Ciò che possiamo licenziare

giovedì 31 gennaio 2013

I candidati premier pensano che le elezioni siano feste di carnevale

Manca poco a carnevale e i nostri politici che sono dei bontemponi si stanno già allenando alla grande festa. Per adesso si gioca poi si vedrà. Flaiano diceva che in Italia la situazione è sempre grave ma mai seria. I fatti, anche oggi, gli danno ragione.


Quest'anno il carnevale anticiperà di poco, un paio di settimane o giù di li, le elezioni O più precisamente le elezioni seguiranno di qualche settimana il carnevale.e cadranno su per giù all'inizio della quaresima. In questa non scientemente voluta cadenza degli avvenimenti c'è, evidente, il segno del destino.
Gran risate prima e poi cenere in testa con seguito di altre penitenze, tipo: digiuno, preghiere più intense e pratica (quasi altrettanto intensa) della castità. Per tanti ma non per tutti.
Il carnevale è una gran festa con antichissime radici che risalgono addirittura ai tempi dei greci e dei romani. All'epoca si chiamavano feste dionisiache, in Grecia, e saturnali a Roma. Il senso della festa era quello del rinnovamento simbolico. Tra la chiusura del vecchio anno e l'inizio del nuovo un po' di caos. Giusto per ritemprarsi. E anche le elezioni a ben pensarci rappresentano un momento di cesura tra un periodo politico e l'altro. Che poi nel di mezzo ci sia anche un po' di caos ci sta pure. Se non fosse che i politici di casa quando si tratta di giocare e fare un po' di casotto si fanno prendere la mano. Spesso e volentieri.

Prima c'è stato il divertente gioco delle candidature.
“Io no tu si, tu no io si, quegli altri un po' ma non tutti”. Alcuni di quelli che hanno partecipato al gioco si sono divertiti la maggior parte un poco di meno, dato che gli esclusi sono di solito più numerosi degli eletti.
A sinistra si è deciso per regole ferree, ma in contemporanea si è aggiunta la variante delle deroghe e, per non farsi mancar nulla, in vario numero si sono aggiunti i paracadutati. Che al confronto i paracadutisti veri della RAF paiono dei dilettanti. A destra, per non essere da meno, hanno deciso che «basta con i politici di professione» e soprattutto fuori di impresentabili. Che però impresentabili non sono se non fosse per colpa della magistratura. Che è rossa e piena di comunisti. E quindi hanno messo in lista sconosciuti adusi al duro lavoro della lima come Gasparri, Cicchitto ma anche Scilipoti e Razzi (quello degli azzi sua). Poi ci sono quelli che in attesa di far civili rivoluzioni hanno offerto candidature a mezzo mondo ottenendo una montagna di grazie ma non posso, ho la pasta sul fuoco”. Senza dimenticare quelli che i candidati li hanno scelti con un click e quelli che li hanno trovati tra gli amici della montagna o i compagni di bridge. Poiché la scopa o la briscola fanno povero e comunque poco sobrio.

Chi molto sta godendo sono i comici, si trovano gli sketch già bell'e confezionati praticamente gratis, e il largo pubblico degli spettatori che guarda ride e sghignazza ignaro del costo del biglietto. Quello arriverà dopo. Con la quaresima. Appunto.
Ma le candidature sono solo l'antipasto. Il secondo tempo si sta sviluppando sul tema “promesse impossibili”.
Grosso modo tutti dimostrano di aver letto Alice nel paese delle meraviglie, meno uno che in quel paese ci ha vissuto per davvero: faceva la parte del cappellaio matto. E tutti, cappellaio incluso, pensano che gli elettori siano come la Regina Bianca. Per intenderci quella che disse «Quando ero giovane mi esercitavo mezz'ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche sei cose impossibili prima di colazione».
E quindi via con le promesse impossibili: abbattimento delle tasse, fine dell'evasione fiscale, servizi sociali efficienti, credibilità internazionale, equità sociale e fiscale, fine della burocrazia, pulizia in parlamento, riduzione dei costi della politica, fine della corruzione, diritti civili... sì, anche questi sì ma meglio un po' più in là. E poi: fine degli sprechi, sanità al primo posto, scuola ed educazione al primo posto, lavoro al primo posto, giovani al primo posto, condizione femminile al primo, territorio al primo posto, ecologia al primo posto, banche al primo posto... Ops sono più di sei cose impossibili riusciranno gli italiani a crederci? In tutte?  Non per colazione, ovviamente ma magari prima di cena, forse sì.

In fondo gli italiani sono brava gente, più o meno, di bocca buona, quasi sempre, e portati all'ottimismo. Per questo Ennio Flaiano diceva che nel bel Paese la situazione può essere grave ma non seria. Come oggi.
Il Carnevale comunque dura sei giorni che diventano dieci nel rito ambrosiano e quindi c'è tempo e spazio per ulteriori risate.


sabato 26 gennaio 2013

Cattolici in lista, determinati a incidere.

I cattolici in politica stanno in ogni schieramento come il sale nel mare. L'importante è ricompattarsi nel momento del bisogno a difesa dei principi fondamentali della Chiesa. Una sorta di Internazionale Vaticana in Parlamento,

Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. E di duri nell'episcopato italiano ce n'è più d'uno, per non dire parecchi. Forse quasi tutti, ma non tutti. Che magari qualche colomba, inopinatamente sfuggita alla selezione naturale, si trova pure lì.
Ai duri piace che fin da subito le regole siano chiare, addirittura manichee e non ci sia possibilità di fraintendimenti.
Nel giro di pochi giorni, dal 22 al 24 di gennaio, si sono schierati tre pezzi da novanta: Bagnasco, Bertone e Avvenire che sono intervenuti sulla questione delle elezioni. Il senso del messaggio è stato chiaro e incardinato su due punti focali: “cattolici andate a votare” ed “eletti cattolici siate uniti nel difendete principi della Chiesa”. (1) A prescindere dagli schieramenti. Che poi quello che dà la cifra della richiesta del coinvolgimento sta tutto in quel “a prescindere”.
Perché è un po' come dire: “andate pure a giocate nella squadra che volete ma quando il commissario tecnico chiamerà per le partite importanti si giocherà tutti con la stessa maglia”.

