Ciò che possiamo licenziare

venerdì 31 maggio 2013

Il Pd, il finanziamento ai partiti e la cassa integrazione

Sugli stipendi dei dipendenti del Pd a fare un paio di conti si scopre che i conti non tornano. Ciò che manca non sono i denari ma la politica: quella che smuove le coscienze, riempie le sezioni e fa partecipare ai comizi. Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Andrea Costa, Filippo Turati hanno fatto politica senza i soldi dello Stato. Le casse di mutuo soccorso, le cooperative e le case del popolo sono sorte senza i denari dei contribuenti.

E così ieri (30 maggio), grazie al dottor Antonio Misiani, laureato in economia e commercio alla Bocconi come Mario Monti del resto, si è scoperto che il Pd, ma anche tutti gli altri partiti, sono alla canna del gas. 
Antonio Misiani, sorridente tesoriere Pd,
due legislature da deputato,
vitalizio garantito, non ha problemi
No, non per questioni di politica: ancora non si sono resi conto di quanto poco siano rispettati dagli elettori e a quanto pare non c'è proprio modo che lo capiscano, ma per banali e volgari e sordide questioni di quattrini. Che, di deafult, non sanno amministrare.
Di qui la domanda: ma se non sono capaci di amministrare i loro denari, che sono tanti in assoluto, ma tutto sommato pochini in relazione al bilancio dello Stato, come possono essere capaci di amministrare la cosa pubblica? Già, non sono capaci e i risultati si vedono.
Rimanendo sulla questione soldi, quelli che servono per pagare i dipendenti del Pd, si scoprono cosette interessanti. Così come le si scoprì quando la tenera Marina Sereni, vice presidente del Pd, raccontò in dettaglio del suo stipendio (1).

Il dottor Misiani, laureato in economia e commercio alla Bocconi come Mario Monti del resto, racconta che 13 milioni sono il fabbisogno per pagare 180 dipendenti.(2) E che quindi se verrà tolto il finanziamento ai partiti, per inciso quest'anno per il Pd si tratterà di 42 milioni di euro, si dovrà mettere mano alla cassa integrazione. Subito corre in suo aiuto il prode Ugo Sposetti (3), segretario amministrativo dei Ds: «si tratterà di mettere sul lastrico chi si occupa delle pulizie o di modesti lavori di segreteria o fattorini» dice. Roba da straziare il cuore anche al più duro dei capitalisti e degli speculatori. Siano essi immobiliari o finanziari.

Bene, si faccia qualche conto, tanto così, per non perderci la mano e per il gusto del non-sense. Se il costo company, come si direbbe in qualsiasi azienda di servizi, è di 13 milioni di euro per 180 dipendenti se ne ne evince che il costo medio per ogni dipendente, quindi rievocando il famoso pollo di Trilussa è di: 72.000 euro. Importo che trasformato in stipendio netto diventa di circa 36.000 euro netti anno. E per amor di maniacale precisione si aggiunga che si tratta di 2.800 euro netti mese per tredici mensilità. Tombola. 
Ché se questo è lo stipendio che il Pd paga a chi fa piccoli lavori amministrativi e le pulizie e il fattorinaggio è ovvio che la ditta, come la chiamava Bersani, non sta in piedi. Ma su questo non si avevano dubbi. È allora forse viene il sospetto che molti, moltissimi di quei 180 dipendenti abbiano stipendi che si aggireranno tra i 1.200/1.500 € mese e forse anche meno, che alcuni, magari pochi o addirittura pochissimi se la passino veramente grassa. I deputati del Pd chiamati a raccolta dal dottor Misiani, laureato in economia e commercio alla Bocconi come Mario Monti del resto, forse farebbero bene a farsi dire come sono inquadrati quei centoottanta: quanti dirigenti, quanti quadri quanti di primo, secondo, terzo e pure quarto livello ecc, e così pure la Cgil dovrebbe dare un'occhiatina a quei conti. Che se non lo fa il sindacato della Camusso forse converrebbe chiamare quelli dell'Ugl.

E poi volendo essere ancor più precisi c'è da domandarsi che fine fanno i 29 milioni di euro che mancano per arrivare ai famosi 42 milioni di euro di cui sopra. Ah, saperlo..
In un'azienda di servizi e un partito è assolutamente equiparabile (con buona pace dei farisei e degli scribi che da quelle parti circolano ad abundantiam) ad un'azienda di servizi, il bilancio di solito si ripartisce in 55% spese per il personale 30% spese di gestione (affitti, luce, gas, telefono, viaggi ecc) , 15% profit. Dato che il partito non deve fare profitti ecco che il Pd si trova ad avere un polmoncino di riserva di tutto rispetto. 

Certo che la politica costa come ogni tre per due racconta Piero Fassino e lui di costi della politica se ne intende visto che per anni con la moglie, signora Anna Maria Serafini, anch'essa deputata, ha avuto entrate familiari decisamente cospicue. Ma Andrea Costa e poi Filippo Turati crearono il partito socialista senza sovvenzioni dello Stato così come senza sovvenzioni dello Stato è nato il partito repubblicano in un'epoca in cui i deputati della sinistra venivano  bastonati dalla forza pubblica e poi sbattuti in galera solo per aver organizzato manifestazioni di popolo. Che erano dette sediziose,  E senza sovvenzioni dallo Stato è nata la Società Umanitaria a Milano nel 1893. Magari ripassare di tanto in tanto i libri di storia del movimento operaio ai dirigenti del Pd non farebbe male. Ma d'altra parte Piero Fassino è quello che che disse: « Grillo fondi un partito, prenda i voti e poi ne parliamo.» E Grillo ha seguito il consiglio e l'ha fatto. Anche lui senza finanziamenti statali.
La qual cosa, ovviamente, non cancella e neppure giustifica le incommensurabili belinate che il genovese sta mettendo in scena giorno dopo giorno. 

Si racconta che Riccardo Lombardi chiese a Pietro Nenni il permesso di ridurre la quota di stipendio da parlamentare che girava al partito per potersi curare e affrontare una delicata operazione chirurgica. Quando mai è accaduto un fatto simile ai parlamentari di Pds e poi Ds e quindi Pd che da qualche decennio scaldano senza costrutto gli scranni di Camera e Senato. Anzi i deputati residenti a Roma ed eletti in quel collegio percepivano (e magari accade ancora oggi) la diaria per trasferta. Che il tragitto da casa a Montecitorio o palazzo Madama dev'essere lungo e faticoso. E si devono fermare a mezza strada per rifocillarsi.

Quando la politica è cosa seria i fondi li trova facilmente. E smuove le coscienze e la gente frequenta le sezioni e partecipa ai comizi. E la politica non diventa cosa da miliardari. È quando la politica viene gestita da apparatiniki che iniziano con le pezze ai pantaloni e poi si fanno eleganti a poco a poco e quando finalmente se ne escono dal parlamento si portano appresso un premio di consolazione di centinaia di migliaia di euro che i conti non tornano. Come dovrebbe ben sapere il dottor Antonio Misiani, laureato alla Bocconi come Mario Monti del resto.
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giovedì 30 maggio 2013

Papa Francesco non va in vacanza.

Altro gesto simbolico di Francesco che dopo la croce di ferro e la rinuncia alle scarpette rosse, pare si priverà anche del soggiorno a Castel Gandolfo. Gran lavoro della Segreteria di Stato della Santa Sede per contenere i costi. Le stanze di Castel Gandolfo saranno affittare ai turisti.

Ebbene sì questa estate Castel Gandolfo rimarrà vuoto. Papa Francesco, pare, non andrà in vacanza. La notizia viene riportata sul Messaggero del 30 maggio.
Un altro gesto simbolico, di cui si sentiva la mancanza dato che da quando è stato eletto se ne sono stati visti pochi. Ché poi, dovrebbero saperlo in Vaticano, i gesti simbolici vanno centellinati che se se ne fa uno al giorno da eccezioni diventano norma e il passaggio da norma ad assuefazione è passo breve.
Adesso alcuni, ma non tutti che i più hanno da sbarcare il lunario, sono a domandarsi dove Francesco passerà il 15 d'agosto. Qualcuno scommette che se ne starà nel convitto di santa Marta mentre altri che farà una gita fuori porta. Come tutti i romani.

