Ciò che possiamo licenziare

mercoledì 20 febbraio 2013

Bersani e Berlusconi si incontrano nei corridoi del Corriere della Sera.


Berlusconi e Bersani si sono evitati fino ad ora ma se ne sono dette di tutti i colori. Parole tante. E pure di fuoco. Forse troppe per essere veramente di fuoco. E magari anche troppo di fuoco per essere veramente vere.E poi c'è il fair play.

Le grinte di Berlusconi e Bersani
La politica ogni giorno mette in scena uno spettacolo diverso e si recita a soggetto ovunque, anche fuori dal palazzo. 
Anche quando non è previsto e bisogna essere svegli e pronti ad affrontare l'avversario. Bersani e Berlusconi ne hanno dato un bell'esempio nei corridoi del Coprriere della Sera (18 febbraio) dove il primo usciva dall'intervista con Giovanni Floris e Ferruccio De Bortolis ed il secondo attendeva d'entraci. Neanche si fosse nella sala d'aspetto del dentista: fuori uno, dentro l'altro.

Fino ad ora avevano fatto di tutto per non incrociarsi. E ci sono riusciti. Se uno parlava al nord quell'altro arringava al sud se uno era in piazza quell'altro se ne stava ben rintanato nel chiuso di qualche teatro. Proprio nessuna possibilità d'incontro. Ma non è che non se le siano mandate a dire. Anzi. Parole tante. E pure di fuoco. Forse troppe per essere veramente di fuoco. E magari anche troppo di fuoco per essere veramente vere. E di tanto in tanto si scambiano pure i ruoli. Sconvolgendo le poche certezze che gli italiani tentano disperatamente di costruirsi.
Berlusconi che lancia provocanti profferte d'incontro a deux: «Vediamoci solo noi due ché gli altri non contano». E Bersani che, si ritarae, neanche fosse Giovanna D'Arco, e poi rilancia come una messalina qualsiasi: «O lo facciamo in sei oppure niente». Ma come? Quello delle ammucchiate non era quell'altro?
O ancora, a proposito della vendita di La7, sentire Berlusconi che tuona:«Da Bersani un avvertimento mafioso». Ma come? Il mafioso non era lui? Almeno così aveva detto l'Umerto, inteso come Bossi, quando lo apostrofava come «il mafioso di Arcore». Poi, vabbè si sono messi d'accordo e hanno massacrato il paese. Ma questo è un'altra storia. Poco divertente, peraltro