Il ruolo dell'allenatore, come sempre, lo ricopre Avvenire che nell'articolo «cattolici in lista, determinati a incidere»  (2), spiega con chiarezza lo schema di gioco per i futuri eletti. Sembra quasi di vedere Josè Mourinho alla lavagna.
Schema 1: attenzione al “rischio del fiore all'occhiello”. Che poi sta a significare: “se vi scostate dalle indicazioni d'oltre Tevere allora vi state facendo strumentalizzare”. E questo non piace all'episcopato. A corollario si può aggiungere che la metacomunicazione, apparentemente innocente nel tono è assai dura nella sostanza: “non potete pensare in indipendenza. O seguite il dettato vaticano o si intende che deboli come siete vi stanno strumentalizzando”. Che non è proprio un bel dire e neanche un bel apprezzamento
Schema numero 2: «Impegno plurale agenda comune. I cattolici devono essere capaci di vivere la tornata elettorale come comunità che discute in pubblico delle priorità del Paese offrendo le proprie proposte». Ovvero al momento opportuno si dismette la casacca del partito e si indossa quella bianca e gialla della nazionale vaticana. Per il ruolo di regista sembra sia stato scelto il non chierico Gennaro Iorio, sociologo di riferimento dei focolarini. Che a definirlo laico gli si può far torno e magari se ne adombrerebbe.
Schema 3: lo spogliatoio. Naturalmente per tenerlo unito occorrono forti parole d'ordine e quindi cosa c'è di meglio che far cadere con nonchalance qualche briciola di sospetto sui compagni del partito in cui si è eletti? E così Avvenire butta lì una innocente frasetta che suona così: «In lista per Monti, accanto a presenze di chiara impostazione laica - laicista in taluni casi - una pattuglia di cattolici interessanti». Che artatamente sottintende: «Ascoltate: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Perciò siate prudenti come serpenti e semplici come colombe». (Matteo 24, 15-25) Che poi da allora è quello che gli riesce meglio. Essere prudenti come serpenti e semplici come colombe. E non solo. E quindi alla bisogna ancora di più essere uniti tra tutti al di là delle ridicole divisioni di partito.

Ovviamente le raccomandazioni non sono rivolte solo ai giocatori ma anche al vasto pubblico degli elettori su cui fa leva Bagnasco dicendo con tutta l'innocenza di cui è capace che: «La Chiesa non si schiera, il suo schieramento è quello dei principi fondamentali perché i temi etici sono alla base di tutti gli altri problemi». (3) Che sull'etica di certi comportamenti c'è tanto da discutere. Ma transeat.
Sembra si risentire quei don Camillo che negli anni della guerra fredda rivendicavano la loro distanza dalla politica invitando i fedeli a votare per quei partiti che fossero democratici e anche cristiani. Insomma, democristiani.
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque.

Qualcuno probabilmente sapendo dell'articolo di Avvenire e delle dichiarazioni dei due cardinali si indignerà, si scandalizzerà e griderà alla subdola ingerenza della Chiesa nelle cose italiane. Chi lo farà sbaglierà.
Non è la Chiesa che è ingerente. L'episcopato fa il suo mestiere. Nulla di più nulla di meno.
La questione è che tutti i partiti, poiché i cattolici impegnati in politica sono sparsi negli schieramenti come il sale nel mare, pensando di essere furbi li candidano a prescindere (eccolo che torna ancora una volta) e, in verità, sono loro, i partiti, che si fanno strumentalizzare. Tristezza.

Divertente, oltre che emblematico, il caso di Augusta Sorriso e di Teresa Restifa. Entrambe fanno parete di Mcl (movimento cristiano lavoratori) la prima si candida con la lista Monti nel nord America e la seconda con Berlusconi in Australia. Delle due l'una o non centrano nulla l'una con l'altra in Mcl o stanno semplicemente facendo dell'entrismo. E la seconda detta è quella giusta.
D'altra parte è sempre stata caratteristica del cattolicesimo - che non a caso deriva dal greco καθολικός e significa "generale" o "universale" – quella di sapere occupare ogni spazio e anche i più piccoli interstizi in tutti i livelli sociali.
Grande capacità di marketing: il giusto prodotto per ogni segmento di mercato.

Così si ha più possibilità di controllo politico e, dividendo il rischio come ben insegnano in Bocconi, si hanno meno possibilità di fallire e si controlla meglio il mercato.
Ecco perché la vecchia balena bianca non tornerà più. Ahinoi.

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(1) La Repubblica, 25 gennaio 2013, I vescovi: non disertate il voto
(2) Avvenire, 23 gennaio 2013, Cattolici in lista determinati a incidere, Angelo Picariello
(3) ASCA 24 gennaio 2013, La Chiesa non si schiera ma ricorda valori e priorità

mercoledì 23 gennaio 2013

Giuliano Amato: più vitalizi per tutti. Ovviamente i politici

Il dadaismo è la corrente artistico-culturale più amata dai politici italiani. Per tagliare le spese della politica cosa c'è di meglio che anticipare i vitalizi ai deputati trombati. Giuliano Amato, il dottor sottile, dà un vivido e significativo esempio di tutto ciò.



Il dottor sottile mentre pensa come ridurrei costi della politica
Di questi tempi e dopo tutto quello che è apparso sui media, l'idea di elargire ulteriori somme di denaro ai politici può sembrare una follia o tutt'al più un'aspirazione, magari segreta, da covare come un uovo di raro pitone, nel chiuso della propria cameretta piuttosto che una proposta da sbandierare a mezzo mondo.
Questo succederebbe in un Paese normale, chessò in Inghilterra, in Germania o in Francia o addirittura finanche nell'Uzbekystan o nella Kamchatka. Che certo gli ultimi due non brillano per stravagante trasparenza e democrazia.
Qui in Italia, no.
E questo ha fatto recentemente Giuliano Amato in una intervista dove, tra il lusco ed il brusco ha lanciato l' estrosa proposta sintetizzabile in un dadaista: più vitalizi per tutti.
Il ragionamento ha una sua logica. Dadaista, per l'appunto.
Intendendo con questo un profondo e radicato rifiuto della ragione e del buon senso comune.

