Ciò che possiamo licenziare

venerdì 28 dicembre 2012

Il Pd sta cominciando a perdere le elezioni.

Il segretario del Pd, che pensa di aver già vinto le elezioni, sta già distribuendo incarichi di governo e ministeri. Perbacco, ecco le stesse facce di sempre. Il primo mattoncino della sconfitta.

Perdere le elezioni non è facile. Ci vuole tempo, impegno, determinazione, una certa dose di acribia e soprattutto saper scontentare i propri elettori. Non sono doti da tutti. 
Pierluigi Bersani: prove di fumo
Bersani ed il gruppo dirigente tutto del Pd si stanno spendendo con una pertinacia, degna di miglior causa in questo impegno.
Il leader del Pd, è notizia di questi giorni, sta mettendo a punto l'elenco dei nomi da inserire nel listino degli “intoccabili” e, come non bastasse, certo per portarsi avanti, fa anche proposte di incarichi ministeriali a quelli che lui ritiene importanti e indispensabili personalità. Che poi, con ogni probabilità, sono ritenute tali solo lui e qualche altro catapultato direttamente da Marte che non abbia vissuto nel bel Paese negli ultimi venti anni. E così comincia a piazzare il primo mattoncino della sconfitta.
L'uomo di Bettola, grande stratega, ha anticipato che vuole al ministero dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture Mauro Moretti, 59 anni, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, mandato in scadenza nel 2014. Moretti è anche sindaco, per la seconda volta, di Mompeo, circa 600 abitanti, ridente paesino della sabina dove possiede una seconda casa e che, guarda il caso, non c'è stazione ferroviaria. La più vicina è a 24 km ed è quella di Fara Sabina.

Pierluigi Bersani si sta struggendo per averlo al suo fianco e lo pressa come mai nessuna massaia emiliana ha fatto con l'impasto di uova, acqua e farina che precede la sfoglia da cui nascono le tagliatelle. Per l'appunto emiliane.
Moretti che è romagnolo di Rimini, avrà pure un debole per le tagliatelle ma, di più, ha una gran passione per le infrastrutture e per la velocità. Anzi a lui piacciono solo le infrastrutture che contengano la velocità. Che deve essere alta, altissima. E che poi abbiano come direttrice Milano-Roma, qualche volta Napoli, in andata e ritorno e, con le stesse modalità, la tratta che va da Torino-Venezia. Se invece la velocità è accelerata e i percorsi sono più brevi, tipo Saronno-Milano o Civitavecchia-Roma. Beh, allora le infrastrutture non gli piacciono più tanto. Anzi pare proprio che non gli piacciano affatto. E cerca di smantellarle. 


Mauro Moretti e l'amore suo
A lui i treni che viaggiano alla velocità delle lumachine e che si fermano ogni cinque minuti per caricare quegli eccentrici che ogni giorno alle sei del mattino si accalcano in stazione per poi stare pigiati come sardine per un'ora o talvolta anche più, con l'insano desiderio di raggiungere la città dove si danno ai più sfrenati bagordi fino alle diciotto e quindi felici come pasque rifare il percorso al contrario non gli piacciono. Non gli piacciono proprio. Ha cercato di farseli divenire simpatici, dopo tutto è un ex iscritto alla Cgil ed è stato segretario nazionale, nientepopodimenoche della Cgil-Trasporti. Ma non c'è stato niente da fare. Anzi su quelle linee non gli va proprio di investire. I treni sono pochi, spesso sporchi, con cattiva manutenzione, freddi d'inverno e torridi d'estate, talvolta in ritardo e capita, ogni tanto, che vengano soppressi all'ultimo minuto. Si chiamano treni pendolari. E pare non rendano profitto. Però questi treni trasportano molti elettori. Talvolta di centrosinistra. Saranno contenti di sapere che a quel signore che non li considera degni di avere un treno decente verrà affidato il ministero dello Sviluppo. 
Che poi, chissà sviluppo di che .

Ma questo non l'unico nome a cui Bersani abbia pensato: c'è anche Fabrizio Barca. Per lui si profila un ministero non meglio precisato.
Fabrizio Barca.
Un altro oggetto del desiderio
per Bersani
Fabrizio Barca, figlio di Luciano ex senatore e membro della direzione del Pci e direttore dell'Unità nonché collaboratore di Berlinguer per oltre un decennio, è noto per essere stato il creatore della Nuova Politica Regionale (npr). Ovvero la struttura che che comprende i meccanismi attraverso i quali lo Stato ha speso i soldi pubblici a favore delle imprese private per lo sviluppo del Sud. Fu un fallimento come lui stesso ammise dicendo: «Ogni tentativo di manipolare l’economia e la società del Mezzogiorno con sussidi, gabbie salariali, imposte differenziali o esenzioni d’imposta è destinato ad attrarre le imprese e le teste peggiori, a richiamare investimenti e imprenditori “incassa e fuggi”». Che come epitafio di un disastro non è male. 
Specie se detto dall'inventore.
Attualmente è ministro senza portafoglio alla Coesione territoriale nel governo Monti. Della sua azione non si hanno grandi notizie. E questo, visto i precedenti è senz'altro un bene.

Poiché non c'è due senza tre ecco il nuovo ministro degli Esteri: Massimo D'Alema. Ma come? Non aveva detto che non si sarebbe ricandidato? E in effetti non si ricandida ma partecipa comunque alla vita politica del Paese, come ministro. Stesso «diciamo» e stessi movimenti della testa e stessa arroganza e stesso tutto. Insomma lo stesso D'Alema di sempre. Alzi la mano chi pensava di essersene veramente liberato.
Bagatella: lo stipendio grosso modo sarà lo stesso.
E dopo il tre, il quattro vien da sé. Se c'è un ministro degli Esteri ci sarà pure anche quello dell'Interno. Chi ci si può mettere? Ma ovvio, lo speculare di D'Alema: Walter Veltroni. Pazzesco.
Sembra di assistere ad una gag di Walter Matthau in Appartamento al Plaza, quando, per cambiare di ruolo entra ed esce dalla porta girevole dell'albergo. I due escono dal parlamento non presentandosi alle elezioni ma ci rientrano come ministri. Sperano. 
I miracoli della porta girevole.
Sarà una bella delusione per quel commesso che dopo il discorso d'addio di Veltroni disse:«Oggi, onorevole è una di quelle giornate in cui siamo contenti di lavorare alla Camera».
Molto probabilmente con sottilissima ironia intendeva “finalmente fuori” anche se molti fresconi, destinatario incluso, hanno erroneamente inteso come segno di rammarico. Ritornano, ritornano. Eccome se ritornano.
Non a caso il mezzoconte D'Alema non ha recitato alcun discorso di comiato.
E dire che Pierluigi Bersani si è spesso vantato di essere uno che ha sempre portato cambiamenti in ogni situazione nella quale sia entrato. Forse aveva in mente il principe di Salina «Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi».
Chissà che ne pensano tutti quegli elettori che si aspettano un vero cambiamento. Saranno ancora elettori?
Complimenti Bersani, another brick in the wall. Della sconfitta.

