Ciò che possiamo licenziare

domenica 30 maggio 2010

Pierluigi Bersani e la semiotica.

Il termine semiotica deriva, neanche a dirlo dal greco: σημεῖον (si pronuncia semeion) che significa "segno" ed è la disciplina (scienza forse?) che i segni li studia.


Studiare i segni vuol dire in buona sostanza, scoprire e definire qual è il senso che ad essi è sotteso e quindi il loro significato.

Intorno al senso (significato) dei segni, siano essi tracciati (o in qualche modo scritti) o comportamentali o addirittura verbali (e in questi ultimi la santa chiesa cattolica apostolica romana è vera maestra) una grande quantità di filosofi ci ha perso (o quasi) la testa.

Naturalmente non poteva che essere di un santo la frase che più di tutte spiega il perché della ricerca del senso:“ Il segno è infatti una cosa che, oltre all'aspetto sensibile con cui si presenta, porta a pensare qualcosa di altro a partire da sé.” *
L’autore è, quasi per definizione, Agostino d’Ippona meglio noto ai più come Sant’Agostino. Per intenderci quello delle Confessioni.

Ora provate a pensare a qualcuno, come aiutino aggiungiamo che sia un politico e magari di sinistra, che porti a pensare qualcosa di altro a partire da sé.

Bravi.
Avete indovinato.
Avete pensato a Pierluigi Bersani.
Tutto in Bersani fa pensare a qualcosa d’altro.

A partire dai tratti del volto.
Avete mai fatto caso a quelle due pieghette che gli scendono perpendicolarmente dagli angoli della labbra fino a raggiungere il mento? E avete mai notato come questo sia squadrato, quasi tagliato con l’accetta? E che quando parla vada meccanicamente su e giù mentre la parte superiore della bocca rimane quasi immobile? Il fatto che poi sia calvo e con la sola corona di capelli sulla nuca non è che la ciliegina sulla torta. Non vi sembra infatti che assomigli incredibilmente a quei pupazzi che di solito i ventriloqui usano nei loro spettacoli?
Chissà chi sarà il suo ventriloquo.
E poi che dire del suo esordio come segretario? Subito una bella e sonante batosta che chiunque, viste le proporzioni, avrebbe immediatamente ammesso come tale. Lui invece no. In fondo è stato come un pareggio, ha detto. Una sconfitta per essere veramente tale per Bersani deve avere dimensioni più che catastrofiche: forse la perdita anche dell’Emilia-Romagna e della Toscana. O qualcosa di ancor più disastroso?
Altro segno: il linguaggio.
Forse ad imitazione del suo mentore D’Alema, anche il simpatico Pierluigi s’è cimentato nell’uso dell’eloquio da bar durante una relazione politica. E anche qui a ben vedere i segni sono importanti.
Mentre D’Alema, ricorderete, se n’era uscito con un arrogante “vada a farsi fot…” , che tutto lo descrive, doppiato poi da una serie di altre scempiaggini, il nostro per modestia si è limitato ad una sola allocuzione.
Forse perché viene dalla provincia e più specificatamente da un paese chiamato Bettola (cosa sono le coincidenze), s’è accontentato del più tradizionale “non rompa i cogl…”.

Riuscendo così con questo segno a far pensare a qualcosa d’altro:

• quanto un partito possa essere ridicolo e magari anche poco serio (con gente così non andremo da nessuna parte chiosò il Moretti anni e anni fa. E fino ad ora i fatti gli hanno, purtroppo, dato ragione)
• dare ulteriore valenza al “teorema D’Alema” **
• permettere al centrodestra di riprendere l’antico mantra dei trinaricciuti
• far provare simpatia per una ministra che nulla è e neppure simpatica.

Bersani dunque come paradigma del segno.

Ma attenzione: non è un segno del destino è solo un segno di D’Alema.

Ahinoi.

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* De doctrina christiana I.1.1 – Agostino D’Ippona
** Vedi “il teorema D’Alema” pubblicato sul il vicario imperiale il 15 Maggio 2010
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