Il punto di partenza sta nel fatto che l'italico popolo ambirebbe liberarsi della invadente gerontocrazia e, all'ormai decrepito grido di “largo ai giovani” di questi ne desidererebbe un certo numero nelle aule parlamentari. Desiderio legittimo e per certi versi auspicabile.
Orbene il fatto che i nuovi siano giovani, come tutti quelli che sono all'inizio di carriera, ovviamente è un punto di partenza ma, per definizione, non basta. Perché se i giovani permangono oltre un certo periodo di tempo ecco che da imberbi ed implumi corrono il serio rischio di diventare canuti se non addirittura spennacchiati. E questo si vuole evitare come la peste. Quindi permanenza massima: due legislature.
Già ma se uno entra in quel di Montecitorio a trentacinque anni, giusto per dire che sia uno normale e non un enfant prodige, dopo due legislature, ovvero dieci anni, sempre ammesso e non concesso che le legislature durino secondo i classici canoni che negli ultimi decenni proprio così non è andata, il giovane dovrà tornarsene al paesello.avendo ormai raggiunti i quarantacinque anni

E a questo punto l'ex ragazzo che fa?
Il vitalizio, causa ingrata legge, potrà riceverlo solo a sessantacinque anni, mentre tutti gli altri avranno la pensioncina, metodo contributivo, unicamente a sessantasette. E neanche come regalo di compleanno dato che un azzecca garbugli ha architettato uno strano marchingegno che prevede richieste anticipate di sei mesi con pagamenti posticipati di altrettanti. Ma comunque non si può stare a guardare il capello.
L'ex giovanotto, a questo punto quarantacinquenne, non ha più lavoro (che la politica sia un lavoro suona male) e non ha più fonte di reddito (che la politica sia fonte di reddito suona ancora peggio) ma non di meno dovrà sostenere pure una moglie con numerosa prole. Questo il ragionamento dell'Amato Giuliano.
Cosa può fare?
L'attuale “assegno di reinserimento nella vita sociale” - definizione educata, delicata e carina - evidentemente non basta anche se questo è calcolato nella misura dell'80% dell'indennità moltiplicato per il numero degli anni passati con le terga ben posate sui sacri scranni. Il totale ha un piacevole e tintinnante rintocco. Soprattutto se si pensa che i trombati alle elezione del 2008 se ne son tornati a casa con un bel gruzzoletto.
Giusto per fare qualche nome: Clemente Mastella con 307.328€, Armando Cossutta 345.744€, Alfredo Biondi 270.792€, Luciano Violante 271.498€, Vincenzo Visco 234.050, Sergio Mattarella 234.050€, Willer Bordon 201.684€. I più famosi.

Giuliano Amato quand'era socialista con Craxi
Ecco tutto questo non basta più
La mente sottile del dottor sottile (soprannome scalfariano, che se in Italia non hai un nomignolo di riferimento non sei proprio nessuno) ha partorito un'idea geniale. Oltre all'assegno di cui sopra (non tassato e quindi netto) al povero trombato si può dare una mano versandogli due anni di vitalizio anticipato.
Non è un gesto carino? Non è caritatevole tutto ciò?
D'altra parte non si vorrà mica che il poveretto ex deputato quarantacinquenne vada a rubare, vero?
Che questi abbia una professione e magari si (ri)metta a lavorare come tutti i normali cittadini, è idea che proprio non gli è balenata neppure nell'anticamera del cervello. Caro dottor sottile.
Peraltro l'Amato Giuliano ha di questi sbalzi di memoria.
Ora si definisce tecnico pur avendo passato quattro legislature alla Camera e una al Senato. Essere stato due volte presidente del consiglio, e tre volte ministro e almeno una sottosegretario alla presidenza. Il presidente era Benedetto Craxi detto Bettino.
Come soprammercato va ricordato che l'Amato Giuliano nasce nello Psiup (partito socialista di unità proletaria. Stava a sinistra del Pci) poi passa al Psi di Craxi, per l'appunto e poi all'Ulivo e quindi al Pd di cui magari è anche padre fondatore. Sono così tanti i padri di quel partito che ci sta anche lui.
In altre parole uno che ha nuotato nella politica come un pesce rosso nella sua boccia.

By the way, è da sottolineare che il dottor sottile, che è rimasto male quando non è stato chiamato a far parte del governo dei tecnici, ha ricevuto, comunque, da Mario Monti l'incarico di predisporre un piano di riduzione dei costi della politica. E lui a questo si sta impegnando. Com'è ironica la vita: uno di quei rari passaggi in cui per ridurre si pensa di aumentare.
Infine una nota di merito per Domenico (Mimmo) Scilipoti e Antonio Razzi (quello che si faceva i azzi sua).
In questa tragica situazione in cui nessuno vuole essere messo in lista per fare il parlamentare, anzi si sgomita per uscire dalle liste e c'è chi è pure scappato come s'è visto nel caso Cosentino, solo loro due si sono prestati di buon grado. E senza un lamento e senza protestare che peraltro a farlo ci ha pensato la base locale del Pdl. Veri agnelli sacrificali immolati per puro e disinteressato amor di patria.


A margine è da ricordare che il dadaismo (dada non vuol dir nulla) è un movimento artistico-culturale multidisciplinare che tocca la pittura, la poesia, il teatro, il cinema e anche la fotografia. nasce nel 1916 a Zurigo, che più Svizzera non si può, veleggia un po' in Germania e quindi punta decisamente su Parigi per poi spiccare il grande salto oltre oceano a New York. Tutti i grandi artisti sono svizzeri, rumeni (il fondatore) tedeschi, francesi e americani.
Furono dadaisti poeti come Hugo Ballme, Tristan Tzara, Hans Arp, Marcel Janco, Richard Huelsenbeck, Sophie Täuber, pittori come George Grosz e Max Ernst, drammaturghi come Ernest Toller, Franz Werfel e il primo Brecht e registi come Fritz Lang e Murnau. Non ci furono grandi artisti dadaisti italiani.
Eppure gli italiani, specialmente i politici del dadaismo hanno incarnato ed incarnano lo spirito più puro: rifiuto della ragione e del progresso a cui contrappongono irrazionalità, gusto per il gesto irridente e spirito anarchico. Quest'ultimo sotto mentite spoglie.
Chi altri se no?



martedì 22 gennaio 2013

Elezioni 2013: poche idee ma in compenso tanta noia.

Slogan come se piovesse. Battutine al vetriolo. Proposte concrete pochine. Se la campagna elettorale proseguirà su questo trittico poi non si avrà da stare allegri.

