Ciò che possiamo licenziare

lunedì 16 dicembre 2013

Renzi e Letta: lotta continua. Berlusconi minaccia la rivoluzione.

Matteo e Gianni sono in lotta continua e cercano di primeggiare l'uno sull'altro a tutti i costi alzando continuamente la posta. Appena uno dice di voler fare una riforma quell’altro la spiattella sul tavolo del governo. E se alla fine tra i due litiganti fosse il paese a godere? Berlusconi dice che se lo arresteranno scoppierà la rivoluzione, ma non è vero.



Enrico guarda in basso, Matteo in alto si tengono le mani
in modo bizzarro, si vede che sono fatti l'uno per l'altro.
Tra Renzi e Letta s’è avviata una bella competizione: appena uno lancia sul tavolo l’idea di una riforma subito quell’altro si dà da fare per superarla, dire che la farà prima e meglio e addirittura metterla in cantiere. 
Sembra di vedere Paul Newman e Lonegan nel film La stangata mentre giocano a poker sul treno. Ognuno dei due è lestissimo a dire «piatto» (che nel gergo del pocker significa punto tutto quanto è nel piatto in questo momento) appena quell’altro accenna a rilanciare la puntata.

E così Matteo non fa in tempo a dire che vuol ragionare sui costi della politica e pensa alla montagna di soldi che i partiti ingurgitano che zac l'Enrico ti riunisce il consiglio dei ministri ed in un battibaleno presenta il decreto legge che abolisce il finanziamento ai partiti e lo fa approvare. Viene il sospetto che quel documento se lo tenesse nel cassetto da un bel po’ di mesi ma se non ci sono prove questa diventa una maldicenza gratuita. E magari Pierluigi Battista se ne adombra. Lungi quest’idea da qualsiasi benpensante. 

Oddio gli italiani alla decisione che i partiti si finanziassero da fonti non statali c’erano già arrivati vent’anni addietro, nel 1993 ma non è che ci sia sempre immediata corrispondenza tra quanto vuole il popolo e quanto fanno i suoi rappresentanti. E’ un po’ come la differenza che passa tra la giustizia e la legalità. Una cosa è giusta ma non legale e un’altra e legale ma non giusta. Così va il mondo. Almeno da queste parti.

Peraltro non è che il decreto legge proposto ed approvato dal governo sia proprio cristallino, qualche alea la lascia ma, come dicevano i vecchi, piuttosto che niente è meglio piuttosto.  Infatti l’abolizione vera e propria del  finanziamento scatterà solo nel 2017, quindi fra tre anni e a questa data ci si avvicinerà per gradi. E qui occhio alla penna perché tre anni sono lunghi, poi c’è da dire che quelli che poggiano i loro deretani sugli scranni del Parlamento non saranno intelligenti ma astuti come faine questo certo sì. E quindi il rischio che quello tessuto oggi venga disfatto domani non è poi così lontano. E quindi un’altra volta occhio alla penna anche perché Ugo Sposetti e i suoi consimili girano sempre nei paraggi. E sono pericolosetti.

Comunque è già bello constatare che appena il Renzi dichiara di avere in testa una riforma che quell’altro, il Letta, si butti a farla per togliere ogni vantaggio al primo. E allora ecco che subito Matteo rilancia: subito il taglio delle spese inutili, subito l’abolizione delle province, subito la nuova legge elettorale e subito la riduzione dei parlamentari, e subito il taglio delle tasse. E magari anche, perché no, subito la restituzione dei soldi già ricevuti dal partito. E poi chissà che altro. Certo che se tanto dà tanto il popolo potrebbe pure trovarsi a stropicciarsi le mani per la contentezza. Vuoi mai vedere che quei due nel tentativo di fregarsi l’un con l’altro si trovano inopinatamente a fare gli interessi del Paese? E’ sì perché a furia di rilanci in questa continua ed infinita campagna elettorale a due dove pure qualche cosa bisogna farla, magari ne escono, se non tutte, almeno una buona parte di quelle riforme che il ventennio berlusconiano un po’ ha promesso e mai ha realizzato. Che sia la volta buona in cui tra i due litiganti il terzo goda e questa volta il terzo sia il Paese?

In tutto questo il giovane Renzi ha pure trovato il tempo di fare un passaggio dal vecchio Napolitano per dirgli chiaro-chiaro che lui di tutori non ha bisogno. Il Presidente dal monito facile ha incassato e taciuto d’altra parte non si può sempre avere a che fare con uno stuoino alla Enrico Letta che dice sempre di sì e che è lì solo perché in gioventù è stato il compagno di giochi del figlio. Giocavano a subbuteo. Alta strategia.

Di Berlusconi si sente dire meno. Oramai sui giornali, a parte quelli di sua proprietà, occupa spazio da pagina otto in avanti e se non spara berlusconate sempre più roboanti nessuno se lo fila più. D’altra parte non serve al governo e dall’opposizione può fare proprio poco.  E Grillo è decisamente più divertente. L’ultima che ha scaricato suona più o meno così: «Se mi arrestano scopia la rivoluzione» E l’ha detto alla tv di Francia che da quelle parti di rivoluzione un po’ se ne intendono.Però tranquilli: non succederà nulla. 

Innanzi tutto l’idea di arrestarlo non gira nella testa di alcuno. E poi nessun direttore o direttrice di carcere lo vorrebbe tra i piedi, hanno già abbastanza problemi per conto loro senza volerli aggravare con un altro rompiscatole, invadente e presuntuoso. In secondo luogo ha talmente paura di finire al gabbio che senz’altro prima di entrare gli scappa un’altra uveite e comunque ha sottomano sia il numero di cellulare della Cancellieri e, se gli mancasse,  quello dei Ligresti. Quindi anche entrasse uscirebbe subito: un passaggio sulla porta girevole.  Ma ciò che impedirà la rivoluzione sarà ben altra e assai più importante questione. Quale? Un guardaroba non adeguato. 

Infatti più d’una tra le valchirie, amazzoni e pitonesse varie, compresa qualche falchetta dell'ultima ora ha dichiarato in privato e con una certa disperazione che: «Se scoppia la rivoluzione non ho niente da mettermi».

Eh, già fare la rivoluzione non è come dirlo, ci vogliono i vestiti giusti, gli abbinamenti giusti, le scarpe giuste, gli accessori giusti.  Una rivoluzione tacco venti non si può fare e le prove dalla sarta portano via un sacco di tempo. E poi camminare con gli anfibi è un’arte tutta nuova da imparare. Quindi, con buona pace di Berlusconi prima si sistemano i guardaroba e poi si può parlare di rivoluzione. Ma se tagliano i finanziamenti ai partiti il guardaroba queste come se lo rinnovano?



venerdì 13 dicembre 2013

La prima puntata della rubrica "Gloria mundi" curata da Castruccio Castracani ai microfoni de il cantastorie


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Ai microfoni de Il Cantastorie la prima puntata della rubrica "Gloria Mundi". I fatti più salienti della settimana commentati dal pungente Castruccio Castracani.... tutti i mercoledì a Il Cantastorie.... ormai un appuntamento fisso. E per chi ne volesse sapere di più lo può seguire sul suo blog http...

giovedì 12 dicembre 2013

Oggi è il 12 dicembre.

«12 dicembre strage di stato la classe operaia non ha dimenticato.» Alla fine si dimentica tutto: anche la strage di piazza Fontana. Se ne sono dimenticati tutti: intellettuali, giornalisti, parlamentari, anche il Presidente della Repubblica. Se non ci si ricorda di piazza Fontana diventa difficile uscire dalla crisi.



Banca Nazionale dell'Agricoltura il giorno della bomba
Alla Banca nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969, quarantaquattro anni fa, nel pomeriggio, ci fu un’esplosione.  All’inizio si pensò che fosse una caldaia ma anche se il rumore era lo stesso si trattava di qualcosa di eccezionalmente più grave: era una bomba. Qualcuno aveva piazzato una bomba molto potente nella sala centrale della banca. Morirono 17 persone e 88 furono ferite. Fu l’attentato più sanguinoso di quel periodo superato per tributo di sangue solamente dalla strage di Bologna che avvenne nel 1980. Cominciò con la strage di piazza Fontana, anche se quello non fu cronologicamente il primo attentato dell’epoca quella che fu poi chiamata la strategia della tensione. 

Quel terribile giorno a Milano doveva esplodere anche una seconda bomba in un’altra banca: nella sede della Banca Commerciale, in piazza della Scala, ma qualcosa andò storto e non brillò. A farla esplodere ci pensarono gli apparati dello Stato cancellando così alcune importanti prove. Anche a Roma esplosero altre tre bombe: in via Veneto sempre di fronte ad una filiale della BNA, all’Altare della Patria e al Museo del Risorgimento. Tutti luoghi simbolici. Si colpivano le due capitali del Paese, quella politica e quella economica (si diceva morale anche se di moralità allora come oggi ne girava pochina), le banche in rappresentanza del potere economico e due dei segni della unità nazionale  Gli attentati e le uccisioni poi si susseguirono con un ritmo incalzante tra il 1968 e il 1974 si contarono ben 140 attentati.

