Ciò che possiamo licenziare

sabato 27 aprile 2013

Adesso si corre in soccorso del perdente. In Italia vacillano le certezze

Ormai il mondo è cambiato: non si corre più in soccorso del vincitore ma del perdente. Ci voleva un ex comunista migliorista per prendere la decisione più dadaista del momento. Anche se resta pur sempre valido il detto che tutto cambi perché nulla cambi.

Fino a poco tempo fa in Italia c'erano poche ma ben salde certezze. 
Ad esempio che la madre dei cretini sia sempre incinta, che esistessero le convergenze parallele, che è meglio tirare a campare piuttosto che tirare le cuoia, e poi anche che fin che la barca va lasciala andare e anche che a non pochi l'insuccesso gli ha dato alla testa.
A quest'ultimo aforisma molti devono aver pensato quando hanno visto danzare con sfrenata passione il fard che ricopre il faccione di Silvio Berlusconi. Raggiante ed entusiasta per aver perso più di dieci milioni (diconsi dieci milioni) di voti. Ma tant'é. 
Se con simil risultati son felici lui e la Santanché perché disilluderli.

Certo, si saran detti i più, adesso bisogna correre in soccorso del vincitore. Che anche questa è un' altra italica fondamentale certezza. Peraltro praticata con pervicace ostinazione e bronzea faccia da diverse centinaia d'anni. Certo che se gli aforismi si potessero commercializzare, l'Italia avrebbe il bilancio più florido di tutto il pianeta. E di tutti i tempi. Record ineguagliabile. Con la sicurezza che neanche i cinesi, che pure qualche esperienza in questo campo ce l'hanno, potrebbero raggiungere per quantità e valore il fatturato del Belpaese.
Però il 25 febbraio ultimo scorso accade un fatto nuovo, inaspettato, rivoluzionario, sovvertitore del senso fino a quel momento ritenuto comune : si può arrivare primi ma non vincere. Pierluigi Bersani docet. Scoramento nelle masse. Scoramento nei poteri forti. Scoramento, ma meno, nella Cei. I vescovi, che hanno alle spalle storia lunga e occhio ancor più lungo per il futuro, non si sono mai fatti impressionare dalla cartella degli imprevisti. 
Forse il Monopoli l'ha inventato uno di loro e deve aver introdotto il blocchetto delle probabilità solo per aiutare i novizi. E poi scoramento anche tra i clienti dell'ortolano dietro casa. Forse gli unici sinceramente scorati.
Sull'onda dell'emotività il giovane vicesegretario del Pd e attuale presidente del Consiglio incaricato, Enrico Letta, parla di immediato ritorno alle urne (1), poi,rimbrottato dai maggiorenti del partito, twitta che no. Meglio aspettare. E questo, con altri simil carini episodi, la dice lunga sulla sua credibilità ed autorevolezza. Sic transeat.

Così di attesa in attesa, che come ridere sono passati cinquanta e più giorni (definiti drammatici, non a caso il melodramma è nato da queste parti) e di fesseria in fesseria, che la dirigenza del Pd in materia potrebbe tenere un master pluriennale al Mit di Boston, si arriva al redde rationem.
Quindi che fare? Giorgio Napolitano che fin da piccolo ha studiato Lenin, e forse addirittura in lingua originale, ha un soprassalto di rivoluzionarietà e lancia la parola d'ordine che sovverte una delle poche certezze della nazione: correre in soccorso del perdente. E lasciar cadere quello che è arrivato primo. Da queste parti non s'è mai visto. Ci voleva proprio un ex comunista, per giunta migliorista, per prendere una decisione che più dadaista non si può. Rivoluzionari, quando lo si è stati una volta, anche se solo per cinque minuti, lo si rimane per sempre.
 aiutare i perdenti e gli ultimoi
Certo aiutare i perdenti e gli ultimi è da buoni socialisti (figurarsi se ex comunisti) e anche da cristiani. Il buon samaritano questo ha fatto. E anche san Martino non ha forse diviso il suo mantello con il povero? E di là dal Tevere non c'è un nuovo papa che si rifà a san Francesco di cui ha preso il nome? D'altra parte come non sentirsi il cuore struggere per chi dopo aver avuto tutto o quasi ha perso tutto o quasi. Sono i casi di questo tipo quelli più gravi e difficili da sopportare. Se uno passa da un piccolo stipendio a nulla certo ne ha un trauma ma da poco a nulla il passo è breve. Mentre invece il salto è grande per chi ha disposto di tanto potere e poi si trova a non averlo più ed essere considerato marginale. È un trauma. Da almeno un migliaio di  sedute psicanalitiche. Come non pensare a tutto questo. E quindi di corsa ad aiutare il perdente.
Per questo a metà dell'800 furono fondate le società di mutuo soccorso: aiutare i perdenti. Ovvio
E così quello che ha perso più di tutti, sia in percentuale sia in numeri assoluti e che ha visto ridursi drasticamente la sua pattuglia di deputati e senatori, che ha dovuto lasciare a casa avvocati e vecchi collaboratori, quello che temeva di essere finito in un angolo e che era disposto addirittura ad accettare il governo presieduto dall'avversario più avversario (almeno a parole) è quello che adesso mena la danza. E lo fa con cipiglio e man mano che le ore e i giorni passano riprende coraggio e si fa anche arrogante e detta condizioni. E molti a gongolare. Per alcuni, addirittura, si riapre l'opportunità di riprendersi il solito strapuntino in politica. L'importante è che la sera tornando non si mettano a picchiare il loro orsacchiotto. Questo non sarebbe bello, pure se qualche sospetto su qualcuno c'è.
Comunque almeno una piccola certezza rimane: bisogna che tutto cambi perché nulla cambi. E se ne ha l'ennesima riprova.

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mercoledì 24 aprile 2013

Francia: matrimonio omosessuale tra banalità e scandalo.

La maggioranza del parlamento francese ha approvato il nuovo articolo 133 del codice civile che recita: «Il matrimonio è contratto tra due persone di sesso opposto o dello stesso sesso». Non sembra una gran notizia. Anche se c'è un po' di scandalo.

E così anche la Francia è arrivata alla conclusione che gli omosessuali sono uomini e donne come tutti gli altri bipedi che calcano il globo terraqueo e come tali hanno i diritti di tutti gli altri.
Bene. Ma anche male. 
Già perché a scriverla così pare una notizia che sta tra il banale e lo scandaloso. E tutto sommato non è una gran notizia.
La banalità sta nel fatto che se lo si chiedesse ad un bimbo e ad una bimba di quattro anni entrambi risponderebbero che è ovvio che tutte le donne e tutti gli uomini del mondo sono uguali. E solo per il fatto di non aver ancora svolto studi di diritto, ma avranno abbondante tempo per scoprire che una cosa è la legalità ed un'altra è la giustizia, non aggiungerebbero che l'uguaglianza vale a prescindere dalla nazionalità, dal colore della pelle, dalla religione, dalla classe sociale, e perché no, anche dall'orientamento sessuale.