Fino ad ora il dibattito elettorale è stato noioso. Molto noioso. Incredibilmente noioso. E per nulla laico. E per nulla sociale. E per nulla propositivo.
Sei i contendenti, accompagnati da sbiaditi aspiranti comprimari che vedono scemare ogni giorno di più le ambizioni a far parte della prima fila.
Ognuno dei sei, attore a modo suo, si applica nel recitare con diligenza degna di miglior causa la parte.  Troppo facile e tutto sommato irriguardoso trarre per costoro un parallelo con le sarcasticamente vere righe di Erasmo. Ingeneroso per l'olandese.

Questa volta più che della follia va in scena la rappresentazione della demenza. Talvolta quella senile talaltra quella precoce.E così ciascuno si presenta come ce lo si aspetta: il peracottaro d'avanspettacolo, la monotona saggezza del contadino che vien dalla montagna, il perfido perbenismo curiale, la rivendicazione della diversità nella disperante ricerca dell'omologazione, la velleitaria rivoluzione in guanti bianchi, la rivolta per la rivolta perché “noi siamo buoni e gli altri son cattivi”.
Tante belle storie vecchie trite e ritrite.
Slogan come se piovesse. Politica poca se non nulla. Il massimo che si capisce è che “gli altri sono peggio di me” che, con tutta la buona volontà, non è un bel presentarsi e neppure un bel scegliere. Perché l'alternativa, quella vera, non è dove e quanto comodi si sta a frignare ma tra il  piangere e il ridere.
E alla più parte dei bipedi pensanti piace star sereni ancor prima di ogni altra situazione. Banale forse. Sensato certo.

Fatti di quelli che interessano la gente cosiddetta normale, che da vicino se ne vede poca, del tipo: come arrivare alla fine del mese, della scuola dei figli, della garanzia di diritti per le compagne e i compagni di una vita (che se non sei giornalista o parlamentare te li sogni), della semplice certezza che i tombini son tombini e che i torrenti non esondino, le colline non smottino e le case non crollino, o che i funzionari dello Stato – che era bello sentirli definirsi servitori – ridano un po' di meno e sappiano far di conto un po' di più. E magari con quel tanto di relativismo - Benny XVI e i suoi porporati ciacolatori scuseranno - che rasenti l'equità perché la fola della legalità che è diversa dalla giustizia è per l'appunto solo una fola. E il diritto va perseguito anche se a cascare sono i cosiddetti migliori. Che se migliori fossero per davvero rispetterebbero il ruolo affidato e non ne trarrebbero personale profitto e neppure ricerca di impunità. 

Quindi, per dirla come va detta, ora non c'è maggior aspettativa di vita ma solo vecchiezza più lunga e quindi bisogni direttamente proporzionali alla debolezza che va crescendo. Ciò non sta a significare più case di riposo (pure private e appaltate dal pubblico) ma più servizi alla persona, magari in casa propria. E ancora: ritornasse quel senso del decoro che De Sica fece scorrere sulla pellicola di Umberto D. E ci sarebbe ancor da dire di guerre e di donne che muoiono e di carceri che son piene anche per fatti da nulla. E di buon senso che latita. E la lista sta lì ad allungarsi. Prego chi vuole si accomodi.
Ecco di tutto questo, di cui sarebbe normale parlare, non si è detto. Ci si balocca sul chi piuttosto che sul che cosa e sul come .
L'enorme quota tempo dedicata alla disquisizione su ossimori: può un “impresentabile” essere presentato? può il laico stare col clerico-fascista? può esserci regola se poi c'è deroga? sta a dire di quanto di kafkiano è intrisa la situazione.

Si profetizzava che “una risata vi distruggerà” ma dovrebbe essere sana e cristallina e non saper d'amaro. Che altrimenti non è ridere ma ghignare. E il ghigno di solito non risolve.
Michail Bakunin, che di idee ne sfornava a getto e pure un po' confuse, ebbe a scrivere con chiarezza che «I cattivi finiscono in un modo infelice, i buoni in modo sfortunato: questo è quel che significa la tragedia». Magari piacerebbe assistere a qualcosa di più piano ma per farlo ci si deve scomodare in prima persona. Si vedrà se nella seconda parte della corsa elettorale le parole incontreranno il senso.
Che non parrebbe male e in più sarebbe pure una sorpresa. Piacevole.


sabato 19 gennaio 2013

Quote latte: questa volta la Lega non c'entra.


La magistratura indaga su un altra truffa ai danni dello stato. Si perquisisce la sede di via Bellerio, ma i giudici dicono che la Lega non è coinvolta. Sursum corda.

Roberto Maroni mentre balla con la scopa. Fino ad ora
poco usata per cambiare organigramma ed alleati.
Ancora una volta la Guardia di Finanza nel seguire le tracce di un malaffare è incappata in un partito, che già di per sé oramai non è più una notizia. All'ordine del giorno la questione delle quote latte e una truffarella da un paio di centinaia di milioni di euro. Per recuperare un po' di materiale le Fiamme Gialle hanno pensato bene di fare un giro dalle parti di via Bellerio, a Milano, nella sede della Lega Nord. Nulla di preoccupante: hanno guardato dentro qualche cassetto, hanno parlato di "persone informate sui fatti" e tranquilli se ne sono andati con diversi scatoloni di carte. Insomma la norma di questi tempi. In un primo tempo si era sparsa la voce che il quartetto Maroni-Bossi-Calderoli-Cota, riunito in conclave per discutere della Regione che non c'è, novelli Peter Pan, avesse opposto alla perquisizione l'immunità parlamentare ma poi la notizia è stata smentita. Finalmente un po' di rispetto per il diritto e lo Stato. Che da quelle parti parti non è certo moneta corrente.

Questa volta non è andata come nel 1996 quando gli aspiranti discendenti dei galli-celti si opposero, attivamente e ingiustificatamente, scrisse il tribunale, ad un'altra perquisizione per la questione della "Guardia nazionale Padana". Quella volta il Bobo, come viene amorevolmente chiamato il Maroni dai suoi, fece andar le mani e a dimostrazione del suo impegno, girò per qualche tempo con un collare che gli dava un'aria da tapino bagnato piuttosto che l'auspicata immagine dell'eroe ferito. Che per questa parte ci vuole il fisique du rolee qui, oggettivamente, manca la materia prima.
Ma sulla vicenda non mancò il sostegno del parlamento che con l'esperienza già maturata nella gestione del conflitto di interessi, del falso in bilancio e di altre leggi ad personam trovò il tempo di abrogare il reato di "oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale" e a ridimensionare quello di "attentato contro la Costituzione e l'integrità dello Stato e creazione di struttura paramilitare fuorilegge". Che guarda caso erano i reati che al futuro sostenitore della ramazza erano imputati. C'è chi può e chi no.