Dopo quarantaquattro anni e innumerevoli processi si è arrivati alla conclusione che non c'è alcun colpevole. Quella bomba si è messa lì da sola. Forse era una giornata troppo fredda per andare in giro a fare shopping e la Banca Nazionale dell’Agricoltura le sarà parso un bel posto caldo dove passare il pomeriggio. Non c’è da stupirsi può capitare. 

In verità dopo poche ore dall’attentato s’era già pescato un colpevole, anzi una intera categoria di colpevoli: gli anarchici. Si sapeva che questi dalla metà dell’ottocento in avanti avevano disseminato di bombe l’intera Europa colpendo monarchi e governanti di ogni tipo. E poi gli anarchici non piacciono a nessuno, sono senza regole e per giunta non sono rappresentati in Parlamento: i colpevoli ideali.  

A Milano c’è il circolo Ponte della Ghisolfa che ha un segretario (anche gli anarchici hanno bisogno di un po’ di organizzazione)  ed è Giuseppe Pinelli che oltre ad essere anarchico è anche ferroviere: perfetto per l’immaginario collettivo. Viene fermato lo stesso 12 dicembre e passa in questura tre giorni. Poi succede che voli dalla finestra del quarto piano e si sfracelli nel cortile. Se è caduto la colpa è solo sua: nessuno era presente in quella stanza. Già perché in quel 15 dicembre la questura era popolata da personaggi bizzarri che ritenevano Giuseppe Pinelli un pericoloso terrorista ma lo lasciavano solo in una stanza, chissà poi di quale funzionario, con la finestra aperta neanche fosse primavera. A Roma arrestarono Pietro Valpreda anche lui anarchico del circolo 22 Marzo.  Poi a distanza di anni e un bel po’ di galera si scoprì che era innocente e che chi l’aveva riconosciuto era stato un po’ influenzato. Sono cose che capitano.

Successe quindi che si pensò che i colpevoli fossero estremisti di destra: fascisti per dirla come va detta. Ne furono arrestati un po’ ma anche loro risultarono innocenti. Nessuno di questi fu lasciato libero vicino ad una finestra, visti i precedenti, però si fecero qualche anno di galera. Come dire mal comune mezzo gaudio.

Se si seguisse la logica si dovrebbe arrivare ad arguire che non essendoci colpevoli la strage non è mai avvenuta. Fatto metafisico quindi. Imperscrutabile. Infatti oggi 12 dicembre 2013 nessun giornale ne parla. Sarà che non ci sono più le ideologie, sarà che i partiti sono diventati liquidi, sarà quel che sarà: oggi silenzio assoluto.

Eppure fino a qualche tempo fa si gridava: «12 dicembre strage di stato la classe operaia non ha dimenticato.» E invece sì: la classe operaia ha dimenticato. Però è scusata: adesso dicono che non ci sia più. Sarà. Però a Taranto in quella che una volta era l’Italsider quelli che muoiono di cancro, sono operai così come sono operai quelli morti per la lavorazione dell’amianto a Casale Monferrato e sono in buona parte operai anche quelli che a Torino, a Milano e nel resto dell’Italia sono disoccupati. Chissà.

Certo non c’è più la classe operaia ma tutti gli altri ci sono ancora e tuttavia non se ne ricordano.  Non se ne ricordano gli intellettuali e neppure i giornalisti e neanche i parlamentari e neanche il Presidente della Repubblica e neanche quelli che dicono di voler tirare fuori il Paese dalla crisi e dalla morsa dello spread.
Ma se non si ricordano del 12 dicembre 1969 come possono pensare di salvare questo Paese?




lunedì 9 dicembre 2013

Vince Matteo Renzi

In oltre due milioni e mezzo, forse quasi tre, vanno a votare e Renzi stravince. Da adesso e in pochi giorni si dovrà cominciare a mettere in pratica le promesse fatte. Cuperlo raggiunge uno stiracchiato 18% mentre Civati dice di essere un terzo che arriva quasi secondo.C'è un Pd fuori dal Pd.




Alla fine il nuovo che avanza ha tagliato il suo primo traguardo: Matteo Renzi ha vinto le primarie e sarà il nuovo segretario del Pd. 
Vittoria ben chiara come d'altra parte lo fu la sua sconfitta con Bersani Pierluigi. Questa volta è toccato a Renzi assaporare il dolce di una percentuale che veleggia intorno al 68% contro uno stiracchiato 18% di Cuperlo Giovanni, in arte Gianni, e un eclatante risultato di Civati Giuseppe detto Pippo, che è lì lì per superare il 14%.
Cuperlo Gianni, tre volte deputato, ex pupillo di D'Alema e di lui ex-ex scrittore ombra di discorsi, come si conviene si è fatto carico di tutte le colpe della sua sconfitta a partire dal dire di «non essere stato all'altezza della bellezza delle nostre idee» e dal confermare di «aver indossato talvolta le cravatte sbagliate.» Il fatto é che ha seguito i suggerimenti di D'Alema sulle questioni politiche e non su come vestirsi, avesse fatto il contrario probabilmente avrebbe raggiunto quel 30% di voti di cui era accreditato. Invece Cuperlo si deve accontentare di poco più della metà. Ma come tutti i dalemiani o ex tali non sa meditare sulle sconfitte, d'altra parte il suo capo corrente non s'è mai esercitato in questa nobile ed utilissima pratica anche se spesso avrebbe dovuto e quindi lancia trasversali minacciosi messaggi. Nello stile criptico caro alla tradizione vetero comunista e anche un po' democristiana comunica che «abbiamo fatto un pezzo del viaggio … ma i binari non sono finiti … e non scenderemo dal treno.» Il tutto tradotto suona come se avesse detto: «anche con il poco che abbiamo staremo lì e daremo del filo da torcere.» Beppe Grillo avrebbe tradotto la metafora in modo assai più diretto e colorito ma di tanto in tanto bisogna ricordarsi dell'esistenza di madama Buona Creanza.
Civati ha fatto onore al suo nome, Pippo, e se l'è cavata con due battute, la prima:«se D'Alema mi avesse attaccato un po' di più avrei ottenuto un risultato migliore.» Come dargli torto. La seconda ha sapore bersaniano: «sono un terzo arrivato quasi secondo» Poi ha fatto maliziosamente notare che tra i supporter di Renzi c'era l'ingombrante presenza di Fassino Piero (ex parlamentare, cinque volte, ex segretario ds, per due, poi ci si domanda perché il Pd è nato così male, ex ministro prima alla giustizia e poi al commercio estero, in entrambi i casi nessuno mai s'è accorto della sua presenza, attuale sindaco di Torino, auguri alla città, e poiché non gli piacciono le cariche è anche presidente dell'Anci) che rilasciava alle televisioni esultanti interviste sulla vittoria del sindaco fiorentino. Il caso vuole che proprio nello stesso momento Renzi dicesse:«non stiamo cambiando la sinistra ma i giocatori della sinistra». Leggasi il vecchio gruppo dirigente che guarda caso comprendeva anche quel Fassino lì. Il quale forse del fatto non s'è ben reso conto (ma di cosa mai s'è reso conto?) a meno che Renzi non stia mettendo in pratica il proverbio latino: «Vulgus vult decipi, ergo decipiatur (il popolo vuol essere inganno e allora inganniamolo)» E d'altra parte non sarebbe la prima volta. Silvietto docet.
Ora si tratta di attendere e verificare se il budino Renzi, che va assaggiato e cioè messo alla prova, è buono come dice. Sarà questione di ore dalla composizione della segreteria si capirà se si parte con nuovi inciucini o se, nell'interesse del paese, si useranno metodi un po' spicci. E salutari.
«Ora tocca a noi» dice Renzi e i due milioni e briscola (forse quasi tre) di militanti-s impatizzanti-elettori che hanno fatto la fila per votare, ed hanno sborsato i due euro d'ordinanza che a occhio fanno un bel cinque milioncini che come finanziamento al partito non è male, sono lì ad aspettare che il sogno divenga realtà.

Il fatto vero è che, come in una rappresentazione di Samuel Beckett, c'è un Pd fuori dal Pd. E si spera che il Pd che sta dentro il Pd almeno per una volta non faccia harakiri. Perché poi difficilmente ci sarà un'altra possibilità.




giovedì 5 dicembre 2013

Corte Costituzionale: il porcellum è una porcata.

Epocale scoperta della Corte Costituzionale. Non è normale in un Pese normale che le leggi porcata siano costituzionali. In Italia ce ne si accorge dopo otto anni e ben tre elezioni che poi sono tre parlamenti, tre legislature e un numero indefinito di vitalizi. Forse si sta diventando un Paese normale. E comunque essersi liberati di una porcata ha del miracoloso.






