa parlare con cognizione di causa solo Brunetta Renato, capogruppo Pdl ed economista di vaglia, che però sulla questione ha qualche interesse privato. O, per come lo si chiama da qualche decennio, conflitto d'interesse. Ha raccontato (1) il Brunetta Renato che per pagare l'IMU dell'anno passato ha dovuto chiedere un prestito alla sua banca. Dicono i bene informati (2) che il suddetto abbia una vera passionaccia per il mattone. Infatti dispone «di una casa con terreno a Ravello (Salerno), una a Monte Castello di Vibio (Perugia), una a Roma e un’altra a Venezia. Viaggia, a scelta, su una Fiat 500 del ’68, su una Lada Niva o una Jeep Wrangler. Nel 2009, mentre era ministro della Funzione pubblica, ha acquistato per 40mila euro una casa di 40 metri quadri, con giardino di 400 (da ristrutturare), a Riomaggiore, alle Cinque Terre (La Spezia). Nel marzo 2011 ha venduto con una operazione di permuta l’appartamento di Roma (rendita catastale 919,29 euro) e ha acquistato, con una permuta parziale, una porzione immobiliare sempre nella capitale, in località Capizzucchi-Divino Amore. L’immobile è composto da un fabbricato su due livelli (rendita catastale 2.370 euro) e comprende anche il 50 per cento di una striscia di terreno»
Nel 2009 dichiarava un imponibile di 310 mila€ sceso nel 2010 a 279 mila€ e nel 2011 273 mila.€ Chissà se  le indennità da parlamentare in questi importi sono comprese o se vanno considerate come in più.

Beh, comunque un fatto è certo: con queste proprietà e questi redditi anche la massaia di Voghera o il pastore lucano capiscono che il professor Brunetta Renato proprio fa fatica a 'starci dentro' e per questo si batte per non pagare l'IMU. Anche lui. 
Sia la massaia di Voghera sia il pastore lucano sarebbero ben lieti di poter dare una mano al povero ministro ma temono sia suscettibile e la possa prendere male. Non è noto per aver un buon carattere.
Comunque, per almeno un giorno, si parlerà d'altro che non siano le disgrazie giudiziarie che come noto mettono tristezza. E già questo è fonte di gioia.

Che se poi si scavallerà l'IMU che pare costi mediamente (e le medie non sono mai veritiere quando si entra nel personale ma bisogna conviverci) ad ogni famiglia proprietaria di prima casa circa 200€ qualcuno, magari tra quelli che la media la superano di molte volte, sarà contento,
Il fatto poi che si vada incontro a tasse indirette, per importi complessivi per famiglia di gran lunga superiore pare che non interessi alcuno. Anche perché le tasse indirette si sentono (dalla terza settimana del mese) ma non si vedono. E poiché nel Belpaese è di grande successo l'adagio che recita «occhio non vede cuore non duole» si vedrà tutti un po' meno tasse e si spera ci si debba dolere poco.
Anche se un po' senz'altro sì.
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(1) Corriere del veneto 11 dicembre 2012

domenica 18 agosto 2013

Anche il Pd ha il suo Calderoli.

Pierluigi Piras, astro nascente del Pd sardo, augura lo stupro alla campionessa russa di salto con l'asta. Non è il primo ad insultare. Poi si pente e si dimette. È il primo a farlo. Magari un buon esempio per Calderoli e gli altri insultatori.