E magari i due bimbi per portare argomentazioni alle loro ragioni con tutta la semplicità di cui sono abilissimi gestori e senza scomodare i massimi sistemi della filosofia, del trascendente e dell'immanente, potrebbero dire che tutti hanno occhi. E poi anche aggiungere che tutti hanno mani, organi, statura, sensi, affetti e passioni. Che tutti si nutrono di cibo. Che tutti sentono le ferite. Che tutti sono soggetti ai malanni e sono sanati dalle medicine. Che tutti sono scaldati dall'estate e gelati dall'inverno. Che tutti se vengono punti danno sangue. E ancora che tutti, se gli vien fatto il solletico, ridono. E che se gli capita di avvelenarsi muoiono. E tutte queste sono, oggettivamente, considerazioni di grande banalità o se proprio-proprio si vuol far la parte di quelli che han studiato si potrebbe aggiungere che quelle elencate dai due bimbi sono, mal contate, dieci prove ontologiche del fatto che le donne e gli uomini di tutto il mondo sono del tutto uguali.
Da notare che sant'Anselmo da Aosta per dimostrare la sua tesi sul divino di prove, ontologiche, riuscì a metterne insieme solo cinque.

E certamente i due rimarrebbero stupidi e non capirebbero se ascoltassero, ma per fortuna loro non ne sono costretti, le argomentazioni di Carlo Giovanardi che grosso e irruente com'è magari li spaventerebbe almeno un pochino o quelle di Paola Binetti che secca e pure un tantinello arcigna com'è, senz'altro non li metterebbe di buon umore.
Agli adulti invece questi due e un bel numero d'altri tocca un po' ascoltarli e un po' sentirli. Ma, dopo il primo impatto, sgradevole, li si lascerebbe pure perdere se non fosse che hanno, inopinatamente, qualche grammo di potere e che con questo possono amareggiare la vita di non pochi.
E fin qui la banalità.

Lo scandalo sta nel fatto che la Francia arriva a questo appuntamento come quattordicesimo paese. Preceduta da Spagna, Portogallo, Argentina e Uruguay che son paesi con non vantano di certo antiche tradizioni di liberalità e laicità. E neanche il passato del Sudafrica ha molto da insegnare in materia. Eppure questi stati, in compagnia di altre diverse democrazie nordiche, ma qui è un po' più facile, ci sono arrivati prima.
 Oddio meglio quattordicesimi che quindicesimi o addirittura fuori classifica. 
Come nel caso dell'Italia.
E dire che la douce France qualche idea in merito all'uguaglianza, alla libertà e alla fratellanza l'aveva avuta con largo anticipo. Peccato perdere certi primati. 
Ora il nuovo articolo 133 del codice civile francese recita: «Il matrimonio è contratto tra due persone di sesso opposto o dello stesso sesso». Certo sarebbe stato meglio e ancor più neutro se la dicitura fosse stata: «Il matrimonio è contratto tra due persone che si vogliono bene». Che la seconda parte non sempre è data per scontata.
Strano che poi proprio quelli che si dicono liberali e liberisti siano tra i più fermi oppositori. Che chiamarli illiberali è poco.

Ps. probabilmente il Signore che nel cinquecento ha scritto con diversa prosa, ma poi neanche tanto, quelle dieci prove ontologiche sull'uguaglianza doveva essere circondato da bambini.  

martedì 23 aprile 2013

L'inciucio: cos'è, come, quando e chi lo fa.

Nuove parole affollano la lingua italiana: da vaiassa a inciucio. Inciucio è, al momento, quella più gettonata. Inciucio è l'atto e inciucista è chi lo compie. Parola onomatopeica che richiama il ciuccio dei bimbi ma dice anche di vergognose pratiche. Nel 2002 in parlamento il manifesto dell'inciucismo.


Quella italiana è, senz'altro, una delle lingue più generose, accoglienti e creative.
D'Alema usò per primo il termine inciucio, 1995
Generosa perché quasi ogni parola gode di almeno tre sinonimi (sedia, seggiola, sedile, seggio, posto) e accogliente perché ha la capacità di assorbire con estrema facilità parole estere sia nella loro forma originale (zapping) sia nella loro declinazione italica (download diventa daunlodare cioè scaricare da internet). Creativa perché sa stare al passo coi tempi e con le situazioni più vivaci e immediatamente, conia vocaboli nuovi come svalvolare per dire di uno che è fuori di testa, o divorziandi per chi lo ambisce e ancora non lo è o pensionandi per chi magari già dovrebbe, ma ancora non c'è riuscito ed è pure a rischio di raggiungerla mai, la pensione.  
Ovviamente tra le nuove parole non possono mancare quelle che derivano dal gergo della politica che quindi si qualificano come di destra o di sinistra. Ahinoi.  

La nuova edizione del dizionario Zingarelli, annata 2013, non poteva pertanto mancare dal riportarne le novità e quindi ecco emergere, da destra, vaiassa leggiadra ed esplicativa espressione con cui l'on. Mara Garfagna ha gratificato la collega di schieramento Alessandra Mussolini, noblesse oblige. Mentre da sinistra spunta inciucio parola che, di solito, giornalisti linguacciuti riferiscono a quanto pensa o sta per fare D'Alema Massimo, anche se non più parlamentare. Di tanto in tanto un colpo di fortuna. Pare che lui, sempre a quanto dicono i maligni giornalisti, sia un grande estimatore dell'atto medesimo. Inciucio, come anche vaiassa del resto, attinge e rafforza il suo significato anche dal suono stesso del vocabolo. Vaiassa, sarà per la reirerata emissione della vocale “a” e per l'immediato raddoppio della “s” ha un che di sguaiato e di volgarmente plebeo. Che forse questa era l'intenzione. Forse.
E' in atto un nuovo inciucio?
Inciucio, per parte sua, ha un suono grasso, untuoso e trasmette una sensazione di lubrica indecenza. Sprigiona oralità. Sarà perché nel pronunciarlo la vocale che la fa da padrona è la “u” che costringe le labbra a protendersi in avanti e a stare in quella vergognosa postura (a mo' di sedere di gallina si potrebbe dire) per tanto tempo, fino alla emissione di tutto il fiato. Modo scurrile e anche un po' osceno. E questo senso di volgarità coglie anche chi non ha mai incontrato il vocabolo e lo sente per la prima volta. E così è, infatti.
Semanticamente pare che la parola inciucio affondi le sue radici nel dialetto napoletano e faccia  specificatamente riferimento a ciu-ciu il chiacchierare a bassa voce di due persone che, solo per eccesso di malignità, si dicono spettegolanti su cose vergognose. Il suono richiama in qualche modo anche il ciuccio, quel simpatico attrezzo di sostanziosa gomma che le mamme piazzano in bocca ai bimbi durante il periodo della dentizione e soprattutto quando li vogliono far star tranquilli. Oggetto ludico-ricreativo con funzione calmante, di mediazione
Fare un inciucio richiama dunque al raggiungimento di un compromesso che l'onomatopea fa di natura sconveniente e vergognosa. Qualcosa di cui è bene non dire a voce alta e di cui non è bello raccontare in giro i dettagli. Qualcosa che avviene di nascosto anche se tutti ne sospettano o addirittura conoscono forma e sostanza ma che corre sottotraccia, che non si vede. Ché non si deve vedere alla luce del sole. Sostanzialmente si fa ma non si dice.
In politica l'inciucio viene praticato quando non si ha visione, strategia, posizionamento preciso, forza propositiva e capacità di sorta. È la trascrizione in chiave moderna, dato che nulla si crea e nulla si distrugge, del vecchio adagio contadino che “una mano lava l'altra” . Comportamento che nei mercati i peggio sensali mettevano in pratica laddove ognuna delle due parti aveva magagne da nascondere e da farsi perdonare. Che questo in politica è invece imperdonabile. Poiché i contadini giocano del loro mentre le poste che piazzano i politici appartengono ai loro elettori. Che poi son quelli che, di solito, ci rimettono. Ma vabbé. Manifesto iconico dell'inciucio è stato il discorso che Luciano Violante, allora presidente dei deputati Democratici di sinistra- Ulivo, tenne alla Camera il 28 febbraio 2002 (1)