Il sogno di Bersani: una tintoria cinese tutta sua
Bersani non è certo tenero parla come un tintore cinese (in Cina c'è ancora il Partito comunista, occhio alla penna) e ribatte dicendo che «Il giaguaro lo smacchiamo», facendo intendere chissà quali sfracelli. C'è da immaginarlo il trapianto capelluto messo in candeggina e poi stirato. Roba da brivido.
Certo è da temere un incontro tra i due. Potrebbe finire con chissà quale violenza. Tipo quando il gatto Silvestro va a sbattere contro il bulldog amico del canarino Titti: ciuffi di pelo sparsi al vento, occhi pesti e stelle e pianeti giranti intorno a bernoccoli bernoccolosi. Neanche Quentin Tarantino potrebbe immaginare tanta violenza.
Ecco la nuda cronaca dell'incontro ravvicinato.
Esterno giorno, il macchinone si ferma davanti all'entrata del Corsera. Le guardie del corpo la circondano Berlusconi ne esce con la grazia di una ballerina che salti fuori dalla torta per l'addio al celibato. Fotografi, giornalisti, cameramen, uomini delle luci appena lo vedono, che è una bella fatica circondato com'è da quei marcantoni, gli balzano addosso neanche fossero mosche digiune alla vista della loro pietanza preferita. La voce fuori campo gli dice che dentro c'è Bersani, lui risponde che lo sa, ha il tono di voce di John Wayne, poi la domanda carogna:«L'incontra?». Sono tutti assetati di sangue.
La risposta è di quelle da mettere i brividi: un si lungo e cupo che sembra venire dal profondo dell'inferno. L'uomo è in forma e tonico. La macchina da presa sobbalza. Poi impietosamente ne riprende la nuca: non l'hanno pettinato bene. Qua e la si vede qualche po' di cute. Speriamo non se ne accorga o per chi occupa della pettinata ci sarà il gatto a nove code. Nei dettagli si nasconde il diavolo. Tutto il gruppo entra nel camerino. Dev'essere un monolocale di almeno ottanta metri quadri vista la quantità di gente che inghiotte.
Bersani esce dallo studio dove è stata fatta l'intervista.
«C'è il giaguaro in camerino», dice la voce carogna.
«Dì che si autosmacchi», risponde secco l'uomo di Bettola che con passo deciso si avvia. 
Dove? Non lo sa. Anche lui è circondato da un bel po' di gente e qualcuno con molta malizia e ancor più abilità riesce a pilotare il gruppetto del Pd nel corridoietto cieco che porta davanti alla porta del giaguaro.
Stanno fermi, davanti alla porta chiusa, per un bel po' secondi. Sembrano questuanti in attesa che il re si affacci.
Poi Bersani, con il fiuto del sioux sente odore di trappolone e si domanda:«Cosa stiamo facendo qui?». Bella domanda, che se se la fosse fatta anche Napoleone a Waterloo la storia avrebbe preso un'altra piega. A questo punto il gruppo dei pidiini sembra capire: girano sui tacchi e tra mille ringraziamenti prendono finalmente la porta per uscire e vanno verso le auto. La macchina da presa segue tristemente la schiena curva e la pelata di Bersani.
Controcampo.
Si apre la porticina del camerino uno dei g-man allunga il collo per guardare oltre. Ché se non hai il collo lungo ed estensibile questo mestiere non lo puoi fare. Poi Bonaiuti chiede se Bersani sia andato via ed, escusatio non petita, comunica al mondo che il capo si stava cambiando la camicia. Chissà che c'aveva quella di prima che non andava. Misteri del marketing politico.

Il carogna di prima si offre di inseguire Bersani e gli urla che «Bonaiuti dice se si salutano un attimo». L'italica lingua subisce un altro un altro affronto ma questo è niente rispetto a come viene massacrata in televisione dai conduttori e dagli ospiti. Il congiuntivo ormai è morto e anche il condizionale non gode di grande salute.
Bersani oramai già in auto scende e butta fuori un «Dov'é? » che non fa presagire nulla di buono e allunga il passo fino a correre. Sembra Martin Castrogiovanni lanciato in meta.
Se lo prende lo sfascia. Ma la corsa viene stoppata dalla porta chiusa. Ancora qualche lungo secondo di anticamera. Il giaguaro sa come sfiancare gli smacchiatori. Poi finalmente esce.
Lo spazio è troppo stretto, nulla che vedere con un ok corral e quindi la piccola folla si sposta e si fa largo ai contendenti.
I contendenti sorridenti
«Presidente!» esclama querulo Bersani
«Come va?» risponde Berlusconi sorridendo che sembra l'imitazione di Crozza
«Va, va. Quattro giorni ancora e poi ci riposiamo» risponde Bersani. 
Ma come? Fra quattro giorni comincia il lavoro vero. Altro che riposarsi. Boh.
Sembrano due conoscenti che non si vedono da tempo e si incontrano, casualmente, dal droghiere sotto casa. Mancano solo le pacche sulle spalle e il classico"come sta la sua signora". Tutti intorno ridono goduti. Chissà perché.
Qualche flash, sorrisini, stretta di mano, battutina sulla smacchiatina e mentre Bersani se ne va Berlusconi lancia un : «In bocca al lupo» Chissà a chi
Che di gente che ne ha bisogno di fortuna, e pure parecchia, si potrebbe fare un lungo elenco ma la retorica è già tanta. A la prochaine fois.
E così alla fine si sono incontrati: stretta di mano e battutine loffie. C'è chi lo chiama fair play. 

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Per vedere il video:
http://video.corriere.it/bersani-berlusconi-una-smacchiatina/a46521a0-7a8f-11e2-896e-599d001aa8d7
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1 commento:

  1. Non ti condivido. Non può non far schifo anche a Bersani un essere così immondo. Nessuno può evitare di trovarselo da ogni doce

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