Il fatto a molti sarà già noto: Gianluigi Piras di professione organizzatore di eventi nonchè astro nascente del Pd sardo ha combinato una “calderolata” (che sta per atto insulso di Roberto Calderoli, leghista) o se si preferisce una valandrata (da Dolores Valandro, leghista) o una buonannata (da Gianluca Buonanno, leghista) o una garbinata (da Angelo Garbin di Sel), che proprio non è una bella cosa da fare anche perché poi a raccontarla a mamma e papà o a figli e nipoti diventa un poco imbarazzante.
Per dare risposta all'affermazione della russa Yelena Isinbayeva, campionessa del mondo di salto con l'asta, che in prima battuta si era detta favorevole alla legge antigay del suo paese per poi, ovviamente, dirsi fraintesa, il suddetto Pierluigi Piras ha postato su Facebook la seguente sconcezza: “Isimbayeva per me possono prenderti e stuprarti in piazza. Poi magari ci ripenso. Magari mi fraintendono”. Come eleganza si sta a zero mentre come scempiaggine si vola ben oltre il record di salto con l'asta.dell'atleta russa.

Pare che il post abbia ricevuto molti 'mi piace' a riprova che la madre degli imbecilli è perennemente gravida, ma su questo punto non c'è originalità visti gli illustri esempi che l'hanno preceduto. Ci sono stati anche molti 'vergogna' a testimoniare la speranza che, forse, il Paese non sia giunto alla frutta. Così come è stato poco originale abbozzare la classica debole difesa centrata su «è un grosso equivoco», che di equivoci piccoli, medi, grossi e grossissimi l'Italia è piena.

Poi, colpo di scena, è emerso qualcosa di effettivamente originale: il signor (qui il titolo di signore gli spetta di diritto)Piras Pierluigi ha dichiarato che «accetterà qualsiasi iniziativa legale al fine di pagare il giusto prezzo anche di fronte alla legge» e contemporaneamente si è dimesso da tutti gli incarichi politici ricoperti. Incarichi che, a onor del vero, non sono propriamente pochini infatti il Piras è: 1) presidente del Forum regionale dei diritti civili, 2) membro della direzione regionale del Pd, 3) consigliere regionale, 4) membro del coordinamento regionale dell'Anci e 5) coordinatore dell'associazione Prossima Italia, che casualmente si batte per i diritti civili. Un po' bulimico in quanto a incarichi il Piras che, a seguire tutte queste attività più il suo lavoro di organizzatore di eventi che è quello che gli dovrebbe garantire il pane e il companatico, può fare una certa fatica. E quindi,, detto senza voler assolutmente essere di giustificazione,, ci si può anche perdere la testa. Che se questa invece fosse stata collegata al momento in cui le mani hanno cominciato a correre sulla tastiera del computer non sarebbe stato male. Troppi incarichi possono far andare in confusione.
Però l'originalità delle dimissioni resta. Magari il senatore Calderoli (leghista) e il deputato Buonanno (leghista) e il consigliere di Cavarzene Garbin (Sel) potrebbero trarne qualche spunto di riflessione per le loro prossime future azioni. Che a prendersi un po' di riposo dalla politica e a tornare a fare quello che si faceva prima, ammesso si facesse qualcosa, non sarebbe male. In fondo la politica non necessariamente deve essere intesa come un mestiere poiché ci sono anche altri modi per guadagnarsi uno stipendio e sbarcare il lunario.
Infine, altro bel esempio di cui si deve essere grati al Piras, ci sono le dimissioni che ha dato dal suo partito, il Pd, restituendo la tessera.
C'è da augurarsi che il partito, a tutti suoi livelli, dalla sezione fino al regionale e magari anche al nazionale, sappia essere all'altezza della situazione e tranquillamente le accetti così come suggerisce il buon senso. E con ciò marcando le differenze con chi ancora se ne va a comiziare senza vergogna.
Morale: la stupidità è trasversale,e questo si sapeva, e non basta eccellere in qualcosa, come insegna anche la saltatrice russa, ma non solo lei, per essere giustificati su tutto. E anche questo già si sapeva ma varrebbe bene di metterlo in pratica.
Pace e buone dimissioni a tutti.




sabato 17 agosto 2013

Viva Calderoli. Vicepresidente del Senato.