Ps. E' delle ultime ore che Bersani vorrebbe imbarcare anche Profumo (attuale ministro alla Istruzione) e Balduzzi (attuale Sanità). Complimenti. Ora i mattoncini sono già due. Il muro sarà bello alto molto prima di andare alle urne.

giovedì 20 dicembre 2012

Nel Pd ci sono 10 derogati. Dieci di troppo.

Lo statuto del Pd prevede l'incandidabilità dopo tre mandati. In dieci fanno istanza di deroga. Chi sono?  Che hanno fatto in tutti questi anni? Perché vogliono restare? Pare che nessuno glielo abbia domandato.


C'è chi dice che quelli della direzione del Pd sono uomini. Come tutti. E quindi hanno cuore e sensibilità. 
E chi sciaguratamente dispone di cuore e sensibilità fa una fatica tremenda a dire di “no”. 
Anzi, quella sgradevole parolina nessuno proprio la vuole pronunciare.
E così quando l'intera direzione nazionale Pd, circa centocinquanta tra padri nobili e altrettante nobili madri più un tot di aggregati che le eccezioni sono di questo mondo, si è trovata davanti quelle dieci domandine di parlamentari che ambiscono a rimanere tali non hanno avuto l'animo di dire di “no” .
E così in quattro-e-quattro-otto hanno pronunciata il magico vocabolo: “deroga”. 
Probabilmente l'han fatto anche per non dover offrire le spalle a piagnistei successivi. Che la stagione è fredda e influenza e reumatismi stanno dietro l'angolo.
I dieci, come arcinoto, in rigoroso ordine alfabetico sono: Mauro Agostini, Rosy Bindi, Claudio Bressa, Anna Finocchiaro, Beppe Fioroni, Mariapia Garavaglia, Beppe Lumia, Franco Marini, Cesare Marini, Giorgio Merlo. Che alcuni sono notissimi al largo pubblico ed altri completamente ignoti.
La statistica recita: tre donne, sette uomini, due ex pci, un ex socialista che con la scusa della diaspora te li trovi dovunque e, come ti sbagli, sette ex democristiani. Professionalmente parlando, al di là della lunga carriera parlamentare: un magistrato (Finocchiaro), un imprenditore (Cesare Marini), due consulenti (Bressa e Lumia), due ricercatori universitari (Bindi e Fioroni), una insegnante (Garavaglia), un dirigente d'azienda (Agostini), un pensionato (Franco Marini) e, per finire, anche un giornalista (Merlo).
Mancano metalmeccanici, idraulici, avvocati ed architetti, ma questa potrebbe parer demagogia.
Poco importa, anche per non dover scomodare la decenza, che diversi di questi siano componenti della Direzione nazionale.
Cioè, in altre parole, c'è il caso che alcuni si siano autovotati la deroga. Se così fosse sarebbero stati assolutamente nella norma e non avrebbero derogato dall'usanza.

Ma non solo. A loro merito, di tutti i dieci derogati ben s'intende, va detto che sono anche stati tra i tanti che si ritrovarono soci fondatori del partito. Bindi, Finoccchiaro e Fioroni furono addirittura nel comitato promotore.
E tutti e dieci, insieme ad altri 2.848 alla prima Assemblea Costituente del 27 ottobre 2007, votarono plaudenti e gaudenti lo statuto.
Statuto brillante e innovativo, in alcune sue parti. In particolare laddove prevede che non ci debbano essere sovrapposizione di incarichi e che dopo un po' di tempo speso a lavorare per il partito, la causa e qualsiasi altro nobile motivo, sia necessario riposarsi. Come pare sia addirittura successo anche a chi mise mano all'inizio del mondo. Che almeno ai sette cattolici simile considerazione qualcosa dovrebbe suggerirgli.
Per questo anche l'articolo 21 (incandidabilità e incompatibilità), che al comma 3 recita: Non è ricandidabile da parte del Partito Democratico per la carica di componente del Parlamento nazionale ed europeo chi ha ricoperto detta carica per la durata di tre mandati”, fu votato alla unanimità.
Che quindi aver votato una risoluzione per poi a breve giro rinnegarla non è bello. 
Forse questi dieci si sentivano derogati ante litteram o non han fatto mente locale alla loro posizione o addirittura viene il dubbio che non sappiano far di conto. Che se avessero pensato alle rispettive anzianità di servizio avrebbero capito d'essere a rischio. Con molta probabilità si tratta di tutte e tre le ipotesi messe insieme. E questo non depone a loro favore.

I dieci di cui sopra hanno tutti superato da un bel pezzo la fatidica soglia dei tre mandati: chi con larghezza come Finocchiaro Anna, sette legislature che tradotto significa 25 anni tra camera e senato (nel frattempo per sette anni è stata anche consigliere comunale a Catania), che supera di poco l'ottantenne Marini Franco che di anni passati a scaldare quegli scranni compreso quello di presidente del senato ne ha totalizzati 21. Avendo speso quelli precedenti a fare il sindacalista. Poi c'è la Bindi: una volta al parlamento europeo più cinque volte a quello nazionale . Già due volte ministro della Sanità e poi ministro della Famiglia. 
Di quest'ultima esperienza si cita il disegno di legge detto "Dico", dal tono blandamente omeopatico, che comunque non passò. E anche alcune sue esternazioni del tipo: « Non sarei mai favorevole al riconoscimento del matrimonio fra omosessuali: non si possono creare in laboratorio dei disadattati. È meglio che un bambino cresca in Africa». Giusto per non perdere la memoria.
Quindi a seguire tutti gli altri che è stucchevole stare a stilarne un'algida classifica.