A otto anni di distanza svelò l'inciucio del 1994. Anche se allora venne a galla quello che fu dato ma non quello (magari il quanto, detto senza malizia) che si ricevette in cambio.
Chi pratica l'inciucio vien definito inciucista. L'inciucista è un animaletto antropologicamente particolare, diverso, molto diverso, da tutti gli altri che girano per i corridoi del palazzo. L'inciucista di solito sta con la testa piegata da una parte, quasi mai a sinistra. Parla facendo lunghe pause. Mediamente è ripetitivo: dice e ridice gli stessi concetti ma con parole sempre diverse, usa noiosi intercalari. Mentre il suo dire fluisce dalle labbra denso e grasso come il muco dal naso dei bambini il display che ha ben disposto sulla fronte recita”guarda come te erudisco er pupo.” È pacato, in apparenza, si definisce realista, e spesso lo è addirittura più del re, è costantemente alla ricerca del consenso universale. Quelli che sono da lui più lontani lo attraggono con la stessa forza con cui l'aspirapolvere risucchia i pezzetti di carta, vincere a maggioranza lo considera un peccato quasi mortale. Adora le alchimie, anche le più bizzarre e le tattiche più spericolate e imbarazzanti. Si pavoneggia. Il sogno della sua vita è fatto di alleanze, intese, convergenze e mediazioni, sguazza nell'ecumenismo più trito e per raggiungerlo non esita a sacrificare tutto: gli interessi della sua parte quasi sempre, mai comunque i suoi personali.
Come liberarsi dell'inciucista e dell'inciucio? Facendo pulizia, magari. Ma non è facile, pure se è da dire che di solito l'inciucista fa tutto da solo, le diaboliche alchimie che costruisce gli si avviluppano addosso e lo soffocano. E poi l'inciucista è ammalato, ovviamente, di oralità e l'oralità frenata,senza controllo, produce sfracelli. Fa ingoiare il ciuccio.


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domenica 21 aprile 2013

Che bello, in tv c'è “Napolitano 2, il ritorno”

La seconda volta di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica avrà non poche conseguenze. Tutte a carico degli italiani che subiranno la proiezione di un nuovo film drammatico e denso di non sense.

Gli attori dello psicodramma del Quirinale
E così ecco in scena Napolitano 2, il ritorno. Chissà se ci sarà pure un Napolitano 3, la vendetta e magari anche un Napolitano 4, il ricordo.
Che con i tempi che corrono nulla può essere dato per escluso.
Certo che prima di arrivare a questo risultato è stato necessario darsi un bel po' da fare ed essere creativi.
Così l'idea innovativa è stata che Franco Marini e Romano Prodi fossero prima proposti e poi impallinati come dei tordi. E una bella parte dei cosi detti grandi elettori del Pd si sono impegnati allo spasimo per arrivare a questo. Quindi, detto e fatto, dopo averli lanciati li hanno abbattuti con una precisione che Francesco Marra, l'olimpionico di tiro al piattello, se la sogna. E dire che mentre Franco Marini, detto amichevolmente l'orso marsicano per le sue origini abruzzesi, affrontava il fuoco con spavalda incoscienza quell'altro, Romano Prodi, se ne volava in Mali, con la speranza di salvarsi. Anche perché aveva già goduto di questa esperienza altre due volte. Ma, evidentemente, le lezioni passate non gli sono bastate e ha voluto riprovarne l'ebrezza, anche se a distanza, per la terza volta.
Ma, come dice il proverbio, non c'è due senza tre: e il risultato è stato, ovviamente, lo stesso.

Allo spettacolo messo in scena dai mille e sette grandi elettori si sono divertiti per davvero solo in due: Silvio Berlusconi e Mario Monti. E per lo stesso motivo: dopo le loro brucianti sconfitte alle ultime elezioni hanno riacquisito un ruolo. Il loro peso specifico dopo il 24 e 25 febbraio era ridotto al lumicino. Il primo aveva perso oltre sei milioni di voti mentre il secondo, che gli piace atteggiarsi a Rodomente dell'austerità , ha portato in parlamento solo quattro gatti che, oltre ad essere ininfluenti, non vanno neanche tanto d'accordo tra loro. Pur di tornare a contare Berlusconi era disposto a tutto. A dare di tutto e di più e per decenza si dice: ad allearsi con il diavolo che per lui sono i terribili comunisti e anche ad apparirne subalterno mentre l'altro, dopo aver vanamente mendicato la presidenza del senato stava scivolando nel nulla. 

C'è chi piange e c'è chi ride
Ma quelli del Pd, che hanno il cuore più tenero della Fata Turchina, li hanno salvati e rimessi in pista al prezzo della loro stessa sopravvivenza.  E poi si son messi pure a piangere. Dalla contentezza
Praticamente hanno commesso harakiri. Immolarsi per aiutare i propri avversari. Una storia così non la poteva immaginare neppure De Amicis e che in Cuore ci starebbe benissimo. E dire siamo nell'era del freddo digitale.
La trama di Napolitano2 il ritorno è già scritta. Sarà un non-sense, drammatico, come quasi tutti quelli che hanno proiettato fino ad ora. Gli ideatori del soggetto sono stati i dieci saggi, tra i quali sono da segnalare per creatività e capacità innovativa Gaetano Quagliariello, Luciano Violante, Enrico Giovannini e Giancarlo Giorgietti, vero trust di cervelli che in soli quindici giorni hanno buttato giù la sceneggiatura. In sintesi la storia sarà questa: tre marziani (Pd, Pdl e Lista Civica) piombano sulla terra e stanno finendo le riserve del gas che li tengono in vita. Sono all'ultima spiaggia. Potranno salvarsi solo diventando umani ma sanno anche che nel loro corpo c'è un enzima che a contatto con l'ossigeno (le riforme) li ucciderà, per come sono fatti. Cioè li cambierà completamente, dovranno liberarsi di tutti i modi di pensare e di fare a loro connaturati. Non saranno più come prima. Non saranno più loro. Un doppio ossimoro. Trasformarsi per uccidersi e diventare altro da prima. Non ci riusciranno mai.