D'altra parte quest'anno il calendario aiuta: c'è la possibilità di un fare un bel ponticello. Ferragosto infatti cade di giovedì e quindi se ci si prende il venerdì di ferie i giorni di vacanza diventano quattro. Voci che solitamente non risultano bene informate dicono che Francesco abbia già presentato la domanda per avere il giorno di ferie e che questa sia all'esame dell'ufficio del personale. Inoltre si è notata una notevole agitazione negli uffici della segreteria vaticana: sono stati allertati sia il segretario per i rapporti con gli Stati (il ministro degli Esteri del Vaticano) sia l'ufficio responsabile delle proprietà immobiliari che quello degli affari generali.

Al primo è stato ordinato, sempre secondo voci poco informate, di prenotare in un camping dalle parti di Ostia. un piccolo bungalow di tipo b: due camere, 4+1 posti letto, salone con angolo cottura attrezzato, bagno con doccia, tv, riscaldamento. Il bungalow è fornito di coperte e lenzuola mentre gli asciugamani papa Bergoglio se li deve portare da casa. Pare sia in corso ormai da settimane una serrata trattativa sui costi del soggiorno tra il cardinale Dominique Mambretti e il gestore del camping. Pare che per ridurre i costi il cardinale abbia rinunciato ad avere la tv a colori optando per quella in bianco e nero. Il gestore del camping ha risposto offrendo il bungalow più vicino al campo di calcetto e, in via del tutto eccezionale, anche un pallone in vero cuoio cucito dalle parti di Ancona. Anche perché televisori in bianco e nero non se ne trovano più. Comunque si respira aria di ottimismo sull'esito degli accordi. Sembra infatti che il gestore del camping sia disposto ad includere nel prezzo l'uso del campo di calcetto, per le giornate di venerdì, sabato e domenica, dalle 5 alle 6 del mattino, purché non si urli dopo i goal, e ad offrire una fornitura di bevande energetiche alla fine di ogni partita. Si attende solo il placet dell'economato che aspetta di sapere dallo Ior se c'è sufficiente liquidità in cassa.

Poiché il campeggio è raggiungibile con i mezzi pubblici il cardinal Mambretti sta conducendo analoga trattativa con l'ATAC (azienda dei trasporti pubblici di Roma) per avere una riduzione del costo dei biglietti. Si immagina un bel via vai di porporati, segretari e commessi per il disbrigo delle pratiche correnti ché il povero Francesco non potrà starsene in santa pace neanche al campeggio. Ma questo è il lavoro del papa.
L'ufficio gestioni immobiliari ha già dato ordine affinché siano predisposti dei cartelli con la scritta zimmer frei (stanze libere) da appendere sulla porta di Castel Candolfo e nelle zone limitrofe. Si spera molto nel turismo teutonico e si sta spargendo la voce di possibili improvvise apparizioni di Benedetto XVI. Avere due papi di cui uno tedesco ha i suoi vantaggi in ambito turistico. E questo sarebbe stato il punto centrale del recente colloquio tra la cancelliera Merkel e Francesco. Si sussurra che i prezzi non saranno modici, non per discriminare i poveri ma per mungere i ricchi.Altro che patrimoniale. E poi c'è la necessità di fare cassa. Se l'esperienza sarà positiva, come molti credono, si pensa già di affittare l'appartamento papale mantenendo l'usufrutto, solo nei giorni di festa, della stanza dalla quale il pontefice si affaccia. Ma per non più di un'ora. Non si vorrà creare disagio ai nuovi inquilini.

All'ufficio affari generali è stato chiesto di rendere possibile l'utilizzo della papamobile per giri turistici nella Città del Vaticano. In questo caso i prezzi saranno assolutamente accessibili per poter raccogliere il maggior numero di persone.
Enrico Letta avrebbe detto che segue con molto interesse tutti questi rivoluzionari esprimenti che potrebbero essere messi in pratica anche in Italia e finalmente far uscire il paese dalla crisi. Matteo Renzi ha ricordato di aver perso le primarie e ha confermato di voler fare il sindaco di Firenze.  Brunetta (a prescindere) ha protestato. Scetticismo di Giavazzi e Alesina.

mercoledì 29 maggio 2013

Elezioni Amministrative 2013: il bue dice cornuto all'asino.

La politica vive di paradossi ma quella italica va al di la di ogni più sfrenata fantasia. Aumentano gli astenuti e girano sempre meno voti. Chi è alla canna del gas vince. Chi passa per essere il forte perde. Il fatto è che perdono tutti. La storia del bue che dice all'asino cornuto si ripete. Sempre uguale.

Ugo La Malfa - leader del Pri
Fino a pochi anni fa il bello delle elezioni in Italia era che non le perdeva mai nessuno. I legulei della prima repubblica, che non erano mica tutti santi neanche allora, solo un po' più colti, un po' più preparati e con una miglior padronanza del congiuntivo, anche quando il loro partito era ridotto al lumicino riuscivano a dimostrare di avere vinto, comunque. Contorcimenti mirabili che venivano denunciati da quelli effettivamente premiati dalle urne con battute sarcastiche che erano fini e dotte come quella, pirandelliana, riservata (1958) a Ugo La Malfa:«Ugo, nessuno, centomila». Rari i casi di ammissione di sconfitta e comunque anche quelli sempre ben confezionati. Giuseppe Saragat, si spera adesso di non dover rimpiangere pure lui, dopo la sconfitta del 1953 se la prese con il «Destino cinico e baro». Si sente che veniva dal liceo classico. Altra stoffa rispetto a chi guardando sconsolato i risultati di Roma se ne uscirà, con il classico: «Il candidato era sbagliato e io l'avevo detto.» Che a scaricare le colpe sugli altri è un attimo. E i piazzisti in questo sono maestri.

Questa volta nessuno può far festa: troppi gli astenuti e, al di là delle percentuali, sono in pesantissimo calo anche i voti ricevuti da ciascun partito. Dunque non ha vinto nessuno. O meglio hanno perso tutti. Fatto che suona strano, ma così è. D'altra parte di queste bizzarrie della logica gli italiani hanno già avuto, nella storia repubblicana, fulgidi esempi: dall'andreottiano governo della non-fiducia corredato dalla battuta di Giancarlo Pajetta: «E' qualcosa che non gli diamo, ma che, comunque gli basta» fino all' ultima bersaniana: «Siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto.» E poi si dice che gli altri in Europa non capiscono le logiche della italica politica. Si provi a spiegare queste frasi a un tedesco o a un francese o a un inglese. Al confronto i famosi sorrisini di Merkel e Sarkosy sembreranno attestazioni di stima.
Se poi si pensa che da questa imbarazzante situazione ne esce, come hanno scritto alcuni analisti di peso, che il governo dopo la prima tornata elettorale si è ulteriormente rafforzato si ottiene l'apoteosi del non-sense. Chissà come sarebbe forte se a votare la volta prossima non ci andasse nessuno. Ma proprio nessuno.


Paradosso tra i paradossi il partito più in affanno e meno partito che attualmente sfarfalleggia sul palcoscenico politico, il Pd, piazza al primo turno quattro sindaci in altrettanti capoluoghi di provincia e, come non bastasse, percentualmente è la prima forza politica in quasi tutti gli altri. Fanno eccezione Iglesias, Imperia (ma il fatto deve essere avvenuto all'insaputa di Scajola, ras locale del Pdl) e Isernia. Peraltro in queste tre città, per il ballottaggio, i candidati sindaco del centrosinistra sono in forte vantaggio su quelli del centrodestra. Sembra quasi che gli elettori in questione siano andati a votare tenendo in una mano la scheda mentre nell'altra reggevano un negroni doppio. Ma non c'è regola senza eccezioni. By the way quando il candidato del Pd vince si dice che l'abbia fatto nonostante e a dispetto del suo partito. Debora Serracchiani ieri e Ignazio Marino oggi, docent. Che se prima era di sinistra perdere, vincere dicendo di essere di sinistra sotto che categoria socio-politica va catalogato?