Il Corriere della Sera auspica, con due articoli, che Calderoli ritorni a presiedere, quando gli tocca, il Senato della Repubblica. È il Calderoli Roberto amante di orango e maiali. In un paese normale non si baratta competenza di qualsiasi ordine e grado con il rispetto per le persone.




Da un paio di giorni e si spera che siano solamente due e che la storia sia finita, il Corriere della Sera si sta allegramente spendendo in favore di Roberto Calderoli. 
Il senatore Calderoli in una tipica espressione
 Per intenderci si tratta di quel Calderoli Roberto, per evitare fraintendimenti e casi di omonimia, che è lo stesso che ha paragonato una ministra della Repubblica, Cécile Kyenge, ad un orango e che precedentemente si era esibito con magliette anti-islam (creando non pochi imbarazzi) e che ha lanciato carne di porco nel campo dove avrebbe dovuto sorgere una moschea e che, è bene non scordarlo, è il padre dell'attuale legge elettorale che lui stesso definì con amabile giro di parole «una porcata». Evidentemente quel Calderoli Roberto, che è anche senatore e come non bastasse anche uno dei vice-presidenti del Senato, con gli animali in genere e con i maiali in particolare deve avere un trasporto di amorosi sensi. Visti i suoi continui riferimenti.

Il 14 agosto è stata giornata calda e di afa come del resto quella del 13, e «quando il sole martella le zucche - come scriveva Giovannino Guareschi - i cervelli ci mettono poco a bollire», è apparso il primo articolo a favore di quel Calderoli Roberto a firma Anna Gandolfi e poi a stretto giro, il giorno dopo, ferragosto che di caldo ne ha fatto anche lui a firma M.Cre. ne è uscito un altro.
Tra i due articoli ci sono molte somiglianze e poche formali differenze. Le differenze sono presto dette: l'articolo del 14 agosto è apparso sulle pagine locali di Bergamo, taglio alto, mezza pagina, cinque colonne. Pensare che il Corriere sia alla ricerca di lettori bergamaschi, magari di fede leghista pare azzardo troppo grosso. Quindi scartato il sospetto. Il secondo pezzo, quello del 15 agosto invece è uscito sul nazionale, alla pagina 10, taglio nasso e solo due colonne. Evidentemente non è un gran argomento da nazionale. O forse c'è qualche pudore.
Nel senso invece i due articoli sembrano uno la fotocopia dell'altro, qualche malizioso potrebbe sospettare che siano il risultato della attenta lettura di qualche cartella stampa ben confezionata, distribuita magari dall'ufficio del senatore.  In sostanza entrambi raccontano che il Calderoli, sempre quello di orango e maiali, non presieda l'Aula dal “fattaccio Kyenge” , quindi circa un mese e che per quello sia stato messo in castigo, lui che è così bravo a dirigere i lavori parlamentari.
Perché entrambi gli articoli ci raccontano che conosce benissimo il regolamento ed è in grado di citarne a memoria articoli e codicilli e questa sua bravura gli è riconosciuta tanto a destra, ovvio, quanto a sinistra. D'altra parte anche Totò raccontava che nessuno meglio dei caporali sa recitare a memoria il regolamento. Senza con questo voler dir male dei caporali. Anzi quelli della sinistra, schieramento a cui appartiene la ministra Kyenge, non vedono proprio l'ora che il Calderoli, sempre quello di orango e maili, possa ritornare a dirigere il traffico di leggi e provvedimenti del Senato. In una sola notte sotto la sua gestione, ci racconta Anna Gandolfi arrivò a effettuare ben 7.000 votazioni. Che sembra proprio un bell'indice di produttività, poiché riuscire a fare stare 116 ore in una sola notte non è da tutti. Già, perché se si ipotizza di spendere anche un solo minuto per votazione e senza alcuna pausa per le elementari necessità fisiologiche, significa impegnare ben 7.000 minuti che divisi per i 60 canonici che compongono le ore dei normali mortali fa per l'appunto 116 ore. Che poi se per carità di patria si volesse considerare anche un tempo minimo di 15 secondi a votazione ci si ridurrebbe a 29 ore. Sempre troppe per una sola notte. Quindi chissà come si è arrivati al numero di 7.000 votazioni che se son vere, come del resto nessuno può dubitare, qualche perplessità sulla qualità del lavoro potrebbe pure venire.
Ma in nessuno dei due articoli si leggono perplessità di sorta poiché uno termina paragonando il Calderoli, sempre quello di orango e maiali, al «primo della classe finito dietro la lavagna per averla combinata davvero grossa». Mentre il secondo auspica che «Grasso (il presidente del Senato ndr) tolga Calderoli dal limbo. Il più presto possibile.»
In un paese normale ci si aspetta che un senatore che paragona un ministro, donna e per di più di pelle nera ed originaria dal Congo, a un orango venga tolto al più presto non dal limbo ma direttamente dal Senato. Se questi non ha il buon senso di dimettersi da solo. Ma ci vuole testa per farlo.
In un paese normale ci si aspetta che il linguaggio usato in un comizio sia riportabile anche davanti ai propri figli. Senza vergogna e magari senza arrossire.
In un paese normale magari ci si aspetta pure che competenza procedurale e rispetto per le persone (per non dire di becero razzismo) non siano equiparabili e neppure merce di scambio. Che solo il pensarlo, anche senza dirlo, è una volgarità di cui vergognarsi per il resto dei propri giorni. Che se passasse questo principio allora ladri e farabutti con competenze amministrative o scientifiche o anche meccaniche sarebbero sostanzialmente graziati ad ogni piè sospinto. Il che proprio non è bello.
In un paese normale non c'è malleva per chi travalica la legge del vivere civile.
Quando il Belpaese diventerà un paese normale?