E così la Corte Costituzionale ha stabilito che il porcellum era, ed è, una porcataMica male.  E verrebbe d'aggiungere: bella scoperta. Ma soprattutto meglio tardi che mai. Ovviamente i paludati giudici costituzionali non l’hanno detto in modo rozzo come, per esempio, avrebbe potuto fare Calderoli. Quel Roberto Calderoli che dopo aver scritto la legge e naturalmente averla presentata e vistasela approvare dal parlamento ha pensato bene di darne una sua personalissima definizione che, almeno per una volta, ha corrisposto perfettamente alla realtà. Disse infatti «abbiamo fatto una porcata.» Bravo. Ottima intuizione. La sua legge elettorale una porcata lo era di nome e di fatto

Ora che dopo ben otto anni dal suo varo e la bellezza di tre legislature, quindi tre elezioni (2006, 2008 e 2013), dunque tre parlamenti e la maturazione di chissà quanti vitalizi, se ne sono accorti anche i giudici della Corte Costituzionale: più che un fatto bellissimo ha del miracoloso. Da oggi gli italiani possono tirare, oltre che la cinghia anche un bel sospiro di sollievo. La nazione è in buone mani. Questi giudici della Corte Costituzionale sanno distinguere tra una buona legge e una porcata. C’è la crisi ma non tutto in Italia va male.

Oddio, in un paese normale, magari all’indomani della promulgazione della legge, sbandierata su tutti i giornali e meritoria di infinite conferenze stampa ed interviste e pure dopo aver sentito la calderoniana definizione a qualcuno della Corte Costituzionale, gli sarebbe pure potuto venire venuto l’uzzolo di “guardarci dentro” a questa legge. (L’espressione è volutamente dialettale per consentirne la comprensione anche agli amici di Calderoli) E magari a quel solerte servitore dello Stato, anche solo per averla scorsa e senza essere entrato nel dettaglio, gli sarebbe dovuto venire il dubbio che se una legge è definita una porcata da chi l’ha scritta forse con la costituzione aveva poco a che fare. Perché non è normale, in un Paese normale, che le leggi porcata siano, come dire, anche costituzionali. Di solito nei paesi normali si cerca di fare leggi che siano quantomeno decenti. Poi se quel solerte servitore dello Stato nonché  giudice costituzionale avesse investito qualche minuto del suo prezioso tempo a leggere il parto di Calderoli si sarebbe reso conto, quasi subito che, nell’ordine: le segreterie dei partiti la facevano da padrone nella definizione degli eletti, che gli elettori erano semplicemente chiamati a ratificare e non avevano libertà di scelta alcuna e poi che una maggioranza relativa, che è pur sempre minoranza per quanto cospicua, acquisiva la maggioranza assoluta del Parlamento. Che poi il sistema di votazione del Senato fosse differente da quello della Camera e di vantaggio quasi esclusivo per una sola parte politica, come se, detto senza malizia, fosse stato studiato alla bisogna, l’avrebbe capito anche un bambino.  

Probabilmente pretendere tutto questo sforzo in così breve tempo sarebbe stato chieder troppo ai quindici giudici costituzionali in carica nel 2005. Già perché in Italia i giudici costituzionali sono  quindici mentre quelli della Suprema Corte degli Usa, tanto per fare un esempio, sono nove e sono di riferimento ad una repubblica federale composta da 50 Stati (contro le nostre 20 scardellate regioni, di cui ad oggi 16 con rappresentanti inquisiti) e con una popolazione di quasi 320 milioni che è come dire più di cinque volte il numero degli italiani. Ma tant’è.  Quindi per ben otto anni e, tre tornate elettorali non è successo assolutamente nulla. O per meglio dire andava tutto bene madama la marchesa Chissà come mai. Chissà perché. E questo, guarda un po’ il caso, nonostante tra gli attuali quindici due fossero già in carica prima della presentazione della legge, tre lo fossero prima delle elezioni del 2008 e ben dodici prima delle elezioni del febbraio 2013. Evidentemente avevano altro da fare.

Ora qualche dietrologo dotato di malizia farà notare che la bocciatura del porcellum segue a ruota la nomina di Giuliano Amato a giudice costituzionale. Un elemento di novità sia rispetto a otto anni addietro sia rispetto alle successive scadenze ma Giuliano Amato invece oggi c’è. Sarà un dettaglio ma forse la cosa ha il suo peso. Senz’altro lui è lì a portare in questo organismo tanto delicato quando fondamentale per il buon funzionamento dello Stato un po’ della sua scanzonata voglia di esserci e quella ventata di gioventù e aria nuova che tanto colpì, ai tempi andati anche Bettino Craxi. Comunque bene quel che finisce bene e la fine della legge porcata è già un bel risultato. 

Si spera che questa vicenda serva di lezione anche per gli attuali giudici costituzionali e che magari buttino un occhio un tantinello più attento alla prossima legge elettorale che di deputati e senatori che ambiscano ad imitare Calderoli ce n’è a iosa. Ahinoi.




lunedì 2 dicembre 2013

I cittadini sono meglio dei politici?

L'aspirazione ad imitare il poverello di Assisi è tanta ma non a tutti riesce bene. A 2.500, su 8.000 controlati, la povertà stava stretta e gli hanno scoperto automobili di lusso, ville con piscina e proprietà immobiliari oltre che conti in banca decisamente paffutelli. Forse allora i politici sono lo specchio della società civile.



Oltre 2 miliardi di € il costo delle truffe allo Stato
Uno dei mantra che si è soliti sentire è che i politici, questi politici, che ora siedono in Parlamento, ma non solo loro, non rappresentano la società civile.
 La tesi è accattivante anche perché a nessuno piace essere accostato a quella parte di deputati e senatori o consiglieri del Piemonte o del Lazio o della Lombardia (gestione Formigoni, per quella Maroni tutto bene. Almeno per ora) o dell'Emilia Romagna, giusto per citare i più rappresentativi. Poiché in verità, a voler essere pignoli si dovrebbe dire che su 20 parlamentini regionali 16 hanno propri rappresentanti sotto accusa per disinvolto uso di denaro pubblico. Per dirla con simpatica metafora. Il natale si avvicina etocca essere buoni.

No, ad essere accostati con quelli che hanno il dono dell'ubiquità (riescono a pranzare contemporaneamente in due ristoranti che distano centinaia di chilometri l'uno dall'altro) o frequentano mafiosi o si fanno corrompere per concedere appalti et similia, o quelli che vogliono il rimborso del caffè (pezzenti) o della sauna (pezzenti al cubo) all'italiano medio proprio non piace. Anche perché son cose così vergognose, un po' da ladri di polli e un po' da arrampicatori sociali che cercano di togliersi le croste di dosso, da mettere in imbarazzo chiunque abbia un po' d'amor proprio e qualche briciolo di dignità. Per non dire di senso morale o addirittura dello Stato. Se questo è quel che fanno i politici, solo un parte dei politici ben inteso, quelli che son stati beccati, il resto degli italiani che fa?


Bhè, come non tutti i politici son candidi (eufemismo) così neanche tutti gli italiani lo sono.
Oddio è certo che lo Stato nelle sue varie accezioni (comune, fisco, catasto, università, asl, tanto per ricordarne alcune) una bella mano a chi vuol fare il furbo di sicuro la dà. Non accorgersi, in una piccola cittadina, di una qualche decina di immobili ancorché non accatastati è un po' da citrulli (eufemismo) e se poi a chi possiede quei beni al sole, che proprio perché tali son noti e visibili a tutti, si concedono benefici sociali (assegno di accompagnamento e pensione e rimborso delle tasse universitarie del figlio) significa essere citrulli al cubo (eufemismo). Così come vien difficile pensare che chi abita in una zona esclusiva d'una qualsiasi città possa aver diritto all'esenzione delle tasse universitarie. Basta una semplice verifica sull'indirizzo della famiglia e il trucchetto è presto scoperto. Però per farlo ci vuole un minimo di ben d'intelletto o anche più semplicemente di attenzione e, se si vuole esagerare, la voglia di far bene il proprio lavoro. La domanda è quanti ce l'hanno questa voglia?


In fondo il truffatore fa il suo mestiere che, per l'appunto, è quello di truffare come per i piccioni è quello di lordare le panchine del parco. Mica ce la si può prendere con i piccioni se fanno il loro mestiere e pure con coscienza, no? Mentre con i truffatori sì che ce la si può prendere e se chi deve controllare non è tarlucco (e questo è un bel dubbio amletico) il gioco è presto scoperto. Perché pensare che tutti i controllori siano conniventi fa male al cuore e al fegato ancor prima che alla ragione. Anche se poi si scopre che i dipendenti pubblici denunciati per azioni poco consone al ruolo (eufemismo) son ben 5.000. Ad oggi. Che se per avventura si va avanti con le indagini, e soprattutto se il governo non taglierà i fondi alla Guardia di Finanza come ha già fatto con la polizia i tribunali e le carceri, il numero senza dubbio è destinato ad aumentare.