Al contrario il Pdl, che sembra essere l'azionista forte del governo e ha stabilito che il primo ministro dovesse essere Richetto Letta e non Matteo Renzi è ridotto ad uno straccio. Degli altri partitini, Lega Nord inclusa,
non vale la pena di parlare. Sarebbe un pianto greco. E allora?
Ovvio che così non può finire, altrimenti di che si parla nei talk-how? Uno sconfitto più sconfitto lo si deve trovare a forza, altrimenti come ci si diverte. E quindi? Il Movimento5Stelle sembra fare al caso giusto. Di belinate Grillo ne ha commesse a bizzeffe e si merita ampiamente la batosta subita. Dopo di che mettersi a discutere delle sciagure altrui quando a guardare in casa propria ce n'è d'avanzo è un'altra delle estrosità a cui lo stivale è abituato. Poi Grillo si difende dicendo che lui è il meglio e l'Italia peggiore ha votato gli altri. Come argomento difensivo non è certo una gran novità. Lo va dicendo da anni. Ma se prima lo faceva stando in attacco adesso invece lo usa come argomento di difesa. Non è una grande idea e neppure originale. Però va di moda. 
In politica, come in chimica vale la legge di Lavoisier: Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Che se ci si fermasse lì sarebbe triste ma tutto sommato coraggioso. Invece l'italica natura vuole che vi vada oltre e allora ecco ripetersi la storia del bue che dice all'asino cornuto. Tanto per cambiare. E per chi si accontenta.

lunedì 27 maggio 2013

Il centrodestra apre alle unioni gay. Come mai?

Adesso Sandro Bondi, il sacrista stanco e Giancarlo Galan, il macho rodomontiano, si dicono favorevoli alle unioni omosessuali. Strano. Fino a ieri Berlusconi si vantava di averle impedite. Che sta succedendo nel centrodestra? C'é relazione con la comunione di Vladimir Luxuria a Genova?



Per “aprire” ai gay ed ai diritti del mondo lgbt il centrodestra ha fatto parlare due pezzi da novanta: Sandro Bondi e Giancarlo Galan. Personaggi scelti probabilmente non a caso nell'empireo berlusconiano.
Il primo con l'aria del sacrista stanco, non a caso i suoi concittadini di Fivizzano lo chianavano il ravanello: «Rosso di fuori e bianco di dentro», e il secondo che, all'opposto, sprizza machismo rodomontiano da tutti i pori con quel suo richiamarsi costantemente allo spirito del '94. Che era quando Berluscon aveva più capelli e di lui si sapeva abbastanza poco.

A lanciare il sasso in piccionaia è stato Sandro Bondi che ha scritto a la Repubblica una letterina che inizia con uno struggente e anche un tantitno sopra le righe: «Non capisco, proprio non capisco...» Che a dirla chiara questa non è la prima volta che il ravanello non capisce. D'altra parte ha ampiamente dimostrato di non aver capito cosa significasse fare il ministro dei Beni Culturali della nazione che ne possiede di più al mondo. E probabilmente non ha neanche capito perché Berlusconi a seguito di suoi tre flop abbia respinto per tre volte le sue dimissioni. Ma tant'è. Il fatto che, finalmente, alla tenera età di cinquantaquattro anni, anche se appena compiuti lui si sia reso conto di quanto sia ingiusto discriminare gli omosessuali e non riconoscere le loro unioni non può che confermare il fatto che, come diceva il maestro Manzi:«Non è mai troppo tardi.» Ma il punto è perché e come mai il centrodestra arrivi oggi a chiedersi, è sempre il ravanello, nel frattempo diventato ex, che scrive: «Perché i cattolici debbano fare delle battaglie contro chi invoca il riconoscimento delle unioni fra omosessuali.» Già, perché?

Perché questo cambio di atteggiamento da parte del centrodestra? Anche considerando che il Berlusconi Silvio non è mai stato tenero nei confronti degli omosessuali. Anzi spesso ci è andato pesante. E giusto per citare due casi c'è quello dell'autunno del 2010, quando se ne uscì dicendo: «Io conduco un'attività ininterrotta di lavoro e qualche volta mi succede di guardare in faccia (sic!) una bella ragazza. Meglio essere appassionato di belle ragazze che gay.» (1) Applausi dalla platea. Però allora si era in pieno caso Ruby. Come ora del resto. O la più recente l'intervista, rilasciata solo tre mesi fa, il 20 febbraio, al settimanale cattolico Tempi, direttore Luigi Amicone (di nome e di fatto). In quella si sosteneva: «Se l’Italia oggi non ha l’eutanasia legale, il matrimonio gay, la fecondazione eterologa, come avviene in tanti paesi europei, il merito è nostro, è della linea che coerentemente in parlamento e al governo abbiamo mantenuto in questi anni. » (2) In quella stessa intervista, come di più il Berlusconi Silvio negava, già che c'era, ogni possibilità di accordi con il centro e la sinistra. Ma erano parole dal sen fuggite. Come spesso accade.

Cosa c'è oggi di diverso rispetto a ieri? Che Bondi, il sacrista stanco, si sia lanciato autonomamente in questa iniziativa è tanto incredibile quanto pensare che Angelino Alfano sia effettivamente il segretario del Pdl. Illusioni. La questione, è ovvio, non riguarda tanto il rapporto con Giovanardi et similia, che riportarli all'ordine è un attimo quanto la relazione con la Chiesa ed i suoi movimenti integralisti, in primis Comunione e Liberazione. Sul tema più che dai Giovanardi bisognerà guardarsi, eventualmente, dai Lupi.

Forse c'è una qualche correlazione con la comunione data dal cardinal Bagnasco a Vladimir Luxuria durante la messa per i funerali di don Andrea Gallo?  Ma già Berlusconi, già divorziato e separato dalla seconda moglie e con qualche scandaletto già noto aveva avuto la comunione. A riprova che in fondo la si può dare a tutti, o quasi.. Che la Chiesa capovolga sul tema delle unioni omosessuali strategia e tattica in un batter di ciglia suona improbabile. Ma questi che si vivono sono tempi decisamente improbabili. L'unico che sembra contento e non si faccia domande di sorta è Ivan Scalfarotto. Ma d'altra parte lui ha già sistemato la questione dell'assistenza sanitaria del suo convivente (3) che i conviventi dei non parlamentari, uomini o donne che siano, non ne hanno diritto. Magari l'on Scalfarotto, eletto con il porcellum, anziché attendere le conversioni del centrodestra si desse una mossa per estendere i diritti che ha ottenuto per la sua coppia, in quanto parlamentare, anche a quelle, omo ed etero, di tutti gli altri italiani. Sarebbe cosa buona e giusta. E per soprammercato anche si sinistra.

sabato 25 maggio 2013

Don Pino Puglisi, don Andrea Gallo e papa Francesco: i fatti e le parole.


Due uomini, preti per gioco del caso, nello stesso giorno sono al centro della cronaca. Due che sono sempre stati dalla parte di chi perde. Speravanoi che la Chiesa li seguisse. Ma l'ufficialità è arrivata solo con la morte.