Giorgio Napolitano pronto al secondo mandato
L'insuccesso è garantito, quasi. La formula dubitativa è necessaria perché non si sa mai nella vita. E la speranza è l'ultima a morire.
La produzione di questo nuovo film si porta dietro non pochi effetti collaterali. Alcuni anche poco rassicuranti e ancor meno piacevoli. Uno per tutti: l'imitazione di Napolitano fatta da Maurizio Crozza. È il personaggio che gli riesce peggio e purtroppo è tra quelli a cui dedica più spazio. Peccato.
Oltre al film subirne anche la parodia sarà un vero suplizio. Auguri.


venerdì 19 aprile 2013

Che ha fatto di male la sinistra?

La notte cade su di noi/la pioggia cade su di noi/la gente non sorride più/vediamo un mondo vecchio che/ci sta crollando addosso ormai.../ma che colpa abbiamo noi? (The Rokes 1966)

Già ma che ha fatto di male la sinistra?
Nell'incontro con i cerberi del M5S ha bevuto di tutto
Forse mai situazione è stata più kafkiana di quella che la sinistra sta vivendo in questo momento. A raccontarla ad un marziano questi strabuzzerebbe gli occhi e per riprendersi dallo shock manderebbe giù un paio di pillole di naftalina accompagnate da un ricco cocktail di miscela al 5% varechina con ghiaccio e scorzetta di limone.
Solo un inguaribile masochista avrebbe potuto perdere le elezioni pur partendo con un vantaggio stratosferico, mai visto prima, e vederlo poi scemare giorno dopo giorno fino quasi a sparire mentre l'avversario di sempre perde sei milioni di voti e un outsider diventa il secondo partito del Paese. E così tra una metafora e l'altra si scopre che si può arrivare primi senza vincere che questa deve essere stata l'idea che sta alla base della gag dei fratelli de Rege che cominciava, per l'appunto, con un bel:«Vieni avanti cretino.» Che come ha insegnato Carlo Maria Cipolla i cretini si trovano sparsi e ben radicati in tutti i contesti sociali. Ma tant'è.

E dire che Mauro Bersani, durante la trasmissione un giorno da pecora, si augurava che il fratello Pierluigi si mettesse a fare la riserva in terza fila. Che sarebbe pure una bella soluzione. Per il suo sistema nervoso e anche per la sinistra tutta. Invece il segretario del Pd insiste e sta tangibilmente dimostrando i principi  della teoria sulla schizofrenia. Dopo essere stato dalemiano ha pensato bene, con un guizzo di buon senso, uno dei suoi rari, di affrancarsi da quella noiosa contiguità che, per un emiliano frequentare il D'Alema dev'essere come per un playboy fare un happy hour in compagnia di un monaco trappista. Poi ha lanciato la sfida al giaguaro e lì si è fatto prendere la mano da quattro scardellati che su un terrazzo romano ripetevano a mo' di mantra un ridicolo «lo smacchiam...lo smacchiam». 
Bersani con il giaguarino
Come se la politica la si potesse fare con dei video clip anziché con le idee che vengono dalla gente. 
Anche i canzonettari meno attrezzati sanno che se manca il prodotto la comunicazione non può far nulla. Deinde, come se tutto questo non bastasse con il cappello in mano s'è messo a mendicare e a farsi mollare sonori ceffoni da due che sanno di politica quanto Feltri di bon ton. E comunque dichiara ad ogni talk show, che ormai conosce quelle poltrone più e meglio delle dure sedie delle sezioni del suo partito, che non si vede andare a braccetto con Brunetta e neppure con Gasparri. Stare alla larga dai nipotini dei dispensatori di olio di ricino che erano tanto narcisi da volere che le loro vittime li riconoscessero anche nel fondo dei pitali è «puro buon senso» come direbbe Tex Willer a Kit Carson, Quindi con una piroetta, che i trapezisti del circo Togni neanche se la sognano, il segretario del Pd se ne va a resuscitare uno che, abbandonato da quasi metà del suo elettorato, si trova mogio mogio messo in un angolo. E gli fa pure scegliere il candidato alla presidenza della repubblica che poi, guarda il caso, ti salta fuori il nome del solito ex democristiano che non è stato capace di essere eletto nemmeno nella sua regione. E che alla domanda sul perché si ripresentasse alle elezioni rispose:« Perché non ho niente da fare.» Che vien voglia di suggerire a figli e nipoti di iscriverlo ad una bocciofila, regalargli un paio di puzzle e magari pure l'ultima edizione di Risiko. Così tiene la testa occupata e pensa ad altro.
Il Ministro Annamaria Cancellieri

E quindi passare da potenziali smacchiatori, che ormai le tintorie sono tornate in mano ai cinesi come una volta, a sostenitore delle grandi intese sembrerebbe un altro bel salto carpiato con avvitamento a a destra e invece è solo una superrcazzola.
Sempre con avvitamento a destra.
Così adesso prendono in mano la questione quelli che non solo non hanno vinto le elezioni ma sono pure arrivati terzi e quarti. E sentirsi impartire la lezione e il candidato alla presidenza da Scelta Civica e dal Pdl ,che propongono come presidente della repubblica un ex prefetto che ha avuto parole d'apprezzamento per i condannati della Diaz, ce ne vuole . Alla fine il metodo è il solito: quello dei vecchi democristiani che riescono sempre a galleggiare.
Ma cosa ha fatto di male la sinistra per meritarsi tutto questo?

mercoledì 17 aprile 2013

Ma D'Alema no. (canzone dedicata a massimo d'alema, parole di castruccio castracani; musiche di giovanni d'anzi)






Ma D'Alema no 
D'Alema mio non può
entrare al Quirinale , con le rose
Tanto è lasco che non passerà
non entrerà
Io glielo impedirò
io lo diffiderò
da tutte quelle voglie velenose
che vorrebbero strapparlo al cuor,
povero amor!
Forse te ne andrai
e di Silvio altre carezze cercherai
ahimè
e se tornerai
ancor più forte la sinistra troverai
senza te 
Ma D'Alema no
D'Alema mio non può
entrare al Quirinale coi drappelli
Fin ch'io vivo io l'impedirò,
anche per te




Va cantata sull'aria di Ma l'amore nohttp://www.youtube.com/watch?v=Yd8iEdIXRjI
 (Michele Galdieri e Castruccio Castracani : testo / Giovanni D'Anzi : musica) 

martedì 16 aprile 2013

Parte la corsa per il Quirinale.: uomo o donna?

Il precorso è sempre divertente: i candidati nascono e si bruciano in un uno zik. E li chiamano cavalli di razza.  E poi quasi sempre, rare le eccezioni viene eletto un altro. Un outsider. Che magari è scelto per dispetto.