Giuseppe Fioroni, tre legislature
Tuttavia per dare onore di cronache agli ultimi che si spera siano i primi, come scritto nei sacri testi, a togliere il disturbo sta, in fondo all'elenco, Beppe Fioroni che è usurato da solo tre legislature. Cosa che non gli ha impedito di totalizzare circa 25.000€ di multe per varie infrazioni stradali. Che già questo giustificherebbe la sua messa a riposo o il suo ritorno alla più tranquilla professione di ricercatore universitario. Che, in questo ruolo non avrà bisogno né di scorte né di auto blu e quindi serenità per lui, per noi e anche un bel risparmio per l'erario. Le multe infatti non le paga l'onorevole.
Chissà che così, calato nella vita di quelli normali, non torni a capire, ammesso e non concesso che l'abbia mai fatto, le questioni della sua precaria categoria.

Tutti e dieci hanno biografie eccelse (tratte da parlamento openopolis o dai siti personali ndr) che raccontano di quanto numerosi e gravosi siano i loro impegni.
Così, ad esempio Gianclaudio Bressa, maturità classica, consulente aziendale ed ex sindaco di Belluno, partecipa a due raffinate e professionalmente puntute commissioni: affari costituzionali e giunta per il regolamento.
Che competenze poi abbia un consulente aziendale (in che branca forniva la sua consulenza non si sa) in quel tipo di commissioni è un mistero. Ma, come noto, il parlamento apre ampi orizzonti e molti spazi di aggiornamento culturale. In più questo stakanov si occupa di: economia, stato, cittadinanza e immigrazione, politica, lavoro, enti locali ordine e sicurezza, finanziamenti pubblici, società, imprese, regioni, pubblica amministrazione, partiti e movimenti politici, giustizia, diritto, cittadinanza, finanziamento pubblico ai partiti, ambiente e territorio, comuni e altri 515 argomenti. Non solo, nell'ultima legislatura è stato presente al 63% delle votazioni. Dove occupasse poi il restante trentasette ancora una volta non si sa.
Gianclaudio Bressa, 57 anni,
quattro legislature
Che per tener dietro a tutto questo ci vuole un bel fisico. Questo sì che è un lavoro usurante da cui qualsiasi gruista vorrebbe scappare. Lui invece no. Resta e spera non di raddoppiare che l'ha già fatto ma di quintuplicare la presenza. D'altra parte ha solo cinquantasette anni.
Per non dire di Giorgio Merlo, giornalista di Rai Piemonte, è un ex dc e avrà 63 anni a luglio.
Sulle spalle ben quattro legislature e nel suo sito scrive: “Quello che conta non sono le singole 'discese in campo' anche se autorevoli e rumorose. In gioco c’è il progetto politico ... Il resto è prevalentemente gossip”. Che come petizione di principio non è niente male. Ma di petizioni di principio son lastricate molte strade. E non tutte portano in bei posti.
Dopo di che il suo indice di produttività parlamentare lo classifica al posto numero 407 su 630. Nonostante vanti una presenza alle votazioni eccezionalmente alta: 91 per cento. Ma forse la presenza da sola non basta.
Poi c'è Mauro Agostini che già a 39 anni, adesso ne ha 60, era segretario regionale dei Ds in Umbria. Quattro le legislature e come tiene a ricordare fu, negli stessi anni, tesoriere nazionale con Veltroni e Franceschini. Spiccata tendenza al doppio lavoro. Si interessa di economia, imprese, stato, tasse e imposte, famiglia, salute, umbria e altri 486 argomenti.
Come rinunciare a uno così che peraltro un impiego fuori dal parlamento già ce l'ha: è in aspettativa dal ruolo di Direttore Generale di Sviluppumbria spa, Finanziaria regionale dell'Umbria. Come poi possa operare Sviluppumbria senza Direttore Generale da diciotto anni è un mistero. O forse ne possono fare tranquillamente a meno perché figura ininfluente. Mah.
Invece pare che neppure il Pd possa fare a meno di un Cavaliere di Gran Croce dell'ordine al merito della Repubblica Italiana e di chi ha ottenuto la Medaglia d'oro per i benemeriti della Sanità Pubblica ovvero di Mariapia Garavaglia da Cuggiono. Per le sue competenze di insegnante è stata ministro della sanità per ben undici mesi, da aprile 1993 a maggio 1994. e nessuno se ne è accorto. Che poi abbia anche manifestato con Militia Christi e Forza Nuova in difesa della famiglia è un accidente della storia sfuggito ai compagni di partito. In compenso Roma le piace così tanto che non contenta di starci da diciannove anni e centosessantanove giorni come parlamentare ne è stata anche, ovviamente in contemporanea, vicesindaco. Per ben due volte. Però il suo ultimo collegio elettorale è stato il Veneto. Cosa vuol dire la creatività.

Chi invece all'ultima tornata quelli del Pd proprio non ce lo volevano mettere in lista è Giuseppe Lumia. Che già era stato deputato quattro volte e pure Presidente dell'Assemblea regionale siciliana del partito. Lui minacciò di passare all'Idv e allora, come per incanto fu candidato al senato e, come soprammercato, anche capolista. E quindi per lui le legislature sono a quota cinque. E vorrebbe che diventassero sei. Che è un bel numero tondo.

Giuseppe Lumia, quattro volte deputato
una volta senatore
Percorso inverso invece quello di Cesare Marini che per tre volte senatore adesso gli tocca sedere alla camera. Ma non si deve stare scomodi neanche a  Montecitorio. Anche lui come tutti gli altri segue una enormità di argomenti e vota con diligenza, per l'84% delle volte è presente, ma in quanto a produttività e al posto numero 436. Però è un grande co-firmatario.
Per ben 997 volte ha firmato emendamenti, disegni di legge, mozioni, interpellanze e di tutto e di più ancora presentati da altri colleghi deputati. Il che significa che ha una gran capacità di relazione o di accodamento. A scelta. Anche lui, comunque, non si fa mancare impegni extraparlamentari ed è sindaco di San Demetrio Corone nel circondario di Cosenza.

Ora tutto ciò posto, la domanda ai dieci è: ma perché volete a tutti i costi ricandidarvi? Se contributo al Paese volevate dare, avete già dato. Ritornate alle avite professioni, che per fortuna un lavoro l'avete ancora. Rigeneratevi e provate un po' a riscoprire come vive la gente normale. Magari domandatevi se qualcun altro avrebbe potuto far di meglio. E non siate presuntuosi.
Ma a quanto pare nessuno della direzione nazionale e tanto meno il segretario Bersani ha fatto domande.

lunedì 17 dicembre 2012

Mario Monti licenzierà la Fornero. E anche Passera e anche Clini e anche Profumo.