E così nello stesso giorno, 25 maggio, la Chiesa è tornata alla ribalta della cronaca grazie a due suoi preti.
Nulla di scandaloso questa volta. Niente pedofilia, niente denaro da risistemare, niente trame o complotti, niente politica, niente potere, niente tasse da non pagare, niente contributi da richiedere, niente dimissioni, niente carte imbarazzanti, nessun segreto da rivelare. Anzi tutto quello che ha riguardato sia don Pino Puglisi sia don Andrea Gallo è sempre stato alla luce del sole. Sotto gli occhi di tutti, purtroppo, deve aver pensato spesso qualche membro della gerarchia ecclesiastica.
Uno, don Gallo è morto pochi giorni fa, il 22 maggio, di morte naturale mentre l'altro l'ha fatto secco la mafia il 15 settembre del 1993, che poi era il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. Ma si sa la mafia ha un senso dell'umorismo tutto suo.

I due preti, che il termine deriva dal greco πρεσβύτερος - presbyteros, letteralmente "più anziano" e che nella Chiesa sta a significare colui che officia il culto – erano caratterialmente diversi e infischiandosene degli stereotipi entrambi giocavano allegramente con la legge del contrappasso. Uno era del nord e uno del sud ma la miseria di fronte alla quale si sono confrontati non ha confini geografici, solo forme diverse. Che nella sostanza la miseria è solo miseria. Quello del sud era riservato quello del nord esuberante e anche un po' caciarone. Quello del sud, come i contadini del Verga,  taciturno pestava duro su terra dura quello del nord era più industriale e col tempo, aveva imparato a conoscere le sofisticate tecniche del marketing sociale e le usava senza scrupolo.
Il loro comune denominatore stava tutto nella passione per i giovani nati e cresciuti in situazioni che si usa definire, nel gergo del politicamente corretto, di disagio sociale mentre per quelli che parlano chiaro e tondo si dicono disgraziate. Termine più crudo ma anche più chiaro. Che madama chiarezza dalle parti della Chiesa ufficiale non sempre ci si trova comoda. E dove, anzi, tra parole e fatti molto spesso ci corre un mare. La concretezza era il secondo segno che avevano in comune: entrambi facevano e non solo predicavano. E il fare stando fuori dal coro e dalle convenzioni di comodo, come si sa comporta rischi: il primo dei quali, di norma, è l'isolamento. Che esser soli quando si combatte per una causa palesemente giusta fa ancor più duro l'essere soli e pure il combattere. Ma i due non si sono mai fatti scoraggiare ed hanno proseguito con la testardaggine dei giusti. Entrambi pensavano, probabilmente, che il loro fare avrebbe smosso anche l'istituzione nella quale credevano e che questa prima o poi li avrebbe seguiti. E protetti. Si illudevano e di molto. Si son trovati, altro scherzo del caso, nello stesso giorno a far parlare ancora di sè e dei loro progetti con due grandi manifestazioni di popolo.
Oggi don Puglisi è stato fatto “beato”, l'anticamera per diventare santo – che forse non era proprio il suo obbiettivo – mentre don Gallo ha avuto un funerale oceanico dove accanto ai suoi disperati (e ai suoi ammiratori) si è trovato pure il cardinal Bagnasco. Quello stesso cardinal Bagnasco che spesso si è scagliato contro i gay e le unioni omosessuali mentre don Gallo ne difendeva la dignità e i diritti. Chissà se don Gallo è stato contento di avere un simile officiante. Ma tant'è. 
A guardarla da fuori è sembrato che il Vaticano più che esaltare i due attori abbia voluto, come si dice , “mettere il cappello” (o la berretta cardinalizia) sulle due storie. Prendersi i meriti senza aver pagato il dazio. D'altra parte non sarebbe la prima volta. E in questo son maestri.

Certo che se a rendere omaggio ai due fosse andato papa Francesco, di persona, magari senza preavviso e
come ultimo tra gli ultimi, sarebbe stato assai diverso. Un gran bel segnale e anche ben concreto. Poiché dall'elezione fino ad ora, papa Francesco di parole in favore degli ultimi e della non necessità di avere banche e del fatto che la Chiesa debba tornare povera ne ha dette tante ma di fatti, quelli veri che lasciano il segno, ancora non se ne sono visti. Ché alla fine, al di là delle cerimonie e dell'ufficialità di rito, queste son state due belle occasioni mancate. O, meglio, di ulteriore chiarezza sull'essenza della più antica istituzione del mondo. Perché è comodo occuparsi blandamente degli effetti senza curarsi delle cause.
Omaggio quindi, anche da chi da sempre è laico e di libero pensiero, ai due uomini, preti per gioco del caso, che hanno speso la vita per lasciar la sfera di mondo che li circondava un po' meglio di come l'han trovata.


lunedì 20 maggio 2013

Se l'importante non è andare in piazza allora dove si va?

Dopo otto giorni dall'elezione il nuovo segretario del Pd ha parlato per dire che andare in piazza non è importante. Meglio sarebbe stato se avesse taciuto ancora un po'. Ma se non va dove sta la gente come fa a capire cosa questa vuole. Pensa di affidarsi allo spirito santo?

Oggi, 19 maggio la sinistra può baloccarsi con una nuova frase epocale:«L'importante non è andare in piazza, ma saper ascoltare la piazza e dare risposte» dice Epifani.
Guglielmo Epifani è segretario del Pd dall'11 di maggio corrente anno, quindi da soli otto giorni. Otto giorni durante i quali non ha parlato o se l'ha fatto nessuno o pochissimi, forse gli intimi amici d'infanzia, se ne è accorto. Già il tacere, che si suo è bello assai, pareva distinguerlo dai precedenti segretari. Dall' ultimo in particolare che richiedeva per ogni frase espressa la consultazione dell'intera Treccani per interpretarne il senso. Arduo esercizio di ermeneutica che è costato al Pd una bella e succulenta fetta di voti. E di questo il piazzista di Arcore è non da oggi grato, dato che non ha mai ricevuto tanti assist come dalla dirigenza del Pd.
Però il dire, nel caso specifico di Epifani, è connaturato al ruolo,  specialmente se si è a capo del partito che è al governo in stretta alleanza con il Berlusconi. Il punto quindi non sta più nel dire o nel non dire semmai nell'esprimere concetti di senso, magari forte (opzione consigliata) o in alternativa delle scempiaggini (opzione ampiamente praticata dai politici di tutti gli schieramenti).

Orbene, il vertice del Pd ha oramai una lunga e consolidata tradizione nel perseguire la strada indicata per seconda: sciorinare scempiaggini. Per invertire la rotta occorre uno spregiudicato rivoluzionario. E di Guglielmo Epifani tutto si può dire meno che sia un rivoluzionario. Spregiudicato forse o magari anche sì, ma solo nella gestione della politica che gli apparatiniki sanno svolgere con sinuosa arte nei corridoi delle federazioni di partito o nelle sedi centrali dei sindacati. Un po' pochino per rappresentare il nuovo in epoca di cambiamenti e soprattutto un "nuovo" da contrapporre ad una destra che si mostra assai abile nella gestione
degli strumenti della comunicazione. Quando non addirittura nella sua manipolazione. Ed è ancor di più pochino se si vuol riunificare e galvanizzare la propria parte d'elezione e magari attirare chi, oggettivamente, non vede sensati sbocchi in quello che una volta, tempi santi, si sarebbe definito l'avventurismo berlusconiano.