Comunque, alla fine il "nuovo" segretario Maroni, quello che voleva ramazzar via il vecchio e il poco pulito dalla Lega, ha potuto tuonare che «la Lega non c'entra nulla. Il caso è già chiuso». Gioia gaudioque, avrebbero detto i romani. Mentre probabilmente lui, il Maroni, che forse qualcosa di latino ha masticato, avrà sudato freddo. 
 E magari la mente gli sarà andata ad altre ben penosi fatti come quello della CredieuroNord. Che bello da ricordare proprio non è: un buchetto da circa quindici milioni di euro. La storia è sgradevole soprattutto perché quella volta ci andarono di mezzo oltre tremila militanti. Quelli fiduciosi nella Banca del Nord che dopo solo quattro anni fallì miseramente. In gran parte era gente di modeste condizione che, abbacinata dalla fede - non è mai salutare averne di cieca ancorché padana - vide scomparire i suoi sudati risparmi. E ancor peggio fu quando si cercò di sanare la situazione attraverso l'aiuto di Gianpiero Fiorani. E anche lui non finì bene.

Cota-Maroni-Bossi-Calderoli se questo è tutto il nuovo della
Lega Nord chissà come sarà il vecchio.
Il fatto poi che per la questione delle quote latte la magistratura abbia sentito la necessità di ascoltare Renzo Bossi, quello della paghetta da decine di migliaia di euro, al povero Maroni avrà fatto tornare alla mente recenti patimenti. Come quello del generoso Belsito che si baloccava con diamanti e investimenti in Tanziania e come soprammercato dispensava lauree e diplomi come se piovesse.

E forse si sarà pure ricordato di quella cartelletta battezzata "the family" che ha raccontato di quanto la Lega fosse riconoscente al fondatore ed alla sua famiglia. Soprattutto alla sua famiglia.
Certo è che se l'ideatore della truffa - questo almeno dice la sentenza di appello del 2011 con cui è stato condannato
 Giovanni Robusti da Piadena, ex leader del Cobas del latte - non fosse stato anche senatore per conto della Lega nella XII legislatura e poi assessore alla provincia di Mantova e nel 2008 deputato europeo, sempre per i padani, probabilmente la Guardia di Finanza pochi motivi avrebbe avuto di visitare via Bellerio. E forse il caso non è proprio chiuso come vorrebbe Bobo. La politica della Lega nella attuale legislatura sulla questione quote latte è stata un po' ambigua e, a dire degli oppositori, pare abbia introdotto provvedimenti che hanno dato una mano a chi non rispettava le multe della Ue. E questo non è bello.  E non è neanche bello il caso che si sta profilando all'orizzonte e che vede come protagonista il gruppo leghista del Senato e il suo capo Federico Bricolo. 
Comunque per questa volta tutto bene. Almeno per l'onore delle istituzioni.

Resta solo una domanda: ma Maroni Roberto, che pure in questi anni ha ricoperto la carica di ministro degli interni, e mai s'è accorto di nulla, dove viveva? 

lunedì 14 gennaio 2013

Emma Bonino non può parlare in chiesa. Dov'é lo scandalo?

Non si è potuto commemorare Mariangela Melato in chiesa. “Nuove disposizioni” s'è giustificato il parroco. Perché scandalizzarsi. Mica ci si scandalizza dei piccioni di piazza san Marco.

Emma Bonino amica di Miriangela Melato
Il fatto è noto: alle esequie di Mariangela Melato non è stato concesso alla di lei amica Emma Bonino di fare il discorso commemorativo. «Questioni burocratiche» ha detto il responsabile della chiesa degli Artisti. Come se in quel momento si potesse star dietro e, soprattutto, capire i cavilli della burocrazia.
Che già è difficile intendere quella ordinaria dello Stato figurarsi quella leguleia e sempre zeppa di contorcimenti e frasi mezze fatte e mezze sfatte che esce dagli uffici, di solito sacri, che stanno al di là del Tevere.
Bene. Dov'è lo scandalo?

A qualche malizioso è venuto il dubbio che il divieto sia stato posto per via della speaker: la radicale Emma Bonino. Perché questa, e non solo a titolo personale, con il Vaticano ha aperti ben più di un contenzioso e che si definisce rigorosamente laica. Chissà che mai avrebbe potuto dire in quel contesto siffatta laicista, come sempre più spesso vengono definiti dalle gerarchie vaticane coloro che hanno deciso di non voler credere nel trascendente.
Quindi meglio vietare ed impedire la parola. Ri-bene.
Ancora: dov'è lo scandalo?

Vien da dire che quasi ogni attore di questa rappresentazione abbia adempiuto, con coscienza e coerenza, alla sua parte. Uno vieta, al solito giustificato, e l'altro si scandalizza.
Non stupisce che la gerarchia sia poco tollerante e un tantino dogmatica, che spruzzi ogni suo fare e dire con l'acre polverina dell'integralismo e dell'ortodossia. E che sia sempre lanciata in battaglie di retroguardia o addirittura di oscurantismo. Sempre disposta a giustificare e a chiudere gli occhi, sui propri falli.
Fa il suo mestiere. Nulla di più e nulla di meno. Perché scandalizzarsi della norma?
Specialmente quando riesce, e a ben vedere non importa come, ad ottenere il consenso.
Sarebbe come scandalizzarsi del fatto che in piazza san Marco, giusto per citarne una famosa, i piccioni, sgancino quelle schifose e micidiali bombette bianche e gialle che han la prerogativa di centrare sempre quelli che se ne vanno in giro col vestito della festa. Li si maledice un po', i piccioni, ma poi neanche tanto. Fanno il loro mestiere.
Non è un bel fare ma così è. E ce ne si fa una ragione.

Stupisce piuttosto quell'aria di ingenua sorpresa.
Se ci fosse tolleranza e disponibilità e voglia di guardare in faccia la realtà, senza gli occhiali della ideologia posta a difesa dei propri tornaconto e delle salvaguardie, con grande probabilità non si tratterebbe di una chiesa ma solo e magari più nobilmente, di una religione.
O forse ancora meglio di religiosità. Poiché questa, di norma, non ha bisogno di sovrastrutture burocratiche e, come soprammercato non è appannaggio esclusivo dei credenti nell'ultra terreno ma, assai spesso, ha l'ardire di lambire o addirittura di insinuarsi anche nell'animo di chi crede che prima dell'aldilà sia meglio arredare, pure se con modestia, l'aldiqua.