Resteranno forse Riccardi e Severino. Di Terzi non si è mai notata la presenza.  «Occorreranno sempre più persone preparate, serie, capaci di leggere il cambiamento» dice Monti


Aria di primavera al governo.
Mario Monti scruta il futuro per noi
Nonostante la stagione inclemente e la neve che ha imbiancato gran parte dell'Italia rendendo un pochino più respirabile l'aria di alcune grandi città, le polveri sottili sono state schiacciare a terra senza pietà, Mario Monti ha deciso che è primavera.
Si apriranno le finestre del governo e si comincerà a far circolare aria nuova. Sono programmate, metaforicamente, le pulizie di primavera. Via le coperte pesanti, cambio di vestiti e nuova tinteggiata alle pareti della casa. 
Evviva. Evviva. Evviva.
I corazzieri, già precettati per cantarla a squarciagola, stanno ripassando le strofe di Mattinata fiorentina che dovrà essere gorgheggiata come lo faceva Rabagliati. Per i più giovani: documentatevi con genitori, nonni e zie. Se non li avete a portata di mano cercate su wikipedia e informatevi su canzone, cantante e contesto storico.

Nonostante negli ultimi mesi il pensiero del primo ministro sia stato un pochetto ondivago, giusto quel pochetto che serve a dare l'idea, passando da «a fine mandato torno in Bocconi» a «se il Paese ne ha bisogno potrei anche restare» per poi dire che «noi abbiamo iniziato altri finiranno» immediatamente doppiato da «sarebbe bello finire il lavoro iniziato» e corroborato da «prima delle vacanze dirò quello che farò» oggi si sono finalmente sentite delle parole chiare e nette. Era tempo.
A tutti piace sapere che i propri leader hanno idee chiare e sono decisi.
Queste le parole testuali di Mario Monti «Oggi bisogna essere consapevoli che ogni rinuncia è una perdita grave. Non possiamo e non dobbiamo permettercela, bisogna reagire, non dobbiamo essere rinunciatari neanche nelle circostanze più difficili. Abbiamo messo in sicurezza il paese nel 2012 e ora dobbiamo ripartire. Occorreranno sempre più persone preparate, serie, capaci di leggere il cambiamento e di saperlo guidare». Bella l'ultima frase. Bellissima.
Che decisione. Che afflato.

Fornero e Passera
Questo sì che è un vero leader.
Nota di metodo: un leader si differenza da un gregario perché questo dice verità titubanti mentre il primo spara cavolate, ma decise.
Se si vuole sostituire il termine cavolate con qualcosa di più colorato o fantasiosamente esplicativo si può fare. La lingua italica in questo offre tantissime interessanti varianti.
A beneficio della Fornero, che così potrà capirne il senso: cavolate (e sinonimi) in inglese si può tradurre con bullshit. 
Choosy e non-choosy intendono.

Quindi, se la discriminante verterà su preparazione, serietà e capacità di visione, data la legge sulla impenetrabilità dei corpi, bisognerà che chi c'è si tolga graziosamente dai piedi. E lasci spazio a quegli altri. Quelli preparati, seri, capaci, ecc, ecc...
Che quindi, se due-più-due-fa.quattro, la prima a dover sloggiare sarà la confessa non-competente Fornero. Gli altri, che chiacchiere a iosa ma fatti concreti pochi, tipo Passere e Clini e Profumo e Polillo che i sottosegretari non sono esenti, dovranno seguire a ruota.

Che bello un gabinetto fatto di competenti capaci di leggere il futuro che quelli fino ad ora a disposizione non riescono a compitare neanche il passato prossimo.
Chissà che lista di personalità avrà in mente Marione nostro. Magari di gente fuori dall'università, visti i precedenti. D'altra parte si sa che “buona la prima” è raro.
Occorrono fuoriclasse e qui non ce n'è neanche l'ombra.
Anzi. Di norma per i compiti importanti si fa prima la minuta e poi si stende la bella copia.
Pare sia successo così anche nell'Eden: a quel che si dice Adamo fu la minuta e poi venne Eva. La bella copia. Appunto.
Quindi caro Marione nostro, si proceda pure a mettere in pratica quanto detto e tutti, o quasi, saranno felici.

Un suggerimento agli attuali ministri: se il presidente del consiglio li invitasse al cenone di capodanno declinino.
Fosse mai che li faccia buttare dalla finestra come si faceva un tempo con le cose vecchie, rotte, inutili e ingombranti.
E che magari portavano pure un po' male.

venerdì 14 dicembre 2012

Norme pro Lgbt. L'Europa ce le chiede: bisogna ubbidire.


Quando l'Europa ha chiesto tagli il governo è stato più che sollecito. 
Ora l'Europa ci chiede semplicemente qualche diritto civile in più. 
Si spera che il governo non tentenni. Troppo.


Lo scorso 12 dicembre il Parlamento di Strasburgo ha invitato formalmente 11 dei 27 paesi che compongono l'Unione, per intenderci quelli con più spiccate venature retrograde, ad adeguare i propri ordinamenti a quanto scritto nella Relazione sui Diritti Fondamentali della UE per il 2010-2011. Ovviamente e quasi per definizione, l'Italia spicca tra questi. Che non ci si vuole far mancare nulla e se non si prende una multa o un richiamo pare non si sia contenti.
La UE chiede, in modo chiaro e senza lasciare spazio a fraintendimenti, che sia tolto ogni tipo di “restrizione all'accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva” che vengano rispettati i diritti dei migranti così come siano tutelati i diritti civili delle persone Lgbt.
L'Europa lo chiede” è stato il mantra che Mario Monti neanche fosse un pellegrino alla prima crociata, ha recitato in questi tredici mesi di governo ogni qualvolta aveva da far roteare la mannaia su pensioni, casa, pubblica amministrazione e automobilisti, In questo abbondantemente coadiuvato dalla, per sua ammissione non competente, ministra Elsa Fornero.
Ora l'Europa chiede ancora, ma questa volta un'altra cosa. Chiede la formalizzazione di diritti per chi diritti non ha mai avuto ed anzi a patito emarginazioni, insulti sberleffi, persecuzioni e peggio di altro ancora: l'Europa chiede diritti per lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. A guardarla bene una cosa da nulla. Del tutto naturale in un paese civile: che ognuno faccia l'amore come gli va. E sia contento.
Di norma, dal punto di vista delle responsabilità in questa materia, è, competente il ministero che si occupa di Politiche Sociali e di Pari Opportunità. Aree di intervento che della ministra Fornero anche se a lei debbono parere astruse e di difficile comprensione e probabilmente le guarda con lo stesso stupore con cui i bimbi, quando non sanno ancora leggere, rimirano nei libri quegli strani scarabocchi neri che si chiamano parole.
Bhè questa volta non c'è molto da capire. L'Europa chiede anche all'Italia di diventare un tantino più civile e di introdurre nel nostro ordinamento norme per la tutela delle persone lgbt. Sono norme che non costano e che quindi non sono neanche passibili di taglio. Certo questo dettaglio la rattristerà un pochino. Ma tutti hanno da patire delle frustrazioni. 
Quindi si presenti la ministra in parlamento e con voce stentorea, per quel che può, gridi: «l'Europa lo chiede». 
Magari aggiunga, a mo di contentino che le misure in questione non faranno impennare lo spread e porteranno un po' di serenità a molte persone. 
Chieda pure a Monti di darle una mano, giusto per aggiungere alla richiesta un po' di calore umano. 