Peraltro l'innocente frasetta nel suo dispiegarsi porta con sé non poche contraddizioni: se l'importante non è andare in piazza nessuno ci andrà e se nessuno ci sarà si potrà ascoltare solo il silenzio. Ed il silenzio talvolta aiuta la meditazione ma non è, in media, espressivo in modo inequivocabile . E, a meno di avere poteri divinatori, difficili diventano le risposte quando si fatica a comprendere le domande. Lo sanno da secoli infiniti gli studenti di tutto il mondo che non a caso sono gli inventori dell'empirica: «Mi ripeta la domanda».
Già, neosegretario del Pd, se proprio non le piace andare in piazza, che quando era sindacalista invece lì ci si divertiva come un matto, dove ci si deve riunire? Alla bocciofila? ma è solo per anziani, ai giardinetti? ma lì si incontrano solo mamme con bambini, al circolo della caccia? meglio non provocare quelli che hanno in mano doppiette, al circolo del bridge? ma i frequentanti hanno altri punti di riferimento, al bar? neanche lì, si disturberebbero i giocatori dei video poker. Insomma dove? Meglio evitare le sezioni che sono deserte e i mercati rionali che si disturbare gli ambulanti. In alternativa non resta che attrezzarsi con strumenti più sofisticati tipo i sondaggi, che però dicono della sfiducia nei partiti e nei loro dirigenti, o ascoltare le varie trasmissioni di “microfono aperto” che le radio trasmettono a gogò, ma non danno l'idea di quante siano le persone che condividono la singola affermazione, c'è anche la rete ma ma l'ha già occupata Grillo e parrebbe di scimmiottarlo o per ultime ma non ultime rimangono le esperienze metafisiche od esoteriche come la lettura dell'oroscopo della signora Letizia, il ricorso al mago Otelma, i riti voodoo o la decifrazione dei fondi del caffè. 

 Ci si potrebbe applicare anche l'analisi delle interiora di montoni, capri e vittime sacrificali ma l'usanza è caduta in disuso e poi gli animalisti non approverebbero. E questi in genere votano a sinistra, sarebbe meglio non perderli. Almeno loro. La speranza nell'illuminazione dallo spirito santo potrebbe essere un'altra opzione ma il sistema è stato brevettato da un'altra parrocchia. E poi lo spirito in questione, viste le vecchie ruggini del passato, potrebbe pure fare scherzi da prete, che avere nel partito Letta, Franceschini e Fioroni non è garanzia sufficiente. Senz'altro al momento si sconsiglia il ricorso alla danza della pioggia viste le attuali condizioni atmosferiche. Che un po' di sole non farebbe male. 
Quindi: se non in piazza, allora, dove?

giovedì 16 maggio 2013

Quanto è bravo Ivan Scalfarotto: sì ai diritti dei gay. Ma solo se sono della casta

Il Belpaese è bello proprio perché è vario e ci si può trovare di tutto ed anche il suo contrario. Perché la differenza tra atteggiamenti e comportamenti è abissale. Perché la distanza tra politica e società si allarga ogni giorno di più. Perché si è tutti d'accordo nel dire che non è vero che i politici sono tutti uguali ma poi trovar le differenze è lavoro da rabdomanti.


Ivan Scalfarotto è gay e questo è un fatto suo. Ivan Scalfarotto convive con Federico e anche questo è un fatto suo.
Purtroppo in Italia non c'è una legge che regolarizzi le convivenze tra gay e questo è un fatto di tutti. Peraltro nel Belpaese non c'è neppure una legge che regoli le convivenze, anche quelle tra eterosessuali e qnche questo è un fatto di tutti.
Ivan Scalfarotto dopo un passato da bancario, si è occupato anche dell'ufficio del personale, è approdato alla politica e anche questo è un fatto suo. Ivan Scalfarotto è vicepresidente del Pd ed è stato eletto deputato, metodo porcellum, e questo è un fatto che riguarda gli elettori di sinistra. E un pochino anche tutti gli altri visto che tocca a lui e a quelli parlamentari come lui di fare le leggi. Ivan Scalfarotto appoggia il governo Letta e questo è un fatto che riguarda tutti. Bene.
Ivan Scalfarotto alla sua prima esperienza in parlamento ha scoperto, ma lo si sa da tempo, che tutto quanto non è consentito ai conviventi che bazzicano la gente comune è consentito hai conviventi dei parlamentari. E per sovrammercato anche a quelli dei giornalisti.
E quindi qual è la prima cosa che fa Ivan Scalfarotto? Far sì che anche il suo convivente abbia gli stessi benefici di tutti gli altri conviventi dei politici. Della casta direbbero Stella e Rizzo. Eh sì, definiscesi casta un gruppo sociale chiuso. Che magari gode di particolare privilegi. Buffo è pensare che casta ha la stessa radice di casto cioè puro. E la purezza della italiana casta per eccellenza è tutta da ridere.

Quindi dopo queste mirabili scoperte che fa Ivan Scalfarotto? Indovinare quale delle tre alternative Ivan Scalfarotto ha scelto:
a) presenta proposta di legge per abolire il privilegio
b) presenta proposta di legge perché la normativa sia estesa a tutti i cittadini italiani. Non importa di che orientamento sessuale.
c) chiede che il suo compagno abbia lo stesso trattamento dei conviventi etero dei deputati. E si ferma lì.

Pochi ci crederanno, avendolo sentito parlare in tv e intervenire nella direzione del Pd: ha scelto la terza.
Bizzarro vero? Si è comportato come qualsiasi altro. Magari di destra. Ha sistemato le cose sue. E nel modo più semplice, da burocrate: ha fatto domanda. Così come in banca si fa domanda per avere un estratto conto o il libretto degli assegni o magari un mutuo, che però di questi tempi viene concesso a pochissimi, magari solo a quelli della casta politica come le cronache hanno riportato.. E a tassi agevolati. E dopo la domanda il versamento di una piccola quota, che Ivan Scalfarotto ha immediatamente versato.. Tutto a posto e, direbbe uno che la sa lunga, niente in ordine.

Eh già, perché mentre Ivan Scalfarotto sistema la questione del suo convivente centinaia di migliaia di conviventi deboli, che sono per la gran parte donne non hanno nessun paracadute se si ammalano o si infortunano o gli succede qualsiasi altra cosa o se il loro compagno muore. Non hanno diritto alla assistenza sanitaria, a stare vicino al compagno malato, alla reversibilità della pensione o, giusto come ulteriore esempio, alla legittima in caso di eredità e a nessun altro diritto concesso alle mogli. Beate.

Tra le tante di discriminazione ne sa qualcosa la signora Adele Parrillo che ha convissuto per sei anni con Stefano Bolla, uno dei morti di Nassiria. Ha in ballo un paio di cause presso la Corte europea di Strasburgo contro lo Stato Italiano, perché nulla le è mai stato riconosciuto. Neppure la invitano alle retoriche celebrazioni. Bazzecole diranno i parlamentari. Loro sì, che se ne intendono.

Eh già, perché altro fatto bizzarro la questione del convivente di Scalfarotto è stata messa ai voti in Parlamento. Hanno votato a favore il Pd e il Pdl e Sel, cattolici sparsi nei vari schieramenti inclusi. 
Nessuno né la Bindi né Fioroni, né i movimentisti della vita e della morale bacchettona sembra che abbiano avuto da ridire. E non certo perché, come i maliziosi potrebbero pensare si è trattato di uno di loro. Uno della casta. Unico voto contrario quella della Lega, ma questi sono refrattari al buon senso.
Certo viene difficile pensare che ci siano delle differenze e non siano tutti uguali una volta arrivati a sedersi sui quegli scanni. Che essere dei rabdomanti per trovarle, le differenze, certo non è bello.

O forse sì le differenze stanno negli atteggiamenti ma quel che conta sono i comportamenti. E dire che solo il giorno prima quel Rodomonte di Renato Brunetta aveva urlato all'indirizzo della presidente della Camera Laura Boldrini: «Io chiedo a lei Presidente Boldrini ha due pesi e due misure nella solidarietà? Ha due pesi e due misure? Questo non è consentito a nessuno»?
Parole che in linea di principio ed estrapolate dal digrignante contesto brunettiano, che lì erano strumentali, comodamente stanno anche nella bibbia e nei vangeli. Tanto per dire.
Già non è consentito a nessuno avere due pesi e due misure vero onorevole Ivan Scalfarotto?
By the way questa sua personalissima vittoria onorevole Scalfarotto quanto costerà al Pd in termini di credibilità, immagine e voti. Vera delusione. 
Che forse per essere differente ci vuole effettivamente altra stoffa. E anche questo è un fatto che riguarda tutti.

mercoledì 15 maggio 2013

Renato Brunetta (come Putiferio) va alla guerra.