Il Quirinale
L'Italia è un paese di corse, di gare e di palii. 
C'è il Palio di Siena, dove corrono i cavalli e quello d'Alba dove invece si cimentano gli asini, ci sono addirittura due gran premi di Formula1 per auto superveloci e le Mille Miglia per quelle lente e aristocratiche, per le due ruote a pedali c'è la Milano San Remo e la biciclettata del duomo, così come la maratona di Roma e quella organizzata dalla bocciofila. Ci sono gare per soli uomini e altre per sole donne. Qualche volte ci sono gare miste. Ma sono rare. Tra queste c'è anche la gara per il Quirinale. Nelle passate undici edizioni è sempre stata, tacitamente, considerata una gara per soli uomini anche se il regolamento esplicitamente non prevede l'esclusione delle donne. Tuttavia fino a questo momento nessuna donna è mai stata seriamente in gara anche se qualcuna è stata timidamente votata. Comunque non ne è stata mai eletta alcuna. Per le donne è già stata una faticaccia riuscire a ricoprire la carica di Presidente della Camera dei deputati.

Ce l'hanno fatta solo in tre. La prima fu grandissima e mantenne il ruolo per ben tre legislature, la terza è appena stata eletta e si vedrà. Della seconda l'atto politico più importante di cui si abbia memoria è che fece spostare dall'ufficio di presidenza un quadro ritenuto osé. Passare dalla terza carica dello stato alla prima per il genere femminile sarà un bel salto. Comunque da qualche tempo se ne parla e si dice che anche una donna, magari si dicesse una signora, potrebbe ambire, partecipare e pure vincere la competizione. Ma il fatto sembra più di facciata che effettivamente auspicato. Salvo che non serva da ripiego.
Nilde Jotti, per tre legislarure (1979-92
  fu Presidente della Camera dei Deputati
La gara per il Quirinale si corre una volta ogni sette anni e ogni volta lo stesso rituale tante chiacchiere all'inizio e voci e candidature che passano dall'essere definite ombra a forti e poi scomparire. Ma la regola vaticana che vuole che chi entra papa in conclave ne esca cardinale vale anche per la presidenza della repubblica italiana. Che talvolta è stato pure un bene.
Di solito quelli che partecipano alla gara sono definiti cavalli di razza, con qualche fastidio, si mormora, da parte degli equini veri che vantano un fisique du rôle più appropriato e portamenti decisamente più all'altezza per eleganza ed imponenza. D'altra parte Caligola dimostrò che talvolta è meglio il cavallo vero piuttosto che quello metaforico. Almeno si sa con chi si ha a che fare. E soprattutto ha richieste contenute. Tuttavia raramente, per non dire quasi mai i così detti cavalli di razza che si sono iscritti alla gara e presentati scalpitanti ai nastri di partenza sono stati veramente in corsa o hanno vinto. Anzi, se si escludono giusto un paio di casi o giù di lì, molti ne sono usciti un po' ammaccati.. Questioni di veti incrociati si è sempre detto. Più spesso in corso di gara sono emersi nomi nuovi e hanno vinto outsider o comunque chi all'inizio non era previsto. Che se succedesse anche questa volta, visto i nomi che girano, ci sarebbe da brindare. Che questi sono sulla scena da parecchi decenni e come dire: hanno già dato. E pure già preso. Non foss'altro che per tutto il tempo che hanno passato su quei rossi scranni con risultati assai modesti. E non si parla di vil pecunia perché bisogna esser signori. Si accontentassero e stessero buoni nei loro cantucci lasciando spazio a chi magari ha esperienza di lavoro e la fama che si è costruita nel mondo dipende più dallo studio e dalla fatica che dagli intrallazzi. Che poi eleggere uno, solo perché altrimenti non saprebbe che fare della sua vita, non suona come la massima delle motivazioni. Piuttosto si lanci una petizione affinché ogni piccione adotti il suo politico pensionato.

Questa è la dodicesima volta e il dodici, a dar retta alla cabala e ai misteri esoterici,è proprio un bel numero: dodici i mesi dell'anno, dodici le costellazioni, dodici le tribù di Israe le e dodici gli apostoli. A dodici anni, almeno una volta, si usciva dalla fanciullezza e si entrava una nuova fase. Più matura. Che per l'italica politica sarebbe proprio il caso. Dodici anche le ore segnate nell'orologio: che a mezzogiorno si mangia e a mezzanotte si dorme. In sostanza il numero della saggezza e del voltare pagina. Che a guardare quel che sta accadendo ce ne sarebbe proprio di bisogno. 

domenica 14 aprile 2013

Mario Monti: dall'arroganza al vittimismo.

La sicumera di un tempo ha lasciato il posto al vittimismo. Oggi è allibito, turbato, emotivamente provato e stizzito «Non mi sento un leader di partito, non è il mio mestiere.» Forse avrebbe dovuto pensarci prima e magari seguire i consigli di sua mamma, Che le mamme non sbagliano (quasi) mai.

Quando si dirà del governo di Mario Monti, con qualche probabilità lo storico potrà scrivere qualcosa deil tipo: 'I resti di quello che fu uno dei governi con la più ampia maggioranza parlamentare della storia d'Italia risalirono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.'

Il governo dei professori sostenuto da ampia maggioranza
Molti ricorderanno la spocchia con cui Mario Monti e i suoi ministri, chi frignante chi algidamente distaccato chi battutista fuori luogo, fin dall'inizio della loro avventura recitavano con stolida monotonia la giaculatoria: «Perché non l'avete fatto voi e avete chiamato noi?»
L'arroganza regnava sovrana fino a costringere il presidente della Camera, Gianfranco Fini (a proposito che fine ha fatto costui?), a richiamarli durante una seduta di question time e a spiegare loro che nella specifica situazione di crisi parlare di 'noi' e 'voi' era oltre che un controsenso anche un'affermazione poco intelligente. Che dover dire cose di questo genere a dei professori doveva già suonare come un campanello d'allarme. Ma tant'è. Non che i politici di vecchia generazione brillassero per capacità intuitive. Tutt'altro.

Oggi lo stato d'animo di Mario Monti è assai diverso: la sicumera ha lasciato il posto al vittimismo, come racconta Francesco Verderami in un lungo articolo sul Corsera. (1)  D'altra parte vittimismo e arroganza sono le due facce della stessa medaglia. Gli aggettivi utilizzati per descrivere l'odierno sentire del senatore a vita (per chissà quali meriti pregressi questa nomina) suonano tristi; allibito, turbato,emotivamente provato e pure si sente messo ingiustamente sul golgota, ma anche, in un soprassalto d'orgoglio, stizzito. E, al solito, si sente orfano, ieri dei poteri forti (anche lui come D'Alema ha questa fissazione e come risultati siamo lì) e oggi della confindustria che «va squallidamente a braccetto con il sindacato.» Che magari trovare qualcosa di positivo nell'incontro di queste due componenti del mondo del lavoro gli suona bizzarro. Insomma il vittimismo strisciante di sempre. 