Il sentimento della sorpresa sarebbe meglio impegnarlo per quelli che, (auto) definiti laici, della laicità dimenticano il senso e le conseguenti implicazioni etiche e morali che poi portano ai comportamenti. E soprattutto la sua scomodità. Perché contrariamente a quel che con superficialità si pensa, gestirla, la laicità, è tutt'altro che confortevole.
Il rigore è gravoso. Come il rinunciare al privilegio, che per definizione non è laico, o portare rispetto e comprensione delle ragioni altrui.
Il che non significa omettere la denuncia per i mal fatti che devono, laicamente, sempre essere resi noti. Ma se accanto a questi si potessero citare dei ben fatti di robusta fattura ce ne sarebbe di vantaggio. E magari di sana pulita, laica, credibilità.

venerdì 11 gennaio 2013

Nelle liste del Pd ce n'è per tutti i gusti.


Finalmente si è capito perché Bersani citò papa Giovanni. Nelle liste del Pd c'è di tutto. Il Pd assomiglia sempre di più al Vaticano: un candidato per ogni segmento di mercato. Questo si che è ecumenismo.

Il Pd, più tecnocrate ed efficiente di Mario Monti, ha presentato per primo le liste dei suoi candidati alle elezioni politiche di febbraio. E per ottenere questo invidiabile primato nelle liste ci ha buttato dentro di tutto. Proprio come quando si fanno le valige in fretta e furia perché si ha paura di perdere l'autobus per la stazione. E quindi si cacciano dentro alla rinfusa spigati siberiani e canottiere, sandaletti e scarpe da pioggia, costumi da bagno e muffole.
Così finalmente si è capito perché Pier Luigi Bersani nel famoso confronto televisivo per le primarie se ne uscì dicendo che il suo riferimento era papa Giovanni XXIII. «perché è stato un vero riformista», disse.
Alcuni risero, addirittura il Fatto Quotidiano quantificò l'entità della risata in mezzo web, magari esagerando un pochino, altri fecero dell'ironia. Pochi capirono il senso del riferimento.
Oddio non che sia facile cogliere il concetto delle vivide metafore che l'uomo di Bettola ci ammannisce ad ogni piè sospinto. Tra la pioggia che bagna tutti, i tacchini che stanno sul tetto - che questa a Renzi proprio non gli entra in testa - e donne che sono fuori dagli stereotipi (leggi Emma Bonino) non è facile destreggiarsi.
Nella indicazione di Roncalli come personaggio di riferimento era sottinteso l'ecumenismo. E Bersani vuole essere più ecumenico dell'inventore dell'ecumenismo. Per non essere da meno.
E sfogliando le liste delle varie circoscrizioni, pare ci stia riuscendo: dentro c'è proprio di tutto. Soprattutto tante belle facce note. Dinosauri che di estinguersi non ne vogliono proprio sapere (Finocchiaro e Marini e la Bindi per dirne solo tre) e sindacalisti magari moderati (Giorgio Santini dalla Cisl) , che si sa mai che un sindacalista che fa il sindacalista sia troppo pericoloso e per essere sicuri pure qualcuno d'antan (Pietro Larizza ex Uil). 

Ovviamente non possono mancare gli imprenditori (Matteo Colaninno) e i rappresentanti di Confindustria (Gianpaolo Galli) poi una spruzzatina di sportivi (Josefa Idem) e qualche magistrato (Grasso, Casson) e giornalisti come se piovesse(Mineo, Zavoli, Mucchetti …) e, ovviamente docenti universitari (Carlo Dell'Arinda). E finalmente i vincitori delle primarie locali che stanno in fondo alla lista (intriganti i casi di Lombardia, Puglia, Sardegna tra ipiù eclatanti) mentre i catapultati dalla direzione del partito che invece nella lista sono in testa (Luigi Manconi marito di Bianca Berlinguer, giusto per dirne uno per tutti) e naturalmente i premi di consolazione (Laura Puppato, neanche a dirlo). E poi giù ad inseguire Monti a testa bassa. Poiché Monti ha Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, anche Pier Luigi ha la sua egidina: Emma Fattorini.
Monti schiera Andrea Oliviero delle Acli e Pier Luigi risponde con Luigi Bobba e aggiunge due carichi a coppe come Enrico Preziosi, ex vice presidente dell'Azione cattolica e per non lasciare nulla al caso come non inserire in lista la figlia dell'indimenticato Flaminio Piccoli?
Sembra il giochino dei bimbi, uno dice “questo ce l'ho io” l'altro risponde “sì ma ce l'ho anch'io”. Complimenti. Pare proprio che la lezione che a suo tempo fu impartita da Paola Binetti e da Massimo Calearo non sia stata ben capita. Ma tant'é.
Alcuni poi sono stati strappati alle loro legittime aspirazioni: Ugo Sposetti avrebbe voluto fare il nonno (1)  ma poiché al momento non ha nipoti ha accettato, forse a malincuore, di tornare a Montecitorio per proseguire la sua battaglia in favore del finanziamento dei partiti e della politica (2). Che senza di lui, già quattro legislature sulle spalle, che ha un indice di produttività di 87,2 e che nella speciale classifica si posiziona al 537° posto su 630, Bersani non sapeva proprio come fare. In questa sua battaglia sostenuto da Marina Sereni - presentò anche un consuntivo dei suoi ricavi di parlamentare da cui risultava che versava alla sua portaborse come stipendio 1.609,93€/mese a fronte di un contributo ricevuto come rimborso di 3.690€/mese (3) - che nonostante abbia presenziato all'83,54% delle votazioni ha un indice di produttività scarsino, 139,2 e si piazza al 392° posto. Un pochino: oltre la metà. Pochino-pochino.
E poi naturalmente i giovani turchi alla Stefano Fassina, che chissà come farà ad andare d'accordo con i sindacalisti moderati e certi professori, lui che viene accreditato per essere un pericoloso “sinistro”
Poi ci sono le caselle vuote che toccano agli alleati, tipo i socialisti, e quindi saranno in lista un Craxi di seconda generazione (Bobo) e un Claudio Martelli, questo originale, che trombato nel 2011 per il consiglio comunale di Siena, a settant'anni e dopo quattro legislature e un passato come conduttore televisivo, si rilancia in politica. Che se ne sente la mancanza. Se poi butta male ci si ritrova pure il figliuol prodigo Rutelli. Che magari, ad elezione avvenuta, si squaglia nuovamente.
Insomma ce n'è per tutti i gusti. Più che liste elettorali sembrano gli elenchi delle referenze di un supermercato.
Fino ad ora solo il Vaticano ma che ha storia lunghissima e gloriosa, era riuscito a mettere insieme con tanta spregiudicatezza tradizione e innovazione e i gesuiti in questo sono stati più che maestri, avendo il giusto monsignore per ogni segmento di credenti: quello per le beghine, quello per la borghesia illuminata, quello per i poveri e anche quello per i rivoluzionari. Si vede che sta facendo scuola. 
Si vede che Pier Luigi quando faceva il chierichetto giocava con i turiboli ma si impratichiva anche d'altro.  