mercoledì 12 dicembre 2012

Duello tra Dell'Utri e Alfano. Cavalleria (poca) rusticana (ancora meno).

Due siciliani a confronto che se usassero il dialetto invece dell'italiano meglio sarebbe. Il senatore (e che bel senatore) e il segretario (e che bel segretario) del Pdl si parlano. Per fortuna a distanza che altrimenti a schifio finisce.



Ha ragione Mario Monti quando dice che gli italiani debbono stare attenti a non farsi ingannare da facili promesse o da affermazioni poco chiare. Infatti è una tipica caratteristica di quelli del Pdl di non essere espliciti. Di parerlo, forse. Ma non di esserlo, fino in fondo. Di essere, come dire, troppo diplomatici e di non diretti.
Si prenda ed esempio l'ultimo scambio di battute tra il senatore Marcello Dell'Utri e il candido segretario Angelino Alfano. Dibattito che vive, per dirla in modo chiaro-chiaro ed in una lingua comprensibile ad entrambi i contendenti, alla luce di “u lupu di mala cuscenza comu opera accussì penza” (il lupo disonesto pensa degli altri ciò che lòui potrebbe fare).
Uno attacca facendo riferimento a categorie dello spirito con «sei un disgraziato» e l'altro risponde ripiegando su particolari tipicamente anatomici con un «non hai le palle». Sembrano affermazioni diverse nella forma e nella sostanza e di approccio litigioso. Ma così non è, al di là di ogni considerazione di carattere filosofico tra chi, per esempio, vuole uniti spirito e materia.
Angelino Alfano e la sua determaninazione
Le due affermazioni, che sono abusatine e peccano di originalità, si compenetrano. Ed è solo un accidente della storia che il fatto sia sfuggito alla fine ermeneutica dei due.
Già, perché di solito chi è affetto da apallismo (alfa privativo, detto a vantaggio dei due contendenti) è al tempo stesso un disgraziato. Termine quest'ultimo che nella sua accezione di sostantivo assai spesso si accompagna con l'aggettivo 'povero'. Così come, quando uno è disgraziato (sempre doppiato da povero) lo è proprio in quanto affetto dalla mancanza precedente.
Quindi, come dire, i due stanno inopinatamente dicendo la stessa cosa e di essere praticamente uguali o, al massimo se si preferisce, di essere complementari.
Le due facce della stessa medaglia. Neanche tanto bella e di ben infelice corso, a dire il vero.
Che poi è come quando “u voi ci dici curnutu 'o seccu” (il bue che dice cornuto all'asino.

D'altra parte è noto che: “nuddu si pigghia si non si rassumigghia”. (le persone si scelgono perché si somigliano). Che siano simili per non dire uguali negli intenti e nello spirito già lo si sapeva ad abundantiam. Ma gentilmente hanno pensato bene di rimarcarlo con diplomazia e astrusi giri di parole, anziché essere diretti.
Meglio si sarebbe colto il loro pensiero se si fossero espressi da siciliani veri quali entrambi sono. Che venendo dalla terra di compare Turiddu ci si aspetta qualcosa di più chiaro e preciso sulla natura del contendere e dei due contendenti. Il dialetto si sa mette le ali alla fantasia.
Ma soprattutto evita quei contorcimenti che l'uso prima sabaudo e poi democristiano della lingua nazionale ha reso quasi comune. E spesso, quando usato dai politici, addirittura inintelligibile.
Marcello Dell'Utri. Sembra resa ma non è
Siate più chiari senatore dell'Utri e segretario Alfano nell'esplicitare i vostri sentimenti.

Per esempio, e la cosa non sarebbe dispiaciuta ai più, se uno avesse detto: «Ti dicu vavaluciu pi nun diriti: vaviusu, curnutu e stricanterra» (ti dico lumacone per non dirti bavoso, cornuto e striscia in terra). E se l'altro avesse risposto: «un ti miettu manu in capu picchì sugnu animalista!» (non ti metto le mani addosso perché sono animalista). Si sarebbe compreso la natura del vostro vero rapporto.
E di lì in avanti la strada sarebbe stata in discesa. E la fantasia finalmente sarebbe tornata al potere. Inoltre avreste la possibilità di coinvolgere altre parti sia dello spiriti sia del corpo.
E non trattenetevi che tanto si sa che “cu mangia fa muddicchi” (chi mangia fa briciole).
Quindi non limitatevi. Ma ricordate che: “bon tiempu e malu tiempu non dura tuttu u tiempu” (il buon tempo e il cattivo tempo non durano tutto il tempo).
E il vostro sembra sia scaduto.

sabato 8 dicembre 2012

Benedetto XVI: oggi l'Annunciazione non troverebbe spazio sui giornali.

Le cattive notizie impediscono alle buone di emergere. Ma Benedetto XVI dimentica di dire chi sono gli autori degli scandali.