Dalle recenti indagini della Guardia di Finanza è emerso che su 8.000 controlli effettuati ben 2.500 che si dichiaravano poveri, non lo erano affatto. E' certo che l'aspirazione e la voglia di imitare il poverello di Assisi è tanta ma è altrettanto vero che non a tutti riesce bene e qualche proprietà, per incidente, gli rimane tra le dita. Ciò che colpisce nella statistica presentata dalle fimme gialle non è tanto il numero in assoluto degli evasori o dei truffatori, senz'altro ragguardevole, quanto la percentuale tra controllati e scoperti: oltre il 30%. Al confronto i parlamentari, solo l'11% è indagato, ci fan quasi la figura delle verginelle. Almeno di spirito.
Anche se poi verrebbe la voglia di capire come possono stare in piedi talune fondazioni di politici che spesso hanno sedi prestigiose e quindi costose (ancorché ottenute a prezzi di favore da banche o assicurazioni, che pure questo con l'agire cristallino c'entra poco) e pletorici comitati direttivi composti da famose personalità e magari, per salvare le apparenze, pure di prestigiosi organismi di controllo: che in quei “santuari” vien difficile pensare che ci si entri per far beneficenza e neppure per salvarsi l'anima.
Allora forse val la pena di riconsiderare l'assioma di partenza: la società civile è il brodo di coltura di questi politici, a tutti i livelli, che lì guazzano con agio e disinvoltura. La società civile, dunque, è ben rappresentata negli organi politici. Purtroppo. 



venerdì 29 novembre 2013

I governi passano e i peracottari restano.

Nulla di nuovo sotto il sole del Belpaese. Se prima a ricattare il governo era uno solo adesso sono in sette. Le tasse cambiano di nome ma sono sempre loro. Chi ha tanti debiti con fisco viene esentato dal pagare le multe mentre chi è alla canna del gas viene perseguitato. E poi c'è Roberto Cota ha il dono dell'ubiquità. Che non riesce neanche a papa Francesco.


Chissà perché ridono.


E così Silvio Berlusconi ha lasciato, insalutato ospite dopo vent'anni, il Parlamento della Repubblica e se ne è tornato ad Arcore. Non potrà più fregiarsi del titolo di senatore e neanche di quello di onorevole pure se qualcuno sostiene che una volta ottenuto lo si mantiene per sempre. A vita. Neanche fosse un marchio indelebile come quello che i cowboy stampavano sulle cosce dei vitelli. Ma questo sarà solo il primo dei titoli che perderà infatti a ruota non potrà più dirsi neanche cavaliere, lo era del lavoro. Questo titolo Berlusconi Silvio, l'aveva acquisito col “sudore della sua fronte”, come dice Daniela Santanchè. Cosa vuol dire l'umorismo. Da oggi Berlusconi Silvio è solo presidente: del A.C. Milan e di Forza Italia che poi è come dire la stessa cosa. Lui è il padrone di entrambi. Sic transeat gloria mundi.
A seguito di questo fatto, che non avrebbe potuto che accadere in Italia (altrove i politici per molto meno si sono dimessi), il partito di Forza Italia ha lasciato la maggioranza ed è passato all'opposizione. Ovviamente chiedono l'apertura della crisi di governo.
Per Enrico Letta non è un problema. Anzi aver perso una maggioranza quasi bulgara a favore di una risicata che al senato si regge su soli sette voti fa il suo governo più forte. Lui dice. Se prima era ricattato da uno solo con tanto di nome e cognome, Silvio Berluconi ora invece lo è da sette picchi qualsiasi che potranno giocare col governo ai quattro cantoni. In ogni caso perché il messaggio sia chiaro il Vicepresidente del Consiglio, Angelino Alfano, il segretario «a cui manca il quid », la definizione è di Berlusconi, ha ricordato che «Abbiamo parlamentari sufficienti per tenere in vita il governo, ma anche per farlo cadere.» Neanche a dirlo. Nel frattempo Napolitano che è stato la levatrice di questa bella idea delle larghe intese ha ricevuto i falchi di Forza Italia e pare abbia convenuto che una qualche discontinuità c'è stata e che questa deve essere ratificata dal parlamento. E tutto questo dopo soli sette mesi. Il prossimo lunedì Enrico Letta salirà al Quirinale per fare due chiacchere con Napolitano. Conditeor deo onnipotenti
By the way i sottosegretari di Forza Italia, Micciché a parte dato che lui prende ordini solo da Dell'Utri, per ora stanno ancora ai loro posti di governo poi si vedrà. Magari anche loro passano al Nuovo centrodestra o si fingono tecnici. Kirieleisson
Per rendere la storia più appetitosa ci sono i fatti che riguardano il Paese. Tanto per cominciare l'Imu che non si chiama più Imu ma Iuc, sembra il nome di un chewingum, nel 2014 si pagherà anche sulla prima casa. Anzi la pagheranno anche i più poveracci che fino ad ora non l'avevano mai pagata. Quindi le due rate di Imu non pagate nel 2013 saranno in parte saldate surrettiziamente sotto mentite spoglie e in parte palesemente. Habemus papa.
Ma poiché lo sceriffo di Nottingham ha fatto storia ecco che il governo, che è sempre a caccia di denari che i monaci cercanti al confronto sembrano degli scialacquatori, decide di rottamare i ruoli di Equitalia che tradotto in soldoni significa che chi ha grandi debiti con lo Stato non pagherà gli interessi. E c'è da scommettere che non pagherà neppure i debiti. Pare si tratti di poche persone e di poche aziende ma non si dice quante e neppure quanto debbano nel complesso. Maradona, nel senso di Diego Armando è tra questi deve una bazzecola: 40 milioni di cui all'incirca 34 milioni di interesse. Naturalmente la soluzione del contenzioso con i gestori del gioco d'azzardo è di là da venire. Deo gratias.
Poi per fortuna c'è il Pd. Sia Renzi che Cuperlo hanno deciso di incalzare il governo:«deve fare di più.» lo dicono come se loro passassero di Lì per caso e non fossero parte in causa. Complimenti. A Renzi che chiede una maggiore aderenza dell'esecutivo all'agenda del Pd risponde Fassina Stefano, ex dalemiano e poi ex bersaniano e poi giovane turco fino ad essere cuperliano, dicendo che non si può perché questo è un governo di coalizione. E quindi per logica conseguenza si adotta l'agenda degli altri. Gloria in excelsisi deo.
Se Roma sta male non è che le periferie godano, Nel consiglio di comunale di Roma si menano e lo stesso accade in quello della regione Piemonte dove si scopre che il digrignante Roberto Cota ha una passionaccia per il Bar Francia, capita che ci vada anche tre volte al giorno. E una volta ha pure offerto il caffè alla scorta spendendo 5€ e qualche centesimi. Crepi l'avarizia. Altre volte prendeva il caffè lì e poii subito dopo di corsa a Bruxelles. Insomma, sostiene la Guardia di Finanza, pare che abbia anche il dono dell'ubiquità. Cosa questa che non riesce neanche a papa Francesco. Forse Roberto Cota è Nembo Kid travestito.
In compenso saltano i risarcimenti per la strage di Bologna e il processo per i fatti di Viareggio dopo quattro anni è finalmente approdato alla seconda udienza. Velocità supersonica. Naturalmente Enrico Letta sparge solidarietà a piene mani, tanto non costa ed è vicino alle vittime di quella insensata strage, ovviamente stando ben lontano. Per soprammercato il governo non si costituisce come parte civile. Che volere di più dalla vita. Ite missa est



martedì 26 novembre 2013

La valchiria Michaela Biancofiore dà la definizione di donna. Ci mancava

Per difendere l'indifendibile ci vuole il coraggio e la determinazione dell'integralismo e Michaela Biancofiore in queste doti eccelle. Per far salvo Berlusconi arriva al punto di definire come puttane (senza dirlo esplicitamente) la maggioranza delle donne.


Michaela Biancofiore, Siulvio Berlusconi e un cane.
Dudù questa volta l'ha scampata
«La stragrande maggioranza delle donne quando vede un potente ci si butta a pesce» 
Copywriting Michaela Biancofiore, la valchiria di Forza Italia. Il teatro della performance è stata la trasmissione di la7, piazza pulita. Il tema della serata, come ti sbagli, era la decadenza di Berlusconi da senatore e il titolo l'ultima trincea. Chi meglio della valchiria Biancofiore poteva avere l'onore di difendere Berlusconi?

Della valchiria l'onorevole Michaela Biancofiore ha praticamente tutto: è alta, è bionda (magari un po' tinta ma non si può stare a guadare il capello, per l'appunto), è di presenza, ha delle mani che sembrano delle palette e all'occorrenza potrebbero pure trasformarsi in armi contundenti. Quindi meglio starle alla larga nei momenti di tensione. Anche perché è sanguigna, sarà l'origine pugliese, ed ha la determinazione e la capacità di avanzare senza farsi scalfire da alcunché, meno che mai dalle critiche, dalla ragione e dal buon senso, quasi un panzer caricato a molla, anzi un vero panzer, sarà la nascita altoadesina, terra che vuol definirsi teutonica.