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(1) http://www.tusciaweb.eu/2012/10/saro-nonno-ugo/

lunedì 7 gennaio 2013

Mario Monti da alleato a nemico del Pd

Per Caldarola, ex direttore dell'Unità ed ex parlamentare, Monti non fa sognare e per questo non è un leader e non andrà lontano. In realtà teme che Monti porti via voti al Pd. I sogni in politica sono fatti non velleitarie illusioni.

Mario MOnti, senatore a vita
Con un articolo uscito su Linkiesta lo scorso 5 gennaio dal titolo “I grandi leader hanno una passione: qual è quella di Monti?” Peppino Caldarola (due volte ex direttore all'Unità, ex Pci, ex Pds, ex Ds, ex Pd, ex dalemiano, ex veltroniano, due volte ex parlamentare e attuale - così si definisce - apolide della sinistra) vuol dimostrare che Monti non può essere un leader perché non ha passione. 
Per suffragare questa affermazione lo mette a confronto con tre leader del passato, Berlinguer, Moro e Craxi e poi, giusto per non lasciar niente al caso, anche con Berlusconi e Grillo. Che già qui vien da chiedersi cosa centrino gli ultimi due con i primi tre. Ma il ragionamento non necessariamente deve correre lineare.

Quindi per essere certo di aver ben trasmesso il suo pensiero il Caldarola chiude scrivendo che: «C’è questa aria da minestra riscaldata, da brodino freddo, da verdurina per convalescenti che contrasta con un Paese che vuole sperare e sognare. Così non va lontano. Pensate che ci fu un grande leader nero che sfondò la barriera dell’ostilità, della rassegnazione, dell’indifferenza dicendo solo: Io ho un sogno».
Leggere che l'ex direttore all'Unità usi argomentazioni che potrebbero benissimo stare in bocca, a Berlusconi, anche perché ci stanno, per davvero, fa specie. Ma forse neanche tanto.
Si tratta, per dirla come va detta, di un attacco poco centrato sulla politica e molto sul personale, con scarsi elementi di originalità.
Anzi banalotto. Decisamente.
Con aspirazionali intenzioni psico-sociologiche. Mancate.

Peppino Caldarola
Quel che si intende chiaramente è che taluni nel centrosinistra abbiano più paura di Monti di quanto non temano Berlusconi. Timore peraltro graziosamente ricambiato anche dal capo del Pdl che arriva addirittura a dare indicazioni di voto per l'odiato nemico comunista.
Anche se poi il Pd con Monti ha governato per oltre un anno, condividendone per larga parte la politica. E comunque sempre votandola. Mentre di Berlusconi si è ben chiaramente dimostrato che ha condotto il Paese a un passo della rovina.
Non amando nessuno dei due ma dovendo scegliere, il primo è senz'altro meglio del secondo. E non di poco.
E pure gli altri termini di paragone sono fuor di luogo e distorcenti la realtà.
Quel «I have a dream» gridato da Martin Luther King non era un artificio retorico per un «Paese che vuole sperare e sognare» ma una concreta proposta politica. Il punto d'arrivo (e di ripartenza) di un vasto movimento di massa. Non a caso fu pronunciato a compimento di un grande evento di popolo quale fu “la marcia per il lavoro e per la libertà” cui parteciparono oltre 250.000 persone.
«I have a dream» era il risultato di quella mobilitazione. E la concretezza di quel sogno e il suo avverarsi stava tutto nell'ormai maturo contesto socio-economico di quel momento. Non poteva avvenire né prima né dopo. E un materialista storico, ancorché ex, dovrebbe saperlo. Ma vabbè.
Enrico Berlinguer, sardo,
segretario del Pci dal 1972 al 1984
Anche il confronto per differenza con Moro, Berlinguer e Craxi è fragile. 
Neppure loro erano caratterialmente degli zolfanelli capaci di suscitare chissà quali entusiasmi quanto piuttosto erano, come Monti, oggetto (loro malgrado vien da dire) della passione dei loro sostenitori.
In politica termini come passione, sogno e, anche speranza non sono astrazioni sociologiche come crede il Caldarola ma fatti concreti che nascono dal basso e di cui il leader è emanazione. E di cui si fa portatore. Il portatore di questi sogni può anche avere la carica emotiva di un portacenere come non pochi capi partito hanno dimostrato nella recente storia italica. Chi non ricorda lo spumeggiante Mariano Rumor o il frizzante Emilio Colombo e l'elettrizzante Francesco Di Martino. E la lista si potrebbe pure allungare.
D'altra parte quando la concretezza lascia il passo all'estetica del sogno allora questo non si chiama più sogno ma illusione o demagogia o populismo.
Berlusconi in questi ultimi vent'annni ha vinto non perché “bucasse” il video – memorabile nel 2006 il suo impaccio nel contraddittorio televisivo con Prodi, un altro con la carica emotiva di un fiammifero bagnato, che peraltro vinse per due volte le elezioni – ma perché ha offerto, da buon piazzista, quanto richiesto dal mercato elettorale. Il sogno, concreto, del contratto con gli italiani e del mitico milione di posti di lavoro e ancora che è bello non pagare le tasse, tanto le strade si asfaltano da sole e che la crisi non c'era o, così come ora, che bisogna uscire dall'euro. Era ed è merce avariata, patacche belle e buone, ma che un velleitario e indisciplinato popolo voleva a tutti i costi comprare. Questo desiderava e questo ha ottenuto. Un aggrapparsi ai fili d'erba per non precipitare.