Pur con qualche spunto di verità: «Non mi sento un leader di partito, non è il mio mestiere» dice. E ci mancherebbe, vien da rispondere. E, soprattutto, un leader politico non piagnucola ad ogni piè sospinto. Lasci le frignatine alla Fornero che su questo sa il fatto suo. E' allenata. Poi, il fatto che a capire questa semplice verità ci abbia messo oltre un anno e mezzo e una sconsolante sconfitta elettorale non depone certo a suo favore. Peraltro se il professor Monti avesse chiesto in giro, non ai suoi colleghi professori, non ai tromboni americani della comunicazione non a vecchie volpi della politicaccia italica che giocavano a strumentalizzarlo ma alle persone normali, non pochi glielo avrebbero confermato. Così, semplicemente, con il rigore e l'equità di cui ogni buona massaia padrona di casa è capace. Non è, né mai è stato né mai sarà un leader politico. Ma la spocchia non fa fare simili domande. Già la sua mamma, come lui stesso ha spesso ricordato, l'aveva messo in guardia dalla politica. Il cuore di mamma non sbaglia (quasi) mai ma l'ambizione rende ciechi e sordi. E talvolta anche un cicinin avidi. Sempre che questa virtù non sia connaturata o semplicemente pregressa. Ma si sa che i professori, specie quelli universitari, son capaci (talvolta) di parlare e spiegare ma quasi sempre hanno difficoltà con l'ascolto. Per questo si spazientiscono durante gli esami: devono star zitti ed ascoltare. Con loro pena somma. E poi, guarda il caso, rigore ed equità erano proprio le due promesse di base del suo governo. Una mantenuta alla grande che a stangare, gli altri, son buoni tutti mentre la seconda è rimasta giusto sulla carta che ad esser equi ci vuole testa. E qualche volta cuore.

Ora si sgancerà anche dal partito, Scelta civica per l'Italia, che adesso sostiene di aver «ispirato e fondato» anche se al momento della formazione di quel movimento usò frasi che più democristiane non si poteva: «Accetterò di incoraggiare questo sforzo della politica responsabile e della società civile nelle forme che verranno stabilite accettando, immagino, di essere nominato capo della coalizione.» (2) Per un doroteo (3) sarebbe stata musica. Celestiale.
Un logo confuso nella grafica e nei contenuti
Adesso dice, il senatore Monti Mario, che non vede l'ora che il suo incarico termini rivendicando comunque (vittima immolata per i patrii destini) il fatto di essere stato chiamato. Ma al solito, sbaglia il luogo, il tempo e il modo. Lo dice in parlamento, mentre si parla del caso dei marò e come capo di un governo dimissionario e non sfiduciato.
Perché, caro presidente quanto lei dice è non solo vero, è verissimo. Fare il leader non è il suo mestiere. Sì la politica, quella pubblica e battagliata che non corre solo per i corridoi dei palazzi alla ricerca di incarichi, magari anche poco rischiosi e assai redditizi, non fa per lei. Non è capace.
Attenda con calma la fine del suo incarico e poi si accomodi, anche sonnecchiante, nel suo scranno di senatore, che è a vita. Tutti, lei incluso, ne avranno di guadagno.

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  1. Corsera 13 aprile 2013 pag 5
  2. Dorotei la corrente più conservatrice della Democrazia cristiana. Più democristiani di così non si poteva. Il nome deriva del convento di suore di Santa Dorotea e dove si riunirono per la prima volta gli aderenti della corrente 

venerdì 12 aprile 2013

Ma come sono stati saggi questi saggi.

I saggi alla fine ce l'hanno fatta. Con fatica e sudore della fronte, neanche fossero contadini lucani, sono riusciti a mettere insieme alcune decine di paginette. Che Napolitano lascerà al suo successore.


E così, alla fine, senza parere, i quindici giorni che i dieci saggi avevano a disposizione sono passati in un fiat . Sembra ieri che il vero Valerio Onida diceva alla falsa Margherita Hack di quanto fosse inutile quella commissione. 
La tavolata dei saggi. Presentano i due rapporti
Che oggettivamente, scorrendo la lista dei componenti era difficile dargli torto, con buona pace di Michele Serra. In fondo ciò che lo scherzo di quei monelli della Zanzara rendeva esplicito altro non era che ciò che tutti gli italiani già sapevano. Dicevano. E, i più timidi, solamente pensavano. Con ciò indicando che anche i cinnquantanovemilioninovecentonovantanovemila e novecentonovanta italiani, infanti inclusi, che non hanno fatto parte della commissione un minimo di saggezza ce l'avevano. E forse ce l'hanno sempre avuta.
In any case (tocco di internazionalità che non guasta e fa felici sia Severgnini sia la Fornero, e sta per in ogni caso) i cinquanta e briscola milioni di cui sopra inoltre si domandavano quanto sarebbe stato il costo di simile concentrato di saggezza. E già su questo punto sia Giorgio Napolitano che i saggi stessi hanno dato prova di grande e incommensurabile saggezza. Non l'hanno detto. Saggi.
Oggi, comunque, i saggi si sono incontrati con il Presidente della Repubblica, loro committente, come da foto, che la trasparenza è il massimo plus del nostro sistema politico, e gli hanno illustrato e consegnato i due documenti. Sì perché in verità i dieci hanno ricevuto un doppio incarico e se lo sono sobbarcato tutto sulle loro spalle. Patriotici stakanovisti. E quindi anziché chiedere di raddoppiare la commissione, che poi trovare altri dieci saggi sarebbe stato un bel macello nonostante fuori ci fosse la fila, o di moltiplicare i giorni i saggi di prima nomina hanno deciso di suddividersi il lavoro. Bravi.
Una simili capacità di collaborazione e abnegazione non ce l'avevano neanche i sette nani. Uno infatti si chiamava Brontolo e uno Pisolo. Quest'ultimo ha sempre ambito a diventare il portaborse di Brunetta, il Renato.
Due commissioni dunque ognuna delle quali composta da cinque membri. Che la matematica non è un 'opinione.
Cinque si sono sfiancati sul defatigante tema delle riforme istituzionali e cinque quasi si sono immolati sull'ostica materia economico-sociale ed europea. Cose che neanche Mario Monti e tutta la Bocconi con l'aiuto degli ex allievi avrebbe potuto risolvere in sole due settimane. Invece questi cinque sì.

I dieci saggi. Le foto sono state prese prima del lavoro
Ce l'hanno fatta. Fulgido esempio di amor di patria, senso del dovere, generosità e altruismo. Si vorrebbe poter aggiungere anche disinteresse ma forse non è il caso. Quando si tratta dei nobili destini del paese la vil pecunia deve essere bandita. Almeno dai discorsi.
Dunque i due malloppetti sono stati consegnati al presidente Napolitano che ha proferito due frasi epocali che gli storici di tutto il mondo, Paupasia inclusa, riporteranno in tutti i manuali universitari e negli annali della nazione.
La prima frase è stata: «Le due relazioni saranno oggetto, in questi giorni della mia riflessione».
La seconda, ancor più significativa e ficcante ha suonato così: «Quel che trasmetto è, credo, un testimone concreto e significativo.» Con ciò intendendo, probabilmente che le due mappazze trasmigreranno sul tavolo del prossimo capo dello Stato. Che senz'altro sarà grato a Napolitano per questo inatteso cadeau. E ne benedirà il nome ad ogni piè sospinto. Cosa vuol dire significa essere generosi. E soprattutto essere riconoscenti. Mizzega.