A volte guardandola mentre si esibisce in tv si ha la sensazione che sulla testa le si autoplasmi il vecchio elmetto prussiano, per intenderci quello con il chiodo in cima. Che tra calotta cranica elmetto in acciaio e chiodo si ha sempre la sensazione non ci sia soluzione di continuità.
Sa lanciarsi oltre l'ostacolo senza neanche avere la necessità di un ordine. Lei vive in simbiosi (ancorché platonica) con il capo, il presidente Berlusconi come usa chiamarlo, ne coglie il desiderio ancora prima che questi sia riuscito a pensarlo, sempre che il verbo non sia troppo forte. Sa avanzare contro il nemico senza paura, ha il passo pesante e fermo del montanaro ed capace di gettare oltre l'ostacolo tutto: non solo il cuore, ma anche il fegato, le coratelle, il cervello, il cervelletto e tutti gli altri optional di cui la natura può dotare un essere umano. Ancorché donna.

Il senso del ridicolo le è assolutamente sconosciuto. Ha capacità di argomentazione, anche senza sbagliare i congiuntivi e sempre con questi a portata di mano, che non è poco nel desolante panorama politico italico, sa contraddirsi che è un piacere. Ma lo fa con la naturalezza dell'integralista che definito il punto di arrivo non si perita, pur raggiungerlo, di adattarsi ad ogni compromesso con la logica. Anche se di questa , la logica, ha vaga coscienza e comunque scarsa frequentazione all'uso. Naturalmente nella puntata non si può non parlare del rapporto di Berlusconi con le donne: «le giovani donne che si offrono al drago» per citare la seconda ex moglie di Silvio Berlusconi. Tema oltremodo noioso ma oggi convergono più fatti: si è a un passo della decadenza e quindi dalla perdita dell'immunità parlamentare, c'è il remotissimo rischio che a seguito di questa il Berlusconi Silvio faccia un giro a Regina Coeli o a San Vittore e come soprammercato è una delle tante giornate (ipocrite) dedicata alle donne, questa volta è sulla violenza, e quindi non se ne può fare a meno.

Quando Veronica Gentili, un po' moralisticamente, fa notare che il ventennio berlusconiano ha privato una generazione, in particolare le giovani donne, di sogni la valchiria le si è scagliata contro (metaforicamente, è ovvio) chiamando a suo sostegno, che ci vuole bella faccia tosta, il femminismo e la gestione del proprio corpo salvo poi aggiungere che le sue nipoti mai si sarebbero prestate a simili giochetti. Ovviamente. E questo per la specchiata moralità della famiglia. In altre parole quelle sono quello che sono mentre le nipoti sue sono madonne. Ça va sans dire.
E poi giusto per rimanere in tema Alfano, l'Angelino, è bollato, testuale, come ruffiano «con la lingua appiccicata a Brlusconi» come nessuno. Le valchirie, si sa, sono un po' rudi e non sono tenute al bon ton. Altrimenti che valchirie sarebbero.

Poi un passaggio neanche tanto lieve sulla moralità del genere femminile: «Ho visto io ragazze di vent'anni mettere i bigliettini nelle sue tasche (di Berlusconi ndr). E anche di signore di una certa età ….» Insomma le nipoti son madonne mentre le altre (molte altre, forse quasi tutte le altre o addirittura tutte) vanno per sentieri opposti. Infine il garnde botto: «La stragrande maggioranza delle donne quando vede un potente ci si butta a pesce … ».
Che riassumere il tutto in soldoni e spiegarlo piatto piatto e con libera interpretazione a chi s'è perso la trasmissione perché andato al cine (che è stato meglio) suona così: ci sono le nipoti mie e quelle di tutte le famiglie bene (che votano Berlusconi) che sono delle madonne mentre poi la stragrande maggioranza delle donne sono delle, diciamo, poco di buono pronte a tutto per il denaro. Per cui Berlusconi Silvio che nulla ha mai fatto, ma se anche avesse fatto, è nella sostanza innocente.
Come dire che essendo uomo e masculo non poteva non cogliere quanto magnanimamente offerto. Perché sono le donne che vogliono il potere e sono disposte a tutto pur di ottenerlo. Compreso vendersi. O se si vuol dare una lettura più maliziosa che senz'altro l'intrepida valchiria non ha neppure immaginato, s'è trattato semplicemente di circonvenzione d'incapace. Dove l'incapace è il ricco scemo. Bel colpo valchiria.

A proposito, lo slogan femminista del sessantotto recitava: né puttane né madonne solo donne.
Che a capirne il senso basta essere solo normodotati. Magari ricordarsene durante le giornate (ipocrite) dedicate alle donne.

lunedì 25 novembre 2013

Pd: il volto buono della destra o quello peggiore della sinistra?

Certo che per darsele i candidati alla segreteria del Pd se le sanno dare e pure bene. Sono agguerriti, spiritosi e sapidi per quel che serve in simili frangenti. Pare quasi di assistere alle primarie dei democratici negli Usa dove se le cantano chiare al di là di ogni ragionevole limite, anche del buon gusto.



Ora sono rimasti in tre che in rigoroso ordine alfabetico sono: Civati Pippo, Cuperlo Gianni  e Renzi Matteo.
Di Pittella il Gianni, conviene identificarli con il nome i Pittella tanti sono quelli che girano in politica, s'è persa traccia salvo sapere che appoggerà Renzi. Un altro che sale sul carro del supposto vincitore. Domanda: ma quanto è capiente questo carro? Già perché a quanto pare non ci si sale con biglietto singolo ma con quello comitiva. Magari costa meno.

I Pittella, per esempio, sono due: Gianni (tre volte europarlamentare, una sola volta deputato, ex socialista ex laburista approdato prima ai Ds e poi per evoluzione naturale al Pd) e Marcello (consigliere comunale e poi provinciale e poi regionale anzi da pochi giorni governatore della Basilicata, sempre che il gup non lo inserisca nella lista degli indagati per una storiella di rimborsi allegri e, ovviamente, con lo stesso pedigree del fratello come provenienza di partito) entrambi figli di Domenico per tre volte senatore del Psi. Che a star tutti in politica e per tanto tempo ci vuole una bella resistenza. Tanto che il quotidiano della Basilicata titola: “i fratelli Pittella aprono al sindaco di Firenze.” che chissà se poi vorrà rottamare anche questi.

Comunque, i tre rimasti in gara parlano che è un piacere quanto poi a dire cose questa è tutta un'altra storia. Per adesso vale accontentarsi dei titoli poi quando finalmente li vorranno raccontare si darà un'occhiata anche ai contenuti.
Civati che di nome fa Pippo come l'amico di Pluto, è quello che, ad orecchio, sembra avere più capito come stare al mondo senza troppa fatica. Si è ritagliato lo spazietto del contestatore di tutto e di tutti, strepita a gran voce che bisogna fare la nuova legge elettorale, ben sapendo che è di là da venire e che poi si vada subito al voto. Desideri che neanche il mago della lampada potrebbe esaudire. E infatti questo è il trucco: chiedere l'impossibile per mantenere il possibile e vivere felici che poi col suo 10% è l'ideale per far la parte della minoranza oppressa. E lui questa la calza bene e per l'occasione se ne va girando con la barbetta di qualche giorno che vorrebbe mefistofelica e invece è rada e poco cool.

Poi c'è il Cuperlo, dal tradizionale nome Gianni, ma al contrario di quell'altro, il Pittella, lui non ha fratelli al seguito. Almeno che si sappia. Da qualche giorno parla come uno di sinistra che se lo sente D'Alema lo sculaccia. Si è messo anche a criticare il governo. Prima chiedendo alla Cancellieri di ritirarsi ma s'è ritirato lui appena Letta ha inarcato il sopracciglio poi adesso per dire che ora il governo non ha più alibi. Che in verità a ben vedere non ce li aveva neanche prima, se solo avesse voluto. Adesso invece che il Letta Enrico (detto palle d'acciaio) è in mano a sette senatori c'è proprio da ridere. La vita è ben strana: quando il governo girava sul dito di uno solo era ricattabile ora che invece a deciderne l'esistenza sono in sette si sentono più forti. Boh! Per adesso quel che si è capito di Cuperlo son due cose: la prima che non vuole «che il pd sia il volto buono della destra», ma questo non l'ha chiesto nessuno, e la seconda che il segretario del partito non svolga altro lavoro. Allora ci si immagina che si dimetterà da presidente del centro studi del Pd (chissà cosa studiano) e da membro della XIV commissione parlamentare, quella che si occupa delle politiche dell'Unione Europea, una faticaccia con i tempi che corrono e poi star sempre dietro a quel che dicono Angela Markel e Olli Rehn è come avere un doppio lavoro su tre turni. Ovviamente quindi si dimetterà anche da parlamentare perché con tutte quelle votazioni proprio non ci si può star dietro. A meno che non voglia dire che fare il parlamentare non è un lavoro. Cosa possibile. Anche perché in parlamento c'è già da tre legislature, senza che alcuno se ne sia mai accorto prima d'ora. Magari volesse cominciare a darsi da fare e la smettesse di essere il ventriloquo di D'Alema ruolo che a Bersani non ha portato molto bene.