Nel suo intervento alla Camera il capogruppo del Pdl ricorda la formichina Putiferio che combatte le cattive formiche rosse. Nella storia di Putiferio si possono ritrovare elementi dell'attualità politica. Nel film la fregatura finale non è compresa. Nella vita reale invece capita spesso.

La grinta di Brunetta
Accidenti che grinta, Brunetta. Renato Brunetta. Per intendersi, il presidente del gruppo Pdl alla Camera dei Deputati. Certo, già si sapeva di quanto, Brunetta Renato, potesse essere vivace ed esuberante e squillante ed acceso. E altro ancora. Talvolta mancano gli aggettivi appropriati per definirne gli atteggiamenti e i comportamenti quindi ognuno può fare riferimento ai propri paradigmi. Non poche volte in passato Brunetta ha dato prova di sé nelle vesti di falco. In questa occasione però, nello sferrare un formidabile e, ovviamente, vibrante attacco alla Presidente della Camera, è andato al di là di ogni più rosea previsione. Nessun guerrafondaio planetario o attaccabrighe da bar sarà andato deluso dalla visione del suo intervento in Parlamento (martedì 14 maggio 2013). Ricordava in qualche misura e detto senza alcuna malizia, anzi con una certa tenerezza, un caro vecchio film d'animazione per i più piccini: Putiferio va alla guerra (1968).

Brunetta con ancora più grinta. Altro che John Wayne
Tutta l'attuale situazione politica ricorda la trama di quell'antica pellicola. Putiferio è una formichina, gialla, che combatte con passione e ardore contro le formiche rosse. Cattive e aggressive. Guarda il caso. Anche se Brunetta un po' rosso, poco, lo è stato quando militava nel Psi anche se erano i momenti in cui cominciava a sbiadire. D'altra parte i tempi passano e gli uomini cambiano. E martedì la passione e l'ardore, con tutta evidenza, agitavano, nel dire e nel fare il Brunetta, un tantino sovrappeso a dire dalle immagini trasmesse, ma non per questo meno bellicoso. Voce stentorea come lui può avere, retorica un po' retrò, vago riferimento a Shakespeare con quel ripetere «io a Brescia c'ero … io a Brescia c'ero … io a Brescia c'ero» neanche fosse Bruto a esaltare Cesare. E in più, mano battente sul banco (16 colpi in tre minuti e due secondi, in media quasi un colpo ogni dieci secondi) a sottolineare le parole ed i concetti per lui topici. Era un piacere vederlo, così impettito, proteso verso il nemico e col petto gonfio . Pronto a ricevere il fuoco (metaforico s'intende) del nemico. 
Immagine epica. Attacca il discorso rivolgendosi alla Presidente della Camera con un «deputato Boldrini», a ritorsione per essere stato a sua volta chiamato deputato e non presidente del gruppo parlamentare. 
Eroico atto trasgressivo il cui pathos è stato parzialmente rovinato dalla voce fuori campo di uno dei suoi che lo incitava con un «sei un grande Renato». Ma la flemma e l'accento suonavano come romaneschi che di eroico hanno ben poco, rotti come sono i romani all'ironico cinismo dopo duemila anni di avventure e di invasioni. Anche se altre, forse, erano le intenzioni. Di cui notoriamente sono lastricate le strade per l'inferno. Evidentemente il presidente Brunetta (si sottolinea presidente poiché giammai si vorrebbe attizzare altra tremenda requisitoria) sa qual è la differenza tra un deputato semplice e un presidente di gruppo e ci tiene a farla rimarcare. Che sia un rigurgito della lotta di classe che torna a far capolino tra le stanze del potere? 
Sarebbe sconvolgente che ciò accadesse nel partito dell'amore, taluno ricorderà questa mielosa
La PresidenteLaura  Boldrini risponde, pacata.
autodefinizione del Pdl, mentre si è agli inizi del kolossal: il governo dell'amore. Anche se,
strictu sensu, si tratta di un partuze dato che è una storia a tre. Ma d'altra parte i trascorsi di uno degli sceneggiatori non potevano non lasciare traccia su trama e personaggi. Un atto mancato direbbe uno dei bisnipoti di Sigmund Freud. Anche nella storia di Putiferio dopo la guerra e la guerriglia sboccia l'amore. È quando la piccola formichina gialla incontra il bel comandante di quelle rosse. Se i capi si innamorano ai popoli tocca far la pace e magari pure unirsi e coalizzarsi contro il nemico comune: il formichiere. Che potrebbe distruggere entrambe le formazioni. Curioso parallelo con l'attualità. Così va la vita dei corsi e dei ricorsi.

La morale del film è eticamente ineccepibile: pacifismo come substrato e condanna delle guerre. Che volere di meglio. Una sorta di pacificazione nazionale. Piccolo dettaglio: nel film manca il personaggio che è tradizionalmente vocato alla fregatura. Quello che alternativamente viene definito come l'imbroglione, il pataccaro o anche il piazzista. Nella vita reale questo c'è. Anche se nascosto, neppure poi tanto, dietro le quinte di questo governo. Il più è renderlo innocuo. 
Se gli spettatori (elettori) vorranno. Ci si augura. 

mercoledì 8 maggio 2013

Nitto Francesco Palma, presidente. Auguri alla commissione Giustizia.

Diventa presidente con il 50% della commissione che non lo vota. Determinante Scelta Civica. Il M5S vota contro. Il Pd si astiene, che è come dire che Nitto Francesco Palma non gli piace ma  non hanno il coraggio di cantarlo chiaro. Che qualche volta essere espliciti è meglio.

Nitto Francesco Palma
E così Nitto Francesco Palma ce l'ha fatta. È stato eletto presidente della commissione Giustizia del Senato. Gli ci sono volute quattro votazioni e il soccorso di quelli di Scelta Civica che, pur di farsi notare e dimostrare la propria esistenza, sarebbero disposti ad indossare il tutu e ballare il tip-tap sulle punte. Che poi è quello che, alla quarta votazione, hanno fatto con giusta e sobria diligenza. Che la sobrietà la mettono dappertutto, come fanno le massaie  con il prezzemolo.
Nitto (che è il nome) Palma (che è il cognome) ha ottenuto tredici voti sui ventisei che compongono la commissione. Fatto che non suona particolarmente bene. Dei voti mancanti uno era nullo e quattro sono andati al candidato del M5S.
Il Pd, secondo la prassi democristiana che sta caratterizzando questo suo, si spera brevissimo, ciclo di vita, ha destinato i suoi voti all'astensione. Che tradotto significa che Nitto Francesco Palma non gli piace ma che non gli va neanche di dirlo in modo forte e chiaro. Anche se lo fanno capire, chiaramente. Hanno cioè scelto la modalità peggiore dell'umiliare ma senza sconfiggere.

Che poi è più o meno quello che fece Gaio Ponzio Telesino, principe dei Sanniti, dopo aver sconfitto i Romani nella battaglia delle Forche Caudine (seconda guerra sannitica 321 a.c.) Il proto pidiessino aveva due possibilità, come da consiglio paterno: massacrare tutti i prigionieri o lasciarli liberi. In questo caso avrebbero avuto la riconoscenza e l'amicizia di Roma nell'altro le avrebbe inferto un colpo durissimo. Gaio Ponzio scelse la terza strada, quella dell'umiliazione fece passare il militi romani sotto i gioghi e poi li lasciò liberi. I centurioni se la legarono al dito e tornarono più imbufaliti che mai e vinsero la battaglia di Malevento. Che da allora si chiama Benevento.
Di motivi per non volere Palma a quella presidenza ce ne sono parecchi. Non perché non conosca la materia: è magistrato, uno di quelli non comunisti, che peraltro sono tanti e, nel 1994 è stato vicecapo gabinetto dell'allora ministro della Giustizia. Era Alfredo Biondi, giusto a memoria dei lettori che hanno superato gli “anta”. Quindi sotto il profilo tecnico magari c'è poco da dire. È sotto quello politico che invece qualche dubbietto nasce e cresce.