sabato 10 agosto 2013

Il governo Letta non va in vacanza.

A forza di spostare tutto un po' più in là il governo Letta s'è dimenticato di fare la prenotazione alla pensione Mariuccia. Oramai è tardi tutte le camere sono state prese. Non andare in vacanza sta diventando una moda da Vip (vecchi in pensione) imitata anche da papa Francesco.

Oramai non andare in vacanza è diventata una moda. Una volta c'erano le Baleari poi le Seychelles quindi i safari in Africa e infine il Vietnam. 
Enrico Letta nell'attività in cui riesce meglio
Ma le mode girano ora è il momento della non vacanza. I primi a snobbare le vacanze sono stai iVip cioè i “vecchi in pensione” che questa pratica la conducono da anni. L'ha rilanciata con autorevolezza papa Francesco, anche se poi si è fatto un week-end lungo in quel di Copacabana dove, come si sa, ogni donna è sovrana. Il tempo non è stato dei migliori ma tutti quelli che si sono ritrovati con Francesco pare si siano divertiti. E adesso ci arriva, buon ultimo, il governo Letta che la pratica di arrivare dopo gli altri e di mettere tutto “un po' più in là” la sta facendo diventare una pratica di vita.

Ovviamente ciascuna delle categorie summenzionate ha i suoi bravi motivi per quella scelta che non è la stessa per tutti.
I Vip cioè i “vecchi in pensione” non vanno in vacanza per snobismo: non vogliono confondersi con altri che usurpano l'acronimo Vip traducndolo in very important person che poi questi important a vederli in tv sembrano più prossimi alla categoria cafonal. E con loro i “vecchi in pensione” hanno poco a che spartire. Detto con il massimo rispetto per gli autentici cafoni ovvero per quelli che se ne andavano e magari ancora vanno in giro per sbarcare il lunario: i c'a fune (traduzione letterale: quelli che hanno la fune).
Papa Francesco rinuncia alle ferie perché in ditta ha trovato un tal marasma che rimettere a posto tutto (ammesso e non concesso che lo voglia fare per davvero) richiederà ben più tempo che non quello delle ferie e comunque Roma in agosto è vivibilissima e senza confusione come da sempre ci ha raccontato il cinema: da Il sorpasso (anni antichi) a Pranzo di ferragosto (anni più recenti). E poi comunque nell'albergo di santa Giulia c'è l'aria condizionata e già questa fa vacanza. Peraltro i Vip originali (vecchi in pensione) l'aria condizionata non ce l'hanno, mica perché costa cara ma per avversione ideologica. Preferiscono il ventaglio, più chic, o il ventilatore usato però solo nelle ore notturne, causa zanzare.
Il governo Letta tutti questi problemi non ce li ha e quindi, perché non va in vacanza?
Perché la coerenza li ha fregati. Questa è la vera verità.