Quindi il Renzi Matteo, il nuovo che avanza. Però senza parere è in pista dal 2001, che ormai son dodici anni, se si prende come anno di partenza quando fu eletto/nominato coordinatore della Margherita fiorentina. Anche se iniziò il suo impegno in politica nel 1996 nel partito Popolare, non avendo fatto in tempo ad iscriversi alla Dc come Alfano e Letta, la coppia perfetta che di strano questa non ci ha proprio nulla. Lui non vuole «essere il volto peggiore della sinistra».
Che con questa frase non si capisce se intenda la sinistra che perde quasi tutte le elezioni e quando per minuzie le vince si fa prendere dalla sindrome del re della montagna: i dirigenti si divertono a buttarsi giù l'un con l'altro. Come quando: prima hanno acclamato un candidato alla presidenza della repubblica e poi in 107 lo hanno boicottato. Dando materiale ai comici di mezzo mondo. Chissà se Cuperlo sa chi fa parte dello squadrone che ha boicottato Prodi?
Oppure Renzi non vuol fare quella sinistra che quando arriva al governo fa le stesse cose della destra ed anzi le peggiora pure: la legge sul federalismo a quindici giorni dalle elezioni insegna. Insomma vuol dire basta alla vocazione di esser dei fresconi?
Che se la seconda è quella giusta la domanda è: che ci fa Renzi Matteo, rottamatore d'aspirazione, in compagnia di Fassino e si immagina pure la signora e di Veltroni, Pittella, Franceschini, Bassolino, De Luca (sindaco e boss di Salerno dove il congresso Pd è stato annullato per brogli) e poi Castagnetti, Marina Sereni, Fioroni, Gentiloni e quasi tutti quelli che alle primarie scorse gli hanno preferito il perdente Bersani? La compagnia non è delle migliori e a guardare i pregressi risultati che questi hanno ottenuto c'è da toccar ferro, legno, cornetti, amuleti vari e pure quello che non si può dire. E magari meditare sul vecchio adagio che recita «chi va con lo zoppo impara a zoppicare».

Magari smettessero tutti di far battute e le lasciassero fare a Crozza Maurizio ed al suo amico Andrea Zalone che tra tutti sembrano i politico migliori. Ma allora l'Italia sarebbe un Paese normale. Il che, ad oggi, ancora non è. 



giovedì 21 novembre 2013

Anche questa volta Anna Maria Cancellieri l’ha scavallata.

Davanti a 'palle d'acciaio' Letta i deputati del Pd si squagliano come gli omini di cioccolata nel calendario dell'avvento. Se la Cancellieri cadendo fa cadere il governo Letta vuol dire che lei è più forte di Letta. E se la si mettesse al posto di  Letta?


La ministra Cancellieri pensa: a chi dovrò telefonare oggi?

E così anche questa volta, è la seconda, Anna Maria Cancellieri ce l’ha fatta. Rimarrà al suo posto di Ministro della giustizia. Evviva, evviva, evviva. Chissà se gli italiani sono degni e sapranno farsi sempre più degni di simile ministro o ministra. Oddio non che la ministra ce l’abbia fatta con le sue sole forze che se si fosse basata unicamente su quelle adesso sarebbe già ai giardinetti a dar da mangiare ai piccioni. E invece no, è e sarà ancora lì, al suo posto. Almeno per il momento. Poiché come insegna James Bond «mai dire mai.»

Per farla franca ci è voluto l’aiuto determinate, di vibranti quanto seminascoste presenze  e, invece, in chiara visione di Enrico palle d’acciaio Letta. Che in effetti questa volta, oltre che dichiararle (che son buoni tutti) le ha fatte tintinnare per davvero, le palle d’acciaio. È accaduto durante la riunione dei deputati del Pd nella serata del 19 novembre e quelli, che a quanto pare sono come gli omini di cioccolata al latte nel calendario dell’avvento si sono squagliati che è stato un piacere. Compreso quei quattro rodomonti che corrono per la carica di segretario del Pd. Che poi sarà bello vedere quello eletto all’opera quando, la prossima volta, palle d’acciaio si presenterà chiedendo, ad esempio, di avere Penati o magari Profumo o magari Consorte o magari tutti e tre assieme al Ministero all'economia.

«Se cade lei (nel senso della Cancellieri) cade anche il governo.» Come frase ad effetto non c’è male anche se assomiglia un po’ a quella di un altro Richetto, impersonato tanti anni fa da Renato Rascel, che diceva:«Se non mi compri un regalo non mangio.» Di solito a quel tempo a simili capricci il babbo rispondeva con un sano scapaccione che rimetteva le cose nella giusta prospettiva ma questi non sono più quei tempi. E soprattutto allora il dottor Spock non aveva ancora fatto la sua comparsa nella pedagogia familiare pure se Giorgio Napolitano già bazzicava per le stanze della politica.
Comunque il dato che risulta certo è che nessuno abbia risposto all’azzardo (per non dire bluff) di Richetto Letta dicendo: « Vedo!» Che tradotto dallo spiccio linguaggio del poker a quello più prolisso e astruso della politica sarebbe stato a significare: «Bene, dimettiti». Per poi guardare l’effetto che fa. Però, come si racconta in giro, per giocare duro ci vogliono dei duri e in quel bel consesso dove vien già difficile trovare della gomma piuma figurarsi pescare un emulo di Humphrey Bogart.

Non avendo avuto quindi l’ardire di fare la domanda della busta numero uno ci si immagina che almeno qualcuno tra quei fini politici abbia ripiegato sulla domanda di riserva: «perché? Se cade lei perché cadi anche tu? Che c’è dietro?» Ma come diceva un tale, se il coraggio non ce l’hai non è che te lo puoi dare, e i partecipanti a quell’assemblea probabilmente tutto si vogliono dare meno che il coraggio. Che per come sono molli verrebbe da gridare: «Ci fosse almeno una Santanché tra di loro.» E invece niente, si trovano a zoppicare con un Dario Franceschini che farfuglia di tentativi fatti per ottenere “spontanee” dimissioni della suddetta, miseramente andati a vuoto a causa dell’ingombrante presenza del vibrante Napolitano. Roba da ridere, che se ci fossero ancora i fratelli Marx li assumerebbero tutti come autori delle loro gags e li lancerebbero nelle più ardite compagnie di giro. Che forse quello è il loro vero posto.

Perché poi, se si seguisse la logica si dovrebbe arguire con semplice sillogismo che: se la Cancelliri cadendo ha il potere di travolgere Letta allora la Cancellieri è più potente di Letta e dunque, per la proprietà transitiva, perché non mettere la Cancellieri al posto di Letta?  Già, bella domanda. Che se il sillogismo fosse stato presentato alla riunione del 19 novembre  forse le famose palle d’acciaio si sarebbero accartocciate.
Magari Richetto temeva e teme di dover affrontare e gestire un rimpasto? Ma i rimpasti, come dice la parola stessa, si gestiscono  e si gestiscono con palle d’acciaio. Se si hanno a disposizione e non sono solo millantato miraggio.

Mentre tanti, tantissimi, continuano a sventolare il fatto che nel comportamento della ministra non ci sono elementi ed ipotesi di reato pochissimi fanno rilevare che la mancanza è grave non tanto sotto il profilo giudiziario, che ci mancherebbe anche questa, ma sotto il profilo politico. Il fatto grave è consistito, ancor più che nell’atto delle telefonate fatte (non in quelle ricevute che non si può impedire a dei postulanti di chiamare), nelle parole dette che sono assai gravi quando si sente suonare per ben quattro volte il lamentoso «non è giusto» e l’ancor peggio «non esiste» Che poi il ministro della giustizia nel momento in cui si arrestano i componenti di una famiglia senta il desiderio di telefonare a questa piuttosto che ai pubblici ministeri per congratularsi lascia un qualche briciolo di perplessità. In un Paese normale.
Nulla di penalmente rilevante in quelle frasette ma, sotto il profilo politico, di educazione politica, si tratta di una enormità. È un po’ come lasciare le ossa del pollo sul prato dove si è fatto il pic-nic o buttare la carta per terra anziché nel cestino. Nulla di penalmente rilevante ma da censurare sotto il profilo di grande civica maleducazione. Però questa, al contrario del coraggio, chi non ce l’ha se la può dare. Che è quel che accade nei Paesi normali. Per l'appunto.