Nitto appartiene alla categoria dei berlusconiani cosiddetti falchi, che se lo sapessero i pennuti chiederebbero un risarcimento e quindi è uno che ha votato tutte le leggi ad personam più invereconde. Poi, va da sé si è bevuta la storia della nipote. Ma questo da quelle parti è oramai un classico. E se la memoria non inganna è stato tra i primi ad arrivare sulle scalinate del Palazzo di Giustizia di Milano per inscenare la patetica manifestazione canora cui è seguita pacifica invasione del tribunale. Atto incongruo, avrebbe detto Andreotti, per un magistrato. Così come fu incongruo l'emendamento che presentò per il ripristino dell'immunità parlamentare. Quasi subito ritirato. E fu incongrua oltreché anche stucchevole la querelle che avviò con il ministro Riccardi ai tempi del governo Monti (1). 
Riccardi parlò di “schifo” e Nitto Francesco insieme ad altri 46 si senti personalmente tirato in ballo. In realtà il ragionamento di Riccardi era assai più ampio e, in qualche misura, più profondo. Altro da dire: che è stato ministro della Giustizia ma non si ricordano danni particolari, anche perché lo fu da fine luglio a metà novembre 2011. Considerato che di mezzo c'era agosto sono stati soli due mesetti scarsi. E ogni cosa richiede il suo tempo: anche le tavanate.

Come parlamentare è alla terza legislatura e non pare avere un grande curriculum: nell'ultima è stato più fuori che dentro. Il Senato. Gli piacevano le missioni che gli hanno occupato il 74% del tempo e per un altro 9% è stato assente. Insomma non ha gravato sulle spese della bouvette e sui servizi generali.
Come presidente della commissione Giustizia forse durerà un po' di più e questo potrebbe essere un problema sempre che quelli del Pd non si schiariscano le idee, si diano una mossa e si decidano a fare politica. Che in fondo. ah ricordarselo, son lì per questo.

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lunedì 6 maggio 2013

Ius soli, ius sanguinis. E se fosse solo ius cum grano salis?

Chissà perché gli stranieri vogliono diventare cittadini italiani. Forse per snobismo? Forse per vantarsi con gli amici di essere connazionali di Gasparri o di D'Alema? Come dovrebbe essere il cittadino italiano ideale? Secondo quale ius si dovrebbe ragionare

Il fatto è stranoto e se ne parla da molto tempo prima che la dottoressa (laurea in medicina con
Mario Balotelli e Cécile Kyenge: due italiani 
specializzazione in oculistica) Cécile Kyenge assumesse la carica di ministra (termine cui siamo meno adusi e quindi suona un po' strano) o ministro dell'Integrazione: chi nasce in Italia è italiano oppure no?
In realtà in prima battuta verrebbe da rispondere: dipende.
Già, dipende, ma da cosa? Anche qui, sempre in prima battuta e assolutamente spontanea, la risposta potrebbe essere del tipo: «Se è persona di buon senso, onesta, tollerante e magari anche affabile: sì. Se invece si tratta di un buzzurro di dura cervice retrogrado e per di pù sgrugno: no. O, per essere diplomatici: sarebbe meglio di no.»
Aspirazione di alto profilo ma purtroppo inapplicabile. E questo per due ordini motivi: il primo è che la cittadinanza si dà alla partenza del viaggio e quando nascono i bimbi, tutti o quasi (perché alcuni sono brutti fin da allora), paion belli e ricchi di speranza e poi non si sa come vanno a finire e alcuni si guastano col crescere. Il secondo é che, comunque, gli altri paesi del globo terracqueo ad avere il monopolio dei cretini non ci stanno. Non solo, ma fanno di tutto per diluire la loro quota di mercato nel settore. Quindi, qualcuno e negli ultimi tempi più di qualcuno, lo lasciano pure all'Italia. Anche perché come sostiene il mai troppo lodato Carlo M. Cipolla nel suo celeberrimo The Basic Laws of Human Stupidity la stupidità è merce sommamente e disgraziatamente democratica. E da tempo immemorabile si distribuisce equamente per sesso, età, razza, nazionalità, condizione sociale, eccetera, eccetera. eccetera. 

Anzi, il Cipolla sostiene che se si riunissero in una stanza una decina di premi nobel anche lì si troverebbe la solita quota parte di cretini..
Pertanto quella suindicata non è una discriminante, ahinoi, per essere italiani. Allora si potrebbe ripiegare su qualcosa di un tantinello più semplice e meno qualitativamente impegnativo del tipo è italiano chi nasce in Italia. Che la giurisprudenza chiama questo fatto ius soli. Soluzione però troppo facile e troppo comoda. Dice qualcuno. Vuoi mai mettere che ci sia chi abbia voglia di avere un figlio italiano solo per poterlo esibire e per snobismo? O per vantarsi con gli amici di avere un figlio che è connazionale di Gasparri o di D'Alema? Che magari dalle sue parti avere un figlio italiano fa pure chic. Vista, soprattutto, la reputazione che gli italici hanno in giro per il mondo. Allora la discriminante diventa quella del sangue o ius sanguinis che tradotto significa che è italiano solo chi nasce da italiani che sono nati da italiani che sono nati da italiani e così via. 

Che poi sarebbe come dire che Napoleone Bonaparte era italiano, invece lui pensava di essere francese, ed ha pure esercitato il mestiere di imperatore. Dei francesi, per l'appunto. E che anche Fiorello La Guardia era italiano anche se è stato sindaco di New York, e lui pensava di essere americano, o per venire a oggi che Elio Di Rupo sia italiano sebbene i belgi lo considerino uno di loro e già che c'erano lo hanno eletto primo ministro. Che poi parlare di sangue italiano con tutte le invasioni subite e i mix che in allegria si sono consumati lungo lo stivale ci vuole una bella fantasia. Visto che ci sono siciliani dai capelli rossi come fossero irlandesi, pugliesi biondi come i burgundi e trentini scuri come dei turchi. E se si introducesse un nuovo tipo di ius quello cum grano salis, ad esempio? Qualcosa del tipo che una ragazzina o un ragazzino che nasce o vive in quel di Brescia, tanto per fare un esempio, e parla il dialetto bresciano e magari pure la lingua nazionale e che per soprammercato va a scuola da quelle parti sia italiano a tutti gli effetti. Anche se non si chiama Mario Balotelli.
Il problema forse sta tutto nel definire la quantità di grano salis da inserire nello ius. E su questo punto non tutti quelli che siedono in parlamento paiono attrezzati.

giovedì 2 maggio 2013

Ecco il Primo Maggio: su coraggio - 2*

Berlusconi vuol far massaggi. Alleanza e ricatti. Gasparri bacia mani. La canzonetta di Silvio spopola anche tra i politologi. Ci son poltrone da spartire. Mario Monti va in trattoria. D'Alema ha già dato. Complimenti a Mussolini. Flatulenze padane. La vigiglia del primo maggio in nove quadri.