BenedettoXVI in piazza di Spagna
L'Ansa dell'8 di dicembre racconta che secondo Benedetto XVI ciò che è davvero "grande" passa 
"inosservato", e il "quieto silenzio" è "più fecondo" del frenetico agitarsi contemporaneo.” Teatro della sconvolgente comunicazione piazza di Spagna, per il tradizionale omaggio alla statua della Madonna che in quella piazza si trova.
Giusto, Benny, questa volta come si può non essere d'accordo. Anche il più ateo degli atei acconsentirebbe a sottoscrivere.
Di bello in giro non c'è granché.
Anzi ce n'è davvero poco. E molto di quel poco bello non trova posto nei media perché il cattivo assomma a così tanto da occuparne tutto lo spazio e quindi, una volta inserito il colophon non rimane neanche un centimetro quadrato libero per poter dare delle belle notizie.
Certo che la Chiesa ci mette del suo per riempire i media di brutte notizie. Non è bello che i suoi banchieri siano tutt'altro che cristallini o che i suoi moralizzatori siano spediti, per epurazione, negli USA o che diaconi, preti e vescovi (che così si sono coperti i tre gradi gerarchici) disattendano il precetto della non fornicazione. Così come non è bello che preda di quelle sconce brame siano bimbi e bimbe di tenera età o anche adulti in condizioni di sudditanza e non solo psicologica. E il riferimento al caso del cappellano di san Vittore non è casuale. Così come non è bello tentare di evadere le giuste tasse o ricevere sovvenzioni, più pudicamente definite donazioni, per non menzionare o addirittura tacere di mortali danni ambientali.
Certo che se la Chiesa desse minor scandalo, di quello quotidianamente praticato, sui media ci sarebbe ben più margine per il buono ed il bello . E magari allora quello spazio  lo si potrebbe occupare raccontando dello scandalo suggerito dai vangeli o da Francesco. Quello di Assisi.
Un suggerimento a Benny: ma perché non si cerca un bell'esperto di comunicazione.
 Che magari gli riveda i discorsi. Prima che li reciti.

Mario Monti: l'incapacità di decidere

Parabola discendente di un premier già ex che non ha saputo o voluto fare. Barcamenarsi non è mai bello e neppure fruttuoso, specialmente in politica tra centrodestra e centrosinistra.

Mario Monti e Signora Elsa
Quanta rabbia fa il sobrio e algido Mario Monti ora che pallido esce dalla Scala dopo aver assistito al Lohengrin. E quanta ancor più rabbia fa sentire delle sue dimissioni. E così si scopre che i tecnici hanno le stesse debolezze e gli stessi vizi di tutti. O di quasi tutti. Che per fortuna persone normali che sappiano dire «» e «no» con franchezza e semplicità ce ne è ancora. Ancorché pochi. Magari è gente che si trova più spesso in tram o in fila alla posta o al supermercato piuttosto che alla buvette del Parlamento.
Adesso boccheggia il senatore a vita Mario Monti, che chissà quali meriti ha accumulato il commissario europeo, nominato prima da Prodi e poi da Berlusconi, guarda il caso, per diventare tale. Come Rita Levi-Montalcini? O come Eugenio Montale? O come Norberto Bobbio? O come Artuto Toscanini? Oggettivamente altra levatura.
Certo, il signor Primo Ministro ha perso la sicumera di quando rimbrottava, giustamente e con merito, i parlamentari dicendo: «perché avete chiamato noi e non le avete fate voi le riforme?» o di quando sbertucciava Enrico Letta mostrando in favore di telecamera l'untuoso bigliettino che gli prometteva sostegno. Altro bell'esempio, che ce ne mancavano, di corsa in soccorso del vincitore. O di quando, con sgradevolezza, elencava i sacrifici che toccavano ai soliti o ironizzava sulla noia del posto fisso, lui che un posto fisso l'ha avuto spesso e che anche adesso ce l'ha già e pure ben pagato.
Lui che non ha saputo o voluto fare quando il suo indice di gradimento, già ottenuta buona parte del tributo dagli italici, toccava lo stratosferico traguardo del 74 per cento. E che aveva in mano i tre segretari ABC. Che quello era il momento per imporsi: il momento del “sì-sì” e del “no-no”. Lui che dopo un inizio di attacco all'evasione fiscale l'ha poi lasciato cadere. Perché non sono state reiterate le visite della Guardia di Finanza a Cortina, a Portofino e similari? Era misura troppo severa per chi denuncia un reddito inferiore a quello della propria commessa?

Gianfranco Polillo sottosegretario Ministero dell'Economia
ed ex funzionario della Camera 
Comodo destreggiarsi tra i governi di centrodestra e centrosinistra senza mai prendere posizioni specifiche e precise: lo snowboard è un bello sport, vista la stagione, ma anche in quello talvolta qualche situazione va presa di petto. Troppo facile fare il forte con quelli che possono solo subire. E adesso fare il debole con quei piccoletti prepotenti che battono irosamente i pugnetti sul tavolo.
A suo merito, che il credito internazionale lo si è ottenuto con la pelle degli italici, c'è che ha introdotto sulla scena personaggi pittoreschi come la professoressa Fornero che ha fatto la gioia dei comici o il conte Terzi di Sant'Agata che non è stato in grado di risolvere la questione dei due marò ma in compenso si è fatto fotografare nella magione avita o il sottosegretario Gianfranco Polillo, funzionario, in pensione, della camera, che dopo aver detto che i tedeschi lavorano e gli italiani invece no, si è vantato di aver fatto solo una settimana di vacanza. Che detto per intero non è proprio un bel vanto. Si racconta che Togliatti, a chi gli rimproverava le vacanze rispondesse dicendo: «solo chi non ha cervello non sente il bisogno di farlo riposare». O Michel Martone che ha discettato più di sfigati, materia che evidentemente conosce bene, piuttosto che di economia. Lui che vince i concorsi perché quelli avanti si ritirano.

Mario Monti e Giorgio Napolitano
Manovrare dietro le quinte con questo e con quello avendo come bussola il proverbio calabrese che recita: «mamma, Ciccio mi tocca. Toccami Ciccio che mamma non vede», non paga. Lo zio di Bonanni avrebbe dovuto dirglielo.
E poi quell'ultimo atto di arroganza e presunzione nei confronti di Napolitano quando il Presidente, dicendo della incandidabilità dei senatori a vita, dava oggettivamente una mano levandolo dagli impicci. «Di me, decido io». Fu la risentita risposta. Bene .
 Decida adesso, con la sua testa. Se può. 
Alternativamente ci sono sempre le comode, calde, tranquille e protettive ali del Quirinale.
Le occasioni perse dal signor Primo ministro per dare una vera svolta al Paese sono state tante e tredici mesi non sono pochi per chi vuole effettivamente fare.
Il pallore non è dato dalla mancanza del Re Sole. Che di Re Sole in Italia, purtroppo, non ce ne sono, né per ingegno, né per capacità, né per disegno.
Qui ci sono solo quelli che non sanno fare. È per questo che insegnano.

giovedì 6 dicembre 2012

Lo Stato alla Chiesa: tetti ai senzatetto. Dove? A Parigi


Cécile Duflot responsabile della Giustizia territoriale e dell'Alloggiamento chiede alla Chiesa di Parigi di collaborare alla soluzione dei problemi dei senzatetto. Laicamente e pragmaticamente.