Fino ad ora il governo del “fare un po' più in là” ha funzionato egregiamente su tutte le questioni importanti: sulla nuova legge elettorale, che verrà fatta un po' più in là, sulla decisione sull'Imu, che verrà presa un po' più in là, sull'aumento dell'Iva, che si deciderà un po' più in là, sulla riduzione dei costi della politica che per essere sicuri che vada sempre più in là si pensa di prenderla a rate neanche si trattasse dell'acquisto di un frigorifero. E comunque i partiti hanno invece incassato che è poco una bella paccata (per dirla alla Fornero, chi se la ricorda più?) di milioni che una legge truffaldina ha istituzionalizzato nel metodo e nel merito. Che poi se una legge è truffaldina chi l'ha ideata e resa esecutiva come deve essere definito? Alla faccia delle vibranti e bavose commozioni di circostanza. E l'elenco del “fare più in là” si può allungare di molto altro ancora come ad esempio la questione della decadenza di Berlusconi da senatore o la legge sull'omofobia o la norma sul voto di scambio per arrivare alla definizione su come punire la diffamazione a mezzo stampa. Senza contare tutti quei provvedimenti che, ad onor del vero, non sono neanche calendarizzati “un po' più in là”. Nel senso che non sono proprio in agenda tanto sono considerati poco importanti come la questione dell'equità fiscale e pure sociale. Il governo Monti sulla questione ci ha campato per quindici mesi senza mai neppure fare uno sforzo. Ma d'altra parte chi ha due o tre o anche quattro incarichi e ricava da ciascuno diverse decine di migliaia di euro al mese come può capire chi tira la cinghia? Oggettivamente è sforzo troppo grande e quindi non può. 

Ecco perché il governo Letta non va in vacanza gli è capitato che l'appunto per la prenotazione della pensione Mariuccia sia finito nelle cose da fare “un po' più in là” e così hanno perso il turno. Ormai è tardi tutto già preso.
Gli resta però sempre la possibilità di svagarsi con qualche giochino elettronico, il subbuteo di cui il premier Enrico Letta va matto richiede troppo spazio e diversi giocatori appassionati. Per informazioni sui giochini elettronici rivolgersi alla deputata Rosy Bindi. Per intenderci quella che ha richiesto con foga alla direzione del suo partito la deroga per potersi presentare alle elezioni avendo oramai superato di gran lunga i termini stabiliti dal regolamento. In molti si domandarono perché la Bindy volesse tornare in parlamento dopo oltre quindici anni di permanenza su quegli scranni. Ora si ha la risposta: per giocare con il tablet (pagato dai contribuenti magari) in un ambiente sereno, ben condizionato sia d'estate che d'inverno e anche ben remunerato. Ora è chiaro.


Se poi il governo e tutti i suoi ministri a cominciare da quello degli Interni decidesse di andare “un po' più in là” e lasciasse il posto a gente che faccia meno proclami ma più fatti farebbe cosa buona e giusta.

martedì 6 agosto 2013

Berlusconi, come Sallusti e come tutti. ha paura della galera. E allora? Piange.

«Al rigore delle leggi penali soggiacer dee chi ha delinquito con piena volontà, con freddo proposito.» E quello di Berlusconi parrebbe il caso. L'antidoto utilizzato è sempre il solito: chiagne e fotte.


