Ciò che possiamo licenziare

lunedì 12 novembre 2012

La settimana che cominciò di mercoledì - 4

Quarta ed ultima puntata del racconto 'La settimana che cominciò di mercoledì'
Le puntate precedenti sono state pubblicate nei giorni 6, 8, 10 di novembre 2012


“Partiamo questa sera stessa?” domandò. Ma più che una domanda era una richiesta. Risposi di sì.
Era una serata tersa e tiepida, viaggiammo senza capote e il vento ci spazzolava i capelli.
 La casa era un po' umida: disfeci il letto e accesi il camino della camera perché le lenzuola si asciugassero più in fretta. Preparai un paio di omelette con la marmellata, bevemmo del vino rosso e indossati i maglioni andammo sul terrazzo. Il lago sotto di noi cantava la sua canzone mentre ce ne stavamo in piedi, abbracciati, senza parlare a guardare le stelle. Poi lui disse: “voglio vivere tutta la mia vita con te.”
Io gli accarezzai la guancia. Per quella notte non fu pronunciata altra parola.
Ci alzammo tardi, il sole era già alto e caldo. Facemmo colazione al maneggio e partimmo per una passeggiata a cavallo. Fosco, il vecchio proprietario, ci riempì le bisacce di provviste. Avremmo potuto anche perderci ma il cibo non ci sarebbe mancato, disse ghignando. Percorremmo un comodo sentiero a mezza costa che permetteva la visione di gran parte del lago. Eddy montava con mano leggera, era elegante. Sul principio gli mostrai le ville più belle e gliene raccontai le storie. Ne fu affascinato. Poi ci addentrammo nel bosco e il silenzio ci abbracciò. Io continuavo a pensare alla frase che aveva detto la sera prima prima: 'voglio vivere tutta la mia vita con te'. Anch'io avrei voluto, ma come? Lui in Inghilterra ed io in Italia. Non dovevamo fare progetti ma solo vivere alla giornata, me lo ripetevo continuamente. Lo guardavo di sottecchi: come lo amavo.

Domenica piovve. Facemmo colazione a letto. Eddy mi raccontò dei suoi progetti: trasferirsi in Italia, e dedicarsi all'insegnamento dell'inglese e magari fare qualche traduzione. La cosa che più lo preoccupava era dove sistemare i suoi libri e i suoi quadri in casa mia.
Tornammo in città lunedì mattina presto. Decise di anticipare la sua partenza al giorno dopo.
Preparò un piccolo bagaglio, contava di rientrare entro breve. Quella notte fu solo tenerezza.
Mercoledì pomeriggio alle 16,00 mi telefonò la polizia cantonale svizzera:Eddy era uscito di strada, la sua Spitfire si era capovolta e lui era morto. Schiacciato dalla sua auto. Rimisi la cornetta del telefono sulla sua forcella come un automa mentre mi tornava alla mente la nostra gita a cavallo. Il suo ricordo più vivo.
Ci eravamo fermati in una radura per il pranzo: c'erano dei tavoloni, dei barbeque e un piccolo spiazzo per la sosta dei cavalli. Tre o quattro famiglie ci avevano preceduto e già stavano cucinando. Avemmo subito i bambini intorno, affascinati dai cavalli. Dissellammo. Apparecchiai nel tavolo più distante. Mangiammo in silenzio e guardammo i bambini giocare. Eddy mormorò: “come sono belle le famiglie.” Io assentii senza parlare. Ci fu una lunga pausa poi Eddy disse: “mi vuoi sposare?”.
La forchetta mi scivolò tra le dita. Credetti di non aver capito. Eddy sorrise e ripeté, scandendo bene le parole: “mi vuoi sposare?”. Ero stordito. Deglutì un paio di volte e poi risposi: “Eddy non possiamo. Siamo due uomini.”
Lui sorrise di nuovo e disse: “Lo so Alberto, lo so. Ma da noi, in uk, si può. Mi vuoi sposare?” Lo guardai dritto negli occhi e risposi: “sì, con tutto il cuore” .
Avremmo voluto baciarci, ci accarezzammo le mani. In silenzio. I suoi occhi erano lucidi.

Da allora non ho più amato nessuno come ho amato lui.

Fine





       

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