«Donnerwetter (1), qvesti franzosi» deve aver pensato Benedetto XVI quando il suo nuovo segretario gli ha mostrato il rapporto decriptato arrivato dalla Francia.
Probabilmente l'ha letto un paio di volte e ci si immagina che si sia pure stropicciato gli occhi. Però lo scritto dell'arcivescovo di Parigi, monsignor André Vingt-Trois, non lascia dubbi: lo Stato francese chiede alla chiesa cattolica di partecipare, concretamente, alla soluzione del problema dei senza tetto.
I termini della richiesta sono chiari oltre ogni ragionevole dubbio. E non c'è molto da capire. Potrebbero arrivarci, incredibilmente, anche la gran parte degli italici parlamentari. Non tutti s'intende che qualcuno è decisamente sotto misura. E non solo per altezza.
La questione è semplice: punto uno i senzatetto hanno bisogno di un tetto, punto due la Chiesa cattolica francese ha tanti tetti, punto tre molti di questi tetti sono sotto abitati, punto quattro e risultato finale: i tetti sotto abitati vanno dati ai senza tetto.
Semplice, lineare, cristallino. Così come si conviene nella patria del razionalismo. Benedetto sia Cartesio.
Ovviamente la richiesta è ufficiale, in Francia ci tengono alla forma oltre che al contenuto, ed è firmata da Cécile Duflot, 37 anni, che nel governo di François Hollande ricopre la carica di responsabile della Giustizia territoriale e dell'Alloggiamento.

Nella lettera Cécile senza tanti giri di parole, fa l'elenco delle proprietà ecclesiali all'ombra della torre Eiffel: sono una decina, tutte di grandi dimensioni e dislocate, ça va sans dire, nelle migliori zone della città.
Come soprammercato l'adorabile Cécile, un nome che di suo è garanzia di laicità, aggiunge il numero delle persone che abitano gli immobili. E quindi quattro suore in un intero palazzo, una ventina di studenti in un vasto seminario e via elencando. Infine per avere la certezza di essere ben capita ed assolutamente non fraintesa mademoiselle Duflot indica i tempi entro i quali si deve concretizzare l'aiuto: fine anno, e pure come interverrà nel caso dovessero sorgere delle difficoltà. In modo semplice: requisendo gli spazi.
«Ma come? la cattolicissima Francia» avrà gemuto Benny.
Eh già, cattolicissima fin dal 1589 quando così la nomò Enrico IV che peraltro doppiò quest'affermazione con quell'altra ugualmente famosa e pure assai più pragmatica e pregnante che suonò: «Parigi val bene una messa». 
Cattolici sì, forse, un po' ma pragmatici di sicuro.
Certo vien difficile immaginare i budinosi politici nostrani affrontare a viso aperto e con chiarezza i poteri d' oltre Tevere. Che sì sono quelli i veri poteri forti. Non riescono a farlo neppure quando a chiederlo è l'Europa e tutto sommato, potrebbero nascondere la loro inanità dietro lo scudo delle pesanti multe che derivano dalle infrazioni. Che a contorcersi per compiacere il curato o a mendicare miserrime decorazioni o titoletti simil nobiliari son buoni tutti, come ampiamente dimostra la cronaca, mentre a mostrarsi schietti e con la schiena dritta non ce n'è molti in giro. Neanche tra i laici, pretesi, della Bocconi.

La Chiesa di Francia si difende prima con il classico e borghesucccio “ho già dato”. Che certo non brilla per creatività anche perché la razionalità dice che aver ospitato 120 clochard su 1500, quanti ne girano in quel di Parigi, non è una grande sforzo. 
E poi con un triste «fate ricerche negli uffici pubblici, banche e assicurazioni». Il che dimostra come sia d'attualità la frase: «perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?». Evidentemente
Laicamente si potrebbe dare un doppio suggerimento: ai vescovi francesi di venire, se ne hanno lo stomaco, a prendere lezioni di “evasione” dai colleghi italiani che di creatività al riguardo ne hanno a iosa. Ai nostri politici, se ne hanno il coraggio, di farsi istruire sul come ci si comporta per far rispettare lo Stato e le sue decisioni.

Con l'augurio che i primi non ne abbiamo lo stomaco e i secondi ne trovino, finalmente, il coraggio.
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(1) perbacco ndr

mercoledì 5 dicembre 2012

Bersani vince le primarie: D'Alema e Rosy Bindi gongolano. Ed è solo l'inizio.

Si aprono le cataratte delle dichiarazioni. Parte D'Alema e poi Bindi e Letta. 
Bersani odia le favole e Renzi ha la prova di essere di sinistra. Come Geronzi e non pochi altri banchieri.


Pier Luigi Bersani esulta. Poi si vedrà
Le lancette dell'orologio corrono inesorabili mentre crescono implacabilmente il numero delle schede che i partecipanti alla seconda giornata delle primarie hanno deciso di regalare a Pier Luigi Bersani. E più aumentano le schede e più si infittiscono le interviste che vengono fatte ai supporter del segretario. Tante belle facce sorridenti. Facce vecchie, in verità, sia per l'anagrafe sia per la frequentazione con la politica. Ma ancor più vecchi della fisionomia sono gli spiriti che fanno aprire e dar aria a quelle bocche.

Il primo ad intervenire è, guarda il caso, Massimo D'Alema che molto larvatamente rivendica una sorta di patronage sulla vittoria e sul vincitore. Ahinoi. 
Il viceconte tra una mossetta della testa e l'altra, vaga rassomiglianza con Ridolini, ribadisce la sua contentezza con un sorriso che va da un orecchio all'altro. Intercala il solito stracco "diciamo" per comunicare all'intero mondo che non si candiderà alle prossime elezioni politiche. L'intero mondo tira un sospiro di sollievo. 
Ma aggiunge che darà il suo contributo anche non occupando uno scranno in parlamento. L'intero mondo geme un sospirato "magari anche no. D'Alema cessi i contributi. Quel che è fatto è fatto. Scordammuce o passato"
Dice che il partito è solido e che Renzi è una risorsa. Che quando questi vecchi nipotini di Yalta dicono di un altro che è una risorsa significa che quello finisce a temperare le matite nel sottoscala. Quando invece loro si dichiarano una risorsa, come spesso dice di sé stesso il mezzoconte, si deve intendere che sono indispensabili. 
Comunque il sorriso, per quanto largo ha un che di strano. 