Le giornate che precedono il Primo maggio di solito sono ricche di eventi e di dichiarazioni, il più delle volte ridicole e risibili. Tentano magari inconsciamente di togliere visibilità e importanza alla festa del lavoro e dei lavoratori. Il fatto che spesso ci riescano è uno dei drammi di questa epoca disperata. Perciò, infatti, da anni, si canta «Primo Maggio, su coraggio». Che ce ne vuole parecchio, di coraggio, per andare avanti. E' accaduto lo scorso anno quando Brunetta, La Russa, Lupi e Tremonti (chissà che fine ha fatto il megasuperministro che tutto già sapeva e già prevedeva) attaccarono il premier Mario Monti (1), che allora vestiva i panni del salvatore-della-patria. Poi, come si sa, le mode passano. E' accaduto ai tempi di Scajola, chi si ricorda più di lui? che non voleva essere considerato uno preso con «il sorcio in bocca» (2). Quest'anno si è andati addirittura meglio. Sale la quantità e anche la qualità degli eventi. Gulp!
1. Berlusconi e i massaggi. Tranquilli nulla a che vedere con olgettine et simila. I massaggi questa volta Berlusconi li vuole praticare al Pd, neo alleato di governo. L'antefatto (3) : il cavaliere dalla bocca larga durante una trasmissione televisiva si autocandida alla presidenza della non ancora istitutita Convenzione per le riforme costituzionali. Ambisce a diventare un padre costituente. Che dire? Naturalmente la cosa non è piaciuta ad alcuni del Pd e il capo del Pdl lo sa e allora per rimediare alla intempestiva dichiarazione dice:« Adesso sarà necessario un adeguato massaggio a qualcuno di loro». Che è un bel dire politico. Chissà chi saranno i massaggiatori . Auguri, detto senza malizia, ai massaggiati.
2. Alleanze e ricatti. Il giovane governo del giovane Letta Enrico, ha fatto appena in tempo ad ottenere la fiducia del Senato che già è stata presentata dal Pdl per dirla da in positivo, la prima cambiale. O il primo ricatto. Letta dice «L' Imu di giugno è sospesa» e subito Berlusconi ribatte «Via l'imposta o noi non ci stiamo». Gli fanno eco Brunetta, che chiede anche il rimborso dell'anno precedente e dichiara di avere una golden share sull'esecutivo. Chissà se Napolitano se ne è accorto. Poi hanno parlato, digrignando i denti, i soliti altri da Gasparri a salire. Cosa vuol dire fare alleanze tra pari. (4)
 
3. Gasparri il galante. Forse per rimediare al primo strattone dato al Pd Maurizio Gasparri ha voluto fare il di più e quindi si è esibito, in piena aula del Sanato, in un galante baciamano (5). La fortunata è stata Anna Finocchiaro. Ognuno ha i baciamanisti che si merita. Che, senza voler fare raffronti che sono più che blasfemi, viene difficile immaginarsi Nilde Jotti accettare un simile gesto da parte di Giorgio Alminrante. Forse che questi sono i massaggi cui faceva riferimento Berlusconi? Buon divertimento.



4. La canzonetta di Silvio. Il motivetto “meno male che Silvio c'è” sta spopolando anche fuori dal Pdl, Adesso lo fischietta pure Giovanni Sartori. Chi l'avrebbe mai detto. Nell'ultimo editoriale ha scritto: «Meno male che Napolitano c'è. Meno male che ci sono due Letta, tutti e due bravi (uno a destra e uno a sinistra).» Dimentica il politologo Sartori che quello di destra è stato lo spin doctor di quel tal Berlusconi Silvio i cui governi si sono distinti per aver approvato leggi ad personam, fatto compravendita di parlamentari e condotto il Paese sull'orlo del baratro. Giusto per non voler cercare il pelo nell'uovo. E quell'altro di sinistra non è mai stato. Semmai di centro. Poi, per chiudere in bellezza il suo pezzo, si è dedicato a Gaetano Quagliariello neoministro delle Riforme costituzionali. Lo ha definito «La persona giusta al posto giusto.» Anche qui la memoria fa cilecca. Magari se Sartori andasse a rileggere quanto ha scritto in precedenza ne trarrebbe di vantaggio.
5. L'amor di patria e le poltrone. Ora che con grande celerità è stato regalato a Enrico Letta quel che fu negato a Pier Luigi Bersani, cominciano le trattative sui posti. È già. Un conto son gli ideali anime 'e core e un conto la pagnotta per cui caccia aperta a 68 poltrone più due. Di queste 40 sono destinate ai sotto segretari e 28 ai presidenti di commissione. Due sono quelle seminascoste una fa riferimento a Informazione e sicurezza, gli 007 per intenderci, e l'altra è quella di capo gabinetto del ministero dell'Economia. Se si volesse veramente il bene del Paese ci vorrebbe gente nuova. Competente e magari pure di prima nomina. Ma forse «più dell'amor potrà il digiuno.»
6. Supermario Monti. Ora ex. L'algido ex salvatore-della-patria è stato allegramente scaricato da tutti quelli che lo hanno esageratamente osannato in precedenza.
Pare che la sera in cui ha dovuto mollare il posto da premier che, a suo dire, mai gli è piaciuto, sia andato in trattoria con la signora Elsa e lì sia stato avvicinato da un ragazzino di undici anni che, e qui il condizionale è di rigore viste le frequentazione di supermario con le agenzie di pr, gli avrebbe chiesto: «Ma lei è triste a non avere più un lavoro?» (6) Al che il sobrio per antonomasia ha risposto: «È un po' come quando finisci la scuola, ti dispiace ma finalmente fai anche un po' di vacanza. » In realtà il bocconiano ha dimenticato di dire che sì ha perso il lavoro, come tanti, ma non lo stipendio. Come forse solo lui. Lui infatti si è premunito di un seggio da senatore a vita. Che in un solo mese rende uno stipendio pari a quanto il brigadiere dei carabinieri Giangrande guadagnava in dieci. Straordinari inclusi. Complimenti a Gian Mario Stella per essere stato così tempestivamente vicino al tavolino dell'ex presidente del consiglio da poter cogliere la scenetta da libro Cuore. Ci mancava.
7. D'Alema ha già dato. Nonostante il 30 aprile non fosse giornata di festa D'Alema Massimo ha ammolazzato l'ennesima intervista (7). Naturalmente a tutto campo. Certo che avere un'opinione su tutto richiede un bello sforzo. C'è chi può e lui può. Tra le tante colpisce una risposta. Alla domanda: «Lei parla di legge elettorale perché dovrebbe far parte della convenzione...» la replica è sibilante: «Non intendo far parte di alcuna convenzione, io ho già dato...» Anche qui una vaga nota di smemoratezza. Forse intendeva dire ho già avuto. O forse preso. Ché, per dire delle più note, dalle sette legislature italiane, più quelle al parlamento europeo, più la presidenza della Bicamerale, più due presidenze del Consiglio, più il ministero degli Esteri, più la recente presidenza del Copasir quando ancora allo stipendio da parlamentare si sommavano le indennità per le altre cariche in qualche modo qualcosa deve pur aver ricevuto. Perché adesso non si quieta e cerca di prendersi quella laurea che mancò in gioventù? Oppure continui a portare a spasso il suo bel cane. Ma forse anche quello si rifiuta.



8. Complimenti a Mussolini. Il livello è così basso che tocca dare enfasi ad un atto che in posti normali passerebbe come normale. E nessuno se ne accorgerebbe. Nel Belpaese invece si guadagna una bella e grande foto sui giornali.: la senatrice Alessandra Mussolini, in piedi, saluta la neoministra dell'Integrazione Cécile Kyenge, seduta (8). Che questa è solo semplice buona educazione. La si insegna ai bimbi. Molti la perdono da adulti.
9. Flatulenze padane. Della neoministra dell'integrazione hanno parlato anche Borghezio, Salvini e Zaia. Bel trust di cervelli.


Il Primo Maggio è la festa dei lavoratori non delle corbellerie. Magari ricordarselo.

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* analogo titolo fu usato il 1 maggio 2010. Allora i protagonisti furono Scajola (di cui adesso pochi si ricordano) e altri tre: Bersani, Berlusconi D'Alema che, ancora per il momento, calcano il palcoscenico della politica italiana. Si spera che per tutti e tre siano, politicamente parlando, le ultime battute. http://www.ilvicarioimperiale.blogspot.it/2010/05/scaloja-bersani-berlusconi-dalema-1.html

(1) il giornale 30 aprile 2012; Corriere della Sera 30 aprile
(2) Corriere della sera 1 maggio 2010
(3) Corriere della sera, 30 aprile 2013, pag. 12, Francesco Verderami, Bersani apre al semipresidenzialismo.
(4-5-6-7-8) Corriere della sera, 1 maggio 2013,