E infatti, in nessun Paese europeo, che al contrario dell’Italia hanno gradi di normalità leonini, un ministro, specie se della giustizia, dopo una sola telefonata ad un imputato di reati gravi come quelli contestati ai Ligresti, sarebbe ancora al suo posto. Però in quei Paesi di pale d’acciaio semplicemente non si parla ma le si mettono in gioco con signorilità. Facendole funzionare.



martedì 19 novembre 2013

In autunno spuntano i funghi e cadono le foglie. Anche in Parlamento

La politica italiana di questi mesi è in linea con la stagione meteo: l’autunno. Dagli alberi cadono foglie morte, dal governo la Cancellieri e dalle bocche della politica solo fesserie. Almeno ci fosse, come diceva Prévert,  il vento del nord a spazzarle via.




C’è una nebbia che non si vede da lì a qui, le foglie cadono che è un piacere, piove, tira vento, l’umidità impazza, nei boschi. i funghi spuntano che è un piacere, È l’autunno, bellezza. La politica italiana rispecchia la stagione.Non si vede da qui a lì: cioè non ci si capisce un accidente di quanto succede: il governo di balls of steel Letta (si traduce a beneficio di Gasparri: Letta “palle d’acciaio”) non sembra sapere dove voglia andare e soprattutto cosa voglia fare. In compenso rimanda qualsiasi decisione sia possibile rimandare ovvero tutte. 

Il ministro della Giustizia ondeggia come una larga foglia di ippocastano ed è lì lì per cadere, il vento, alimentato con grande forza dai quattro candidati alla segreteria del Pd, primo partito della coalizione è bene non dimenticarlo, è tutt’altro che rassicurante. 
Come tutto questo non bastasse ecco spuntare, neanche fossero funghi, altri gruppi politici. Che se funghi lo fossero per davvero sarebbe una manna per il Paese e soprattutto per i buongustai. In tutto ciò il Paese tira la cinghia ascoltando distrattamente quelli che dicono di vedere la luce in fondo al tunnel che se dicessero di aver visto la madonna sarebbero più credibili. Anche perché quelli che se ne stanno in Parlamento e campano di politica il tunnel non l’hanno mai visto e non sanno neppure dove sia.

Di nuovo non c’è nulla. È sempre la solita stucchevole zuppa che con nomi nuovi presenta ferri vecchi. E il Pd maestro fino ad ora ineguagliato in questo giochino di prestidigitazione anziché godere delle altrui sciagure (saranno poi vere?) si mette ad imitare la nuova moda dello scissionismo.  
Il primo a lanciare la moda è stato il Pdl che decide di tornare all’antico e di chiamarsi nuovamente Forza Italia che però è un contenitore adatto solo ai berlusconiani doc cioè quelli senza se e senza ma che purtroppo per loro sono rimasti all’asciutto di poltrone e strapuntini. Quelli che invece il posto l’hanno arraffato non lo vogliono mollare e quindi si dichiarano diversamente berlusconiani. E poiché sono diversi se ne vanno ma in realtà restano perché come dice Berlusconi «sono il nostro nuovo gruppo e in caso di elezioni correranno con noi sotto la stessa bandiera.» Che per essere differenti è un bel salto.

Nel frattempo, con mirabile fantasia, si autobattezzano (sono tutti cattolici) Il Nuovo Centrodestra che è un nome depositato da Bocchino (chi se lo ricorda più) e come facciano ad essere nuovi se sono quelli di prima è un vero mistero.                           Però palle d’acciaio Letta dice che è contento perché così, con meno voti in Parlamento, si sente più sicuro e meno ricattabile che se prima lo ricattava uno solo adesso lo possono fare in sette tanti sono i voti che gli consentono di galleggiare in senato. Che se poi qualcuno si becca il raffreddore … Comunque, contento lui.

Il partitino di Monti che nato con l’idea di raccogliere il 20% dei consensi non ne  ha raggiunto neanche la metà si sta sfarinando come le castagne lesse. Frutto di stagione. Se ne è andato Casini con i suoi dell’Udc e adesso quelli rimasti si dividono in montiani doc e popolari. Era il partito del rigore e del bon ton ma all’ultima riunione gli urli sono stati tanti ed è scappato pure qualche vaffa, neanche fossero grillini. Evidentemente i loden non fanno primavera. 
I popolari sono capitanati da Mario Mauro che nasce ciellino poi di osservanza berlusconiana e grazie a questo è stato parlamentare europeo nonché capo delegazione poi quando ha sentito aria di bruciato è saltato sul carrettino Monti credendolo una portaerei. S'è sbagliato ma la cosa non gli impedito di diventare ministro e poiché questo è il paese di Mascagni che musicò i Pagliacci s’è messo a digiunare contro le sue stesse decisioni. Mentre con la mano destra compra gli F35 con la sinistra respinge piatti di orecchiette  (è di san Giovanni Rotondo) e digiuna contro l’acquisto delle armi da guerra. Nebbia fitta in val padana. E anche in talune scatolette craniche.

In tutto ciò il Pd dovrebbe andare a nozze e gongolare e invece no. Ogni partito ha le sue croci e nel pd sono pure tante. Al momento due brillano più delle altre per acume politico: Beppe Fioroni e Massimo D’Alema. Come ti sbagli.
Il primo minaccia scissioni se il Pd  entra nel Partito socialista europeo. Lui è un cattolico tutto d’un pezzo e con i socialisti non ci sta. Che, a dirla tutta, per i socialisti è un gran bel vantaggio. Tutti a tremare per questa potenziale uscita che se Fioroni se ne andasse per davvero dal partito non se ne accorgerebbe neppure lui.  
Poi c’è D’Alema, il più intelligente come diceva Cossiga che era anche un gran battutista.
D’Alema ha passato una intera mattinata ad insultare Renzi definendolo: ignorante, mentitore, superficiale, giamburrasca, falso messia, e inadatto a diventare segretario del Pd. E questo solo perché Renzi gli ha larvatamente ricordato tutti i fallimenti brillantemente conseguiti. Dopo di che D’Alema il prode minaccia anche lui di abbandonare il partito e di fondarne un altro che magari chiamerà Partito della Rifondazione del Pd e per far numero si troverà pure accanto quelli che ha sempre schifato come Bertinotti, Diliberto, Paolo Ferrero e chissà chi altri.  E poiché il vice conte vaticano Massimo D’Alema è uomo tutto d’un pezzo e dal pensiero lineare  dopo aver detto peste e corna di Renzi sostiene che lo vede bene come candidato premier. Laddove non si capisce perché uno ritenuto inadatto a guidare un partitino di poche centinaia di migliaia di aderenti debba essere l’uomo giusto per guidare una nazione di sessanta milioni di abitanti che, nonostante tutto, è ancora una tra le dieci potenze economiche del pianeta. Però si sa che il labirinto di Dedalo al confronto con il pensiero di D’Alema è poco più di una linea retta.


«Le foglie morte cadono a mucchi – cantava Prévert – le foglie morte cadono a mucchi come i ricordi e i rimpianti e il vento del nord le porta via nella fredda notte dell’oblio.» Che se così fosse per il Belpaese sarebbe come fare Bingo. Vuoi mai dire.



giovedì 14 novembre 2013

Il Parlamento Italiano entra nei Simpson

Il Parlamento italiano per i Simpson rappresenta il massimo della corruzione. Magari fra qualche tempo potrà ambire a diventarne addirittura sinonimo come già succede per il falso Giuda e il cattivo Caino. I Simpson mettono in pratica la massima “castigat ridendo mores” ma perché questa abbia successo ci vuole almeno un po’ di moralità.  E trovarla in quelle stanze è una bella caccia al tesoro.



Ken Brockman, il giornalista di Springfield 
L’apice del successo di un prodotto o di un attore o di uno sportivo o di un personaggio appartenente a un qualsivoglia settore lo si raggiunge quando il nome della persona o della marca diventa sinonimo della categoria. 
Più di così non si può ottenere Così è stato per i fazzoletti di carta Cleenex così è stato per il poliziotto Serpico così è stato per lo stravagante e confusionario Paperoga e così è stato anche per il cattivo Caino e per il falso Giuda. Già, perché questa regola vale sia per le categorie dei buoni sia per quelle dei “cattivi”, detto senza malizia. . Se l’assioma tra nome e categoria va avanti nel tempo vuol dire entrare nella storia. Se poi addirittura travalica gli oceani e diventa internazionale allora si entra nel mito e nella leggenda.

Il parlamento italiano sta seriamente correndo questo rischio: di entrare nella leggenda. E questo grazie ai Simpson, il cartone animato americano che spopola presso i ragazzini e non solo loro, al di là e al di qua dell’oceano Atlantico. Infatti nella puntata del 10 novembre il giornalista Ken Brockman, uno dei personaggi della saga, ha detto testualmente che:«Questa scuola è più corrotta del Parlamento italiano.» Bel colpo.

Certo si potrà dire che in fondo in fondo gli americani provino un qualche sentimento di razzismo verso gli italiani, d’altra parte i nostri prodotti d’esportazione che più hanno fatto scalpore si sono chiamati Al Capone, famiglia Gambino, Vito Genovese e Sam Giancana, giusto per fare qualche nome. E magari ci si dimentica di Fiorello La Guardia, del succitato Frank Serpico e  di Mario Cuomo e di Al Pacino e pure del recentissimo sindaco di New York Bill de Blasio. Però si sa che la male pianta scaccia la buona, così come accade per la moneta, Carlo M. Cipolla docet, dove la cattiva butta fuori la buona. Così gira il mondo.