Cosa raccontano i saggi, dieci per l'appunto, in questi documenti. Cose da non credere. Rivoluzionarie. Hanno sostanzialmente ribaltato il mondo. Dopo la lettura di quelle pagine nulla sarà più come prima.
In estrema sintesi dicono che: va rivista la legge elettorale (un simil ritorno al mattarellum), superato il bicameralismo perfetto, risolto il conflitto d'interesse, rivisitazione del patto di stabilità, maggior controllo sui costi della politica (mantenendone comunque un adeguato finanziamento, riduzione del numero dei parlamentari, rivedere gli stipendi dei manager della pubblica amministrazione, sviluppare una politica nazionale per aree (una sorta di gabbia salariale svolta in chiave di politica sociale), rivedere la riforma Fornero, mantenimento di Equitalia che però non deve essere vessatoria, riduzione delle tasse e prosecuzione e rafforzamento della spending review. Più qualche altra frattaglia. Nessuno ci aveva mai pensato e neppure aver mai avuto il minimo bagliore di simili tematiche.

Che poi sarebbe stato come dire che se si mangia pesante bersi un canarino (acqua calda, punch per la Fornero, con scorzetta di limone) è cosa buona e giusta. Oltre che saggia.
Beh tutto questo gli italiani, i cinquantanovemilioni e un tot di cui sopra lo sapevano già. Infanti inclusi
Quindi il lavoro dei dieci saggi è stato inutile?
No! Assolutamente no!
I dieci saggi hanno scientificamente ed inequivocabilmente dimostrato che gli italiani sono saggi. Avevano già capito tutto. E con largo anticipo. Chi l'avrebbe mai detto. Italiani saggi.
Le vere sagge. Si fossero interrogate loro.
Dopo questa meravigliosa esperienza, magari con minor spesa, il prossimo inquilino del Quirinale potrà scendere in strada fermare una massaia, di solito sono quelle che se ne vanno girando con una sporta piena di verdure, magari le massaie possono essere anche due, se lui crede nella statistica e ci potrà aggiungere pure un pensionato, se proprio ci tiene e chiedere cosa bisogna fare per il bene del Paese.
Avrà le risposte giuste. Magari pure succinte. E in tempo reale.
Con il vantaggio di stare alla larga da professori e bocconiani le cui prove recenti non depongono a loro favore.
Sperando che il futuro capo dello Stato non soffra d'insonnia che nel caso sarebbe bene avesse un qualche consigliere politico in grado di suggerire una camomilla o una tisana o un articolo di Mieli o una puntata di Amici o altra trasmissione della De Filippi e non l'attivazione di dieci saggi,
Che a scoprire che l'acqua calda scotta lo sa fare anche un bambino. 

giovedì 11 aprile 2013

Napolitano, Berlusconi, Renzi, Bersani, la mosca e il compromesso storico

Come sarebbe bello poter veder i fatti mentre accadono e sentire i ragionamenti e i commenti e le pulsioni che stanno dietro le epocali scelte fatte per il bene del Paese. E invece no, tocca sentire affermazioni e poi le smentite e poi le spiegazioni e le interpretazioni. Che una mosca si divertirebbe un mondo.

A chi non piacerebbe, di tanto in tanto, trasformarsi in una mosca, alzi la mano. 
Il trio nelle cui mani siamo.
No, ovviamente non si tratta di voler gustare la loro pietanza preferita che peraltro quasi ogni italico di similare, almeno metaforicamente, ne manda giù almeno un piattino al giorno, Quando si è fortunati. No, non per questo. E neppure per infastidire con quell'insopportabile ronzio i nemici del cuore. No, nulla di tutto ciò. Ma solo, si fa per dire, per poter vedere cosa succede nelle stanze del potere e capire come vengono prese e motivate le decisioni. Sempre epocali e sempre nel supremo interesse della Nazione. Che già al solo pensarlo vien da ridere.
Si pensi a Napolitano, che da quando un giornalista bontempone l'ha appellato King George s'è un filino montato la testa. Lui, nel suo studiuolo, che ci alloggerebbero, larghe, almeno un paio di famiglie, mentre insieme ai suoi fidi lavora alla stesura del testo da recitare in occasione della commemorazione di Gerardo Chiaromonte. Poiché, sia chiaro, se uno non parla oscuro e complicato non è un politico di vaglia, come hanno insegnato i vecchi democristiani e gli altrettanto vecchi comunisti, che al confronto un giocatore di carambola sembra uno che traccia linee dritte. Eccoli lì, dunque, tutti insieme ad almanaccare su come dire che gli piacerebbe tanto un fidanzamento d'interesse tra Pd e Pdl, che in realtà ci vuole un bello stomaco solo a proporlo, e a dire contemporaneamente van tenuti alla larga i grillini.

Mumble, mumble, mumble (perché quando questi pensano si sentono gli ingranaggi mettersi in moto disturbando così i criceti che in quelle scatolette craniche comodamente alloggiano) ecco che ti salta fuori la geniale idea di riferirsi, nell'ordine, al compromesso storico, esperienza che, per bacco baccone, non s'è mai fatta e la kafkiana situazione delle larghe intese.

Mosca: insetto dell'ordine dei Ditteri. 
E, avrebbe visto la moschina, le ore di lavoro straordinario degli attaché e come, alla fine, si siano complimentati tra loro battendosi reciprocamente il cinque. E come siano rincasati a notte fonda distrutti, puzzolenti di sudore con le occhiaie e i capelli spettinati e la cravatta lenta. Ovviamente non hanno ricordato che l'iconoclastico Giancarlo Pajetta, non a caso con Napolitano ci ruzzava poco, definì la non sfiducia come:«qualcosa che non gli diamo ma che gli basta». Che come epitafio è più che sufficiente. Poi per essere sicuri di essere ben capiti, quelli che hanno lavorato al discorso ti buttano là anche un «Certe campagne, che si vorrebbero moralizzatrici in realtà si rivelano nel loro fanatismo negatrici e distruttive della politica.» Roba vecchia un po' trita e stantia come se a distruggere il senso della politica non ci avessero pensato già di loro, e con dovizioso impegno, quei deputati e sanatori indagati e magari pure già condannati. Non considerando, ovviamente, quelli che han lasciato correre per anni privilegi e ruberie. Che delle due l'una o erano conniventi o troppo sciocchi. Che il dubbio tra inanità e stupidità è più che amletico. Comunque, tutti capiscono e lo dicono alla radio e alla televisione e lo scrivono sui giornali, che il riferimento è al M5S.
Grillo incassa e ringrazia. Rapido rinculo del Quirinale: «Non ci si riferiva a voi». Ma è evidente: ad altri brutti sporchi e cattivi, Anche se trovarli è un problema perché, grillini a parte, di antipolitica in giro non ce n'è poi tanta. Con ciò facendo passare per fessi la gran parte dei giornalisti italiani. Ma questi ci sono abituati e tutto sommato sono dei buoni incassatori. Complimenti. Chissà come se la sarebbe risa la mosca vedendo il lavoro ante e quello post. E i commenti. Da sganasciarsi.