E così Berlusconi Silvio dopo aver lanciato proclami alla Sallusti: “voglio andare in galera” e “non mi farò rieducare come un delinquente” ecco che ci ha immediatamente ripensato. Così come fece il suo direttore Alessandro Sallusti. Buon sangue non mente. 
Questo, il Sallusti, apparve in una trasmissione televisiva con la barba lunga di qualche giorno e un abbigliamento miserando che doveva dare l'idea del povero disgraziato che per sistemare le ultime cose prima dell'arrivo dell'apocalisse non dorme da giorni o se lo fa usa il divano dell'ufficio. Ovviamente sgangherato. «Voglio andare in galera – tuonava il Sallusti – aggiungendo - la grazia mai!» E invocava la democrazia, proprio lui che se potesse vivrebbe neanche nell'epoca del partito unico ma dell'uomo unico: il suo editore. Che peraltro, per ammissione dello stesso Sallusti, «mi paga poco per quel che faccio.»
E infatti mentre da un canto aspirava al martirio dall'altro il buon Sallusti venne graziato, chissà poi perché, dal Presidente della Repubblica e ci si mise pure il procuratore di Milano Bruti Liberati a trovare cavilli ed escamotage per fargliela fare franca. Che il martirio è bello quando è degli altri ma è assai scomodo quando diventa il proprio.

«Se è andata bene a Sallusti perché non anche a me» deve aver pensato il Berlusconi e calatosi nelle vesti, che oggettivamente gli van larghe, di Rodomonte s'è messo anche lui a gridare, prima del verdetto «Se avranno il coraggio di condannarmi andrò in carcere io non voglio essere rieducato dai servizi sociali come fossi un delinquente.» Sfuggendogli il concetto che chi vien condannato delinquente lo è per definizione e comunque perché la legge ritiene che in passato delinquette.
Quando poi la condanna da fatto in potenza diviene realtà e ecco allora pronta e immediata la smentita che ha l'aria di esser metaforica ma metaforica non è. Non si parla più di carcere adesso dimenticando che «al rigore delle leggi penali soggiacer dee chi ha delinquito con piena volontà, con freddo proposito.» E questo parrebbe il caso. 

Ora si divaga. Comincia lo stesso Berlusconi con un piagnucoloso discorso in cui si autodefinisce senza tanti giri di parole come «l'Italia migliore», che se tutti quelli che vanno ad escort sono il meglio vuol dire che nel Belpaese di questi ce n'è d'avanzo. Altro che fuga dei cervelli.. Poi afferma perentorio che comunque c'è una figlia che prenderà il suo posto in questo smentito dalla stessa e da una bella fetta dei maggiorenti del suo partito. Quindi architetta la minaccia dei suoi ministri, Alfano che è vice premier in testa (che vergogna), di rassegnare nelle sue mani le dimissioni. Non contento, poiché i ministri sono pochi pensa che si debbano dimettere anche i deputati. Che qualcuno faccia la mossa è ovvio ma poi chissà se questi ne hanno davvero la voglia. Meglio non rischiare. Quindi manda due giganti della politica come Schifani e Brunetta dal Capo dello Stato a chieder la grazia conto terzi che è cosa che proprio non si fa. Infine al solito si organizza il tradizionale pediluvio di popolo con bandiere e truppe cammellate per, nell'ordine: dichiararsi innocente, attaccare la magistratura ma non tutta, solo quella che lo condanna, dire che resterà fino alla fine, chissà se ci saranno anche le Termopili di Forza Italia 2.0 e alla fine si fa ben fotografare mentre frigna come un bimbo caduto dal monopattino. Peccato che il monopattino su cui ha corso fino ad ora sia l'Italia. Ma è tutta una finta. 