Peraltro nelle democrazie occidentali l’Italia è l’unico Paese che veda sedere nel parlamento la bellezza di ben cento tra condannati e indagati. È anche l’unico in cui un vice presidente del Senato ha definito «scimmia» un ministro di colore e mantiene con non chalance il suo seggio. Per non parlare del caso Berlusconi che più che una tragedia assomiglia, ad ogni giorno che passa ad una farsa. Oltre a tutto mal recitata.

Naturalmente ora si solleveranno alti lai da personaggi istituzionali che lamenteranno questa ignobile attacco alla Patria, si raccomanda con la pi maiuscola, e che probabilmente parleranno di rigurgiti razzisti verso il Paese che ha dato i natali a Michelangelo, Leonardo ad Enrico Fermi e a Giulio Natta e a tantissimi altri. E diranno, magari in modo vibrante, di onore nazionale offeso ed oltraggiato, dimenticando che  tra quegli scranni si fa compravendita di parlamentari e che il senatore Razzi,ha ben chiarito che quelli sono covi di malfattori dove ognuno si fa i “razzi” suoi e che è lecito salvare un governo sciagurato per la nazione se così facendo si raggiunge l’agognato individuale assegno vitalizio. Che poi se si facesse l’analisi del capello chissà quanti finirebbero in comunità per tossicodipendenti. Altro che servizi sociali.  E  qui di parlare di Anna Maria Cancellieri e dei rapporti suoi e del marito e del figlio con la famiglia Ligresti proprio non se ne ha il cuore. Sic transeat gloria mundi.

Per non dire dei costi della politica che c’è da rabbrividire. Tutti lo sanno ma una rinfrescatina senz’altro giova. Il Parlamento italico, nei suoi due rami, costa due volte più di quello francese, tre volte più di quello inglese e badaben-badabem cinque volte più di quello americano. I due rami del parlamento Usa governano 316 milioni di cittadini con 100 senatori e 435 deputati. Quasi poco più della metà dei 952 tra senatori e deputati, inclusi i sette senatori a vita, che governano il più delle volte male, solo sessanta milioni di italici.
Comunque, alla fine, come dare torto al povero Ken Brockman senza arrossire di vergogna ma i nostri vibranti vibratori sapranno senz’altro farlo rimanendo impassibili anche se un po’ pallidi. Così come si conviene ai sepolcri imbiancati.

I Simpson in fondo fanno il loro lavoro: castigat ridendo mores. Anche se un castigo per essere tale e soprattutto per funzionare richiede una certa dose di moralità e in quelle antiche stanze trovarla è una bella caccia al tesoro. 



giovedì 7 novembre 2013

Btp Italia, trecentomila formichine hanno comprato.

C’è chi dice che i denari finiti in Btp Italia siano tolti ai consumi e alla crescita. In realtà sono denari investiti nella sopravvivenza del Paese. La crescita passa prima di tutto dalla riduzione degli sprechi. Come ad esempio i 27.000€ spesi in hardware per ogni deputato.  



Un cronista de La7 ha chiamato “formichine” i titolari delle trecentomila sottoscrizioni che lo scorso martedì 5 novembre hanno acquistato l’emissione Btp Italia, scadenza 2017 per un totale di oltre 22 miliardi. Per l’esattezza 22,271 miliardi tondi tondi. In altre parole trecentomila italiani hanno deciso di scommettere sul Paese Italia e hanno deciso di acquistarne il debito. Il debito del proprio Paese. Un po’ come hanno fatto e fanno i giapponesi che sono proprietari di quasi il 100% del loro debito pubblico.  

Quando l’operazione la fanno i giapponesi chapeau. I commenti più che positivi sono entusiastici perché i figli del sol levante dimostrano attaccamento al loro Stato, fiducia in sé stessi e, forse soprattutto, sono disposti a sacrificarsi pur di non essere ricattati. Cosa quest’ultima che invece potrebbe accadere agli Usa che invece hanno quasi il 50% del loro debito statale nelle mani degli cinesi che, con la signorilità che li contraddistingue, di tanto in tanto glielo fanno ricordare. E in quei momenti gli americani inghiottono rospi perché un conto è spiare le telefonate del signor Zhuge Shang magari mentre parla con la sua fidanzata della elezione del nuovo sindaco di New York e altro è sapere che lo stesso signore può decidere di chiedere in rimborso del debito. Magari hic et nunc. Che forse è per questo che gli americani spiano i cinesi.  Però nel mondo globalizzato si fa finta di niente. In fondo è tutto un gioco.

Invece nel tono della voce del commentatore de La7 prima e di Enrico Mentana poi c’era un che di sgradevole sia mentre si pronunciava la parola formichine sia quando si commentava che quei oltre ventidue miliardi sono tolti dalla circolazione per quattro anni e non aiuteranno la crescita. E neppure saranno investiti in attività produttive. Che certo è vero che tutti quei miliardi non aiuteranno la crescita e che sono tolti ai consumi ma è altrettanto vero che faranno qualcosa di ugualmente importante: impediranno al Belpaese se non di fallire senz’altro di stare peggio di quanto già non stia ora. Quei denari probabilmente serviranno per pagare stipendi e magari pure saldare almeno una parte di quei creditori dello Stato (regioni, province e comuni) che da parecchi mesi, per non dire anni, stanno aspettando di veder retribuito il lavoro già fatto. E quindi sono soldi che andranno, almeno in parte, con un giro lungo e tortuoso nelle tasche di chi deve arrivare alla fine del mese. Solo in una parte però.

Per un’altra quota serviranno, purtroppo, a coprire una certa dose di scialacquo di spesa pubblica. Che mettersi qui a far la conta di quali e quanti siano i rivoli improduttivi e non meritevoli di denaro all’interno della cosa pubblica sarebbe lungo oltre che ripetitivo. Soprattutto in questi giorni dopo che il professor Roberto Perotti (1) ha raccontato al globo terracqueo che la Camera dei deputati non solo non ha risparmiato tretatre milioni (pari al 3%), spese del 2013 rapportate al 2012, ma ne ha sborsati in più circa 130/140, di milioni, pari ad + 12%. 
Addirittura, pare che per ogni deputato, per dire la più buffa, siano stati erogati ben 27.000 eurini in hardware. Il che è equivale a dire che ad ognuno siano stati dati in dotazione una cinquantina di pc portatili di buon livello. Che c’è da far felici oltre che i deputati anche le mogli, i figli, i nipoti, le amanti e pure le concubine. Almeno fino al terzo grado di parentela.

Per fortuna ci sono le formichine che, facendo la media del pollo, hanno investito nei Btp all’incirca 50.000€ a testa. Che c’è da chiedersi dove avrebbero dovuto mettere alternativamente questi denari? Avrebbero dovuto gettarsi a fare acquisti forsennati, tutti a cambiare l’auto o la cucina o il guardaroba o chissà cos’altro? O magari tutti al ristorante o a prenotare aerei avverando così quanto sosteneva, mentendo, anni fa uno scriteriato presidente del consiglio del quale il Paese fatica a liberarsi. Che non bisogna essere degli economisti particolarmente acuti per capire che le persone sono portate a spendere quando si sentono sicure del futuro e che in caso contrario risparmiano ancor più di prima. Soprattutto quando si hanno figli e nipoti con lavoro precario o addirittura senza lavoro.  E non bisogna neppure essere dei geni della finanza o degli sfegatati comunisti per capire che prima di aumentare le tasse varrebbe la pena di ridurre gli sprechi e che le rendite finanziarie dovrebbero far cumulo con il reddito da lavoro e sul totale dovrebbero essere pagate le tasse e che queste, udite udite, dovrebbero essere eque. Il che tradotto significa che chi più ha più paga. E anche che accumulare pensioni come fossero le figurine Panini oltre che non onesto non è neppure morale. 

Che magari non stupirebbe se si scoprisse che un gran politico di questi sventurati giorni incamera la pensione da deputato europeo oltre a quella di deputato nazionale e magari pure una qualche indennità come ex presidente della camera e perché no pure la pensione da giornalista. E on top al tutto lo stipendio per l’attuale funzione. E poi sentirlo parlare della sua comprensione della povertà e della ingiustizia qualche accenno di nausea la fa pure viene.
Magari a qualche brillante economista bocconiano si potrebbe consigliare la lettura de La favola delle api di Bernard de Mandeville, scritto nel 1705, per fargli capire chi deve spendere e perché.
Per fortuna ci sono queste formichine, per gran parte ceto medio che non vuol morire, che si ostinano a risparmiare e a credere, cocciutamente, nel Paese. Che se poi magari nel loro piccolo si incazzassero pure magari ce ne sarebbe di guadagno. Per tutti.



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