Contrariamente a quanto scrive Caldarola, detto da un non simpatizzante, è probabile che Mario Monti abbia una sua personale passione. La passione di una certa, probabilmente molto rara, borghesia: rigorosa nel metodo e magari anche dura nella moralità. Un po' calvinista. Almeno fino a prova contraria. E comunque ci vuole un bel sogno, o anche una bella ambizione, che poi è lo stesso, per mettersi in gioco, correndo il rischio di partecipare a elezioni dall'esito incerto e che di sicuro non lo vedono partire in prima fila, piuttosto che starsene rincantucciato nel suo bello scranno al Senato. Ottenuto, oggettivamente, per grazia ricevuta.

In ogni caso che Mario Monti disponga o meno di passione è un suo fatto personale che tutto sommato può appassionare solo chi ha poco o niente da dire.
Anzi non si capisce perché i suoi competitori, specialmente quelli di centrosinistra, non siano contenti di questa sua (pretesa) mancanza e anziché consigliargli di porvi rimedio, che suona da storditi e anche un po' da masochisti non lo incalzino come sarebbe doveroso e più giusto su questioni assai serie come quelle relative alla equa ripartizione degli oneri, alla relazione con le istituzioni finanziarie, alla capacità di generare sviluppo e posti di lavoro. O non gli rinfaccino la sua mancanza di leadership su temi fondamentali come l'abolizione delle province, i privilegi e gli sprechi o sui diritti civili o la legge elettorale. E ancora sui temi centrali della laicità e della relazione con il Vaticano. Che così facendo ne marcherebbero la differenza. Questi sono gli argomenti concreti su cui si può e si deve sognare. Poiché i voti si prendono o si perdono ragionando di questo e proponendo soluzioni.
Sarebbe bello sentire qualcuno dire «Ho un sogno» invece di leggergli in faccia “ho paura di perdere” o peggio “voglio stare ancorato a questo scranno perché altrimenti non so che fare”.
Il vero timore di molti nel Pd non è che Monti abbia passione o meno ma che gli sottragga quella parte di elettorato che pur non di centrosinistra lo voterebbe solo per non ricadere nelle grinfie berlusconiane. E quindi è il Pd che deve decidere su quale sogno vuol giocarsi e dove mettere la sua passione poiché quello che sta seguendo ora assomiglia anche troppo alle angosce dell'asino di Buridano. Che alla fine, si dice, ebbe qualche mancamento.
Engels diceva che: «la prova dell'esistenza del budino consiste nel mangiarlo». Scopriremo il 26 febbraio, a scrutini finiti, quale budino e di chi, gli italiani avranno voluto mangiare. 

mercoledì 2 gennaio 2013

Rita Levi-Montalcini: ci mancherà questa donna laica.



Una vita dedicata senz'altro alla scienza ma anche, e forse di più, alla voglia di essere persona tra le persone libera e indipendente. Senza schemi. Questo il più importante valore aggiunto che ci lascia in eredità.

Dire bene di Rita Levi-Montalcini è facile. Anche fin troppo.
Gli autori di “coccodrilli”, come con acidità vengono definiti i pezzi commemorativi, sono andati a nozze. Ed è stato un grondare ed un ripetere di cose note e risapute, anche un po' banali, scuseranno i signori dei grandi giornali e con quella dose di retorica che, purtroppo, in queste tristi occasioni a nessuno viene negata.
Che una scienziata sia determinata, vogliosa di progresso, instancabile, innamorata, magari anche ossessivamente, del proprio lavoro che peraltro considera una missione è ancor più che ovvio semplicemente scontato. Così come l'elenco delle onorificenze e dei titoli accademici dopo aver detto del Nobel risulta stucchevole. Il tutto sta nell'essere scienziata.
Ciò che al contrario non ci sta e non necessariamente rientra nel ruolo è la capacità di intendere la vita, gli atti politici e la relazione con la società con laicità. Da persona e basta.
Rita Levi-Montalcini ci è riuscita. È stata una donna libera e laica. E nella laicità risiede il più importante valore aggiunto che lascia come eredità ed esempio.
Ciò che più colpisce nella sua biografia è l'aver saputo tenere separati fatti e azioni dal banale senso comune e da ogni sclerotizzato riferimento ideologico. Talvolta anche contro il suo stesso interesse di bottega.
Come quando, dichiarò nel 2006 che «per conflitto di interesse» non avrebbe partecipato al voto su un emendamento leghista, di chi se no, che chiedeva di abolire e spostare alcuni stanziamenti pubblici dalla fondazione EBRI, da lei voluta al San Raffaele di don Verzè. Che poi s'è visto come era gestito.
Così come quando prese decisa posizione sulle responsabilità sociali degli scienziati o, negli anni settanta, fu attiva nel  Movimento di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell'aborto e anche nel voler dare alle donne d'Africa una ulteriore opportunità di studio e quindi anche di emancipazione. E per le donne molto si è spesa.
Come quando si dichiarò favorevole alla liberalizzazione delle droghe pur ritenendo che l'uso di quelle leggere possa favorire il consumo di quelle più pesanti. O ancora quando lei -che scrisse nella sua autobiografia: « Per la religione invece mi ero trovata in imbarazzo la prima volta che mi era stata rivolta la domanda, perché sull'argomento avevo idee vaghe. Ero ebrea, israelita o che diavolo altro? » e che si professò atea  «Non so cosa si intenda per credere in Dio» - donò parte del denaro avuto dal premio Nobel per la costruzione della nuova sinagoga romana.
E a chi con stupidità ancor più che rozzezza, magari per vantare un quarto d'ora di indegna notorietà, ironizzava sulla sua età e sulla necessità di dotarla di stampelle rispose pubblicamente che «Nel pieno possesso delle mie capacità mentali e fisiche continuo la mia attività scientifica e sociale del tutto indifferente agli ignobili attacchi di alcuni settori del Parlamento italiano». Che in Parlamento ci si aspetterebbe di veder ben altro che squallidi atti e tristi figuri.
Non a caso la sua autobiografia porta come titolo “L'elogio della imperfezione”. Non è da tutti raccontare dei propri insuccessi e delle proprie frustrazioni. Gli errori vanno capiti, studiati, ammessi e magari anche risolti. Non è da tutti.
Grazie “Piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa”, Come di lei scrisse Primo Levi.