Ancora una volta Berlusconi Silvio mette in scena da protagonista la sua commedia preferita quella che va sotto il titolo di «Chiagne e fotte.» Rappresentazione che va in onda senza soluzione di continuità da oltre vent'anni. Pur con un paio di varianti che suonano: «Fotte e chiagne» e nella versione «Chiagni e fotti, fotti e chiagni.» Non è che la fantasia abbia ampi margini di manovra su questo tema.

La speranza è che la Storia voglia occuparsi di questi anni in un futuro lontanissimo quando oramai se ne sarà persa la memoria, e soprattutto che non voglia, così come talvolta ha fatto, caratterizzare il periodo affibbiandogli una definizione identificativa come fece con il secolo dei lumi o il secolo delle rivoluzioni, o la Belle Époque speriamo sia generosa e non troppo severa. Poiché a guardare il periodo i calambour e gli sfottò vengono più che spontanei. E si avrebbe gioco facile. Anzi facilissimo. Che a pensare d'essere vissuti nell'epoca delle prescrizioni o delle grazie non richieste o al tempo delle/dei nipoti proprio non piace a nessuno. Forse. Che qualche masochista lo si incontra sempre per strada.

E soprattutto ci si augura che la Signora Storia non voglia dar dignità d'epoca al periodo del chiagne e fotte che a ben vedere maggioranza nel Paese non è mai stata. E ha governato solo per una legge elettorale porca.

giovedì 1 agosto 2013

Cacciari, De Gregori e la sinistra. Niente da capire.

Sinistra, dice Cacciari, è parola che non serve più, in Italia, ma in Germania funziona alla perfezione e quella è la locomotrice d'Europa. Non è il termine sinistra ad essere stanco (o poroso) ma è la non chiarezza dei concetti che vuole esprimere che meriterebbe una maggior forza.




Sarà che «Quando il sole martella le zucche - come scriveva Giovannino Guareschi - i cervelli ci mettono poco a bollire.» , sarà quindi per causa di Caronte che ha preso il posto del caro vecchio anticiclone delle Azzorre, sarà perché c'è un papa che per la prima volta negli ultimi mille anni porta un nome senza averci appiccicato dietro un numero, sarà per chissà che altro motivo adesso, come accade tutte le estati, è partito il tormentone su cosa sia la sinistra. E quindi anche la destra.
Il la l'hanno lanciato due grandi del pensiero contemporaneo; un filosofo come Massimo Cacciari (anche se qualche volta prende delle cantonate come quando propose l'Albertini Raffaele come leader del fantomatico partito dei sindaci) e Francesco De Gregori che alle ultime elezioni a votato per Scelta civica ma gli si vuol bene lo stesso perché è un poeta dei tempi moderni e la sua musica ricorda a tanti la giovinezza.

Tutti e due dunque a disquisire e a dire delle loro delusioni. Che in effetti quelli che una volta erano i partiti di sinistra non è che abbiano lasciato dei grandi eredi ma come si suol dire: i padri costruiscono i figli amministrano e i nipoti vendono. E anche questo è il caso.
Tutti e due a dire che la sinistra non esiste più, che è concetto superato, per Cacciari addirittura da trent'anni, e se la piglia anche con Norberto Bobbio che oramai non può più rispondere, e che non ha saputo ammodernarsi e procede a tentoni: dalle piste ciclabili al sindacato veteronovecentista, questo a dire di De Gregori. Come se poi far un buco in una montagna fosse di per sé progressista, quando oramai non ci crede neppure più chi quel buco l'ha ideato.