E si deve essere pure sbellicata nell'assistere all'incontro tra un fine dicitore di aforismi e un barzellettiere incallito che i teatri d'avanspettacolo del mondo ci invidiano. Pare si siano appartati e abbiano voluto stare soli. Meglio che le virginee orecchie di Alfano, Gasparri, Letta (Enrico) della Moretti non sentano. Potrebbero esserne turbati.e non rimettersi dallo shock. Vuoi mettere che magari ce li si trova suonati.
Bersani avrà esordito con:«Ti conosco mascherina» e Berlusconi avrà risposto con un «Ci sono un italiano, un francese e un tedesco...». Poi Bersani avrà tirato fuori qualcosa sul liocorno spiazzando per un momento il Berlusconi che avrà contrattaccato con:«Mubarak torna a casa la sera e trova sua nipote che ...» . E la mosca giù a ridere e a tenersi la pancia.

Quando il capo ti mette una mano sulla spalla tu ...
Così come la moschina si sarebbe divertita a sentire tutti i conciliaboli per far fuori Renzi dal team di grandi elettori (perché poi grandi?) della Toscana. Chissà come se lo saranno detto e che paroloni avranno usato: strategia, interesse del popolo, vantaggio per il partito, scelta dolorosa ma necessaria, i mercati, le imprese, la finanza. Potranno quelli del Pd citare finanza e mercati? O è roba solo dall'ormai trasparente Monti e tecnici vari?
E quali giri di parole per potersi un domani giustificare dicendo che no, loro intendevano dire ma non sono stati capiti. E giù sbrodolando come se stessero facendo cose serie. E il fatto è che avranno pensato per davvero di essere seri. E la mosca sempre a ridere perché lei vede il film in diretta. E da tutte le angolazione. Con buona pace della privacy. Chi non vorrebbe essere una mosca alzi la mano. E non solo per il divertimento. Le mosche non hanno il problema della fine del mese. Ma nenanche ce l'hanno quelli di cui sopra. Prosit

lunedì 8 aprile 2013

Valerio Onida, Michele Serra, il mobbing e la verità.

La privacy è una cosa seria e riguarda il privato cittadino, non la si può confondere con la gestione della cosa pubblica. E poi che il gatto sia bianco o nero non importa, quel che conta è che sappia prendere il topo. Specialmente quando il topo si chiama verità.



E così lo scorso 5 aprile Michele Serra su Repubblica ha stigmatizzato da par suo la “burla” perpetrata da una finta Margherita Hach ad un vero Valerio Onida.
Il saggio Valerio Onida al lavoro. Gli altri sono in pausa caffè

 L'innocente Valerio Onida, come subito l'ha ribattezzato Michele Serra. Probabilmente mentre si dondolava mollemente nella sua amaca magari anche sorseggiando un daiquiri. Anzi per l'occasione Serra ha spremuto al massimo quel che gli rimane dopo i tanti contributi che dedica a quotidiani periodici, televisioni, libri, spettacoli teatrali e comparsate varie e, in un ultimo supremo sforzo, ha inventato il mobbing mediatico. Bah! Se ne poteva pure fare a meno di questa trovata ma già che c'è vale la pena di buttarci un occhio e spendere quattro righe. Anche perché tutta la vicenda fa ricordare che: Quando il saggio indica la luna con il dito... lo stolto guarda il dito.”

Serra sostiene a spada tratta il diritto alla privacy, che ci mancherebbe e che è ora di finirla di carpire informazioni con trucchi e trucchetti e poi basta inseguire la gente con i microfoni spianati. Ovviamente sempre che non si tratti del Watergate, che per quel caso, forse, qualche eccezione la si può pure ammettere. Già ma il Belpaese non sono gli Usa. Là si possono permettere cose grosse di qua, nello stivale, invece bisogna arrangiarsi con il poco che si ha a disposizione. Che a dirla tutta è ben misera cosa.
Là son capaci di mettere in difficoltà in seguenza un vicepresidente ed un presidente, e magari farli dimettere entrambi, qua invece è un'impresa far dimettere anche chi vien colto con le mani nella marmellata. Anzi c'è chi, Violante Luciano, s'è pure vantato di non aver messo in pratica quello che la legge metteva a sua disposizione per impedire delle illegalità. Urca! Se poi si pensa che è un ex magistrato ed è stato presidente del senato gli urca si triplicano. Urca! Urca! Urca!.
E poi, come ogni avvenimento, anche il siparietto vero Onida e falsa Hack va contestualizzato.
A settimane dalle elezioni e dopo un incarico dato a uno che pur essendo arrivato primo non ha vinto e che ha interpellato mezzo mondo con la sola eccezione del callifugo della Solbiatese che probabilmente sarebbe stato l'unico ha dargli delle dritte sensate, il Presidente della Repubblica ti inventa i dieci saggi. 
I dieci saggi
Che già di suo è un ossimoro: se in Italia ci fossero veramente dieci saggi impegnati in politica il Paese non sarebbe in queste condizioni. Ma, transeat.
Tutti o quasi i commentatori, che qualche gonzo c'è pure tra loro, a dire che i dieci servono solo a far melina. La gente comune è disperata per non dire alla canna del gas. E i bonzi della politica a sostenere che invece no: a dispetto della presenza di Violante, Quagliariello, Giorgetti per dire dei più noti, i dieci servono. Eccome, se servono.

 E se per sapere se servono per davvero si decidesse di chiederlo al capo dei saggi? Bell'idea.
Già, ma dirà la verità? Magari qualche dubbietto, piccolo piccolo s'intende, potrebbe venire anche al più santo degli argentini. Che di questi tempi vanno di moda.
E quindi il sovversivo Cruciani, ha deciso di seguire una delle massime di Deng Xiao Ping: “Non importa se il gatto sia bianco o nero purché prenda il topo.” Che in questo caso il topo è la verità. A che punto è arrivata la verità. Ahinoi.
E così ecco l'deona: la falsa Hack telefona al vero Onida. E il vero Onida, che pubblicamente ha avvallato la validità della scelta, al telefono con la signora del cielo e dell'astrofisica non si sente di mentire e quindi confessa: “è un lavoro di copertura del momento di stallo, ma niente ci impedisce di mettere giù proposte di programma che possano essere condivise.”
Che poi è come dire che sì, stanno lì ma, a far fare il bagno al bigattino (o “larva di mosca carnaria” o “cagnotto o più semplicemente il verme) che poi se un pesce abbocca tanto di guadagnato. Ma data la tipologia dei saggi e di quelli che gli stanno attorno sarà dura. Come sperare di arpionare una balena all'idroscalo.
E in questo caso la verità che il Presidente Mao Tse-tung voleva fosse rivoluzionaria non ha smosso nulla. Si è solo confermato quel che tutti già sapevano. Quindi nulla di strano. Non ci sono state sommesse di piazza e neppure una seppur micro manifestazione o sit-in di fronte al palazzo di giustizia. Che di questi tempi non si nega a nessuno..
Ben altro sarebbe stato se la telefonata avesse avuto l'obiettivo di scoprire che uno dei saggi soffre di aerofagia o ha i calli o le verruche o russa o si mette le dita nel naso quando è fermo al semaforo. Quella sì che sarebbe stata una vergognosa intrusione nella privacy di un privato cittadino. Ma quando si tratta della cosa pubblica le regole cambiano. E anche di un bel po'. 
Che a capire la differenza tra il dito e la luna ci si può riuscire anche stando sdraiato su un'amaca.