Anche Rosy Bindi ben volentieri si presta al rito del microfono. Gaudente. Così gaudente che alcune sinapsi si devono essere scollegate e ha cominciato a parlare come Antonio Di Pietro. 
la felicità di Rosy Bindi
Quello ci aveva raccontato che: «mia moglie non è mia moglie». Lei, la Rosy, invece alla domanda se si candiderà ha risposto che «è il partito che deve decidere». Le vien fatto notare che lei, tecnicamente, non potrebbe. Né per numero di legislature né per gli anni passati nelle divine stanze. Salvo richiesta di deroga. E allora la nostra se ne esce con un: «ma la mia deroga non è una deroga». 
Anche il microfono per quanto scafato ha un leggero sobbalzo. Poi avrà di certo pensato. «ma sono ragazzi». 
Su Renzi il commento è stato sbrigativo: «deve fare il sindaco» Ma in trasparenza si vedeva volteggiare un temperamatite. 
Pure lei esibiva un largo sorriso. Tuttavia anche questo aveva qualcosa di strano. Sì. 
Più che un sorriso di contentezza, in entrambi i casi, assomigliava a quello dei miracolati. Che, anche se largo, non è così sereno come dovrebbe dopo un bel risultato. Risultato che per loro, forse, non è ancora dato per scontato. 

Aleggia il fondato sospetto che magari il segretario, visti i risultati, e a furia di parlare di rinnovamento ci abbia preso gusto. E che magari si voglia scrollare di dosso vecchi pesi. E che voglia fare da solo. Che non farebbe male. Soprattutto se nel 'da solo' si sottintende che si liberi anche di Fassina. Che pure anche questo non sarebbe male. In ogni caso si vedrà.
La bersanata più spiritosa è stata: «vinceremo senza raccontare favole». Che già di per sé è una favola. Comunque entro breve lo si vedrà alla prova dei fatti quando incontrerà Vendola che gli ha già mandato a dire: «i miei voti decisivi». Anche se "il suo", al primo turno era il 16 per cento. 
E comunque è stato seguito a ruota, e non poteva essere diversamente essendo il nipote del grande Gastone, da Riccardo Nencini. Questo favoleggia di centinaia di migliaia di voti e che anche i suoi sono stati determinanti. Che tradotto significa "tratteremo sui ministeri". Che peraltro ancora non s'è vinto. 
E se c'è chi comincia a chiedere ancor prima di vincere bisogna attrezzarsi di belle favole. Se si vuol sopravvivere. 

Finalmente poi si è appurato che Renzi è di sinistra. Ha fatto una cosa di sinistra: ha perso. Brillante il sindaco che a sinistra si trova in bella compagnia. Guarda caso di banchieri. 
Cesare Geronzi e signora:
 una famiglia di sinistra
Alcuni di loro l'hanno confessato a Gad Lerner con candore, per quanto possano essere candidi, dei banchieri.
E' noto che Cesare Geronzi abbia sempre avuto un debole, ricambiato, per D'Alema. Gli ha prestato duecento milioni di euro, per il partito. Muove la testa come Massimo, cosa vuol dire le affinità elettive. Lui però non ha l'abitudine di andare a votare alle primarie ma la moglie invece sì. Una famiglia di sinistra. Ce ne sono tante. 
Anche un ex commissario Consob,Salvatore Bragantini, accompagnato da Angelo De Mattia direttore centrale in Banca d'Italia sovrintendente alla segreteria di Antonio Fazio, sono di sinistra. Mica bruscoli. 
Che a questo punto annoverare tra i pericolosi sovversivi anche Massimo Mucchetti, vice direttore del Corsera, e Roberto Perotti docente della Bocconi ed editorialista del Sole 24Ore neanche fa notizia. Che a questo punto la cena renziana di Milano con la finanza rientra in un filone consolidato. Peccato quasi neanche veniale. Forse.
Non poteva mancare a dire la sua Enrico Letta, ininfluente come di solito e neanche particolarmente originale: «Matteo (notare il nome di battesimo) deve stare nella squadra». Vabbè.
Se poi si aggiungesse anche a fare cosa sarebbe proprio una bella favola. Tutta da raccontare.

sabato 1 dicembre 2012

Bersani e Il Monte dei Paschi. Dov'è il senso delle parole?

A Siena Pier Luigi Bersani gigioneggia e non dà risposte sul caso Monte dei Paschi di Siena. Che in campagna elettorale a dire che si sta con i lavoratori son buoni tutti. Ma poi?


Tra le ultime tappe della campagna elettorale per le primarie di Pier Luigi Bersani c'è anche Siena.
E poiché questa è città di cultura, nel suo intervento Bersani cita Occam e il suo celebre rasoio, Aristotele e il principio della ragione sufficiente e Lavoiser che scoprì che tutto si trasforma.
Già appunto: il trasformismo.

Ma Siena è anche regno incontrastato e da sempre, della sua parte (pci, pds, ds, pd) e del Monte dei Paschi. Che il Monte è lì da molto più tempo, si dice cinquecento anni. Un bel po' di storia. Ora la banca che regge tanta parte dell'economia locale e non solo è in crisi e Bersani giustamente interviene.
«Come Pd stiamo con i lavoratori» dice il Bersani. E' cosa buona e giusta. 
Anche se c'è da aggiungere “e ci mancherebbe”. 
Con chi deve stare un partito di sinistra, ancorché di centro sinistra avendo imbarcato dei democristiani? Democristiani pur anch'essi di sinistra anche se la loro è una sinistra un tantinello diversa. Fatta un po' strana, per così dire.

Ma il punto è: se 'come Pd' si sta con i lavoratori, 'come che cosa' si sta (o si è stati) con gli altri? Con quelli che hanno rovinato il Monte.  E che con il Monte stanno rovinando anche i lavoratori? 'Come che cosa' si è sostenuta la candidatura di Alessandro Profumo? E 'come che cosa' si pensa di rimettere le cose a posto? Magari licenziando, questi sì senza alcuno scrupolo e magari pure anche senza buona uscita milionaria, quelli che stanno distruggendo il Monte?
Tutti questi 'come che cosa' sono al momento orfani di risposta. Pier Luigi Bersani, a quanto pare, non li ha considerati.
Quando e se avranno risposta si potrà credere alle commozioni esternate in tv. Che già troppe se ne sono viste e dietro non c'era niente.