Poi entrambi confluiscono sul fatto inoppugnabile che son le cose da fare quelle che dovrebbero menare la danza. E su questo come dargli torto. Che un tombino sia un tombino è inoppugnabile che se questo è non manutenuto alla prima pioggia la strada si allaga e per ripararlo non va di essere né di destra né di sinistra. È il puro buon senso che dovrebbe farla da padrone. Già ma il buon senso, che allo stato puro è difficile da trovare, dovrebbe essere uno solo e, invece, di solito si divide in tanti pezzi quante sono le zucche che il sole martellante fa bollire. E queste son da dividere tra quelle che pensano al bene comune, magari pure in tantinello rimettendoci, e quelli che pensano agli interessi del proprio particulare sperando di guadagnarci. E questi ultimi assai spesso poi si fanno del male da soli. Non guadagnano singolarmente e e in compenso perdono collettivamente. Maledicendo lo Stato che poi sono loro.

Cos'è la destra e cos'è la sinistra, al di là delle non tanto innocenti sciocchezze cantate da Gaber ma era in fine carriera quando oramai con la moglie in Forza Italia e un passato similrivoluzionario da salvaguardare doveva barcamenarsi tra l'una e l'altra posizione, è assai chiaro. Che quelli del  Pdl et similia, sulla gran parte delle questioni non siano di sinistra lo si capisce da come parlano del senso delle cose e di quanto poco prestino attenzione agli interessi collettivi che, per la loro parte sono solo la sommatoria di quelli individuali. Mentre al contrario quelli che che si ostinano a voler rimanere dall'altra parte, a sinistra tanto per dire, si aspettano che da una data scelta la stragrande maggioranza delle persone ne tragga beneficio. A prescindere dai denari che, fisicamente, si metteranno in tasca. E sentir parlare quelli della Lega, al di là delle apparenti, ma solo apparenti, minchionate da guitti d'avanspettacolo certo non viene in mente che stiano lavorando per gli interessi comuni ma solo di segmenti. Che poi quando tutti quei segmenti si dovessero sommare confliggerebbero.

Così come va da sé, e non bisogna essere stimati filosofi per capirlo, che i blocchi non sono monolitici e su taluni temi, come per esempio la conservazione dei beni archeologici, possono confluire da un lato l'aristocrazia delle signore a tre cognomi e il pensiero del figlio di un contadino diventato professore alla Normale di Pisa. Peraltro il professor Cacciari che ben conosce il tedesco per averlo studiato fin da bimbo se girasse lo sguardo in quel della Germania scoprirebbe che lì esistono ancora i socialdemocratici, che sono di sinistra, e quelli di centro che sono i democristiani e quelli di destra che sono i liberali. Categorie che se funzionano al di la delle Alpi non si capisce perché non dovrebbero funzionare anche al di qua. E comunque queste giravano anche nel Belpaese prima che si perdesse la trebisonda, che nel caso specifico si chiama elaborazione culturale e ci si mettesse ad inseguire chi gli ammmerigani come Veltroni e Melandri, chi le ammiccanti teorie tecnocratiche che pure furono mal digerite da personaggi come D'Alema o il piccolo Fassina (ex dalemiano?).

Il tombino rimane oggettivamente un tombino e allora da decidere è se si vuol costruire la fogna, che costa e che comporta costi e quindi contributi da parte di tutti, ciascuno secondo le sue disponibilità sarebbe da sperare, o si ripiega un un canaletto di scolo che alla prima pioggia andrà ad allagare le cantine del vicino. Il tombino rimane tombino e per deciderne il che farne non si dovrà scomodare né Marx né Hobbes basterà domandarsi qui prodest?. Se la risposta sarà un solo nome (o pochi) sarà una scelta conservatrice e di destra se la risposta sarà tutti allora sarà di progressista e di sinistra. Il crinale sta nel bene per pochi o per tanti. Specificando a questi ultimi che non è rincorrendo gli usi e le abitudini di quei pochi che si va a star meglio ma solo li si scimmiotta che non solo non è bello ma spesso anche (socialmente) costoso. Il fatto è che si può star meglio in modo diverso. Basta cerlarlo questo modo.

Comunque entrambi i signori in questione, il grande filosofo e il famoso poeta, commettono lo stesso errore, stare a guardare e pontificare. Che non aiuta. E in più è pure di destra.